CAPITOLO 44.

 

PER quanto intelligente e razionale, Emma poteva essere estremamente impulsiva quando erano in gioco i sentimenti e il giorno in cui aveva deciso di tornare così bruscamente nello Yorkshire aveva agito indubbiamente seguendo un impulso.

Rendendosi conto di cadere nella rete tesa dal magnifico Paul McGill, Emma era fuggita in preda al panico.

Da un pezzo era arrivata alla conclusione che la fortuna non l'aiutava nelle faccende che riguardavano gli uomini. Era solo capace di ferirli o di farsi ferire. I suoi rapporti non erano mai stati equilibrati. In quel caso Emma dubitava di poter infliggere sofferenza al presuntuoso Paul McGill, tuttavia quell'uomo rappresentava una minaccia terribile per lei. Era in gioco tutta la sua vita, per quanto insoddisfacente essa fosse. Non poteva correre il rischio di scatenare un uragano emotivo. Solo in affari era disposta a giocare d'azzardo.

Ma, dopo due giorni, stava cominciando a essere sconcertata dal suo silenzio totale. Non sei anche un po' delusa? le chiese una vocina dal di dentro mentre Emma fissava il telefono ostinatamente muto. Sì, delusa forse, ma anche sollevata, si disse guardando l'ultimo resoconto della Emmeraldo. I suoi pensieri però tornarono immediatamente a Paul.

Rabbrividì rammentando i suoi abbracci appassionati e subito scacciò il suo ricordo. Apparentemente lui non ci aveva messo molto a dimenticarla. Oppure si stava ancora leccando le ferite inferte al suo orgoglio? Emma era certa che nessun'altra donna l'avesse mai abbandonato prima di allora. Eccoti servito, maggiore McGill, si disse. Ciò nonostante la delusione tornò a sommergerla.

Meglio concentrarsi sul lavoro.

Dopo qualche minuto Gladys bussò ed entrò. Era paonazza in volto e tutta eccitata. «Avete un visitatore, Mrs. Harte», annunciò dirigendosi verso la scrivania.

«Ma non ho appuntamenti stamattina», si accigliò Emma.

«Che succede, Gladys? Sembri turbata...» Esitò e il cuore le balzò in gola. Sapeva già ciò che Gladys stava per dire. Una sola persona al mondo poteva scatenare quel turbamento negli occhi di una donna.

«É il maggiore McGill, Mrs. Harte. Ha detto che non l'aspettavate, ma che l'avreste ricevuto.»

Emma annuì con il volto impassibile. «Sì, certo che lo riceverò, Gladys.»

Paul entrò e si chiuse la porta alle spalle con fare deciso.

Indossava un impermeabile sopra la divisa militare e il berretto era sospinto con aria noncurante da una parte. Portava un cestino da picnic e non aveva più il bastone.

Lanciò a Emma un'occhiata dura. «Vigliacca», disse.

«Che cosa ci fai nello Yorkshire?» riuscì a dire Emma con voce tremante.

«Sono venuto a pranzare con te.» Alzò una mano e agitò un dito con aria minacciosa. «Ho già indovinato, non hai bisogno di dirlo.

Tu pranzi sempre in ufficio.» Guardò il cestino. «É per questo che ho portato il necessario per un picnic. Così non avrai scuse.

Non posso garantire la qualità del cibo del Metropot, ma lo champagne è Dom Pérignon.»

«Molto intraprendente da parte tua», replicò Emma a bassa voce riconquistando un po' di autocontrollo.

«Già, davvero!» Mise il cestino su una sedia, vi gettò sopra il berretto e avanzò con passo claudicante. Appoggiò entrambe le mani alla scrivania e si protese verso di lei. «Sei fuggita. Hai avuto paura», le disse.

Incapace di mentire Emma non disse nulla.

«Di che cosa avevi paura? Di me o di te?» volle sapere con voce improvvisamente dura.

«Non lo so.» Fissò il ripiano della scrivania. «Di te forse.»

«Piccola sciocca sventata! Ma non lo sai che ti amo?»

Fece il giro della scrivania e la strinse a sé. Emma non trovò la forza di resistere. Gli circondò il collo, poi piano piano cominciò a ricambiargli i baci appassionati, mentre un brivido di eccitazione la percorreva da capo a piedi.

Paul si agitò. «Pensavi forse che qualche centinaio di chilometri potessero spaventarmi?» Rise. «Io sono australiano, mia cara, le distanze non significano nulla per me. Evidentemente non hai imparato nulla di me Emma, altrimenti avresti capito che posso essere molto tenace.» La circondò di nuovo con le braccia e la strinse a sé ridendo. «Che cosa farò di te, mia dolce Emma? Mia ostinata, cocciuta, adorabile Emma? Domarti?

Mi chiedo però se una briglia starebbe bene sul tuo collo fiero.»

Emma si attaccò al bavero dell'impermeabile. Era senza parole e aveva la mente in subbuglio. Che cosa le aveva detto?

Che era innamorato di lei. Le gambe le tremavano e non osò aprire bocca. Altrimenti gli avrebbe detto che anche lei lo amava.

Paul sembrava inconsapevole del suo lungo silenzio. «Innanzitutto facciamo colazione», ordinò. «Poi mi farai vedere il negozio. E dopo voglio anche vedere i lanifici Layton.» Le lanciò il suo famoso sorriso ammaliatore. «Più tardi, poi, voglio fare la conoscenza dei tuoi bambini e spero che mi inviterai a cena. Non abbandonerai un povero soldato in una sera come questa in una città dimenticata da Dio, non è vero?»

Emma scosse il capo.

«Intesi, allora?»

«Sì, Paul», bisbigliò Emma con voce sorprendentemente arrendevole.

Paul McGill restò nello Yorkshire tre giorni, durante i quali Emma ebbe modo di vedere un aspetto completamente diverso di lui. Già a Londra aveva sospettato che ci fosse una vena profonda di sincerità in lui e, sebbene desse l'impressione di non voler essere serio a lungo, Emma aveva intuito che era una maschera. E non si sbagliava. Lì, nel calore della famiglia, l'aspetto riflessivo di lui venne completamente alla luce. Sapeva anche essere delicato, qualità che dimostrò nei riguardi dei bambini.

Ascoltava attentamente Edwina, rispondeva con infinita pazienza alle sue domande sull'Australia e trattava Kit da pari.

Kit pendeva letteralmente dalle sue labbra e salì ai sette cieli quando Paul lo portò a correre con la slitta sul viale e giocò con il trenino nella nursery.

Emma aveva l'impressione che Paul avesse saputo tirare fuori la parte migliore dei suoi bambini e persino Edwina, sempre così lontana, emerse dalla sua corazza, scossa dalla sua vivace influenza. Emma non si stancava di guardare Paul e di meravigliarsi dell'interesse genuino che sembrava provare per la sua famiglia, sebbene spesso una strana espressione nostalgica oscurasse i suoi occhi viola quando pensava che nessuno lo guardasse. Emma non sapeva spiegarsene la ragione, stupefatta delle mille contraddizioni di quell'uomo così straordinario.

Il giorno della sua partenza Paul le disse: «Non mi resta molto tempo, Emma. Presto dovrò tornare in Francia. Verrai a trovarmi a Londra? Presto?»

Emma non ci pensò due volte. «Sì», gli rispose sorridendo.

Lui le sfiorò la guancia. «Quando?»

«Ho una riunione domani mattina. Ma potrei arrivare dopodomani.

Venerdì.»

«Perché non domani pomeriggio, invece? Il tempo stringe.»

«E va bene, domani.» Lui le sollevò il mento. «Ne sei certa, Emma?»

«Sì, lo sono.» E mentre parlava si rese conto di aver stipulato un patto con lui.

Era una gelida sera di febbraio quando Emma scese dal treno a King's Cross. Lo vide prima che lui vedesse lei. Era in piedi davanti alla cancellata con il berretto all'indietro e il bavero dell'impermeabile rialzato. Il cuore le balzò in petto e cominciò a correre. Non era dignitoso, ma non poteva farne a meno. Non si fermò finché non fu fra le sue braccia, senza fiato e sorridente, il volto radioso per la felicità.

Lui la tenne stretta a sé, le disse che era magnifica e trovò un facchino per il bagaglio. Infine, prendendo come sempre le redini della situazione, la condusse alla macchina di suo padre.

Mentre la vettura si districava nel traffico serale Emma colse una lieve differenza in Paul che, nonostante le tenesse la mano e chiacchierasse come al solito, sembrava inquieto.

Prima di arrivare al Ritz, dove Emma sarebbe scesa, la Daimler si fermò e Paul le disse: «Io scendo qui e farò a piedi il resto della strada». Emma lo fissò sbalordita. «E perché?»

Lui sorrise. «So quanto sei prudente e non vorrei compromettere il tuo onore. Registrati da sola e fra un'ora ti raggiungerò per un drink. Ad ogni modo hai bisogno di un po' di privacy. Del tempo per cambiarti e fare il bagno.»

«Benissimo. A tra poco, allora.»

Paul annuì e scese dalla macchina. Emma era commossa dalla sua delicatezza, mentre uno strano senso di vuoto, di solitudine l'assaliva. Come era sciocca! L'avrebbe rivisto fra breve.

Il salotto del suo appartamento dava su Green Park. Un bel fuoco scoppiettava nel camino, le lampade erano tutte accese e la stanza era piena di fiori, tutti mandati da Paul. Sorrise compiaciuta, ma non perse tempo ad ammirarli.

Il bagno caldo scacciò il gelo dalle sue ossa e le diede un po' di vita. Quindi Emma infilò la vestaglia di seta bianca e sedette davanti alla toilette canticchiando fra sé e sentendosi più felice di quanto non fosse mai stata da anni. Si spazzolò i lunghi capelli sinché non scintillarono alla luce delle lampade e lentamente li avvolse in una crocchia in cima alla testa.

Stava infilando l'ultima forcina quando si irrigidì, con la strana sensazione di non essere più sola. Lentamente si girò e sobbalzò.

Paul era appoggiato con aria noncurante contro lo stipite della porta, le gambe incrociate, un bicchiere in mano.

«Scusami. Non volevo spaventarti. Avrei dovuto bussare», le disse. «Sei un quadretto delizioso, amore mio.»

«Come hai fatto ad entrare?» mormorò Emma.

«Ma dalla porta, naturalmente.» Si avvicinò alla toilette e le mise davanti una scatoletta. «Questi sono per te», le disse.

«Mettili.»

Emma gli lanciò un'occhiata perplessa e aprì la scatola. Gli orecchini di smeraldi scintillavano come pozze di fuoco verde contro il velluto nero. «Oh, Paul! Sono splendidi», esclamò Emma trattenendo il fiato. Quindi aggrottò la fronte. «Ma non posso accettarli. Sono troppo preziosi.»

«Mettili», le ordinò lui.

Le mani di Emma tremavano mentre metteva gli orecchini.

Poi guardò Paul nello specchio. «Sono incredibili. Come facevi a sapere che gli smeraldi sono le mie pietre favorite?»

Paul sorrise. «Non lo sapevo. Ma con i tuoi occhi dovresti portare solo smeraldi. Vedi come riprendono il loro colore?»

Mise giù il bicchiere e le prese il mento fra le mani costringendola ad alzare la testa, quindi si chinò e la baciò sulla fronte.

«Vieni nell'altra stanza, tesoro, a bere qualcosa», le disse poi allontanandosi e aspettandola sulla soglia.

«Mi infilo un vestito e vengo.»

«No, lascia stare. Voglio solo dirti due parole. Stai bene così.»

Emma si strinse addosso la vestaglia di seta bianca e lo seguì, lievemente imbarazzata. Tuttavia non volle protestare intuendo il tono grave nella sua voce. Che dovesse partire più presto di quanto pensasse per la Francia? Era questa la ragione della sua tensione? Non appena fu in salotto capì come avesse fatto a entrare così silenziosamente nel suo appartamento. La porta all'estremità opposta era aperta e al di là si scorgeva un appartamento identico al suo. Colta di sorpresa e innervosita dalla situazione Emma esitò.

«Io sto bevendo uno scotch», le disse Paul «ma so che tu preferisci del vino. Ti verso subito una coppa di champagne.»

Emma lo seguì con gli occhi mentre attraversava la stanza con aria noncurante e sentì il risentimento trasformarsi in rabbia. Paul aveva preso per scontate troppe cose. Aveva preso per scontato che sarebbe stata una... una... complice nel suo piccolo gioco. Si morse le labbra.

In quel momento Paul tornò con lo champagne e interruppe il tumulto dei suoi pensieri. Le si sedette di fronte e, come se le avesse letto nella mente, le disse: «Non ti biasimo se sei arrabbiata con me, Emma. Mi rendo conto che sei anche imbarazzata, non è vero?»

Emma non gli rispose e si limitò a fissare il bicchiere con aria ostinata.

«Sono un maledetto sciocco. É stato presuntuoso da parte mia e adesso voglio scusarmi per tanta arroganza. Sono certo che hai capito al volo quali fossero le mie intenzioni quando hai visto la porta aperta sull'altro appartamento. Seduzione, naturalmente.

Sono settimane che ci penso.» La bocca gli si incurvò in un sorrisetto di autodisprezzo. «Piuttosto rozzo da parte mia, non è vero? Ma poi, mentre venivamo qui in macchina, mi sono reso conto di averti cacciata in una situazione dalla quale avresti avuto molte difficoltà a districarti. Così ho intenzione di farlo io per te. Adesso terminerò questo drink, varcherò quella porta e tu la chiuderai a chiave. Poi, quando sarai completamente vestita, passerò a prenderti e ce ne andremo fuori a cena. Nessun obbligo.

Né adesso, né dopo. D'accordo?»

Emma lo fissò sbalordita. «Ma sì, naturalmente. Però, dimmi, perché hai cambiato idea?»

Paul fece una risatina. «Già, non è da me, vero? Il furfante pentito.» Si strinse nelle spalle. «Sono io il primo a stupirmene.»

«Perché ti sei pentito?»

«Perché ti amo e non me la sento di forzare una situazione per i miei fini, senza pensare a te e ai tuoi sentimenti.»

«Non credo di capire.»

«Tu devi amarmi almeno quanto io amo te, Emma. Altrimenti non ha senso.» Bevve il suo drink in un sorso solo e si alzò. «E adesso corri a vestirti. Ti aspetterò nell'atrio e andremo a cena.»

Giunto sulla soglia si fermò. «Chiudila dopo che sarò uscito», le disse senza guardarla. Emma fece quanto le aveva detto e girò la chiave con il volto scuro almeno quanto quello di lui. Quindi sedette sul divano. Lui l'amava. E lei anche. Era andata a Londra consapevole di quel patto non detto fra loro, eppure in quel momento si stava comportando come se fosse offesa o oltraggiata.

Il suo comportamento non aveva senso.

Chiuse gli occhi e pensò a Paul dietro quella porta chiusa a chiave che l'aspettava per portarla a cena. Ma che aspettava anche la sua decisione, la decisione che avrebbe stabilito l'esito del loro rapporto. Aveva forse fatto quella mossa per scaricarsi delle sue responsabilità? No, non era giusta nei suoi riguardi.

Paul era una persona leale. E allora perché ho tanta paura di fare questo passo? si chiese. E la risposta la colpì con tale violenza che la testa le girò. Non aveva paura di Paul né delle sue emozioni. Aveva paura dell'atto dell'amore, del momento della passione, paura a causa delle sue terribili esperienze sessuali avute con Joe. E poi aveva paura di ferire Paul ritraendosi da lui, paura di deluderlo come donna. Forse se gli avesse spiegato...

Emma percorse la stanza aprì la porta e si fermò sulla soglia.

Paul era accoccolato davanti al camino con il capo reclinato.

Sembrava in preda all'angoscia.

«Paul...»

La sua testa bruna si girò di scatto. Poi la guardò mentre lei avanzava lentamente. «Io... io... vorrei parlarti.»

Paul annuì e la guardò con aria grave. «Mi rendo conto di avere lasciato tutta la responsabilità di questa decisione a te.

Ma solo perché volevo essere assolutamente sicuro di te. E volevo anche che tu fossi sicura di te stessa.»

Emma tese una mano e gli sfiorò il bavero della giacca con le labbra che le tremavano. Non riusciva ad aprire bocca e certamente le mancava il coraggio di raccontare ciò che provava.

Paul le prese la mano e baciò la punta delle sue dita. «Che dolce manina», esclamò.

«Oh, Paul!»

Il suo viso traboccante d'amore gli disse ciò che voleva sapere.

L'attirò a sé e la baciò appassionatamente, quindi la prese fra le braccia e la portò in camera da letto. «Dillo, amore», le intimò con voce roca. «Dillo!»

«Ti amo, Paul.»

«E?»

«E ti voglio.»

«Oh, Emma, Emma, mi hai sempre voluto, amore mio! Non capisci? Era destino, fin dal primo momento in cui ci siamo guardati negli occhi.» Seguì con il dito la curva del suo collo. «Io lo sapevo.

Ma tu hai dovuto rendertene conto a poco a poco ed è per questo che non ho voluto forzarti la mano stasera. Avevo bisogno di te, ma avevo anche bisogno che tu venissi di tua volontà.»

Si alzò in piedi e si sbarazzò dell'elegante cintura, nonché di giacca, cravatta e camicia. Mentre si spogliava Emma non lo abbandonò un istante con gli occhi, sentendo i suoi timori svanire. Non ho mai visto un uomo nudo prima d'oggi, si scoprì a pensare. Che corpo stupendo. Era abbronzato e vigoroso.

Aveva le spalle larghe, i fianchi sottili, le gambe slanciate e il ventre piatto.

«Togliti la vestaglia, amore», le mormorò lui avvicinandosi.

La coprì con il suo corpo e la cullò fra le braccia sorridendo al suo viso pieno di aspettative. «Che peccato rovinare una pettinatura così bella», mormorò cominciando a togliere a una a una le forcine. Folte ciocche color rame le ricaddero sulle spalle mentre lui tratteneva il fiato per lo stupore. Passò le dita fra i capelli e la costrinse a sollevare il viso. Le sue labbra incontrarono quelle di lei assaporandone il calore e la dolcezza finché non furono entrambi sommersi dalla violenza delle loro emozioni e dalla passione repressa per settimane.

Emma si sentì invadere da un insolito calore, da un fuoco devastante. Tutto il suo corpo si protendeva verso di lui. Voleva unirsi a lui, fondersi con lui. E, come se la sua riluttanza non fosse mai esistita, Emma gli si diede con trasporto, accogliendo con gioia i suoi baci e ricambiandoli selvaggiamente.

Con una punta di sorpresa Paul si rese conto della sua mancanza di esperienza sessuale, ma quella constatazione lo commosse e lo eccitò ancora di più. Era come se fosse il primo uomo per lei.

Eppure non gli sfuggì la sua sensualità latente e con mano esperta seppe risvegliare tutta la sua voluttà nascosta, trascinandola sulla cresta del piacere finché Emma non vibrò al suo tocco esperto, non urlò il suo nome, non lo implorò di amarla.

Infine Paul la prese con passione travolgente, con ardore addolcito, ma non imbrigliato, dalla tenerezza. Braccia e gambe di seta si allacciarono a lui, leggere e senza peso tirandolo giù... più giù... sempre più giù. Stava affondando in un mare pieno di luce trasportandola con lui, più giù, più veloce, nelle profondità sempre più verdi, verdi come i suoi occhi. Onde si schiantavano attorno a lui spumeggiando e il suo cuore batteva all'unisono.

Ebbe l'impressione di perdere conoscenza, di volare nell'infinito insieme a lei. Oh, Signore! Oh, Signore! É così che deve essere!

Uomo e donna uniti in una perfetta comunione di corpi e di anime.

Finalmente la sua ricerca incessante era finita! Quel momento di gioia estrema che gli era sempre sfuggito era lì a portata di mano, mentre si sentiva rinascere in lei.

Paul aprì gli occhi e vide il rapimento sul volto di Emma, il pulsare della vena del collo e l'adorazione nei suoi grandi occhi verdi. C'era in quel volto un tale abbandono, una tale innocenza che improvvisamente gli occhi di Paul si riempirono di lacrime. La baciò teneramente e l'attirò a sé giurando che mai più l'avrebbe lasciata andare.

Emma si abbandonò con la testa sulla sua spalla, stordita d'amore.

Si sentiva piena di pace e il suo cuore volò in alto pieno di gioia pensando alla misteriosa trasformazione che lui aveva saputo operare in lei, all'ebbrezza che le aveva dato facendole provare la sua prima grande soddisfazione. É un uomo come tutti gli altri, pensò con la testa contro il petto di lui, ma con lui io sono diversa.

Paul le passò le mani tra i capelli e la baciò sul collo. C'erano state molte donne nella sua vita, ma proprio come aveva pensato di essere il primo uomo per lei aveva l'impressione che lei fosse l'unica donna che l'avesse davvero posseduto. Gli era entrata nel sangue e non se ne sarebbe liberato mai più. La luce nei suoi occhi mutò, si oscurò, divenne angoscia.

«Emma, amore mio.»

«Sì Paul?»

«Sono sposato», le disse sommessamente, guardandola negli occhi.

Emma non fece un gesto, restò perfettamente immobile tra le sue braccia, ma ebbe l'impressione che qualcuno le avesse vibrato un colpo allo stomaco. Infine riuscì a dire con voce stentata:

«Certamente hai scelto il momento più opportuno per farmi questo incredibile annuncio».

Lui intensificò la sua stretta. «Non è inopportuno. Anzi, l'ho scelto apposta.»

«E perché?»

«Perché volevo averti fra le braccia nel dirtelo. Proprio come ora. Affinché tu potessi capire quanto poco conta il mio matrimonio. Affinché potessi amarti di nuovo e dirti che la realtà per me sei tu.» Emma non disse nulla e lui proseguì precipitosamente: «Non stavo cercando di nasconderti nulla, Emma.

Non è un segreto e chiunque avrebbe potuto parlartene.

Naturalmente pregavo il cielo che non avvenisse perché volevo che tu venissi a saperlo da me. Ho solo rimandato perché temevo di perderti. Sapevo che saresti scomparsa se te l'avessi detto prima.

Che non avresti mai permesso che il nostro rapporto arrivasse a questo...»

«Bastardo, infido e bugiardo!»

Fece per balzare giù dal letto, ma lui la trattenne inchiodandola con il suo peso e fissandola in viso. Per un attimo Emma credette di annegare in quegli occhi azzurri che la fissavano.

«Le cose non stanno così, Emma!» gridò Paul furibondo. «Ti prego, credimi. So quello che stai pensando... che volevo fare i miei comodi prima di dirtelo. Ma non è vero, volevo solo che tu mi amassi, che fossi legata a me in modo irrevocabile. Una volta che mi avessi amato ero sicuro che non avresti permesso alle circostanze di separarci. Io ti amo, Emma. Sei la cosa più preziosa che abbia al mondo.»

«E tua moglie?» mormorò Emma.

«Sono sei anni che non viviamo insieme e abbiamo smesso di essere moglie e marito da molto prima.»

«Da quanto tempo sei sposato?» La voce di Emma si udì a malapena.

«Nove anni, Emma. É un matrimonio senza senso. Anzi, non è neppure un matrimonio. Ma in questo momento sono legato a lei perché... legato a lei legalmente. Non appena la guerra sarà finita sbroglierò questo pasticcio. Voglio passare il resto della mia vita con te. Se tu me lo permetterai. Tu sei tutta la mia vita, ormai. Ti prego, amore, devi credermi.» La voce gli tremava.

Emma lo fissò mentre milioni di pensieri le si affollavano alla mente impedendole di pensare con lucidità. Poi capì. La sincerità del volto di Paul, l'angoscia di quegli occhi la lasciarono di sasso. «Ti credo», disse lentamente, e in tono fermo.

«Sì, Paul, è strano, ma ti credo.»

 

Taylor Bradford Barbara - 1979 - Una vera donna
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