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La natura di una teoria scientifica

Per poter parlare della natura dell’universo e discutere di problemi come se esso abbia avuto un inizio o se avrà una fine, occorre avere ben chiaro che cosa sia una teoria scientifica. Adotteremo qui la concezione più semplice, secondo la quale una teoria è soltanto un modello dell’universo (o di una sua parte limitata) e un insieme di regole che mettono in relazione i valori quantitativi che compaiono nel modello con le osservazioni che facciamo nella realtà. Questo modello sussiste solo nella nostra mente e non ha alcun’altra realtà (qualunque cosa si possa intendere con questo termine). Una teoria, per essere una buona teoria scientifica, deve soddisfare due requisiti: deve descrivere accuratamente un ampio insieme di osservazioni empiriche sulla base di un modello che contenga solo pochi elementi arbitrari, e deve formulare predizioni ben definite sui risultati di future osservazioni. Per esempio, Aristotele credeva alla teoria di Empedocle secondo la quale ogni cosa era composta da quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua. Si trattava di un modello sufficientemente semplice, ma non faceva alcuna predizione ben definita. D’altro canto, la teoria della gravitazione di Newton si fondava su un modello ancora più elementare, nel quale i corpi si attraevano a vicenda con una forza direttamente proporzionale a una quantità indicata come la loro massa e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Eppure, nonostante la sua estrema semplicità, questa teoria predice con un alto grado di precisione i moti del Sole, della Luna e dei pianeti.

Qualsiasi teoria fisica è sempre provvisoria, nel senso che è soltanto un’ipotesi: in altri termini, non può mai essere dimostrata. Per quante volte i risultati sperimentali siano stati in accordo con una teoria, non possiamo mai essere sicuri di non ottenere, la volta successiva, un risultato che la contraddica. D’altra parte, si può confutare una teoria trovando anche una sola osservazione empirica che sia in disaccordo con le sue predizioni. Come ha sottolineato il filosofo della scienza Karl Popper, una buona teoria è quella che produce un alto numero di predizioni suscettibili, in linea di principio, di essere confutate (o falsificate) dall’osservazione. Ogni volta che nuovi esperimenti forniscono risultati in accordo con le predizioni, la teoria sopravvive e la nostra fiducia in essa aumenta; ma se troviamo anche solo una nuova osservazione in disaccordo con le previsioni, dobbiamo abbandonare o modificare la teoria.

O, perlomeno, ciò è quanto dovrebbe accadere: di fatto, però, si può sempre mettere in questione la competenza della persona che ha compiuto le osservazioni.

In pratica, spesso accade che una nuova teoria sia in realtà solo un’estensione della teoria precedente. Per esempio, osservazioni estremamente precise del pianeta Mercurio rivelarono una piccola discrepanza tra il suo moto effettivo e le predizioni della teoria della gravitazione di Newton. La teoria della relatività generale di Einstein prediceva un moto leggermente diverso da quello previsto in base alla teoria newtoniana. Il fatto che le predizioni einsteiniane fossero in pieno accordo con le osservazioni, mentre quelle di Newton no, costituì una delle conferme più importanti della nuova teoria. Tuttavia, noi oggi continuiamo a usare per tutti i fini pratici la teoria di Newton, poiché, nelle situazioni con le quali abbiamo normalmente a che fare, la differenza tra le sue predizioni e quelle della relatività generale è estremamente ridotta. (Inoltre, la teoria di Newton ha il grande vantaggio di richiedere calcoli molto meno complessi di quella di Einstein!)

Il fine ultimo della scienza è quello di fornire una singola teoria che sia in grado di descrivere l’intero universo. Di fatto, però, la maggior parte degli scienziati scelgono di procedere dividendo il problema in due parti. Da un lato ci sono le leggi che descrivono in che modo l’universo cambi con lo scorrere del tempo (in altri termini, se sappiamo qual è la situazione dell’universo in un determinato momento, queste leggi fisiche ci dicono quale sarà la sua situazione in un qualunque istante successivo); dall’altro, il problema dello stato iniziale dell’universo. Alcuni pensano che la scienza dovrebbe occuparsi soltanto della prima parte: ritengono, cioè, che il problema dello stato iniziale sia un argomento da lasciare alla metafisica o alla religione. Secondo queste persone, Dio, essendo onnipotente, avrebbe potuto stabilire a suo piacimento una qualunque condizione di inizio dell’universo. Ciò potrebbe anche essere vero, ma, da questo stesso punto di vista, potremmo allora ugualmente affermare che – in forza di questa onnipotenza – avrebbe potuto farlo sviluppare in un modo completamente arbitrario. Pare invece che egli abbia scelto di farlo evolvere in un modo molto regolare, secondo determinate leggi. Sembra quindi altrettanto ragionevole supporre che anche le condizioni iniziali siano state governate da leggi ben precise.

Risulta molto difficile trovare una teoria in grado di descrivere l’intero funzionamento dell’universo. Pertanto, di solito scomponiamo il problema in varie parti e inventiamo diverse teorie parziali. Ognuna di queste teorie parziali descrive e predice una certa classe limitata di osservazioni, trascurando gli effetti di altre quantità o rappresentandole per mezzo di semplici insiemi di numeri. Può darsi che questo approccio sia completamente sbagliato. Se ogni cosa presente nell’universo dipende in modo fondamentale da ogni altra cosa, potrebbe essere impossibile approssimarsi a una soluzione completa investigando isolatamente le diverse parti del problema. Ciononostante, è proprio seguendo tale via che, fino a ora, abbiamo fatto i nostri progressi. Anche in questo caso, l’esempio classico è costituito dalla teoria newtoniana della gravità, che ci dice che la forza gravitazionale esercitata fra due corpi dipende soltanto da un numero associato a ciascun corpo, quello che indica la sua massa, mentre è per il resto indipendente dalla composizione dei corpi stessi. Di conseguenza, non è necessario avere una teoria della struttura e della costituzione del Sole e dei pianeti per poter calcolare le loro orbite.

Oggi gli scienziati descrivono l’universo nei termini di due teorie fondamentali, ciascuna delle quali ha però un ambito di applicazione soltanto parziale: la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica. Queste due teorie sono le grandi conquiste intellettuali della prima metà del XX secolo. La teoria della relatività generale descrive la forza di gravità e la struttura dell’universo su larga scala, vale a dire, in ordini di grandezza che vanno da pochi chilometri a milioni di milioni di milioni di milioni ( 1 seguito da 24 zeri) di chilometri, le dimensioni dell’universo osservabile. La meccanica quantistica, d’altro lato, si occupa dei fenomeni che accadono su scala estremamente ridotta, come un milionesimo di milionesimo di centimetro. Sfortunatamente, però, sappiamo che queste due teorie sono in contraddizione tra loro e non possono quindi essere entrambe corrette. Uno dei più grandi sforzi della fisica odierna (che è anche l’argomento principale di questo libro) è quello della ricerca di una nuova teoria che le includa entrambe: una teoria quantistica della gravità. Noi non possediamo ancora una tale teoria, e può darsi che debba passare ancora molto tempo prima che venga scoperta, ma conosciamo già parecchie delle proprietà che essa dovrebbe avere. E, come vedremo nei capitoli successivi, sappiamo già molto sulle predizioni che una teoria quantistica della gravità dovrebbe fare.

Figura 3. Dagli atomi alle galassie Nella prima metà del XX secolo i fisici hanno esteso l’ambito delle loro teorie dalla realtà di ogni giorno, di cui parlava Isaac Newton, fino ad abbracciare l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande.

Figura 3. Dagli atomi alle galassie

Nella prima metà del XX secolo i fisici hanno esteso l’ambito delle loro teorie dalla realtà di ogni giorno, di cui parlava Isaac Newton, fino ad abbracciare l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande.

Ora, se crediamo che l’universo non sia arbitrario ma sia invece governato da leggi ben definite, dovremo infine combinare le teorie parziali in una teoria unificata completa che sia in grado di descrivere ogni cosa presente nell’universo. Tuttavia, nella ricerca di una simile teoria unificata c’è un fondamentale paradosso. Le idee sulle teorie scientifiche che abbiamo appena delineato presuppongono che noi siamo esseri razionali liberi di osservare l’universo come vogliamo e di trarre deduzioni logiche da ciò che vediamo. In quest’ottica, è ragionevole supporre che potremmo continuare a progredire approssimandoci sempre più alle leggi che governano il nostro universo. Ma, qualora ci fosse veramente una teoria unificata completa, essa dovrebbe presumibilmente determinare anche le nostre azioni. In tal modo, sarebbe la teoria stessa a determinare l’esito della sua ricerca da parte nostra! E per quale motivo essa dovrebbe stabilire che, a partire dalle evidenze empiriche, dovremmo giungere alle conclusioni corrette? Non potrebbe forse, altrettanto plausibilmente, stabilire che dovremmo invece trarne le conclusioni sbagliate? O magari nessuna conclusione?

L’unica risposta che possiamo dare a questo problema si basa sul principio darwiniano della selezione naturale. L’idea è che, in ogni popolazione di organismi che si autoriproducono, ci saranno delle variazioni nel materiale genetico e nell’educazione ricevuta dai diversi individui. Tali differenze implicano che alcuni soggetti saranno più in grado di altri di dedurre le conclusioni appropriate sul mondo che li circonda e di agire di conseguenza. Questi individui avranno maggiori probabilità di sopravvivere e di riprodursi, così che il loro modello di comportamento e di pensiero diventerà quello dominante. Almeno per quanto riguarda il passato, è certamente vero che l’intelligenza e la scoperta scientifica hanno fornito un vantaggio ai fini della sopravvivenza. Non è altrettanto chiaro se anche oggi le cose stiano ancora così: le nostre scoperte scientifiche, infatti, potrebbero benissimo distruggere l’intero genere umano e, quand’anche così non fosse, una teoria unificata completa potrebbe non fare molta differenza per quanto riguarda le nostre possibilità di sopravvivere. Comunque, ammesso che l’universo si sia evoluto in modo regolare, potremmo attenderci che quelle capacità di ragionamento che la selezione naturale ci ha dato conservino la loro validità anche nella nostra ricerca di una teoria unificata completa, e non ci conducano quindi alle conclusioni sbagliate.

Dato che le teorie parziali di cui già disponiamo sono sufficienti a formulare accurate predizioni in quasi ogni situazione (tolte solo le più estreme), la ricerca della teoria ultima dell’universo sembra difficile da giustificare sul piano pratico. (Vale però la pena di notare che sarebbe stato possibile avanzare argomentazioni simili anche a proposito della teoria della relatività e della meccanica quantistica: eppure, queste teorie ci hanno poi dato l’energia nucleare e la rivoluzione della microelettronica.) La scoperta di una teoria unificata completa, quindi, potrebbe anche non portare alcun contributo ai fini della sopravvivenza della nostra specie. Essa potrebbe anche non avere alcun impatto sul nostro stile di vita. Tuttavia, fin dall’alba della civiltà gli uomini non si sono mai accontentati di vedere gli eventi come sconnessi l’uno dall’altro e inesplicabili, ma si sono sempre sforzati di comprendere l’ordine che sta dietro i fenomeni del mondo. Oggi noi desideriamo ancora sapere perché siamo qui e da dove veniamo. Il profondissimo desiderio di conoscenza che caratterizza gli uomini basta a giustificare il procedere della nostra ricerca. E il nostro obiettivo non è niente di meno che una descrizione completa dell’universo in cui viviamo.