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La prima e la seconda uccisione furono le più difficili. Non sprecai forza fisica con i cinque soldati di Hybern – Fae Maggiori, non tirapiedi simili all’Attor –, piuttosto li spinsi verso una stanza sbarrata piena di servi terrorizzati.

No, anche se il mio corpo esitava ad ammazzare, la mia magia non lo fece.

I due soldati più vicini a me avevano scudi deboli. Gli lanciai contro un muro incandescente di fuoco, superandoli. Fuoco che poi gli entrò nella gola, bruciando il resto.

Per poi friggergli la pelle, i tendini e le ossa, staccandogli la testa dal corpo.

Mor fece fuori il soldato più vicino con una bella e classica decapitazione.

Si girò di scatto, la testa del soldato che stava ancora cadendo, e tagliò anche quella del guerriero che le si stava avvicinando.

Il quinto e ultimo nemico si fermò sulla porta danneggiata.

Ci fissò deciso, gli occhi illuminati di odio.

«Fatelo, dunque» disse, l’accento uguale a quello dei Corvi.

Sollevò la grossa spada, il sangue che scivolava lungo il solco della scanalatura.

Qualcuno, oltre la porta, stava singhiozzando di terrore.

Il soldato balzò verso di noi, e la spada di Mor scattò.

Ma io colpii per prima con il potere dell’acqua, come un aspide che si avventava sul suo viso, stordendolo. Gli scagliai un getto nella bocca aperta, lungo la gola, su per il naso. Togliendogli il respiro.

Si accasciò a terra, afferrandosi il collo come per liberare il passaggio all’acqua che ora lo stava sommergendo.

Lo abbandonammo lì, senza voltarci indietro; dopo qualche istante, i grugniti che emetteva soffocando si spensero in un silenzio.

Mor mi lanciò un’occhiata obliqua. «Ricordami di non farti mai arrabbiare.»

Apprezzai il tentativo di ironizzare, però… ridere era fuori questione. Sentivo solo il mio respiro ansimante e la magia che mi scorreva turbolenta nelle vene e la chiara consapevolezza granitica di ciò che avevo davanti a me.

Ne trovammo altri otto tra morti e feriti, un dormitorio che i soldati di Hybern avevano trasformato in un luogo di piacere per le proprie perversioni. Non mi premeva soffermarmi su ciò che avevano commesso, ne presi nota solo per sapere chi di loro dovevo uccidere velocemente. A quelli che avevano soltanto ammazzato riservai una morte rapida.

Agli altri… io e Mor indugiammo su di loro. Non molto, ma morirono più lentamente.

Ne lasciammo due vivi – feriti e disarmati ma vivi – in modo che venissero uccisi dai Fae minori sopravvissuti.

Che munii di due pugnali Illyrian.

I soldati di Hybern cominciarono a strillare prima che lasciassimo quel piano.

Lungo il corridoio, al livello sottostante, c’erano schizzi di sangue ovunque, e un frastuono assordante. Poco più di una decina di soldati con armature argento e blu della corte di Tarquin combattevano contro il vasto esercito di Hybern, difendendo il corridoio.

Stavano per essere respinti verso le scale quando arrivammo, erano sopraffatti numericamente dai soldati di Hybern che camminavano – anzi, calpestavano – sui corpi dei caduti della Corte d’Estate.

L’armata di Tarquin vacillava, anche se continuava a menare fendenti con le spade e a lottare. Il guerriero più vicino a noi ci guardò, fece per ordinarci di scappare. Ma poi notò la nostra armatura, il sangue che ci macchiava, e le nostre lame.

«Non avere paura» disse Mor mentre io protendevo una mano e calava l’oscurità.

I guerrieri da entrambe le parti urlarono, muovendosi in fretta tra il clangore delle armature.

Tuttavia mutai forma ai miei occhi, rendendoli in grado di vedere al buio. Come avevo fatto in quella foresta Illyrian quando avevo ucciso dei soldati di Hybern per la prima volta.

Mor, credo, era nata con il dono di vedere nell’oscurità.

Trasmutammo attraverso il corridoio buio con delle piccole esplosioni.

Riuscivo a vedere il terrore mentre li uccidevo. Ma loro non potevano vedere me.

Ogni volta che comparivamo davanti ai soldati di Hybern, che si agitavano forsennatamente nel buio impenetrabile, gli tagliavamo la testa. Uno dopo l’altro. Trasmuta, taglia, trasmuta, colpisci.

Finché non rimase nessuno, solo cumuli di corpi e pozze di sangue.

Rimossi l’oscurità in corridoio, e vidi i soldati della Corte d’Estate che ansimavano a bocca aperta, davanti a noi. Per ciò che avevo fatto nel giro di un minuto.

Non mi soffermai a lungo a osservare quel massacro. E neanche Mor.

«Dove andiamo ora?» domandai.

Uscimmo dall’edificio dopo aver liberato i piani inferiori. Poi ci dirigemmo verso le strade della città, la collina ripida che conduceva giù, verso il mare assediato dalle truppe di Hybern.

Il sole del mattino era alto, picchiava su di noi, rendendoci la pelle scivolosa e gonfia per via del sudore sotto la tenuta da combattimento. Smisi di distinguere il sudore sui miei palmi dal sangue che lo ricopriva.

Smisi di essere in grado di sentire moltissime cose mentre continuavamo a uccidere, a volte impegnandoci in combattimenti diretti, altre usando la magia, procurandoci anche noi lividi e piccole ferite.

Tuttavia il sole continuò il suo percorso lungo il cielo e la battaglia proseguì sulla baia, le schiere Illyrian che attaccavano la flotta di Hybern dall’alto mentre l’armata navale di Tarquin avanzava da dietro.

Lentamente, eliminammo dalle strade ogni guerriero di Hybern. Tutto ciò che sapevo era che il sole stava facendo rapprendere il sangue sulla mia pelle, il suo odore ferreo che mi pungeva le narici.

Avevamo appena ripulito una strada stretta, Mor passava tra i corpi dei guerrieri caduti di Hybern per assicurarsi che eventuali sopravvissuti… smettessero di sopravvivere. Mi appoggiai contro la pietra insanguinata fuori dalla vetrina distrutta di un negozio di tessuti, osservando la spada in argento vivo di Mor sollevarsi e cadere illuminata da lampi di luce.

Più oltre, attorno a noi, le urla dei moribondi erano come il rumore infinito delle campane di allarme della città.

Acqua… avevo bisogno di acqua. Magari solo per lavarmi via il sangue dalla bocca.

Non il mio, ma quello dei soldati che avevamo massacrato. Sangue che mi era zampillato in bocca, sul naso, negli occhi, quando li avevo uccisi.

Mor raggiunse l’ultima vittima e dalle porte e dalle finestre lungo la strada acciottolata fecero capolino dei Fae Maggiori e minori terrorizzati. Nessun segno di Alis, dei suoi nipoti o della cugina, o di chiunque altro le somigliasse, tra i vivi e i morti. Una piccola benedizione.

Dovevamo continuare a muoverci. Ce n’erano molti, così tanti altri.

Mentre Mor cominciava ad avvicinarsi di nuovo, gli stivali che sciabordarono in mezzo ad alcune pozze di sangue, al che allungai mentalmente una mano verso il legame. Verso Rhys, e qualunque cosa che fosse famigliare e solida.

Mi risposero solo il vento e l’oscurità.

Mi rendevo conto vagamente della strada stretta in cui mi trovavo, del sangue e del sole mentre scrutavo lungo quel ponte che univa le nostre menti. “Rhys.”

Nulla.

Mi feci largo, barcollando alla cieca in quella violenta tempesta di notte e ombra. Se il legame a volte mi sembrava simile a un fascio di luce intensa, adesso era mutato in un ponte di glaciale ossidiana.

Sulla parte opposta… c’era la sua mente. Le sue difese, gli scudi mentali… si erano tramutati in fortezza.

Allungai una mano verso quella protezione invalicabile e nera, il cuore che mi martellava in petto. Cosa stava affrontando… cosa vedeva per aver reso quegli scudi così inaccessibili?

Non riuscivo a percepirlo dall’altra parte.

C’erano solo pietra, tenebra e vento.

“Rhys.”

Mor mi aveva quasi raggiunto, quando arrivò la sua risposta.

Si era aperta una piccola crepa nelle sue difese… così velocemente che non ebbi tempo di fare nulla di più che balzare verso di essa prima che si richiudesse. Così mi sigillò al suo interno con lui.

Le strade, il sole e la città svanirono.

C’era solo quel luogo… solo lui. E la battaglia.

Guardando attraverso gli occhi di Rhysand, come avevo fatto quel giorno nel Regno Sotto la Montagna, avvertii il calore del sole, il sudore e il sangue che gli scivolavano lungo il viso, sotto il collo dell’armatura nera Illyrian, l’odore salmastro del mare e quello pungente del sangue attorno a me. La fatica che gli esauriva la forza sia dei muscoli sia della magia.

Avvertii la nave da guerra di Hybern tremare sotto di lui mentre atterrava sul ponte principale, una spada Illyrian in ogni mano.

Sei soldati morirono all’istante, l’armatura e i corpi si trasformarono in una pioggerellina rossa e argentea.

Gli altri si fermarono, rendendosi conto di chi fosse atterrato in mezzo a loro, nel cuore della flotta.

Rhys scrutò lentamente le teste coperte dagli elmi davanti a sé, contò le armi. Non che importasse. Sarebbero diventati presto tutti una pioggerellina cremisi o cibo per le bestie che nuotavano in cerchio nelle acque attorno all’armata in pieno conflitto. E poi la nave si sarebbe trasformata in una serie di schegge tra le onde.

Ma solo dopo aver terminato il suo compito. Il suo obiettivo non erano dei comuni soldati di fanteria.

Bensì il motivo per cui al posto dei suoi grandiosi poteri magici che li avrebbero distrutti… c’era solo un rimbombo attutito. Soffocato.

Ciò a cui aveva dato la caccia, risalendo fin lì, era quello strano incantesimo dissipatore che indeboliva i suoi poteri, e quello dei Sifoni. Come se una sorta di magia avesse reso la sua una materia oleosa e ingestibile. Più difficile da padroneggiare.

Era quella la ragione per cui la battaglia si era protratta così a lungo. Il colpo preciso e netto che voleva scagliare al suo arrivo… un colpo unico che avrebbe salvato tante vite… gli era come scivolato via dalle mani.

Perciò aveva inseguito l’incantesimo dissipatore, facendosi largo attraverso Adriata per arrivare fino a quella nave. E ora iniziava a sentirsi esausto… I soldati armati attorno a Rhysand si divisero e… comparve lui.

I suoi poteri erano intrappolati nella sua mente, soffocati, il corpo sfinito; non c’era nulla che potessi fare a parte osservare il re di Hybern avvicinarsi da sottocoperta e sorridere al mio compagno.

La corte di ali e rovina
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