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Le gambe dell'uomo erano divaricate e lasciavano esposti i testicoli lacerati e la pelle ustionata delle natiche e del perineo.

La foto autoptica apparve sullo schermo senza alcun preavviso da parte del conferenziere, eppure nella buia sala conferenze dell'albergo nessuno fiatò. Quel pubblico era avvezzo alla vista di corpi devastati e smembrati. Per chi ha visto e toccato carne carbonizzata, per chi ha familiarità con il suo lezzo, un'asettica presentazione Power-Point racchiude ben pochi orrori. In effetti l'uomo dai capelli bianchi seduto accanto a Maura si era appisolato più volte e nella semioscurità lei vedeva la sua testa dondolare mentre lottava tra il sonno e la veglia, indifferente alla sequela di immagini raccapriccianti che apparivano sullo schermo.

«Quelle che osservate qui sono le tipiche lesioni causate da un'autobomba. La vittima era un uomo d'affari russo di quarantacinque anni che un mattino è salito sulla sua Mercedes... una Mercedes molto bella, potrei aggiungere. Quando ha girato la chiave, ha azionato la trappola esplosiva posta sotto il sedile. Come vedete dai raggi X...»

L'oratore cliccò con il mouse e sullo schermo comparve la successiva alide di Power-Point.

Era la radiografia di una pelvi spezzata all'altezza del pube. I tessuti molli erano costellati di schegge ossee e metalliche.

«La forza dell'esplosione ha spinto alcuni frammenti dell'auto fino nel perineo lacerando lo scroto e tranciando le tuberosità ischiatiche. Mi spiace dover dire che vediamo sempre più spesso danni simili da esplosione, soprattutto in quest'epoca di attacchi terroristici. Era una bomba piuttosto piccola, concepita per uccidere solo il guidatore. Quando passiamo al mondo del terrorismo, parliamo di esplosioni molto più potenti con maggiori vittime.»

Cliccò di nuovo con il mouse e apparve una foto di organi resecati, che luccicavano come pezzi di carne in una macelleria sul telo chirurgico verde.

«Talvolta non si trovano molte tracce di danni esterni, anche quando i danni interni sono letali. Questo è il risultato di un attentato kamikaze in un caffè di Gerusalemme. La giovane di quattordici anni ha subito lesioni massive da concussione dei polmoni nonché perforazione dei visceri addominali. Il volto è integro. Quasi angelico.»

La foto che comparve in seguito suscitò la prima reazione udibile dal pubblico: mormorii di tristezza e d'incredulità. La ragazza sembrava riposare serena, il volto perfetto senza rughe e ombre di preoccupazione, gli occhi scuri che guardavano sotto le ciglia folte. Alla fine non fu il sangue a scuotere la sala di patologi, ma la bellezza. A quattordici anni, quando era morta, pensava forse a un compito scolastico. O a un bel vestito. O a un ragazzo che aveva intravisto per strada. Non avrebbe immaginato che di lì a poco i suoi polmoni, il suo fegato e la sua milza sarebbero stati disposti su un tavolo autoptico o che un giorno una sala di duecento patologi avrebbe fissato imbambolata la sua immagine.

Quando si accesero le luci, il pubblico era ancora mesto.

Mentre gli altri si accodavano per uscire, Maura rimase al suo posto a osservare gli appunti che aveva preso su bombe riempite di chiodi e pacchi bomba, autobombe e ordigni sepolti. Quando si trattava di causare sofferenza, l'ingegnosità umana non conosceva limiti. Siamo così bravi ad ammazzarci tra noi, pensò. Eppure in amore falliamo miseramente.

«Mi scusi, lei è Maura Isles?»

Guardò l'uomo che si era alzato dal suo posto, due file più avanti. Era circa della sua età, alto e atletico, molto abbronzato, con i capelli biondi schiariti dal sole che la indussero subito a pensare: è californiano. Aveva un volto vagamente familiare ma non ricordava dove lo avesse conosciuto, il che era sorprendente. Era un volto di cui qualsiasi donna si sarebbe di certo ricordata.

«Lo sapevo! Sei tu, vero?» Scoppiò a ridere.

«Ti ho riconosciuta appena sei entrata in sala.»

Lei scosse la testa. «Mi spiace. E' davvero imbarazzante, ma non credo di ricordarmi di lei.»

«Perché è stato molto tempo fa. E non ho più la coda di cavallo. Douglas Comley, corso propedeutico alla facoltà di medicina alla Stanford. Sono passati... quanti? Vent'anni? Non mi stupisce che tu mi abbia dimenticato. Diamine, io stesso mi sarei scordato di me.»

D'un tratto le balenò in mente il ricordo di un giovane con i capelli biondi lunghi e un paio di occhiali scuri sul naso bruciato dal sole. A quel tempo era molto più allampanato, un piccolo levriero in blue jeans.

«Eravamo in laboratorio insieme?» domandò.

«Analisi quantitativa. Terzo anno.»

«Te lo ricordi anche dopo vent'anni? Sono sbalordita.»

«Non mi ricordo un accidenti di niente di analisi quantitativa. Ma mi ricordo di te. Avevi il banco da laboratorio proprio di fronte al mio e hai ottenuto il punteggio più alto della classe. Non sei finita alla facoltà di medicina della UC a San Francisco?»

«Sì, ma adesso vivo a Boston. E tu?»

«UC a San Diego. Non sono riuscito a lasciare la California. Sono sole e surf dipendente.»

«Il che mi pare ottimo in questo momento. E' solo novembre e sono già stanca del freddo.»

«Io invece mi sto proprio godendo la neve. E' uno spasso.»

«Solo perché non devi conviverci per quattro mesi all'anno.»

La sala conferenze si era ormai svuotata e i camerieri dell'albergo stavano impilando le sedie e portando via le attrezzature audio. Maura infilò gli appunti nella borsa e si alzò.

«Ti vedo stasera al party?» gli chiese mentre si spostavano entrambi lungo file parallele verso l'uscita.

«Sì, credo che ci sarò. Ma per cena siamo liberi, vero?»

«Così dice il programma.»

Uscirono insieme dalla sala piombando nell'atrio dell'hotel affollato di altri medici che portavano le stesse targhette bianche con il nome e le stesse borse del convegno. Aspettarono insieme agli ascensori sforzandosi di continuare il dialogo.

«Allora, sei qui con tuo marito?» domandò lui.

«Non sono sposata.»

«Mi sembrava di aver visto l'annuncio delle tue nozze sulla rivista degli ex alunni.» Lei lo guardò stupita.

«Segui a tal punto le vicende di tutti?»

«Sono curioso di sapere dove finiscono i miei compagni di classe.»

«Per quanto mi riguarda ho divorziato. Quattro anni fa.»

«Oh, mi spiace.» Lei scrollò le spalle.

«A me no.»

Salirono in ascensore al terzo piano dove uscirono entrambi.

«Ci vediamo al party», disse lei salutandolo ed estraendo la chiave dell'albergo.

«Ceni con qualcuno? Perché io sono libero. Se ti fa piacere, ti porto in un buon ristorante. Fammi uno squillo.»

Maura si girò per rispondergli, ma lui si stava già avviando in corridoio con la borsa gettata sulla spalla.

Mentre lo osservava allontanarsi, le balenò all'improvviso in testa un altro ricordo di Douglas Comley.

Un'immagine di lui in blue jeans che se ne andava in giro zoppicando per il cortile interno del campus.

«Non ti eri rotto la gamba quell'anno?» gli chiese.

«Mi sembra proprio prima degli esami finali.»

Douglas si voltò ridendo verso di lei.

«Questo è quello che ricordi di me?»

«Adesso comincia a tornarmi tutto in mente. Avevi avuto un incidente di sci o qualcosa del genere.»

«Qualcosa del genere.»

«Non è stato un incidente di sci?»

«Oh, cavolo.» Douglas scosse la testa.

«Mi imbarazza troppo parlarne.»

«Be', adesso me lo devi dire.»

«Se cenerai con me.»

Maura tacque quando le porte dell'ascensore si aprirono e un uomo e una donna uscirono. Percorsero il corridoio abbracciati: stavano chiaramente insieme e non erano per nulla intimoriti di mostrarlo. Come dovrebbe fare una coppia, pensò, mentre entravano in una stanza e chiudevano la porta.

Guardò Douglas.

«Mi piacerebbe conoscere la storia.»