CAPITOLO 1.
EMMA Harte si protese in avanti e guardò fuori del finestrino. Il jet privato, di proprietà della Sitex Oil Corporation of America era sbucato dalla cortina di nubi e sfrecciava sicuro nel cielo di un azzurro talmente intenso da ferire gli occhi. Stordita da quell'intensa luce mattutina Emma distolse lo sguardo dal finestrino, appoggiò il capo contro lo schienale della poltrona e chiuse gli occhi. Per qualche istante il bagliore azzurrino indugiò sotto le sue palpebre stanche e un'ondata di nostalgia la assalì con tale impeto da farle mancare il fiato per la sorpresa.
Lo stesso cielo del quadro di Turner sopra il camino del salotto a Pennistone Royal, pensò, il cielo dello Yorkshire in una giornata di primavera, dopo che il vento ha spazzato via la nebbia dalle colline.
Un impercettibile sorriso aleggiò sulla bocca volitiva di Emma, addolcendo la curva risoluta delle sue labbra in un'insolita mitezza mentre indugiava nel ricordo di Pennistone Royal: la grande casa antica che svettava nell'aspro paesaggio delle alture solitarie e che le dava invariabilmente la sensazione di trovarsi di fronte a una forza della natura architettata da una mano onnipotente piuttosto che a un semplice edificio costruito dalla mano dell'uomo. L'unico luogo in quel mondo violento nel quale avesse trovato una pace infinita. La sua casa. Era stata via troppo a lungo questa volta. Quasi sei settimane. Ma entro la prossima settimana sarebbe rientrata a Londra e per la fine del mese sarebbe stata in viaggio verso nord diretta a Pennistone, verso la pace e la tranquillità del suo giardino e dei suoi nipoti. Quel pensiero la rallegrò al punto che si lasciò andare contro lo schienale della poltrona sentendo piano piano svanire la tensione accumulata negli ultimi giorni. Dalle labbra le sfuggì un sospiro di sfinimento e di sollievo al tempo stesso.
Era stanca morta a causa delle battaglie all'ultimo sangue sostenute in quei giorni al consiglio di amministrazione svoltosi a Odessa, nella sede centrale della Sitex Corporation.
Era felice di lasciare finalmente il Texas e di tornare alla calma relativa del suo ufficio di New York. Non che non amasse il Texas, al contrario aveva sempre sentito una forte attrazione per quel grande stato americano nel cui tentacolare potere in espansione Emma intravedeva qualcosa di molto simile al suo nativo Yorkshire. Ma l'ultimo viaggio l'aveva sfinita. Sto diventando troppo vecchia per scorrazzare a destra e a sinistra sugli aeroplani, si disse, scacciando immediatamente quel pensiero. Era disonesto e lei non era mai disonesta con se stessa. Alla lunga faceva risparmiare un sacco di tempo e di energie. In realtà Emma non si sentiva affatto vecchia. Solo lievemente stanca, soprattutto in occasioni particolari, quando le toccava misurarsi con la stupidità altrui e Harry Marriott, presidente della Sitex, era proprio uno stupido e, come tutti gli stupidi, era potenzialmente pericoloso.
Emma riaprì gli occhi e si rizzò a sedere con la mente di nuovo immersa nei suoi affari, giacché era instancabile, tenace, insonne e astuta quando si trattava del suo smisurato patrimonio che, d'altra parte, raramente abbandonava i suoi pensieri.
Accavallò le gambe e raddrizzò la schiena nella posa regale che le era solita. Nel suo stesso portamento e nel modo con cui teneva fieramente eretta la testa c'era un che di imperativo mentre i grandi occhi verdi, freddi come l'acciaio, traboccavano di smisurato potere. Sollevò una piccola mano bianca e piena di forza e con un gesto automatico si lisciò i capelli argentei dal taglio impeccabile. Impeccabile come tutto in lei, nel suo semplice ma elegante tailleur di flanella grigia la cui linea severa era addolcita dal biancore lattiginoso delle stupende perle che le cingevano il collo e dalla spilla di smeraldi appuntata sul bavero. Guardò la nipote che, seduta di fronte a lei, era intenta a prendere appunti sui compiti da svolgere la settimana successiva a New York. Sembra stanca stamane, si disse Emma, la spingo troppo. Provò un'insolita punta di rimorso che si affrettò a scacciare. É giovane, si rassicurò può farcela e questa è la migliore scuola che potrebbe mai avere. «Ti dispiace chiedere allo steward mi pare che si chiami John, se può farci una tazza di caffè cara?» le chiese. «Ne ho proprio bisogno, questa mattina.»
La ragazza sollevò lo sguardo. Per quanto non bella nel senso tradizionale del termine, era così insolita e vitale da creare un'impressione di grande bellezza. La vivacità dei suoi colori contribuiva all'effetto. I folti capelli lucenti formavano un casco corvino attorno alla testa e la linea pura dell'attaccatura, che scendeva in una punta pronunciata sulla fronte, metteva in risalto il candore luminoso del suo volto che avrebbe potuto essere scolpito nel marmo. Il viso dall'ovale allungato, dagli zigomi rialzati e dalle sopracciglia distanziate era attento ed espressivo, ma nella curva del mento c'era una traccia della ferrea volontà della nonna. Eppure la caratteristica più spettacolare di Paula era costituita dai suoi occhi, grandi, intelligenti e di un azzurro fiordaliso così intenso da sembrare viola.
Paula sorrise alla nonna e ribatté con entusiasmo: «Ma certo, nonna, farà piacere anche a me!» Con grazia districò dal sedile il corpo flessuoso. É così magra, pensò Emma, troppo per i miei gusti. D'altronde lo è sempre stata. Una puledrina tutta gambe da bambina, una giumenta da corsa ormai. Un insieme di amore e di fierezza rischiarò il viso duro di Emma e gli occhi le si riempirono di improvviso calore mentre seguiva con lo sguardo la sua nipote favorita, figlia di Daisy, la sua diletta figliola.
La maggior parte dei sogni e delle speranze di Emma si accentravano su Paula. Fin da bambina la ragazza era stata sempre violentemente attratta dalla nonna e, stranamente, anche dagli affari della famiglia. Il suo gioco più emozionante era andare in ufficio con Emma e starsene buona buona a guardarla lavorare.
Ancora adolescente aveva dimostrato una tale, penetrante comprensione dei meccanismi finanziari più complessi che Emma ne era rimasta sbalordita, tanto più che nessuno dei suoi figli aveva mostrato la benché minima attitudine per gli affari. Nel suo intimo Emma ne era stata deliziata, eppure aveva seguito con inconfessata trepidazione i progressi della nipote, timorosa che con gli anni tanto entusiasmo potesse svanire. Ma non era stato così. A sedici anni Paula aveva respinto il suggerimento di frequentare una delle più esclusive scuole per signorine in Svizzera e immediatamente si era messa a lavorare per la nonna.
Nel corso di quegli anni Emma aveva addestrato Paula con mano più esigente e ferrea di quella che normalmente mostrava con gli altri dipendenti della Harte Enterprises. Paula aveva ormai ventitré anni ed era talmente abile competente e più matura della maggior parte delle sue coetanee che Emma l'aveva promossa affidandole una carica di responsabilità nell'organizzazione Harte. Aveva nominato Paula sua assistente personale, con grande stupore e scorno di Kit il figlio maggiore di Emma, anche lui alle dipendenze della Harte Enterprises.
La ragazza tornò ridendo dalla minuscola cucina. Poi, mentre si lasciava scivolare sul sedile, disse: «Ti stava già preparando il tè, nonna. Immagino che come tutti pensi che gli inglesi non bevano altro che tè. Ma io gli ho detto che preferivi il caffè stamattina, ho fatto bene?»
Emma annuì distrattamente, la mente presa dai suoi affari.
«Certamente, tesoro.» Dalla borsa portadocumenti estrasse gli occhiali e alcune pratiche che porse a Paula. «Per favore, cara, controlla queste cifre del negozio di New York, vorrei il tuo parere. Ho l'impressione che stia per fare un passo avanti cruciale per andare in attivo.»
Paula la scrutò. «Sarebbe prima di quanto ti aspettavi, vero?
D'altra parte la ristrutturazione è stata drastica. I risultati dovrebbero vedersi, ormai.» Aprì con interesse la pratica, la sua attenzione già assorbita dalle cifre. Aveva la stessa naturale capacità di Emma di leggere un bilancio individuandone quasi a prima vista i punti di forza e di debolezza. Come nella nonna, il suo acume negli affari era straordinario.
Emma inforcò gli occhiali di tartaruga e prese il grosso fascicolo azzurro che riguardava la Sitex Oil. Mentre sfogliava rapidamente la pratica un sorrisetto le si dipinse sul volto e negli occhi le si accese una scintilla di soddisfazione. Aveva vinto. Finalmente aveva vinto! Dopo tre anni della più spregevole e sleale lotta che avesse mai visto, Harry Marriott era stato sollevato dal suo incarico di presidente della Sitex e spedito di sopra a fare il presidente del consiglio di amministrazione.
Da un pezzo Emma aveva notato le grosse carenze di Marriott. Non aveva il minimo acume, la minima iniziativa, da tempo aveva perso quella poca capacità di previsione che aveva e di certo non aveva saputo tenersi al passo con la rapida e continua evoluzione del mondo dell'alta finanza internazionale.
Eppure la scena era stata incredibilmente penosa. Marriott aveva pregato, implorato, appellandosi all'antica amicizia e ai suoi quarant'anni di lavoro per la compagnia. Emma aveva accolto quelle umilianti implorazioni nel più totale mutismo, con uno sguardo implacabile negli occhi di ghiaccio. Aveva vinto.
Con l'aiuto del consiglio di amministrazione Harry era stato defenestrato. L'uomo nuovo, il suo uomo, era già stato investito della sua carica e la Sitex Oil era al sicuro. Ma non c'era gioia nella sua vittoria, poiché per Emma non c'era nulla di cui gioire nella caduta di un uomo.
Soddisfatta ripose occhiali e fascicolo nella borsa e si lasciò andare contro lo schienale della poltrona sorseggiando il caffè.
Dopo alcuni istanti si rivolse a Paula. «Adesso che hai partecipato a parecchi consigli di amministrazione della Sitex credi di farcela da sola?»
Paula distolse gli occhi dalla pratica che stava leggendo, con un'espressione sbalordita sul viso. «Non avrai intenzione di mandarmi là in mezzo da sola!» esclamò. «Sarebbe come mandare un agnello in mezzo ai lupi. Non puoi farmelo, nonna, non ancora! Non parli sul serio, vero?»
«Certo che parlo sul serio!» Una scintilla di irritazione passò nello sguardo di Emma. Era sorpresa dall'inaspettata, ma inequivocabile agitazione della nipote dal momento che era già avvezza a negoziati ad altissimo livello nel corso dei quali aveva sempre dato prova di grande sangue freddo e acume. «Ho forse l'abitudine di dire cose che non penso? Eppure dovresti conoscermi, cara», terminò seccamente.
Paula restò muta e in quell'istante di incertezza Emma si rese conto della tensione dell'espressione sbigottita sul volto della nipote. Aveva paura? si chiese Emma. Certamente no.
Non ne aveva mai avuta prima di allora. Paula non era debole, non sarebbe diventata come gli altri. Oppure si sbagliava? Quella terrificante possibilità trafisse la mente fredda e calcolatrice di Emma come una lama d'acciaio. L'idea le era talmente inaccettabile che si rifiutò di prenderla in considerazione. Forse la ragazza era rimasta più sconvolta di quanto sembrasse dalla crudeltà dell'ultima riunione.
Con il volto ancora teso, ma con una nota di dolcezza nella voce le disse: «Ad ogni modo non ti manderò da sola alla Sitex finché anche tu non ti convincerai, come già sono convinta io, che puoi farcela senza sforzo».
Paula mise giù la pratica che ancora stringeva fra le mani delicate ma competenti e si lasciò andare anche lei contro lo schienale della poltrona. Aveva ritrovato la calma e fissando con sguardo fermo la nonna chiese con voce controllata: «Che cosa ti fa pensare che mi darebbero retta come danno retta a te, nonna? So bene quello che pensa di me il consiglio di amministrazione. Mi considerano la nipote viziata e coccolata di una donna ricchissima e potente. Mi relegano al ruolo di ragazzina graziosa, ma sciocca e senza cervello. Sicuramente a me non riserverebbero la stessa deferenza che mostrano nei tuoi riguardi. Perché dovrebbero? Io non sono te, in fondo».
Emma increspò le labbra per celare un sorrisetto divertito, intuendo nelle parole della nipote più orgoglio ferito che vera paura. «Sì, so bene che cosa pensano di te», ribatté in tono conciliante, «ed entrambe sappiamo che si sbagliano. Mi rendo anche conto che il loro atteggiamento ti snerva, tesoro.
D'altronde so bene con quanta facilità potresti far cambiare loro idea sulle tue capacità. Ma mi chiedo, mia cara, perché farlo?»
Fissò la nipote con un bagliore astuto e divertito negli occhi e vedendo che la ragazza non rispondeva proseguì: «Essere sottovalutata dagli uomini è stata una delle croci più pesanti che mi sia toccato portare per tutta la vita e alla tua età la trovavo anch'io particolarmente irritante. Eppure devo ammettere che in certi casi ha costituito anche un grosso vantaggio del quale nel corso degli anni ho imparato a servirmi. Sai, Paula, quando un uomo è convinto di avere a che fare con una donna sciocca e vuota abbassa la guardia, diventa distratto e talvolta addirittura imprudente. Senza rendersene conto spesso è lui stesso a porgerti la vittoria su un piatto d'argento».
«Si, ma...»
«Niente ma, Paula, per favore. E adesso non essere tu a sottovalutarmi. Credi davvero che ti esporrei a una situazione difficile e pericolosa?» Scosse il capo sorridendo. «Conosco bene le tue capacità, mia cara, non ho mai avuto dubbi su di te.
Ho più fiducia in te che in tutti i miei figlioli messi insieme, eccetto tua madre, naturalmente.»
«Ti sono grata della tua fiducia, nonna», replicò Paula con voce ferma, «eppure mi riesce difficile trattare efficacemente con gente che non mi prende sul serio e sai bene che i membri del consiglio di amministrazione della Sitex non lo fanno.»
«Mi meravigli, sai?» ribatté Emma. «Hai sempre avuto una sconfinata fiducia in te stessa e fin da ragazzina hai trattato con gente di tutti i tipi e a tutti i livelli. Non hai mai avuto l'aria di essere a disagio prima d'ora.» Emise un profondo sospiro. «E non ti ho forse detto infinite volte che negli affari non conta ciò che la gente pensa di te? La cosa che conta è che tu sappia chi sei e che cosa vuoi. E francamente ho sempre pensato che tu lo sapessi.»
«Ed è vero!» esclamò Paula, «ma non sono sicura di avere la tua capacità di lavoro e la tua esperienza.»
Il volto di Emma si rabbuiò. «E invece sì. Per di più hai tutti i vantaggi della buona educazione che a me è mancata, quindi non voglio più sentirti parlare così di te! Ti manca la mia esperienza, questo te lo concedo, ma solo fino a un certo punto.
Ne acquisisci ogni giorno di più, ormai. In tutta sincerità, Paula, ti dirò che non avrei nessuna perplessità a mandarti domani stesso alla Sitex senza di me, perché sono certa che te la caveresti egregiamente. In fin dei conti ti ho allevata e addestrata io. Credi dunque che non conosca la mia stessa creatura?»
Una copia carbone di te stessa, pensò Paula amaramente, e una copia non sarà mai buona come l'originale. Invece disse: «Ti prego, nonna, non prendertela». La sua voce era dolce.
«Hai fatto un lavoro magnifico. Ma io non sono te. E il consiglio di amministrazione lo sa molto bene. Non può non tenerne conto!»
«Adesso stammi a sentire!» Emma si protese verso di lei e gli occhi socchiusi formavano due fessure di smeraldo sotto le palpebre raggrinzite. Parlava più lentamente del solito, scandendo le parole per dar loro maggior risalto.
«Sembra che tu dimentichi una cosa! Quando entrerai alla Sitex al posto mio avrai con te qualcosa che dovranno per forza prendere sul serio: il potere! Qualunque cosa pensino di te e delle tue capacità non potranno ignorare il potere che rappresenti. Il giorno che, dopo la mia morte prenderai in mano le redini dell'impresa, tu rappresenterai tua madre che sarà diventata la maggior azionista della Sitex. Con quella delega legale controllerai il venticinque per cento delle azioni privilegiate il quindici per cento delle azioni ordinarie di una corporazione dal giro d'affari di molti milioni di dollari.» Fece una pausa e si mise a fissare la nipote negli occhi, quindi continuò: «Quello non è semplice potere, Paula, è un potere immenso, smisurato, soprattutto se concentrato nelle mani di una sola persona. Non dimenticarlo mai! E, credimi, neppure loro lo dimenticheranno quando si arriverà al dunque. Non l'hanno dimenticato ieri. Ma nonostante il loro comportamento senza precedenti, e so io che capisco quanto deve averti sconvolta, non hanno potuto ignorare né me né ciò che rappresento!» Emma si appoggiò allo schienale della poltrona, ma non abbandonò con gli occhi il volto della nipote.
Paula aveva ascoltato con grande attenzione le parole della nonna e gradualmente il suo nervosismo stava svanendo. Era vero, la violenza della lotta alla Sitex l'aveva sconvolta, eppure in quel momento guardando sua nonna non poté fare a meno di provare per lei una smisurata ammirazione. Emma aveva settantotto anni. Era vecchia, ormai. Ma non aveva nessuno degli acciacchi tipici della sua età né aveva perso la sua grazia. Sprizzava vitalità da tutti i pori ed era nel pieno controllo delle sue facoltà fisiche e mentali. Paula si chiese con la massima freddezza se sarebbe mai stata in possesso della stessa indomabile volontà della nonna e della sua determinazione più volte dimostrata nel manipolare uomini e concorrenti. Non ne era certa.
Parte dei suoi dubbi fu però dissipata nel riconoscere la profonda verità di ciò che sua nonna aveva detto. Infine fu proprio la sua ambizione a spazzare via gli ultimi residui di nervosismo e Con nuova fiducia in se stessa disse: «Certo hai ragione. Il potere è la più efficace delle armi forse più del denaro stesso E non dubito che sia l'unica lingua per parlare al consiglio di amministrazione della Sitex». Esitò e fissò la nonna negli occhi.
«Non ho paura di loro nonna, non pensarlo neppure per un attimo.
Per quanto debba ammettere che mi fanno ribrezzo Immagino che più che altro i miei timori nascano dalla paura di deluderti.» Il sorriso che rivolse a Emma era calmo e sicuro.
Emma si protese verso la nipote e le strinse la mano in un gesto rassicurante. «Non avere mai paura di fallire, Paula. La paura ha impedito a troppa gente, più di quanta tu non pensi di raggiungere i propri fini. Quando avevo la tua età non avevo il tempo di preoccuparmi per queste cose. Dovevo riuscire a tutti i costi per sopravvivere. E non dimenticare mai Ciò che mi hai appena detto, cara. Il potere è la più formidabile delle armi, non il denaro.
Il denaro conta solo quando Si è poveri, quando se ne ha bisogno per conquistarsi un tetto, abiti e cibo. Ma una volta che questi bisogni primari sono stati soddisfatti il denaro diventa un'entità qualunque, uno strumento con il quale lavorare. E non lasciarti mai mettere in testa da nessuno che il potere corrompe. Non sempre è così. Accade solo quando coloro che lo detengono sono disposti a fare qualunque cosa per non lasciarselo sfuggire. Talvolta, invece, il potere nobilita addirittura!» Fece un rapido sorriso e concluse con grande sicurezza: «Tu non mi deluderai, mia cara».
«Spero proprio di no, nonna. Ma che ne dici di Harry Marriott? É lui il presidente del consiglio di amministrazione e ho l'impressione che non mi possa sopportare.»
«No non credo che non ti possa sopportare, Paula. Piuttosto ti teme, forse.» La voce di Emma si fece aspra e il viso si oscurò mentre ripensava al suo antico nemico.
«Temermi! Ma perché?»
Un lampo di disprezzo attraversò fugacemente lo sguardo di Emma.
«Perché gli ricordi troppo tuo nonno e ciò lo mette a disagio.
Harry ha sempre avuto paura di tuo nonno, fin dall'inizio, quando insieme formarono la Sydney-Texas (il Company e cominciarono a perforare alla ricerca del petrolio. Tuo nonno aveva sempre saputo che razza d'uomo fosse Harry e istintivamente lui se ne rendeva conto; di qui la sua paura.
Quando tuo nonno lasciò il pacchetto azionario della Sitex a me lo fece con l'intesa che non avrei mai venduto finché fossi stata in vita. Dovevo averne cura in blocco per tua madre e per i suoi figlioli. Vedi cara, tuo nonno era uno che vedeva lontano. Già allora aveva capito che la Sitex sarebbe diventata quella grande società che è oggi e voleva che tutti noi ne beneficiassimo. E voleva anche che Harry fosse tenuto sotto controllo.
Sempre.»
«Non credo che a questo punto possa causare altri danni alla Sitex. É stato reso praticamente impotente, ormai. Il nonno sarebbe fiero di te, nonna.» Poi, con una punta di curiosità, Paula chiese: «Davvero gli somiglio? Al nonno, voglio dire».
Emma lanciò alla nipote un'occhiata indagatrice. Stavano volando nel sole e i raggi dorati entravano dai finestrini illuminando in pieno la ragazza. In quella intensa luce i suoi capelli sembrarono a Emma ancora più scuri e scintillanti, simili a matasse di morbido velluto che incorniciavano il volto d'avorio nel quale gli occhi risaltavano più azzurri che mai. I suoi occhi. I suoi capelli. Sorrise dolcemente prima di rispondere.
«Sì, a volte gli somigli, come in questo momento, per esempio.
Credo però che più che altro siano i tuoi modi che mettono in crisi Harry Marriott. Ma non parliamo più di lui adesso, ce ne siamo liberati per sempre ormai». Infilò gli occhiali, prese il fascicolo che Paula aveva in grembo e si immerse nella lettura delle cifre del negozio di Parigi, il cervello già impegnato nei cambiamenti da apportare laggiù. Emma sapeva che il negozio navigava in cattive acque e la bocca le si strinse fino a formare un'unica linea nel leggere quelle poco rassicuranti cifre.
Paula si versò un'altra tazza di caffè e lo sorseggiò fissando la nonna con aria assorta. Questo è il volto che ho contemplato e amato per tutta la vita, si disse sentendosi sommergere da un'ondata di tenerezza. Non dimostra affatto i suoi anni nonostante quello che crede lei. Potrebbe passare facilmente per una donna sulla sessantina. Sapeva bene che sua nonna aveva avuto una vita dura e spesso dolorosa, eppure il suo viso era rimasto sorprendentemente giovanile. Guardandola, Paula si rese conto che ciò era dovuto soprattutto alla squisitezza della sua conformazione ossea. Non le sfuggì la sottile ragnatela di rughe che circondava gli angoli degli occhi e della bocca, né le sfuggirono i profondi solchi che tagliavano verticalmente il viso dalle narici al mento. Eppure la linea delle guance al di sopra di quei solchi era ancora tesa e soda e i famosi occhi verdi che diventavano di ghiaccio quando si infuriava non erano certo gli slavati occhi acquosi di una vecchia. Erano vivi, invece, e pieni di comprensione. Eppure una parte delle peripezie della sua esistenza è impressa a chiare lettere sul suo viso, pensò Paula contemplando la linea energica della bocca di Emma e il suo mento volitivo. Non di rado, tuttavia, quella maschera di autoritarismo veniva rischiarata da un grande senso dell'umorismo, da un fascino sottile e da modi naturali. E in quel momento, poiché aveva abbassato la guardia, quel volto era anche vulnerabile, aperto, gentile e colmo di saggezza.
Paula sapeva che persino coloro che temevano sua nonna trovavano difficile negare che fosse una donna con un grande carisma e pochi erano coloro che potevano resistere alla forza della sua personalità magnetica. Paula non aveva mai temuto sua nonna, eppure doveva riconoscere che la maggior parte dei suoi familiari la temeva.
Emma alzò gli occhi dalle cifre interrompendo il filo dei pensieri della nipote. «Parlando di energia, Paula, che ne diresti di fare un salto al negozio di Parigi quando lasciamo New York? Credo proprio che sia venuto il momento di fare dei cambiamenti drastici. da quanto vedo dal bilancio.»
«Ci andrò senz'altro se lo desideri, ma a dirti la verità avevo pensato di passare un po' di tempo nello Yorkshire, nonna.
Stavo proprio per suggerirti di mandarmi a fare un giro dei negozi del Nord», ribatté Paula con aria indifferente.
Emma era stupefatta e non fece il minimo tentativo per nasconderlo. Lentamente si tolse gli occhiali e contemplò la nipote con crescente interesse. Sotto quell'esame la ragazza arrossì. Distolse lo sguardo e mormorò: «Sai bene che sono disposta ad andare ovunque ti sembri necessaria la mia presenza, nonna. Andrò a Parigi». Quindi restò immobile, intuendo la sorpresa nello sguardo della vecchia.
«Perché questo interesse improvviso per lo Yorkshire?» volle sapere Emma. «Mi fa pensare che laggiù ci siano delle attrattive particolarmente allettanti per te! Jim Fairley, magari», terminò rifiutandosi di farsi menare per il naso dall'apparente docilità della nipote.
Paula si agitò sulla poltrona, cercando di evitare lo sguardo penetrante della nonna. Fece un pallido sorriso, quindi esclamò sulla difensiva: «Non essere ridicola, nonna! Pensavo solo che fosse il caso di fare l'inventario dei magazzini del Nord».
«Mi mangio il cappello se è l'inventario!» esclamò Emma tornando per un istante alle colorite espressioni popolari di un tempo.
Intanto diceva a se stessa: posso leggere nell'anima di questa ragazza come in un libro aperto. «Certo che si tratta di Fairley!
So bene che lo frequenti, Paula.»
«No, non più!» gridò la giovane con voce strozzata. «Ho smesso di vederlo da mesi, ormai!» Non aveva ancora finito di parlare che si rese conto del suo errore. Con quanta facilità sua nonna l'aveva indotta a confessare ingenuamente una cosa che aveva giurato a se stessa di non dirle mai!
Emma proruppe in una risatina, ma il suo sguardo restò vigile.
«Non prendertela, cara. Non sono arrabbiata. Per la verità non lo sono stata mai. Mi chiedevo soltanto quando ti saresti decisa a parlarmene. Mi dici sempre tutto, tu.»
«All'inizio non ti ho detto nulla perché so come la pensi circa i Fairley. La tua famosa vendetta! Non volevo farti agitare.
Sa il cielo se non hai avuto abbastanza guai nella vita senza che mi ci metta anch'io a darti altri dolori. Poi, quando ho smesso di vederlo, mi è sembrato inutile parlarti di una cosa che era morta e sepolta. Tutto qui.»
«I Fairley non mi fanno affatto agitare», ribatté Emma piccata.
«E nel caso l'avessi dimenticato Jim Fairley è alle mie dipendenze, mia cara. Non gli permetterei di dirigere la Yorkshire Consolidated Newspaper Company che, come sai, è la più importante catena di quotidiani del Nord se non avessi fiducia in lui.»
Quindi lanciò un'occhiata penetrante alla nipote e soggiunse con aria perplessa: «Perché hai smesso di frequentarlo?»
«Perché io... noi... lui... perché», incominciò Paula interrompendosi subito, preoccupata di ferire sua nonna. Eppure, si disse, è sempre stata al corrente della nostra relazione e ha fatto finta di nulla. Prese fiato e, consapevole di essere in trappola, esclamò: «Ho smesso di frequentarlo perché stava diventando una cosa importante per me. Mi sono resa conto che se avessi continuato a vederlo saremmo andati entrambi incontro a grosse sofferenze e anche tu, nonna!» fece una pausa, lasciò vagare lo sguardo fuori del finestrino, quindi proseguì con calma: «Sai bene che non accetteresti mai un Fairley in famiglia, nonna».
«Non ne sono così sicura», replicò Emma con un filo di voce.
Così sono arrivati a questo punto, pensò. Di colpo si sentì intollerabilmente stanca. Cercò di sorridere alla nipote, ma aveva la bocca arida e le labbra irrigidite. Sentiva il cuore stretto come in una morsa di tristezza, una tristezza che credeva di aver debellato da anni. Il ricordo di lui la colpì, vivo e violento come un pugno in pieno viso, e in quel momento Emma vide Edwin Fairley come se l'avesse avuto davanti agli occhi in carne e ossa. E nella sua ombra c'era Jim Fairley, il suo ritratto vivente. Edwin Fairley, generalmente così vago nella sua memoria, tornò a vivere nell'immagine del nipote, rievocando in un lampo tutta la sofferenza che le aveva causato. Un senso di terribile oppressione la assalì, impedendole di parlare.
Paula, intanto, non abbandonava con gli occhi il volto della nonna e vedendo quell'espressione dura si sentì stringere il cuore per lei. Maledetti Fairley, tutti quanti, imprecò la ragazza fra sé.
Si protese in avanti e prese la mano della nonna. «ti ho ferita, nonna. Non era niente di importante, davvero! Non me ne importa più niente e andrò a Parigi, davvero nonna! Oh, nonna, nonna carissima, non fare quella faccia, te ne prego, non lo sopporto!»
Dopo alcuni secondi quell'espressione spiritata scomparve dal volto di Emma. Deglutì faticosamente e riprese il controllo di sé esercitando la famosa volontà di ferro con la quale si era conquistata potere e ricchezza. «Jim Fairley è un bravo ragazzo, Paula, diverso dagli altri...» disse. Prese fiato, ma si fermò di nuovo. Voleva dire a Paula che poteva riprendere l'amicizia con Jim Fairley, ma non trovò la forza. Oggi come ieri. Il passato era immutabile!
«Smettiamola di parlare dei Fairley, nonna. Ti ho detto che andrò a Parigi e lo farò», esclamò Paula stringendo la mano della vecchia. «Tu sai quello che fai e forse è davvero il caso che dia un'occhiata al magazzino.»
«Sì, credo proprio che tu debba fare un salto laggiù per renderti conto di quello che sta succedendo.»
«Ci andrò non appena saremo a Londra», accondiscese Paula.
«Sì, buona idea», convenne Emma, felice almeno quanto Paula di cambiare argomento ma anche istintivamente ansiosa di guadagnare tempo.
Per tutta la vita Emma aveva lottato con il tempo, nello sforzo continuo di andare avanti, di non fermarsi. Proseguì: «Penso che arrivando a New York sia il caso di andare direttamente in ufficio. Penserà Charles a portare a casa i bagagli dopo averci accompagnate. Sono preoccupata per Gaye. Hai notato niente di strano in lei quando le hai parlato al telefono?»
«No, nulla. Che cosa intendi dire?»
«Non so, non riesco a definirlo», proseguì Emma misurando le parole, «ma ho la terribile sensazione che sia successo qualcosa di molto grave. Mi è sembrata sempre così agitata ogni volta che le ho parlato al telefono. L'ho notato per la prima volta il giorno in cui è arrivata da Londra e mi ha telefonato da New York alla Sitex. Possibile che tu non abbia notato nulla?»
«No, te l'ho detto, nonna. Però io non le ho quasi parlato.
Non penserai che qualcosa vada storto a Londra, vero?» chiese Paula allarmata.
«Spero proprio di no», replicò Emma incapace di celare la preoccupazione, «non ci mancherebbe altro dopo quello che è successo alla Sitex!» Tamburellò con le dita sul tavolino e lasciò vagare lo sguardo fuori del finestrino, riflettendo sulla situazione dei suoi affari e su Gaye Sloane, la sua segretaria privata. Con la sua mente razionale e acuta elencò tutte le cose che sarebbero potute andare storte a Londra, quindi rinunciò.
Sarebbe potuta accadere qualunque cosa, cercare di indovinare così a casaccio era solo un inutile spreco di tempo e di energia.
Si girò a guardare Paula e le fece un sorriso stanco. «Lo sapremo presto, mia cara. Stiamo per atterrare.»