Sedici anni dopo

 

La loro storia era arrivata alla fine, ma nessuno dei due voleva ammetterlo.

Parlavano invece delle strade inondate di pioggia, del traffico terribile che c'era quel mattino e della probabilità che il suo volo dall'aeroporto Logan venisse ritardato.

Non parlavano di ciò che li affliggeva, anche se Maura Isles lo percepiva nella voce di Daniel Brophy e anche nella sua, così monotone, così sommesse.

Cercavano entrambi di fingere che niente tra loro fosse cambiato.

No, erano semplicemente sfiniti per essere rimasti in piedi per metà della notte, impantanati nello stesso penoso discorso che rappresentava il prevedibile finale del loro atto d'amore. Il discorso che la lasciava sempre con una sensazione di bisogno e un atteggiamento di pretesa.

Se solo potessi star qui con me ogni notte.

Se solo potessimo svegliarci insieme ogni mattino.

Mi hai qui ora, Maura.

Ma non completamente. Non finché non farai una scelta.

Guardò dal finestrino le auto che avanzavano sotto il diluvio.

Daniel non riesce a decidersi, pensò. E anche se scegliesse me, anche se lasciasse il sacerdozio e la sua preziosa chiesa, in camera con noi ci sarebbe sempre il senso di colpa a guardarci infuriato come un amante invisibile. Osservò i tergicristalli sferzare ritmici la coltre d'acqua mentre fuori la luce cupa rispecchiava il suo stato d'animo.

«Ce la farai per un pelo», osservò lui.

«Hai fatto il check-in online?»

«Ieri. Ho la carta d'imbarco.»

«Bene. Ti farà risparmiare minuti preziosi.»

«Ma devo fare il check-in per la valigia. Non sono riuscita a mettere i vestiti invernali nel bagaglio a mano.»

«Penseresti che per un congresso medico scelgano posti caldi e soleggiati. Perché il Wyoming a novembre?»

«Si dice che Jackson Hole sia splendida.»

«Anche le Bermuda.» Si azzardò a guardarlo.

La penombra dell'auto gli nascondeva le rughe di preoccupazione sul viso, ma riuscì a scorgere l'argento sempre più diffuso tra i suoi capelli. In un anno soltanto quanto siamo invecchiati, pensò.

L'amore ci ha fatti sfiorire entrambi.

«Quando torno, andiamo insieme in un posto caldo», disse.

«Solo per un fine settimana.» Rise con noncuranza.

«Accidenti, scordiamoci il mondo e andiamocene per un mese intero.» Lui restò in silenzio.

«O è chiedere troppo?» domandò con dolcezza.

Daniel emise un sospiro stanco. «Per quanto ci piaccia scordarci del mondo, è sempre là. E dobbiamo tornarci.»

«Non dobbiamo fare proprio niente.»

L'occhiata che le lanciò era di infinita tristezza.

«Non lo credi veramente, Maura.» Rivolse di nuovo lo sguardo alla strada. «E nemmeno io.» No, pensò lei.

Crediamo entrambi nella necessità di essere maledettamente responsabili. Io vado al lavoro tutti i giorni, pago le tasse alla scadenza esatta e faccio tutto quello che il mondo si aspetta da me. Posso blaterare quanto voglio di scappar via con lui e di fare qualcosa di pazzo, di sconsiderato, ma so che non lo farò mai. E neanche Daniel.

Brophy si fermò al terminal delle partenze. Per un istante rimasero seduti senza guardarsi. Maura si concentrò invece sui suoi compagni di viaggio in coda per il check-in sul marciapiede, tutti avvolti negli impermeabili come i partecipanti a un funerale in una tempestosa mattina di novembre. In realtà non aveva voglia di uscire dall'auto calda e di unirsi alle folle afflitte di viaggiatori. Anziché prendere l'aereo potrei chiedergli di riportarmi a casa, pensò. Se avessimo ancora qualche ora per parlarne, forse potremmo trovare il modo di far funzionare le cose tra noi.

Un paio di nocche batterono sul parabrezza.

Maura alzò lo sguardo e vide un poliziotto dell'aeroporto che li guardava seccato.

«Qui è permesso solo scaricare», abbaiò.

«Dovete spostare la macchina.» Daniel abbassò il finestrino.

«La sto solo accompagnando.»

«Be', non ci metta tutto il giorno.»

«Ti prendo la valigia», disse Daniel e uscì dall'auto.

Per un momento rimasero sul marciapiede tremanti, in silenzio, in mezzo a una cacofonia di rombi di autobus e di fischietti che regolavano il traffico. Se fosse mio marito, pensò, adesso ci daremmo un bacio di saluto.

Per troppo tempo avevano scrupolosamente evitato qualsiasi manifestazione pubblica d'affetto e anche se quel mattino non portava il colletto clericale, persino un abbraccio sembrava rischioso.

«Non devo andare per forza al congresso», disse Maura.

«Potremmo passare la settimana insieme.» Lui sospirò.

«Maura, non posso scomparire così per una settimana.»

«Quando puoi farlo?»

«Mi serve tempo per organizzarmi. Andremo via, te lo prometto.»

«Ma dovrà sempre essere in qualche altro posto, vero? Un posto in cui nessuno ci conosca. Per una volta vorrei passare una settimana con te senza dover andare via.»

Daniel lanciò uno sguardo al poliziotto che stava tornando verso di loro.

«Ne parleremo quando tornerai la prossima settimana.»

«Ehi, signore!» gridò l'agente. «Sposti subito l'auto.»

«Certo che parleremo.» Maura scoppiò a ridere.

«Siamo bravi a parlare, no? È la cosa che sappiamo fare meglio.» Afferrò la valigia.

Lui l'afferrò per un braccio.

«Maura, ti prego. Non salutiamoci così. Sai che ti amo. Ho solo bisogno di tempo per trovare una soluzione.»

Maura gli vide il dolore impresso sul volto.

Tutti quei mesi di sotterfugi, l'indecisione e il senso di colpa avevano lasciato cicatrici, offuscato la gioia che aveva trovato con lei.

Avrebbe potuto consolarlo con un sorriso, con una stretta rassicurante sul braccio, ma in quell'istante non vedeva al di là del suo dolore.

L'unica cosa a cui pensava era la vendetta.

«Per noi il tempo è scaduto», rispose e si allontanò entrando nel terminal.

Nell'istante stesso in cui le porte di vetro si chiusero alle sue spalle con un sibilo si pentì di quelle parole.

Ma quando si fermò a guardare dal vetro, lui stava già salendo in macchina.