2

 

Scapparono via presto dal party dei patologi e cenarono al Four Seasons Resort di Teton Village.

Dopo otto ore di fila di interventi su pugnalate e bombe, proiettili e mosconi azzurri della carne, Maura non ne poteva più di sentir parlare di morte e fu sollevata di tornare nel mondo normale in cui una chiacchierata non implicava discorsi sulla putrefazione e in cui il problema più serio della serata era la scelta del vino.

«Allora, come ti sei rotto la gamba alla Stanford?» chiese mentre Douglas versava il Pinot Nero nel bicchiere.

Lui sussultò. «Speravo te ne fossi dimenticata.»

«Avevi promesso di dirmelo. E il motivo per cui sono venuta a cena.»

«Non sei qui allora per il mio spirito brillante? Per il mio fascino giovanile?» Maura scoppiò a ridere.

«Be', anche per quello. Ma soprattutto per sentire il racconto della gamba rotta. Ho la sensazione che sarà divertente.»

«D'accordo.» Douglas sospirò. «La verità? Stavo facendo il cretino sul tetto della Wilbur Hall e sono caduto.» Lei lo fissò.

«Mio Dio, è un bel salto.»

«Me ne sono accorto.»

«Presumo c'entrasse l'alcol.»

«Certo.»

«Quindi è stata solo una tipica e stupida bravata da college.»

«Perché sembri così delusa?»

«Mi aspettavo qualcosa di meno... oh, convenzionale.»

«Be'», ammise lui, «ho tralasciato qualche dettaglio.»

«Per esempio?»

«Il costume da ninja che indossavo. La maschera nera. La spada di plastica.» Scrollò imbarazzato le spalle.

«E l'umiliante corsa in ambulanza all'ospedale.» Lei lo studiò con sguardo calmo, professionale.

«E oggi ti piace ancora vestirti da ninja?»

«Vedi?» Scoppiò in una fragorosa risata.

«E' per questo che metti così soggezione! Chiunque altro avrebbe riso di me, tu invece rispondi con una domanda molto logica, molto assennata.»

«C'è una risposta assennata?»

«Neanche una, maledizione.» Alzò il bicchiere per un brindisi. «Agli stupidi scherzi da college. Per non dimenticarli mai.»

Maura bevve un sorso e posò il vino.

«Cosa intendevi quando dici che metto soggezione?»

«Lo hai sempre fatto. Io ero là, un imbecille che prendeva il college con tutta calma. Che ci dava troppo dentro alle feste e si alzava troppo tardi. Ma tu... tu eri così determinata, Maura. Sapevi esattamente cosa volevi essere.»

«E questo metteva soggezione?»

«Atterriva anche. Perché avevi tutto sotto controllo e io no.»

«Non sapevo di avere quell'effetto sulla gente.»

«Lo hai ancora.» Maura rifletté sull'affermazione. Pensò agli agenti di polizia che ammutolivano sempre quando arrivava sulla scena di un crimine. Alle feste di Natale in cui si limitava a un solo calice di champagne mentre tutti gli altri facevano baldoria. La gente non avrebbe mai visto la dottoressa Maura Isles ubriacarsi, far chiasso o comportarsi in modo sconsiderato. Avrebbe visto solo quello che lei permetteva vedesse. Una donna padrona di sé. Una donna che atterriva.

«Ma essere determinati non è un difetto», rispose a sua difesa.

«È l'unico modo in cui si riesce a realizzare qualcosa a questo mondo.»

«Il che spiega probabilmente perché io abbia impiegato tanto a farlo.»

«Sei arrivato alla facoltà di medicina.»

«Alla fine. Dopo aver passato due anni a perdere tempo, cosa che ha fatto impazzire mio padre. Ho lavorato come barista nella Baja California. Ho insegnato surf a Malibù. Fumavo troppa erba e mi scolavo litri di vino scadente. Era fantastico.» Sorrise.

«Tu, dottoressa Isles, non avresti approvato.»

«Non è una cosa che avrei fatto.» Maura bevve un altro sorso di vino. «Non allora, in ogni caso.» Lui alzò un sopracciglio. «Intendi che lo faresti adesso?»

«Le persone cambiano, Douglas.»

«Sì, guarda me! Non avrei mai immaginato che un giorno sarei diventato un noioso patologo sepolto nel seminterrato di un ospedale.»

«Ma allora com'è successo? Cosa ti ha trasformato da tipo da spiaggia in medico rispettabile?»

La conversazione si interruppe quando il cameriere servì loro il piatto principale. Anatra arrosto per Maura, costolette d'agnello per Douglas. Tacquero per macinare come d'obbligo il pepe e riempirsi di nuovo i bicchieri.

Solo dopo che il cameriere se ne fu andato, Douglas rispose alla domanda.

«Mi sono sposato», disse.

Maura non aveva notato alcuna fede al dito ed era la prima volta che lui accennava a un legame. Alzò lo sguardo sorpresa di fronte a quella rivelazione, ma lui non la stava guardando. Stava fissando un altro tavolo, una famiglia con due bambine piccole.

«Un'unione sbagliata fin dall'inizio», ammise.

«L'avevo incontrata a una festa. Una bionda favolosa, occhi azzurri, gambe chilometriche. Aveva sentito che volevo far domanda per entrare a medicina e aveva in testa di diventare la moglie di un ricco dottore. Non si era resa conto che avrebbe finito per passare i fine settimana sola mentre io lavoravo in ospedale. Quando terminai l'internato di patologia, si era già trovata un altro.»

Douglas affondò il coltello in una costoletta.

«Ma dovevo tenermi Grace.»

«Grace?»

«Mia figlia. Tredici anni, splendida in tutto e per tutto come la madre. Spero solo di riuscire a indirizzarla verso scelte più intellettuali rispetto a quelle fatte dalla madre.»

«Dov'è adesso la tua ex moglie?»

«Si è risposata con un banchiere. Vivono a Londra e ci va bene se la sentiamo due volte l'anno.»

Posò coltello e forchetta.

«Così sono diventato Mr Mammo. Adesso ho una figlia, un mutuo e un lavoro al Centro per veterani di San Diego. Chi potrebbe chiedere di più?»

«Sei felice?» Scrollò le spalle.

«Non è la vita che mi immaginavo quando ero alla Stanford e giocavo a fare il ninja sui tetti, ma non mi posso lamentare. La vita è imprevedibile e ti ci devi adattare.» Le sorrise.

«Beata te, sei proprio quello che ti eri figurata. Hai sempre voluto diventare patologa ed eccoti qui.»

«Ho anche sempre voluto sposarmi. In quello ho fallito miseramente.»

Lui la studiò.

«Trovo così difficile credere che adesso non ci sia un uomo nella tua vita.»

Maura giocherellò con i pezzetti d'anatra nel piatto, di colpo senza più fame.

«A dire il vero mi vedo con qualcuno.»

Douglas si protese e la fissò intensamente.

«Dimmi qualcosa di più.»

«Va avanti da circa un anno.»

«Sembra una cosa seria.»

«Non lo so.»

Il suo sguardo la metteva in imbarazzo e tornò a concentrarsi sul cibo. Sentiva che la stava studiando, cercando di cogliere ciò che non diceva. Quella che era iniziata come una conversazione spensierata si era trasformata all'improvviso in un discorso molto personale. Erano comparse le lame da dissezione e stavano venendo fuori i segreti.

«Abbastanza da far suonare le campane nuziali?» domandò.

«No.»

«Perché no?» Maura lo guardò. «Perché non è disponibile.»

Lui si appoggiò allo schienale, sorpreso.

«Non avrei mai pensato che una donna equilibrata come te si innamorasse di un uomo sposato.»

Lei fece per correggerlo, poi si bloccò. Dal punto di vista pratico Daniel Brophy era senza dubbio un uomo sposato, sposato con la sua chiesa. Non c'era sposa più gelosa, più esigente. Avrebbe avuto maggiori possibilità di averlo se fosse stato legato a un'altra donna.

«Evidentemente non sono equilibrata come credi», rispose.

Douglas scoppiò in una risata stupita.

«Devi avere una vena di pazzia di cui non mi sono mai accorto. Com'è che alla Stanford mi è sfuggita?»

«E' stato tanto tempo fa.»

«La personalità di base non cambia molto in realtà.»

«Tu sei cambiato.»

«No. Sotto questo blazer Brooks Brothers batte ancora il cuore di un tipo da spiaggia. La medicina è solo il mio lavoro, Maura. Paga i conti. Non è quello che sono.»

«E secondo te io cosa sono?»

«La stessa persona che eri alla Stanford. Competente. Professionale. Una che non fa errori.»

«Vorrei fosse vero. Vorrei non aver fatto errori.»

«Quest'uomo con cui ti vedi è un errore?»

«Non sono pronta ad ammetterlo.»

«Ti sei pentita?» La domanda la indusse a tacere, non perché non sapesse cosa rispondere. Sapeva di non essere felice. Sì, c'erano momenti di gioia quando sentiva l'auto di Daniel nel vialetto o lui che bussava alla porta. Ma c'erano anche sere in cui se ne stava seduta sola al tavolo di cucina a bere troppi bicchieri di vino. A covare troppi risentimenti.

«Non lo so», disse infine.

«Io non mi sono mai pentito di niente.»

«Nemmeno del matrimonio?»

«Nemmeno di quel disastro che è stato il mio matrimonio. Credo che ogni esperienza, ogni decisione sbagliata ci insegni qualcosa. Per questo non dovremmo aver paura di commettere errori. Io mi butto a testa bassa nelle cose e a volte mi scotto. Ma alla fine c'è una soluzione per tutto.»

«Quindi ti fidi dell'universo?»

«Sì. E la notte dormo sonni tranquilli. Niente dubbi, niente armadi pieni di ansie. La vita è troppo breve per quello. Dovremmo semplicemente starcene seduti e goderci il viaggio.»

Il cameriere sopraggiunse per portare via i piatti. Se Maura aveva mangiato solo metà del cibo, Douglas aveva pulito il piatto divorando le costolette d'agnello come sembrava divorare la vita stessa, con allegro trasporto.

Ordinò cheese-cake e caffè come dessert; Maura chiese solo una camomilla.

Quando il tutto arrivò, Douglas divise il cheese-cake a metà.

«Dai», disse, «so che ne vuoi un po'.»

Ridendo Maura afferrò la forchetta e ne prese un bel boccone.

«Hai una cattiva influenza.»

«Se ci comportassimo tutti bene, quanto sarebbe noiosa la vita? Inoltre il cheese-cake è un peccato minore.»

«Quando tornerò a casa, dovrò pentirmi.»

«Quando rientri?»

«Non prima di domenica pomeriggio. Pensavo di rimanere un giorno in più e godermi un po' il paesaggio. Jackson Hole è decisamente splendida.»

«Giri sola?»

«A meno che qualche bell'uomo non si offra di farmi da guida.» Douglas mangiò un boccone di torta senza masticarlo, facendosi pensieroso per un istante.

«Per quanto riguarda il bell'uomo non saprei», rispose.

«Ma ti potrei offrire un'alternativa. Mia figlia Grace è qui con me. Stasera è al cinema con due miei amici di San Diego. Sabato avevamo intenzione di andare a un lodge per sciatori escursionisti e di passarci la notte. Torneremo domenica mattina. Nel Suburban c'è posto per te. E sono sicuro che ci sia posto anche al lodge, se ti fa piacere unirti a noi.»

Maura scosse la testa. «Sarei di troppo.»

«Per niente. Piaceresti a tutti loro. E credo anche che loro piacerebbero a te. Ario è uno dei miei migliori amici. Di giorno è un noioso commercialista, ma la sera...»

La voce di Douglas si abbassò tramutandosi in un sinistro borbottio. «Si trasforma in una celebrità conosciuta come Misterioso Mr Chops.»

«Come chi?»

«E' solo uno dei blogger più famosi del web in tema di cibo e vini. Ha mangiato in ogni ristorante d'America segnalato dalla Guida Michelin e ora sta procedendo alla conquista dell'Europa. Io lo chiamo semplicemente Squalo.»

Maura scoppiò a ridere.

«Sembra divertente. E l'altro amico?»

«Elaine, la ragazza che frequenta da anni. Si occupa di design d'interni o qualcosa del genere, non so con precisione. Credo che voi due andreste d'accordo. In più, conosceresti Grace.»

Maura mangiò un altro boccone di cheese-cake e si prese un po' di tempo per masticare. Per riflettere.

«Ehi, non ti sto proponendo di sposarmi», la prese in giro Douglas.

«E' solo una gita in macchina di un giorno con mia figlia tredicenne che ci farà da chaperon.»

Le si avvicinò di più e la fissò intensamente con i suoi occhi azzurri.

«Dai. Le mie idee pazze e scatenate finiscono quasi sempre per essere divertenti.»

«Quasi sempre?»

«C'è il fattore imprevedibilità, la possibilità che accada qualcosa di inatteso, di sorprendente. È proprio questo che rende la vita un'avventura. A volte devi saltare a bordo e fidarti dell'universo.»

In quell'istante, mentre lo guardava negli occhi, sentì che Douglas Comley la vedeva come poche persone riuscivano a farlo. Vedeva oltre la corazza difensiva e scorgeva la donna che c'era dentro. Una donna che aveva sempre avuto paura di dove il cuore l'avrebbe portata.

Guardò il piatto con il dessert. Il cheese-cake era sparito. Non si era accorta di averlo mangiato.

«Fammici pensare un po'», rispose.

«Certo.» Douglas scoppiò a ridere. «Non saresti Maura Isles se non lo facessi.»

Quella sera, tornata in camera, chiamò Daniel.

Dal tono di voce capì che non era solo. Era educato ma impersonale, come se parlasse a un parrocchiano qualsiasi. In sottofondo Maura udiva alcune voci discutere del prezzo del gasolio da riscaldamento, del costo della riparazione del tetto, del calo delle donazioni. Era una riunione per discutere del budget della chiesa.

«Com'è lassù?» domandò. Gradevole e neutro.

«Fa molto più freddo che a Boston. C'è già la neve.»

«Qui continua a piovere.»

«Arrivo domenica sera. Ce la fai lo stesso a venirmi a prendere in aeroporto?»

«Ci sarò.»

«E dopo? Potremmo goderci una cena a tarda sera a casa mia, se ti va di restare per la notte.»

Silenzio.

«Non sono sicuro di potere. Devo vedere.»

Era quasi la stessa risposta che lei aveva dato a Douglas quella sera.

E si ricordò di quanto le aveva detto. A volte devi saltare a bordo e fidarti dell'universo.

«Posso richiamarti sabato?» disse.

«A quel punto saprò i miei impegni.»

«D'accordo. Ma se non riuscirai a raggiungermi, non ti preoccupare. Potrei essere in una zona senza segnale.»

«Ci sentiamo sabato allora.»

Non ci fu alcun ti amo di saluto, solo un semplice ciao e la conversazione terminò.

L'unica intimità che si godevano era dietro una porta chiusa.

Ogni incontro era programmato in anticipo e, dopo, ripetutamente analizzato.

Troppo concettuale, avrebbe detto Douglas.

Tutta quella concettualità non l'aveva resa felice.

Prese il telefono dell'albergo e fece il numero dell'operatore. «Per piacere, può passarmi la stanza di Douglas Comley?»

Lui impiegò quattro squilli a rispondere. «Pronto?»

«Sono io», disse Maura.

«L'invito è ancora valido?»