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L’universo di Newton
Le nostre attuali idee sul moto dei corpi risalgono a Galileo e a Newton. Prima di allora, gli uomini credevano ad Aristotele, secondo il quale lo stato naturale di un corpo era la quiete e un oggetto si muoveva soltanto se spinto da una forza (o impulso). Di conseguenza, un corpo più pesante doveva cadere più velocemente di uno più leggero, essendo soggetto a un’attrazione più forte verso la Terra. La tradizione aristotelica riteneva anche che fosse possibile determinare tutte le leggi che governano l’universo per mezzo del puro pensiero: la verifica empirica attraverso l’osservazione non era considerata necessaria. Così, fino a Galileo, nessuno si preoccupò di accertare se corpi di peso diverso cadessero effettivamente a velocità diverse. Si dice che Galileo abbia dimostrato l’erroneità della teoria aristotelica lasciando cadere oggetti di vario peso dalla Torre di Pisa. Questo aneddoto è quasi certamente falso, ma Galileo fece comunque qualcosa di equivalente: fece rotolare delle palle di diverso peso lungo un piano inclinato ben levigato. La situazione è simile a quella dei gravi che cadono verticalmente, con il vantaggio che, in questo caso, l’osservazione risulta più facile in quanto le velocità sono minori. I valori raccolti da Galileo indicavano che tutti i corpi aumentavano la loro velocità con la medesima accelerazione, indipendentemente dal loro peso. Per esempio, se lasciamo discendere una palla lungo un piano inclinato con una pendenza del 10 per cento, la palla – qualunque sia il suo peso – si muoverà alla velocità di circa un metro al secondo dopo un secondo, di due metri al secondo dopo due secondi, e così via. Naturalmente, in condizioni ordinarie un oggetto di piombo cadrà più velocemente di una piuma, ma solo per il fatto che quest’ultima viene rallentata dalla resistenza dell’aria. Se si lasciano invece cadere due corpi che non trovano molta resistenza nell’aria, come due oggetti di piombo di peso diverso, essi cadranno con la stessa velocità. (Tra poco vedremo il perché.) L’astronauta David R. Scott fece l’esperimento con la piuma e il piombo sulla Luna (dove non c’è un’atmosfera che possa frenare la caduta dei corpi) e vide che, in effetti, sia la prima sia il secondo toccavano il suolo nel medesimo istante.
Le misurazioni di Galileo furono usate da Newton come base delle proprie leggi del moto. Negli esperimenti di Galileo, quando un corpo rotolava lungo il piano inclinato, la forza che agiva su di esso era sempre la stessa (il suo peso), e l’effetto era un’accelerazione costante del moto. Ciò dimostrava che il vero effetto di una forza era sempre quello di modificare la velocità di un corpo e non – come si pensava in precedenza – di metterlo semplicemente in movimento. Ma significava anche che, quando su un corpo non agiva alcuna forza, esso continuava a muoversi in linea retta con velocità uniforme. Quest’idea venne formulata esplicitamente per la prima volta nel 1687, nei Principia mathematica di Newton, ed è conosciuta come prima legge di Newton. Quel che accade a un corpo sottoposto all’azione di una forza è espresso invece nella seconda legge di Newton, che afferma che il corpo accelererà – ossia, varierà la propria velocità – in modo direttamente proporzionale alla forza stessa. (Per esempio, se raddoppieremo la forza applicata, raddoppierà anche l’accelerazione.) L’accelerazione è inoltre inversamente proporzionale alla massa (o quantità di materia) del corpo. (La stessa forza, cioè, agendo su un corpo di massa doppia, produrrà un’accelerazione pari alla metà.) Un esempio familiare ci viene fornito dalle automobili: quanto più il motore è potente, tanto maggiore è l’accelerazione, ma quanto più la macchina è pesante, tanto minore è l’accelerazione che il medesimo motore riesce a produrre.
In aggiunta alle sue leggi del moto – che descrivono il comportamento dei corpi sottoposti all’azione delle forze – Newton formulò anche una teoria della gravità, che indica come è possibile determinare l’intensità di un particolare tipo di forza, ossia, appunto, la gravità. Come abbiamo anticipato, questa teoria afferma che ogni corpo attrae ogni altro corpo con una forza che è direttamente proporzionale alla massa di ciascun corpo: in altri termini, la forza di attrazione fra due corpi verrebbe a raddoppiare nel caso uno dei due (per esempio, il corpo A) raddoppiasse la propria massa. Questa conclusione è del resto facilmente prevedibile. Possiamo infatti pensare il nuovo corpo A come costituito da due corpi, ognuno dei quali con una massa uguale a quella originaria: ciascuno di essi attrarrebbe il corpo B con la forza originaria, e la forza totale di attrazione tra A e B sarebbe pertanto pari al doppio della forza originaria. E se (per fare un altro esempio) uno dei due corpi avesse una massa sestupla rispetto a quella iniziale (o se uno avesse una massa doppia e l’altro una massa tripla rispetto ai loro valori originari), la forza di attrazione fra di essi sarebbe sei volte maggiore.

Figura 4. Attrazione gravitazionale dei corpi composti
Se la massa di un corpo raddoppia, raddoppia anche la forza gravitazionale da esso esercitata.
Possiamo così spiegarci come mai tutti i corpi cadano con la stessa velocità. Stando alla teoria della gravità di Newton, un corpo di peso doppio sarà attratto verso la Terra da una forza di gravità doppia; esso, però, avrà d’altro lato anche il doppio della massa e quindi, in base alla seconda legge di Newton, una medesima unità di forza gli potrà imprimere soltanto la metà dell’accelerazione. Pertanto, secondo le leggi di Newton, questi due effetti verranno a cancellarsi esattamente a vicenda, così che l’accelerazione sarà la stessa in tutti i casi, indipendentemente dal peso.
La legge di gravità di Newton ci dice però anche che la forza di attrazione sarà tanto minore quanto più i corpi saranno lontani l’uno dall’altro. Essa afferma che l’attrazione gravitazionale di una stella è pari esattamente a un quarto di quella di una stella simile posta a metà della sua distanza. In base a questa legge è possibile predire con grande accuratezza le orbite della Terra, della Luna e dei pianeti. Se l’attrazione gravitazione esercitata da una stella crescesse o diminuisse più rapidamente con il variare della distanza, i pianeti seguirebbero un movimento a spirale che li porterebbe a precipitare nel Sole, oppure si allontanerebbero fino a sfuggire dal sistema solare.
La grande differenza tra le idee di Aristotele da un lato e quelle di Galileo e di Newton dall’altro consiste nel fatto che Aristotele riteneva la quiete uno stato privilegiato in cui i corpi tendevano sempre a rimanere a meno di non essere sottoposti all’azione di una qualche forza o impulso. In particolare, egli pensava che la Terra fosse immobile. Dalle leggi di Newton, però, consegue che non esiste un unico sistema di riferimento privilegiato in base al quale possiamo parlare di quiete. Potremmo infatti dire che il corpo A è in quiete e il corpo B si sta muovendo con velocità costante rispetto ad A, ma potremmo anche dire che è il corpo B a essere in quiete mentre il corpo A si sta muovendo. Per esempio, se mettiamo da parte per un momento la rotazione della Terra e la sua rivoluzione intorno al Sole, potremmo dire che la Terra è in quiete e che un treno sta viaggiando verso nord alla velocità di 150 chilometri all’ora, oppure che il treno è in quiete ed è invece la Terra a muoversi verso sud alla velocità di 150 chilometri all’ora. Se si facessero degli esperimenti con degli oggetti in movimento sul treno, tutte le leggi di Newton conserverebbero la loro validità. Ha ragione Newton oppure Aristotele? E come possiamo dirlo?
Una prova potrebbe essere la seguente. Immaginate di essere chiusi in una scatola e di non sapere se questa scatola sia adagiata sul pavimento di un treno in movimento oppure sulla terraferma (che per Aristotele rappresentava il sistema di riferimento per lo stato di quiete). C’è un modo per verificare se la scatola si trova sulla terraferma oppure sul treno? Se così fosse, potremmo forse dire che Aristotele aveva ragione nel ritenere che lo stato di quiete sulla Terra godesse di uno statuto speciale. Tuttavia, tutti gli esperimenti che potremmo condurre all’interno della scatola posta sul treno darebbero esattamente gli stessi risultati che avremmo se ci trovassimo in una scatola sulla terraferma (ammesso, naturalmente, che non ci siano sobbalzi, svolte o altre irregolarità nella corsa del treno). Se ci mettessimo a giocare a ping-pong sul treno, vedremmo la pallina comportarsi esattamente come se stessimo giocando su un tavolo da ping-pong posto accanto al binario. E se, all’interno della nostra scatola, provassimo a giocare a diverse velocità relative rispetto alla Terra – per esempio a 0,80 e 150 chilometri all’ora –, in tutte queste differenti situazioni la pallina si comporterebbe sempre allo stesso modo. Il mondo funziona così, e la matematica delle leggi di Newton riflette questa realtà: non c’è alcun modo per dire se a muoversi sia il treno oppure la Terra. Il concetto di moto ha quindi senso solo in riferimento ad altri oggetti.
Ma è davvero importante sapere se ha ragione Aristotele oppure Newton? Si tratta semplicemente di una differenza di vedute – una questione filosofica – oppure è un problema di rilevanza scientifica? In realtà, l’assenza di un sistema di riferimento assoluto con cui determinare lo stato di quiete ha profonde implicazioni nel campo della fisica: significa infatti che non è possibile stabilire se due eventi che sono avvenuti in momenti diversi hanno avuto luogo nella medesima posizione spaziale.
Per rappresentarci questo concetto, immaginiamo che su un treno ci sia una persona che faccia rimbalzare una pallina da ping-pong colpendo due volte, a distanza di un secondo, lo stesso punto del tavolo. Per questa persona, i punti del primo e del secondo impatto avranno una distanza spaziale pari a zero. Per un osservatore esterno posto di fianco al binario, invece, questi due punti sembreranno trovarsi a quaranta metri di distanza l’uno dall’altro, poiché fra i due rimbalzi il treno avrà percorso questa distanza muovendosi lungo le rotaie. Stando a Newton, i due osservatori hanno pari diritto di considerarsi in uno stato di quiete, e quindi i loro punti di vista risultano ugualmente accettabili. Aristotele aveva torto a ritenere che uno dei due si trovasse in una situazione privilegiata rispetto all’altro. Le posizioni osservate e la distanza fra di esse saranno diverse per una persona che si trovi sul treno e per un osservatore posto accanto al binario, e non c’è alcuna ragione per preferire le osservazioni di uno rispetto a quelle dell’altro.

Figura 5. Relatività della distanza
La distanza percorsa da un oggetto in movimento e il tragitto da esso compiuto possono sembrare diversi se osservati da differenti punti di vista.
La mancanza di una posizione assoluta (o di uno spazio assoluto, come venne chiamato) preoccupava molto Newton, poiché essa non si conciliava con la sua idea di un Dio assoluto. Di fatto, egli si rifiutò di accettare tale assenza di uno spazio assoluto, anche se erano le sue stesse leggi a implicarla. Newton venne aspramente criticato per questa sua convinzione irrazionale da molte persone e, in particolare, dal vescovo Berkeley, un filosofo il quale riteneva che tutti gli oggetti materiali, lo spazio e il tempo fossero un’illusione. Quando a un altro celebre filosofo, il dottor Johnson, venne riferita l’opinione di Berkeley, esclamò: «Io la confuto così!» e colpì con un calcio una grossa pietra.
Tanto Aristotele quanto Newton credevano nell’esistenza di un tempo assoluto. Essi, cioè, ritenevano che fosse possibile misurare inequivocabilmente l’intervallo di tempo tra due eventi, e che questo intervallo sarebbe stato lo stesso per chiunque lo avesse misurato (purché si fosse usato un buon orologio). A differenza dello spazio assoluto, il tempo assoluto era compatibile con le leggi di Newton, e ancora oggi la maggior parte delle persone riterrebbe che questa è la concezione sensata della realtà. Tuttavia, nel corso del XX secolo i fisici hanno compreso che avrebbero dovuto cambiare le loro idee sia sullo spazio sia sul tempo. Come vedremo, essi hanno scoperto che l’intervallo di tempo tra due eventi, così come la distanza tra i punti di rimbalzo della pallina da ping-pong, dipende dall’osservatore. Hanno inoltre scoperto che il tempo non è completamente separato e indipendente dallo spazio. La chiave che ha aperto la strada a queste scoperte è stata la nuova comprensione delle proprietà della luce. Tali proprietà potrebbero sembrare in contrasto con la nostra esperienza; ma anche se le nozioni del nostro cosiddetto senso comune funzionano bene quando ci occupiamo di cose che si muovono con relativa lentezza, come le mele o i pianeti, esse si dimostrano del tutto inadeguate quando abbiamo a che fare con oggetti che si muovono a velocità prossime o uguali a quella della luce.