69

Giunse l’alba, illuminò di luce dorata le nebbie basse che si annidavano tra le pianure dei territori umani.

Hybern aveva raso al suolo ogni cosa nella Corte di Primavera, lungo le poche miglia che la separavano dal mare.

Incluso il villaggio.

Non era rimasto nulla a parte ceneri fumanti e macerie.

E la proprietà di mio padre… Un terzo della casa era rimasta in piedi, il resto era crollato. Le finestre distrutte, le pareti crepate fino alle fondamenta.

Il giardino di Elain era stato calpestato, ridotto a poco più di una fossa fangosa. L’orgogliosa quercia all’estremità della proprietà, alla cui ombra Nesta amava fermarsi ad ammirare la nostra terra, era stata bruciata e ridotta a uno scheletro.

Si era trattato di un attacco personale. Ne ero certa. Tutti lo eravamo. Il re aveva ordinato di uccidere il bestiame. La notte prima avevo portato via cani e cavalli, insieme ad alcuni domestici e alle loro famiglie. Ma ogni ricchezza e bene personale era stato saccheggiato o distrutto.

Il fatto che Hybern non si fosse soffermato a demolire il resto della casa, mi disse Cassian, suggeriva che il re temeva di essere raggiunto. Avrebbe mantenuto il suo vantaggio, scelto il campo di battaglia. Non avevamo dubbi sul fatto che, trovando i villaggi evacuati lungo il tragitto, si sarebbe ulteriormente infuriato. E c’erano abbastanza città e villaggi che non avevamo raggiunto in tempo, così ci sbrigammo.

Una prodezza più facile in teoria che in pratica, con un esercito delle nostre dimensioni, costituito da soldati esperti ma diversi e con tanti leader che impartivano ordini.

Gli Illyrian erano irascibili, ribelli persino sotto il comando ferreo di Devlon. Erano infastiditi di dover aspettare gli altri, di non poter semplicemente volare e intercettare Hybern, fermarlo prima che scegliesse il campo di battaglia.

Osservai Cassian rimpiazzare due capitani differenti in tre ore, trasferire i soldati che brontolavano verso carri pieni di rifornimenti, senza concedergli l’onore di combattere in prima linea. Non appena gli altri constatarono che le sue non erano solo minacce, ma che faceva sul serio, smisero di lamentarsi.

Keir e i suoi Oscuranti osservarono Cassian, e furono saggi abbastanza da non dare voce al loro scontento, alle espressioni sui loro volti. Invece continuarono a marciare, l’armatura nera che s’intrideva di fango a ogni miglio percorso.

Durante la breve pausa di mezzogiorno in un grande prato, io e Nesta salimmo su uno dei carri coperti per indossare la tenuta da combattimento Illyrian. Quando uscimmo, Nesta si sistemò anche un pugnale sul fianco. Cassian aveva insistito, ma aveva ammesso che non essendo addestrata era probabile che si facesse male da sola invece che procurarne agli altri.

Elain ci aveva lanciato un’occhiata tra i fili d’erba oscillanti del prato, le gambe e altre qualità fisiche in mostra, il volto cremisi. Viviane si avvicinò offrendole degli abiti tipici della Corte d’Inverno, molto meno scandalosi: pantaloni di pelle, ma abbinati a una sopravveste lunga fino alla coscia, la pelliccia bianca attorno al colletto. Con il caldo sarebbero stati troppo pesanti, ma Elain le fu grata abbastanza da non lamentarsi quando riemergemmo dal carro coperto e trovammo i nostri compagni ad attenderci. In ogni caso, rifiutò il coltello che le porse Cassian.

Diventò bianca come la morte alla sua sola vista.

Azriel, ancora zoppicante, diede dei colpetti a Cassian e propose un’altra opzione.

«Questo è lo StrappaVerità» le spiegò a bassa voce. «Non lo userò oggi, quindi voglio che lo faccia tu.»

Le sue ali erano guarite nonostante fossero segnate da cicatrici lunghe e sottili. Non era ancora forte abbastanza, Madja lo aveva avvisato di non volare quel giorno.

La discussione con Rhys la mattina era stata rapida e brutale: Azriel aveva insistito di poter volare, combattere con le legioni, come stabilito dai piani. Rhys aveva rifiutato. E anche Cassian; perciò Azriel aveva minacciato di scomparire nell’ombra e combattere lo stesso. Rhys aveva ribattuto che se soltanto ci avesse provato lo avrebbe incatenato a un albero.

E Azriel aveva ceduto solo quando Mor era entrata nella tenda e lo aveva implorato con le lacrime agli occhi. Al che lui aveva accettato di essere gli occhi e le orecchie di Rhys, nient’altro.

E ora, tra i sospiri dei fili d’erba, nella sua armatura Illyrian, tutti e sette i Sifoni che brillavano…

Elain sgranò gli occhi davanti al coltello con l’elsa in ossidiana nella mano colma di cicatrici di Azriel. Davanti alle rune sul fodero nero.

«Non mi ha mai tradito» spiegò il cantaombre, il sole di mezzogiorno divorato dalla lama scura. «Alcuni sostengono che sia magico e che colpirà solo e sempre giustamente.» Le prese la mano con delicatezza, premendo su di essa l’elsa di quel leggendario pugnale. «Ti servirà nel migliore dei modi.»

«Io… non so usarlo…»

«Mi assicurerò che tu non debba farlo» intervenni, l’erba che scricchiolava sotto i miei piedi mentre mi avvicinavo.

Elain soppesò le mie parole… e chiuse lentamente le dita attorno al pugnale.

Cassian guardò Azriel a bocca aperta e io mi domandai quante volte il cantaombre avesse prestato la sua arma…

“Mai” mi rispose Rhys da un punto sul fianco del carro, dove aveva appena terminato di sistemarsi le armi addosso. “Non ho mai visto Azriel permettere a un’altra persona di toccare quel coltello.”

Elain guardò Azriel, i loro occhi che si incontrarono, la mano ancora sull’elsa della spada.

Vidi il quadro nella mia mente: il delizioso colore fulvo, la vivace primavera in sboccio alle sue spalle. Ferma davanti alla morte, le ombre e il terrore appostati sopra la sua spalla. Luce e oscurità, lo spazio tra i loro corpi che era un misto di entrambi. L’unico ponte che li univa era… quel pugnale.

“Dipingi questa scena quando torniamo a casa.”

“Ficcanaso.”

Guardai oltre la spalla, verso Rhys che si avvicinò al nostro piccolo cerchio nell’erba. Il suo viso restò più smunto del solito, le rughe di stanchezza attorno alla bocca. Al che capii che non avrei avuto modo di passare quell’ultima notte con lui. E che quella di ieri era stata la notte finale. L’avevamo trascorsa a trasmutare…

“Non pensarla così. Non scendere in battaglia credendo di non uscirne viva.” Il suo sguardo era penetrante. Inflessibile.

Cominciai a respirare con difficoltà. “Questa è l’ultima occasione che abbiamo di… parlare.”

Perché al termine del tragitto eravamo sul punto di scendere sul… ci avrebbe portati direttamente sul campo di battaglia.

Rhysand sollevò un sopracciglio. “Ti andrebbe di entrare dentro a quel carro per qualche minuto? È colmo di armi e rifornimenti, ma potrei farcela.”

L’umorismo significava molto per me, tanto quanto per lui. Gli presi la mano, rendendomi conto che gli altri parlavano in tono basso. Mor girovagava con la sua armatura nera. Amren… indossava la tenuta da combattimento. Era così piccola… pareva disegnata per una bambina.

“Non dirglielo, ma è così.”

Accennai un sorriso. Ma Rhys ci fissò tutti, eravamo riuniti in quel prato, illuminati dal sole, senza che ce lo avesse ordinato. La nostra famiglia… la nostra corte. La Corte dei Sogni.

Fecero tutti silenzio.

Rhys guardò ognuno di loro negli occhi, persino le mie sorelle, la sua mano che accarezzava la mia.

«Volete il discorso motivazionale o quello cupo?» domandò.

«Vogliamo quello vero» rispose Amren.

Rhys raddrizzò le spalle, ripiegando elegantemente le ali sulla schiena. «Credo che tutto accada per una ragione. Stabilita dalla Madre o dal Calderone, o da qualche sorta di disegno del Destino, questo non lo so. E non mi importa. Ma sono grato, qualunque cosa sia. Grato che vi abbia portato nella mia vita. Se non fosse così… magari sarei diventato orribile come quel coglione contro cui combatteremo oggi. Se non avessi conosciuto un guerriero Illyrian che si stava addestrando» disse a Cassian «non avrei mai compreso la vera profondità della forza, dell’onore e della devozione.»

Gli occhi di Cassian brillarono. Rhys si rivolse ad Azriel: «Se non avessi conosciuto un cantaombre, non avrei imparato che ciò che conta è la famiglia che ti costruisci, non quella in cui sei nato. Non avrei capito cosa significa sperare veramente, anche se il mondo ti convince a non farlo». Azriel inchinò la testa in segno di gratitudine.

Mor piangeva già quando Rhys le parlò. «Se non avessi conosciuto mia cugina, non avrei mai imparato che la luce può essere trovata anche nell’oscurità degli inferi. Che la gentilezza può prosperare anche nella crudeltà.»

Si asciugò le lacrime mentre annuiva.

Mi aspettai che Amren rispondesse in tono piccato. Invece restò in attesa.

Rhys le fece un inchino con il capo. «Se non avessi conosciuto un piccolo mostro che sorveglia i suoi gioielli più ferocemente di un drago sputafuoco…» si diffuse una pacata risata a quella battuta. Rhys sorrise lievemente «… i miei poteri mi avrebbero consumato molto tempo fa.»

Mi strinse la mano, rivolgendosi finalmente a me. «E se non avessi incontrato la mia compagna…» Gli mancarono le parole mentre l’argento gli contornava gli occhi.

Attraverso il legame disse: “Ti avrei aspettata altri cinquecento anni. Mille anni. E se questo è il solo tempo che abbiamo a disposizione… è valsa la pena aspettare”.

Mi asciugò le lacrime che mi scorrevano lungo le guance. «Credo che tutto sia successo esattamente come doveva… così che io potessi trovarti.» Mi baciò per toglierne un’altra.

Infine si rivolse alle mie sorelle: «Non ci conosciamo da molto. Ma credo che siate approdate qui, nella nostra famiglia, per una ragione. E forse oggi scopriremo qual è».

Studiò di nuovo tutti e allungò una mano verso Cassian. Cassian la prese e offrì l’altra a Mor. Poi Mor l’allungò verso Azriel. E Azriel verso Amren. Amren verso Nesta. Nesta verso Elain. Ed Elain verso me. Finché non fummo tutti uniti insieme.

Rhys aggiunse: «Marceremo verso quel campo e accetteremo la morte quando verrà a portarci nell’Altromondo. Combatteremo per la vita, per la sopravvivenza, per il nostro futuro. Ma se il Destino o il Calderone o la Madre decideranno di non farci tornare vivi da quel campo oggi…» sollevò il mento «… avrò avuto la grande gioia e l’onore di avervi conosciuti. Di chiamarvi la mia famiglia. E sono grato, più di quanto riesca a dire, di questo tempo che mi è stato dato con voi».

«Noi ne siamo grati, Rhysand» sottolineò Amren a bassa voce. «Più di quanto immagini.»

Rhys le rivolse un lieve sorriso mentre gli altri mormoravano il loro consenso. Mi strinse di nuovo la mano e osservò: «Allora andiamo a far rimpiangere a Hybern di averci conosciuti».

Riuscii a sentire l’odore del mare molto prima di vedere il campo di battaglia. Hybern aveva scelto bene.

Una vasta pianura erbosa si estendeva fino alla spiaggia. Il suo esercito si trovava a un miglio nell’entroterra.

Una massa oscura che si diffondeva verso l’orizzonte orientale. Colline rocciose si ergevano in fondo… una parte dell’esercito stazionava lassù. In effetti anche la pianura sembrava scendere verso est.

Mi soffermai al fianco di Rhysand sopra una collinetta ampia che dava sulla distesa; poco distanti, alle mie spalle, c’erano le mie sorelle, Azriel e Amren. Tra le prime file in lontananza, davanti a noi, Helion, splendente nella sua armatura dorata e in un fluttuante mantello rosso, diede ordine di fermarsi. Gli eserciti obbedirono, posizionandosi come avevano programmato.

L’armata che dovevamo affrontare… ci stava aspettando. Pronta.

Era così vasta. Sapevo, anche senza contare, che ci sopraffaceva di gran lunga numericamente.

Cassian atterrò dal cielo, il volto di pietra, tutti i Sifoni che brillavano mentre attraversava la collinetta dalla cima piatta in pochi passi. «Quel coglione si è preso ogni millimetro di vantaggio che ha potuto. Se vogliamo costringerli a ritirarsi, dovremo inseguirli su fino a quelle colline. Cosa che sicuramente lui ha già previsto. Con tutta probabilità è pronto a qualunque sorpresa.» In lontananza i segugi-Naga cominciarono a ringhiare e a ululare. Per la rabbia.

Rhys si limitò a chiedergli: «Quanto tempo credi che abbiamo?».

Cassian serrò la mascella, lanciando un’occhiata alle mie sorelle. Nesta lo stava guardando con intensità; Elain controllò l’esercito dalla nostra piccola collina, il volto pallido per la paura. «Abbiamo cinque Signori Supremi, e lui invece è solo. Potreste proteggerci con i vostri scudi per un po’. Ma non sarebbe nel nostro interesse esaurire i vostri poteri in questo modo. Avrà anche lui delle protezioni simili… e il Calderone. È stato attento a non mostrarci la vera entità del suo potere. In ogni caso, sono certo che sta per farlo.»

«Probabilmente userà degli incantesimi» precisai, ricordando che aveva addestrato Amarantha.

«Assicuratevi di avvertire Helion» commentò Azriel, zoppicando al fianco di Rhys. «E anche Thesan.»

«Non hai risposto alla mia domanda» fece Rhys a Cassian.

Cassian scrutò l’esercito infinito di Hybern, poi il nostro. «Supponiamo che vada male. Scudi distrutti, disordini, lui che usa il Calderone… solo qualche ora a disposizione.»

Chiusi gli occhi. In quel frangente avrei dovuto attraversare il campo di battaglia, trovare il luogo in cui teneva il Calderone e fermarlo.

«Le mie ombre stanno dando la caccia al Calderone» mi disse Azriel, leggendomi in volto mentre aprivo gli occhi. A quelle parole serrò la mascella. Avrebbe dovuto cercarlo lui stesso. Aprì e mosse le ali, come per testarle. «Ma le protezioni sono forti… senza dubbio rinforzate dal re dopo che le avete attraversate entrando nel suo accampamento. Potreste dover procedere a piedi. Aspettate un momento di confusione.»

Cassian abbassò la testa e si rivolse ad Amren: «Tu saprai quando».

Lei annuì decisa, incrociando le braccia. Mi chiesi se avesse detto addio a Varian.

Cassian diede una pacca sulla spalla a Rhys. «Al tuo comando, guiderò gli Illyrian in cielo. Dopo, avanzeremo al tuo segnale.»

Rhys annuì a distanza, l’attenzione ancora fissa su quell’esercito incontenibile.

Cassian si allontanò ma guardò di nuovo Nesta. Il suo viso era duro come granito. Fece per parlare, ma sembrò decidere di tacere. Mia sorella non disse nulla mentre Cassian sfrecciava in cielo con una spinta potente delle ali. Eppure controllò ogni suo movimento finché lui non diventò poco più di una macchiolina scura.

«Posso combattere a piedi» fece Azriel a Rhys.

«No» ribatté Rhys con un tono che non ammetteva repliche.

Azriel sembrò quasi sul punto di rimbeccare, ma Amren scosse la testa in segno di avvertimento e si ritirò, le ombre che si attorcigliavano attorno alle sue dita.

Osservammo il nostro esercito sistemarsi in silenzio in file ordinate e compatte. Guardammo gli Illyrian sollevarsi in cielo a qualunque comando Rhys mandasse a Cassian, formando delle file. I Sifoni scintillarono di colore e gli scudi si sollevarono, sia quelli magici sia quelli di metallo. La terra stessa tremò a ogni passo verso la linea di demarcazione.

Rhys mi disse nella mente: “Se Hybern ha una qualche influenza sui miei poteri percepirà che sto attraversando il campo di battaglia”.

Sapevo cosa implicava. “C’è bisogno di te, qui. Se scompariamo entrambi, lo capirà.”

Una pausa. “Hai paura?”

“E tu?”

I suoi occhi viola incontrarono i miei. Adesso vi brillavano così poche stelle. «Sì» sussurrò. “Non per me. Ma per tutti voi.”

Tarquin abbaiò un ordine a lunga distanza e il nostro esercito unito si fermò, come delle enormi bestie che si bloccavano. Estate, Inverno, Giorno, Alba e Notte… ogni forza delle varie corti, distinta chiaramente dai diversi colori e armature. Si aggiunsero le creature fatate che combattevano al fianco dei Signori Supremi, eteree e letali. Una legione di Peregryn di Thesan si avvicinò tra le schiere degli Illyrian, l’armatura dorata che brillava in contrasto con il nero intenso della nostra.

Nessuna traccia né di Beron né di Eris… nessun minimo segnale di aiuto da parte della Corte d’Autunno. Né di Tamlin.

Ma l’esercito di Hybern non avanzò. Potevano essere statue. La loro immobilità, ne ero certo, era studiata per farci innervosire.

«La magia prima di tutto» spiegò Amren a Nesta. «Entrambe le parti proveranno a distruggere gli scudi che proteggono gli eserciti.»

E Hybern tentò subito di farlo, come se avesse sentito. La mia magia si agitò in risposta ai Signori Supremi che cominciarono a scatenare i loro poteri… tutti tranne Rhysand.

Risparmiava il suo dono in attesa che venissero distrutti gli scudi. Non avevo dubbi che Hybern stesse facendo la stessa cosa in quella pianura.

Gli scudi vacillarono da entrambe le parti. Alcuni morirono. Non molto, ma un po’. Magia contro magia, la terra che tremava, l’erba tra gli eserciti che avvizziva, diventando cenere.

«Avevo dimenticato quanto fosse noiosa questa parte» borbottò Amren.

Rhys le scoccò un’occhiataccia. Ma rimase sul bordo della collina, come se avvertisse che stava per terminare la situazione di stallo. Nel momento in cui il loro scudo avesse ceduto, avrebbe sferrato un colpo potente e devastante all’esercito. Una vera e propria ondata di potere della notte. Serrò le dita a pugno lungo i fianchi.

Alla mia sinistra, i Sifoni di Azriel brillarono… preparandosi a scatenare dei colpi di risposta a quelli di Rhysand. Magari non era in grado di combattere, ma avrebbe gestito il suo potere da lì.

Mi avvicinai al suo fianco. Davanti a noi entrambi gli scudi stavano barcollando.

«Non ti ho mai preso un regalo di nozze» osservai.

Rhys teneva d’occhio lo svolgimento della battaglia. Il suo potere ruggì sotto di noi, sollevandosi dal cuore tenebroso del mondo.

Presto. Era questione di istanti. Il cuore mi batteva forte, il sudore mi imperlava la fronte… non solo per il calore estivo che picchiava sul campo di battaglia.

«Ci ho pensato e ripensato» continuai «a cosa comprarti.»

Rhys si voltò puntando lentamente gli occhi nei miei. Dentro c’erano solo le tenebre del suo potere, che oscuravano le stelle.

Gli sorrisi, sguazzando in quel potere, e gli mandai un’immagine nella mente.

Della mia schiena, lungo la quale erano tatuate, dalla base fino alla nuca, le quattro fasi della luna. E una piccola stella in mezzo.

«Ma lo ammetterò» dissi mentre sgranava gli occhi, «questo dono del legame probabilmente è per entrambi.»

Lo scudo di Hybern crollò. La mia magia si scatenò spaccando il mondo. Rivelando l’incantesimo che avevo preparato ore prima.

Davanti alla nostra prima fila… comparve una nuvola di oscurità, contorcendosi e girando su se stessa.

«Madre benedetta!» sussurrò Azriel, nell’istante in cui accanto a quella spirale di fumo ebano comparve una figura maschile.

Entrambi gli eserciti parvero fermarsi per lo stupore.

«Hai recuperato l’Ouroboros» mormorò Rhys.

Davanti all’esercito di Hybern c’erano l’Intagliaossa e quel nido vivo di ombre che era Bryaxis, il primo da me racchiuso e liberato in un corpo da Fae, proprio la sera prima. Entrambi pronti a obbedire per via di quel semplice accordo tatuato sulla mia schiena. «Sì.»

Mi squadrò dalla testa ai piedi, il vento che gli muoveva i capelli nero blu mentre mi domandava a voce basa: «Cos’hai visto?».

Il re di Hybern era in piena agitazione, soppesava inquieto cosa o chi si trovava di fronte. L’Intagliaossa aveva assunto le sembianze di un soldato Illyrian all’apice della forma. Bryaxis restò nelle tenebre che gli vorticavano attorno, una sorta di arazzo vivente per mostrare gli incubi delle sue vittime.

«Me stessa» risposi alla fine. «Ho visto me stessa.»

La mia reazione era l’unico segreto che non gli avrei mai rivelato, probabilmente. Né a lui né a nessun altro. Mi ero fatta piccola, mi ero arrabbiata e avevo pianto. Vomitato e urlato e graffiato lo specchio. Sbattuto i pugni contro di lui. Poi mi ero rannicchiata e avevo tremato davanti a ogni cosa orribile e crudele ed egoista che avevo osservato dentro quel mostro… dentro di me. Ma avevo continuato a osservare. Senza mai distogliere lo sguardo.

E quando smisi di tremare, le studiai. Tutte quelle cose orribili. L’orgoglio e l’ipocrisia e la vergogna. La rabbia e la vigliaccheria e il dolore.

Poi cominciai a vedere altre cose. Più importanti… vitali.

«E ciò che ho rimirato» gli dissi in tono calmo mentre l’Intagliaossa sollevava una mano: «Credo… che mi sia piaciuto. Ho perdonato tutto. Anche me stessa». Solo in quel momento mi resi conto di ciò che voleva dire il Suriel. Solo io potevo permettere al male di distruggermi. Solo io potevo possederlo, accoglierlo. E quando lo avevo compreso… l’Ouroboros aveva ceduto.

Rhys sollevò un sopracciglio, aveva l’aria meravigliata e confusa. «Hai amato tutto… il bene e il male?»

Sorrisi un po’. «Specialmente il male.» Le due figure sembrarono prendere un respiro… Inspirarono forte tanto che la nuvola nera di Bryaxis si contrasse pronta a colpire. Inclinai la testa guardando il mio compagno. «A un vincolo duraturo e felice, Rhys.»

«A quanto pare mi hai battuto sul tempo.»

«In cosa?»

Mi fece l’occhiolino, poi indicò Bryaxis e l’Intagliaossa. Comparve un’altra figura.

L’Intagliaossa indietreggiò un po’. E dalla piccola figura sottile, i capelli fluttuanti e scuri, il viso di nuovo bello… capii chi era.

Stryga, la Tessitrice.

E sopra i capelli scuri… brillava una gemma azzurra.

La pietra di Ianthe. Un trofeo di sangue. E intanto la Tessitrice sorrideva al suo gemello, gli faceva l’inchino e osservava l’armata davanti a loro. L’Intagliaossa smise di arretrare, fissò sua sorella per un lungo istante, poi si girò di nuovo verso l’esercito.

«Non sei l’unica a proporre accordi, sai?» disse Rhys in tono strascicato e con un sorriso malizioso.

La Tessitrice. Rhys era riuscito a convincerla a unirsi a noi… «Come l’hai persuasa?»

Inclinò il collo, svelando un piccolo tatuaggio a spirale dietro l’orecchio. «Ho mandato Helion a trattare per mio conto, ecco perché era nella Terra nel Mezzo quel giorno in cui ti ha trovata. Abbiamo proposto alla Tessitrice di rompere l’incantesimo di contenimento lanciatole contro… in cambio dei suoi servizi, oggi.»

Guardai stupita il mio compagno. Poi sorrisi senza preoccuparmi di nascondere un compiacimento crudele. «Il re di Hybern non ha idea dell’inferno che gli sta per piombare addosso, vero?»

«Evviva le riunioni di famiglia!» fu tutto ciò che disse Rhys.

Poi la Tessitrice, l’Intagliaossa e Bryaxis si scatenarono contro Hybern.

La corte di ali e rovina
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