6) Il vecchio dalle notti bianche
Raramente la primavera era stata così radiosa e i giornali annunciavano a gara il record di calore e di siccità. Altrettanto raramente, al Quai des Orfèvres si era visto Maigret così cupo e suscettibile, al punto che chi non sapeva s'informava con inquietudine della salute della moglie.
Coméliau aveva preso l'iniziativa, applicando la legge alla lettera, di portargli via in certo qual modo Josset, a cui il commissario non ebbe neanche più occasione di rivolgere la parola.
Ogni giorno o quasi il fabbricante di prodotti farmaceutici veniva portato dalla Santé al gabinetto del magistrato, dove l'aspettava l'avvocato Lenain.
Era stata una scelta sbagliata e se ne avesse avuto l'opportunità, Maigret l'avrebbe sconsigliato a Josset.
Lenain era uno dei tre o quattro divi del foro, specialista nei processi in Corte d'Assise che fanno scalpore e quando s'incaricava di una causa spettacolare, sui giornali occupava lo stesso posto di un divo del cinema.
I giornalisti aspettavano le sue dichiarazioni quasi quotidiane, le sue parole sferzanti più o meno feroci e a causa di due o tre assoluzioni considerate impossibili lo chiamavano l'avvocato delle cause disperate.
Dopo questi interrogatori, Maigret riceveva da Coméliau ordini inaspettati, il più delle volte senza spiegazioni: testimoni da ricercare, verifiche, incarichi tanto più fastidiosi visto che sembravano non avere alcun rapporto con il delitto di rue Lopert.
Il giudice non agiva in quel modo per animosità personale e se Coméliau non si era mai fidato del commissario e dei suoi metodi dipendeva dall'abisso che separava i loro punti di vista.
Tutto quanto non era in fondo legato a una questione di classi sociali? In un mondo in evoluzione, il magistrato era rimasto quello di un determinato ambiente. Suo nonno aveva presieduto la Terza sezione della Corte a Parigi e suo padre era ancora membro del Consiglio di Stato mentre uno dei suoi zii rappresentava la Francia ad Helsinki.
Lui si era preparato per l'ammissione all'Ispettorato delle Finanze e soltanto dopo che non ebbe passato l'esame scelse la magistratura.
Apparteneva al suo mondo, era schiavo di quei costumi, di quelle regole di vita, persino di quel linguaggio.
Si sarebbe potuto credere che le esperienze quotidiane al Palazzo di Giustizia gli avrebbero dato una concezione diversa dell'umanità, ma non era stato così e aveva finito per prevalere invariabilmente il punto di vista del suo ambiente.
Per lui, Josset era il sospetto tipo, se non il colpevole- nato. Non era entrato di frodo col favore di una relazione colpevole, poi di un matrimonio di riparazione in un ambiente che non era il suo? La relazione con Annette, la promessa di sposarla non confermava quest'opinione?
Invece il padre della ragazza, Martin Duché, che si era suicidato piuttosto che affrontare il disonore, secondo il cuore del rigido Coméliau e secondo la tradizione, era il prototipo dell'onesto servitore, modesto, riservato, che nulla aveva potuto consolare per la morte della moglie.
Il fatto che si fosse lasciato andare a bere la sera in rue Caulaincourt, Coméliau lo escludeva come un particolare privo d'importanza, mentre per il commissario ne aveva molta.
Maigret avrebbe giurato che il padre di Annette era malato da molto tempo, colpito, probabilmente, da un male incurabile.
E la sua dignità non si basava soprattutto sull'orgoglio?
Era tornato a Fontenay sconvolto, in fondo non fiero del suo comportamento del giorno prima e invece di trovare pace e silenzio, si era trovato sul binario della stazione di fronte a un giornalista e anche a un fotografo.
Questo punto assillava Maigret, proprio come l'atteggiamento del dottor Liorant. Si ripromise di tornarci su, di cercare di far luce sul problema, anche se aveva le mani legate.
I suoi uomini avevano percorso chilometri girando Parigi per procedere alle verifiche e Maigret aveva riepilogato per iscritto gli spostamenti di Josset la notte del delitto, senza sapere ancora che quel riepilogo avrebbe avuto un ruolo fondamentale.
Nell'unico interrogatorio al Quai des Orfèvres, Josset aveva dichiarato che dopo aver lasciato rue Caulaincourt verso le otto e mezza, aveva girato a casaccio e aveva fatto una prima tappa in un locale del quartiere della République.
Avevano ritrovato quel locale, La bonne Chope, in boulevard du Temple, dove un cameriere si ricordava di lui. A causa di un cliente che veniva ogni giorno attorno alle nove e che non era ancora arrivato quando Josset se n'era andato, si poteva stabilire che era passato in boulevard du Temple tra le nove meno un quarto e le nove.
Le due dichiarazioni concordavano.
Al Select, in avenue Champs-Elysées, era più facile ancora perché Jean, il barista, conosceva il fabbricante di prodotti farmaceutici da anni.
«E' entrato alle nove e venti e mi ha ordinato un whisky».
«E' quello che beveva di solito?»
«No. E' più il tipo da champagne. Vedendolo entrare, ho persino teso la mano verso il secchiello in cui c'è sempre una bottiglia in fresco».
«E' rimasto colpito da qualcosa nel suo comportamento?»
«Ha bevuto il whisky d'un fiato, mi ha teso il bicchiere perché lo riempissi di nuovo e invece di fare conversazione guardava fisso davanti a sé. Gli ho chiesto:
«"Non va, signor Josset?"
«"Non molto".
«Ha aggiunto due parole a proposito di un piatto che non aveva digerito e gli ho offerto del bicarbonato di sodio.
«L'ha rifiutato e ha bevuto un terzo bicchiere prima di partire, con aria sempre preoccupata».
Quadrava anche questo.
Sempre secondo Josset, si era diretto allora verso rue Lopert dov'era arrivato alle dieci e cinque.
Torrence aveva interrogato tutti gli abitanti della via. La maggior parte delle case a quell'ora aveva le persiane chiuse. Un vicino era rientrato alle dieci e un quarto e non aveva notato niente.
«C'erano macchine di fronte alla casa dei Josset?»
«Credo di sì. Quella grossa, in ogni caso».
«E quella piccola?»
«Non potrei dirlo».
«Ha visto la luce alle finestre?»
«Credo di sì... Non potrei giurarlo...»
Soltanto il proprietario della casa di fronte era stato categorico, così categorico che Torrence aveva ripetuto tre o quattro volte le domande ed aveva annotato le risposte parola per parola.
Si trattava di un certo François Lalinde, di sessantasei anni, amministratore coloniale in pensione da molto tempo. Non era in preda a frequenti accessi di febbre, non lasciava più la casa dove viveva in compagnia di una domestica di colore che aveva portato con sé dall'Africa e che si chiamava Julie.
Affermava di non essere andato a letto prima delle quattro del mattino come al solito e di aver passato la prima parte della notte seduto in poltrona accanto alla finestra.
Aveva mostrato la poltrona a Torrence, al primo piano, in una stanza che costituiva al contempo la camera da letto, la biblioteca, la sala e il ripostiglio, l'unica della casa che occupava veramente e da cui non usciva, per così dire, se non per recarsi nel bagno vicino.
Era un uomo impaziente, collerico, che non sopportava di essere contraddetto.
«Conosce i suoi vicini di fronte?»
«Di vista, ispettore, di vista!»
Aveva la mania di sogghignare con aria minacciosa.
«Quella gente ha scelto di vivere sotto gli occhi di tutti e non ha neanche la decenza di avere le persiane alle finestre».
Lasciava intendere che ne sapeva molto più di quanto non volesse dire.
«Una vita da pazzi!...»
«Di chi parla?»
«Di tutti e due, tanto la donna quanto l'uomo... le domestiche non sono meglio...»
«Ha visto Josset tornare a casa martedì sera?»
«Come avrei potuto non vederlo, dal momento che ero seduto davanti alla finestra?»
«Non faceva altro che guardare la strada?»
«Leggevo. I rumori mi fanno sussultare. Non sopporto il rumore, soprattutto il rumore delle automobili...»
«Ha udito una macchina fermarsi davanti a casa Josset?»
«E ho sussultato come sempre. Considero il rumore un'ingiuria personale...»
«Ha udito dunque l'auto del signor Josset, poi probabilmente sbattere la portiera?»
«Anche sbattere la portiera, sì, giovanotto!»
«Ha guardato fuori?»
«Ho guardato e l'ho visto entrare in casa».
«Aveva un orologio al polso?»
«No. C'è un orologio a muro proprio di fronte alla mia poltrona, come può controllare. Non tarda più di due o tre minuti al mese».
«Che ora era?»
«Le dieci e quarantacinque.»
Torrence, che aveva letto come tutti i collaboratori di Maigret il verbale d'interrogatorio di Josset, aveva insistito.
«E' sicuro che non fossero le dieci e cinque?»
«Certo. Sono un uomo preciso. Lo sono stato tutta la vita».
«Non le capita mai, la sera o la notte, di sonnecchiare seduto in poltrona?»
Questa volta, il signor Lalinde si era arrabbiato e il buon Torrence aveva fatto una fatica improba a calmarlo. Il vecchio non accettava di essere contraddetto e meno ancora quando si trattava del suo sonno perché era orgoglioso di non dormire mai.
«Ha riconosciuto il signor Josset?»
«Chi altri poteva essere?»
«Le ho chiesto se l'ha riconosciuto».
«Certo».
«Ha distinto il suo viso?»
«Il lampione non è lontano e c'era la luna».
«In quel momento qualche finestra era illuminata?»
«No, signore».
«Neanche nella camera della domestica?»
«La domestica era a letto da mezz'ora».
«Come lo sa?»
«Perché l'ho vista chiudere la finestra e la luce si è spenta subito dopo».
«A che ora?»
«Alle dieci e un quarto».
«Il signor Josset ha acceso la luce al pianterreno?»
«L'ha fatto certamente».
«Si ricorda di avere visto il pianterreno illuminarsi quando è entrato?»
«Perfettamente».
«Poi?»
«Poi, è successo quello che succede di solito. Il pianterreno è tornato buio e le lampade si sono accese al primo piano».
«In che stanza?»
La camera di Josset e quella della moglie davano entrambe sulla strada, quella di Josset a destra, quella di Christine a sinistra.
«In tutte e due».
«Ha scorto qualcosa di quel che succedeva in casa?»
«No. Non m'interessava».
«Può vedere attraverso le tende?»
«Soltanto le ombre, quando qualcuno passa tra le lampade e le finestre».
«Non ha mai guardato?»
«Mi sono immerso nella lettura».
«Fino a quando?»
«Fino a quando ho udito la porta di fronte aprirsi e richiudersi».
«A che ora?»
«A mezzanotte e venti».
«Ha udito il motore di una macchina?»
«No. L'uomo è partito a piedi in direzione della chiesa di Auteuil, con una valigia in mano».
«Le luci non erano più accese in casa?»
«No».
Per quest'ultimo lasso di tempo, si ritornava alle dichiarazioni di Josset. E da quel momento le testimonianze abbondavano. Avevano trovato il taxista della 403 che era in sosta davanti alla chiesa di Auteuil, un certo Brugnali.
«Il cliente è salito a mezzanotte e mezza. Ho annotato la corsa sul taccuino di bordo. Aveva una valigia in mano e l'ho portato in avenue Marceau».
«Com'era?»
«Un pappa molle, che puzzava d'alcol da togliere il fiato. Vista la valigia, gli ho chiesto in che stazione volesse andare».
In avenue Marceau, Josset aveva pagato la corsa e si era diretto verso un grosso palazzo privato che aveva una targa di rame sulla sinistra della porta.
Avevano ritrovato anche il secondo taxi che Josset aveva preso uscendo dall'ufficio.
Il cabaret dov'era entrato all'una e mezza era un piccolo locale che si chiamava Le Parc aux Cerfs. Il portiere ed il barista si ricordavano di lui.
«Non ha voluto un tavolo. Sembrava stupito di trovarsi in quel posto e ha guardato con un certo sgomento Ninouche che si stava spogliando sulla pista...
Ninouche passa alla fine del primo spettacolo, cosa che mi permette di stabilire l'ora... Ha bevuto un whisky e ne ha offerto uno a Marina, un'entraîneuse, senza badarle...»
Nel frattempo, fuori, l'autista discuteva con un altro taxista che, lavorando in combutta con il portiere, voleva impedirgli di sostare.
«Vai a farti pagare e carico io il tuo cliente quando esce».
L'arrivo di Josset aveva messo fine alla disputa e il taxi su cui era rimasta la valigia l'aveva riportato in rue Lopert. Benché abituato al quartiere, il taxista aveva girato un po' in tondo e Josset aveva dovuto indicargli la strada.
«Era l'una e quarantacinque, forse l'una e cinquanta quando l'ho fatto scendere».
«Com'era?»
«Più ubriaco che all'andata».
Lalinde, l'ex-amministratore coloniale, confermava il ritorno. Le luci si erano nuovamente accese.
«Al pianterreno?»
«Certo. Poi al primo».
«Nelle due camere?»
«E nel bagno che ha i vetri smerigliati».
«Josset è uscito di nuovo?»
«Alle due e mezza, dopo avere spento».
«Ha preso la macchina?»
«No. E questa volta si è diretto verso rue Chardon-Lagache, con un pacco in mano».
«Un pacco grande quanto?»
«Abbastanza grande, più lungo che largo».
«Lungo trenta, quaranta centimetri?»
«Direi quaranta».
«E largo?»
«Diciamo venti».
«Lei non è andato a letto?»
«No. Esattamente alle tre e quarantotto minuti, ho avuto il tempo di sentire il baccano di un furgone della polizia e di vedere una mezza dozzina di agenti saltare sul marciapiede, poi entrare in casa».
«Se capisco bene, per tutta la sera e tutta la notte lei non ha abbandonato la sua poltrona?»
«Soltanto alle quattro e mezza, per mettermi a letto».
«Non ha sentito niente, dopo?»
«Le macchine che andavano e venivano».
Anche qui le ore corrispondevano, perché Josset era arrivato al commissariato di Auteuil alle tre e mezza e avevano mandato il furgone in rue Lopert pochi minuti dopo, quando stava cominciando la sua deposizione.
Maigret trasmise il rapporto a Coméliau. Il giudice poco dopo lo pregò di passare nel suo gabinetto dove si trovava solo.
«Ha letto?»
«Certo».
«Non l'ha colpita niente?»
«Un particolare. Conto di parlargliene dopo».
«Quello che colpisce me è che Josset ha detto la verità sulla maggior parte dei punti, quelli che non riguardano il delitto propriamente detto. Le dichiarazioni concordano per quasi tutta la notte.
«Ma mentre sostiene di essere rientrato alle dieci e cinque al più tardi, il signor Lalinde l'ha visto arrivare alle dieci e quarantacinque.
«In quel momento non era dunque addormentato al pianterreno come afferma.
«Alle dieci e quarantacinque era al primo piano e le luci erano accese in entrambe le stanze.
«Noti che l'ora corrisponde a quella che il dottor Paul considera l'ora probabile del delitto... Cosa ne dice?»
«Vorrei fare una semplice osservazione. Secondo Torrence, il signor Lalinde durante tutto il colloquio non ha smesso di fumare sigari scurissimi, piccoli sigari italiani chiamati volgarmente chiodi di bara».
«Non vedo il nesso...»
«Immagino che fumi anche di notte, seduto in poltrona.
In questo caso, è quasi certo che senta il bisogno di bere».
«Poteva avere alla sua portata quello che gli serviva».
«Forse. Ha sessantasei anni, dice il rapporto».
Il giudice continuava a non capire.
«Mi chiedo» proseguì Maigret «se in nessun momento ha provato il bisogno di alleggerire la vescica...
I vecchi generalmente...»
«Afferma di non aver lasciato la poltrona e tutto fa credere che sia un uomo degno di fede...»
«E' un uomo ostinato che ci tiene ad avere ragione a qualunque costo...»
«Conoscendo Josset soltanto di vista, non aveva alcun motivo di...»
Maigret avrebbe tuttavia desiderato interrogare il medico del signor Lalinde. Era la seconda volta che aveva voglia di ricorrere a quel genere di testimonianze.
«Dimentica il segreto professionale».
«Non lo dimentico, ahimè!»
«E perde di vista che Josset ha interesse a mentire...»
Il suicidio di Duché a Fontenay-le-Comte, aveva definitivamente sollevato l'opinione pubblica contro Adrien Josset. La stampa ne aveva parlato abbondantemente.
Avevano pubblicato delle fotografie di Annette al momento in cui, singhiozzante, prendeva il treno per Fontenay.
«Povero papà! Se avessi saputo...»
Avevano intervistato gli impiegati della sottoprefettura, i commercianti di Fontenay-le-Comte che cantavano tutti le lodi del capufficio.
«Un uomo dignitoso, di una rettitudine eccezionale.
Già distrutto dal dolore dopo la morte della moglie, non ha potuto sopportare il disonore...»
Alle domande dei giornalisti, l'avvocato Lenain rispondeva come chi prepara una risposta fulminea:
«Aspettate! L'inchiesta è solo incominciata...»
«Ha elementi nuovi?»
«Li riservo per il mio buon amico, il giudice Coméliau.»
Annunciò il giorno, l'ora delle rivelazioni, mantenne la curiosità e quando, secondo la sua stessa espressione, fece scoppiare la bomba, c'erano talmente tanti giornalisti e fotografi nei corridoi del Palazzo che si dovettero chiamare agenti di rincalzo.
La "suspense" durò tre ore, durante le quali quattro uomini restarono rinchiusi nel gabinetto del giudice istruttore: Adrien Josset abbondantemente fotografato al suo arrivo, l'avvocato Lenain che non aveva avuto minor successo, Coméliau e il suo cancelliere.
Maigret nel suo ufficio al Quai des Orfèvres attendeva a mansioni amministrative.
Due ore dopo la seduta, gli portarono i giornali che avevano scelto tutti più o meno lo stesso titolo:
JOSSET ACCUSA!
I sottotitoli cambiavano.
Josset alle strette passa all'offensiva.
E ancora:
La difesa tenta una manovra disperata.
Coméliau, come al solito, aveva negato qualunque dichiarazione ed era rimasto rinchiuso nel suo gabinetto.
Anche Lenain, come di consueto, non soltanto aveva letto ai giornali una dichiarazione scritta, ma nei corridoi del Palazzo, che il suo cliente aveva appena lasciato tra due gendarmi, aveva tenuto una vera e propria conferenza stampa.
La dichiarazione era breve.
Finora Adrian Josset, a cui si vorrebbe imputare l'omicidio della moglie, ha mantenuto cavallerescamente il silenzio sulla vita privata e il comportamento segreto di costei.
Al momento in cui la pratica sarà mandata davanti alla sezione istruttoria, si è finalmente rassegnato dietro le insistenze dell'avvocato, a sollevare un angolo del velo e l'inchiesta prenderà di conseguenza una nuova direzione.
Si scoprirà allora che molte persone possono avere ucciso Christine Josset, di cui finora abbiamo detto così poco, troppo occupati a tormentare il marito.
A Maigret sarebbe piaciuto sapere cosa avesse preceduto quella decisione, essere al corrente dei colloqui che avevano avuto luogo tra i due uomini, l'avvocato e il suo cliente, nella cella della Santé.
Gli ricordava un po' la scena in rue Caulaincourt. Il padre di Annette era entrato e non aveva detto quasi niente. Aveva soltanto chiesto:
«Cosa conta di fare?»
Subito, Josset, che si riparava dietro il signor Jules quando si trattava di licenziare un impiegato, aveva promesso di divorziare per sposare la ragazza.
Un uomo abile e poco scrupoloso come Lenain non poteva spingerlo a dire tutto quello che voleva?
I giornalisti, ovviamente, avevano bersagliato di domande l'avvocato.
«Vuole dire che la signora Josset aveva un amante?»
L'avvocato del foro sorrideva misterioso.
«No, signori. Non un amante».
«Degli amanti?»
«Sarebbe troppo semplice e probabilmente non spiegherebbe niente».
Non capivano. Lui sapeva dove voleva arrivare.
«La signora Josset, com'era suo diritto, badate, aveva dei protetti. I suoi amici, le sue amiche lo confermeranno e in certi ambienti si parlava di quei protetti come si parla dei cavalli da corsa di questo o quel proprietario».
Spiegava con compiacenza:
«Giovanissima, sposò un uomo molto noto, sir Austin Lowell che la formò e la iniziò al mondo... Il mondo dei potenti, di quelli che tengono le fila... In principio, come tante, non fu altro che un ornamento...
«Cercate di capirmi: non era Austin Lowell... Era la graziosa signora Lowell, colei che lui vestiva, copriva di gioielli, esibiva alle corse, alle grandi prime, nei cabaret e nei salotti...
«Vedova a meno di trent'anni, volle continuare ma per conto suo, se posso esprimermi così.
«Non intendeva più essere il secondo elemento di una coppia, l'elemento accessorio, ornamentale, ma il primo.
«Ecco perché, invece di sposare un uomo del suo ambiente, come le era facile, andò a cercare Josset dietro il banco di una farmacia.
«Aveva bisogno di dominare a sua volta, bisogno di qualcuno al suo fianco che le dovesse tutto, che fosse cosa sua.
«Si dà il caso, purtroppo, che il giovane aiutofarmacista abbia una personalità più forte di quanto lei non pensasse.
«E' riuscito talmente bene nella sua casa farmaceutica che è diventato lui stesso una personalità.
«E' tutto. E' il dramma.
«Invecchiando, sentendo giungere il momento in cui lei non avrebbe ricevuto più gli omaggi degli uomini...»
«Mi scusi» interruppe un giornalista. «Aveva già degli amanti?»
«Diciamo che non ha mai vissuto secondo la morale borghese. Un giorno, non riuscendo più a dominare il marito, ha cercato di dominare altri.
«Quelli che ho chiamato i suoi protetti, usando il termine che lei stessa aveva scelto e che pare pronunciasse con un sorriso soddisfatto.
«Sono stati numerosi. Se ne conosce una parte. Ce ne sono stati certamente altri, che non si conoscono, ma spero che l'inchiesta permetterà di scoprirli.
«Il più delle volte erano artisti sconosciuti, pittori, musicisti, cantanti che incontrava chissà dove e che si metteva in testa di lanciare.
«Potrei citarvi un cantante di fascino abbastanza noto oggi, che deve il suo successo al suo incontro fortuito con la signora Josset in un garage dove lavorava come meccanico.
«Se alcuni hanno avuto successo, altri si sono rivelati senza talento e dopo qualche settimana o qualche mese, lei li ha lasciati cadere.
«Devo aggiungere che questi giovani non si rassegnavano sempre a reimmergersi nel buio?
«Li aveva presentati ai suoi amici come future speranze del palcoscenico, della pittura o del cinema. Li aveva vestiti, ospitati decentemente; avevano vissuto nella sua intimità, nella sua scia...
«Da un giorno all'altro, non erano più nulla».
«Può citare i nomi?»
«Ne lascio la cura al giudice istruttore. Gli ho consegnato una lista di nomi tra cui c'è certamente brava gente. Non accusiamo nessuno. Diciamo soltanto che un certo numero di persone aveva ragione di avercela con Christine Josset...»
«Qualcuno in particolare?»
«Bisognerà forse cercare tra gli ultimi suoi protetti in ordine di tempo».
Maigret ci aveva pensato. Fin dall'inizio gli era venuta l'idea d'informarsi sulla vita privata della vittima e sul suo ambiente.
Finora, aveva sbattuto contro un muro. E ancora una volta, come nel caso di Coméliau, era una questione di classe, quasi di casta.
Christine Josset compiva evoluzioni in un mondo più limitato di quello del magistrato, una manciata di persone di cui si legge il nome sui giornali, di cui si racconta vita, morte e miracoli, in merito a cui si pubblica la fantasiosa cronaca mondana ma su cui in realtà il grande pubblico ignora quasi tutto.
Maigret era ancora ispettore quando a questo proposito fece una battuta che si ripeteva spesso ai nuovi arrivati al Quai des Orfèvres. Incaricato della sorveglianza di un banchiere che sarebbe stato arrestato qualche mese dopo, aveva detto al suo capo di allora:
«Per capire la sua mentalità, avrei dovuto mangiare le uova alla coque o i cornetti del mattino con dei finanzieri...»
Ogni classe sociale non ha il suo linguaggio, i suoi tabù, le sue indulgenze?
Quando chiedeva:
«Cosa pensa di Madame Josset?»
Gli rispondevano immancabilmente:
«Christine? Che donna adorabile...»
Nel suo ambiente più che Josset, era Christine.
«Una donna curiosa di tutto, appassionata, innamorata della vita...»
«E il marito?»
«Un brav'uomo...»
Detto più freddamente, indicava che Josset, nonostante il successo commerciale non era mai stato completamente adottato da chi frequentava sua moglie.
Era tollerato, come si tollera l'amante o la donna di un uomo celebre, mormorando:
«Dopo tutto, se piace a lui...»
Coméliau doveva essere furioso. Lo sarebbe stato ancora di più quando avesse letto tutti i giornali. Aveva istruito una pratica di cui era soddisfatto ed era giunto il momento di mandarla alla sezione istruttoria.
Ora, tutta l'inchiesta era da ricominciare. Era impossibile ignorare le accuse di Lenain che aveva avuto cura di dare a queste tutta la risonanza possibile.
Non si trattava più d'interrogare la custode, i taxisti, i vicini di rue Lopert.
Era giocoforza prendersela con un ambiente nuovo, ottenere delle confidenze, dei nomi, stendere una lista di quei già famosi protetti, e verificare il loro alibi sarebbe stato probabilmente compito di Maigret.
«Josset» obiettò un giornalista «sostiene di essersi addormentato al pianterreno su una poltrona, tornando a casa alle dieci e cinque. Un testimone degno di fede, che abita nella casa di fronte, sostiene che Josset è rientrato alle dieci e quarantacinque».
«Un testimone in buonafede si può sbagliare» ribatté l'avvocato. «Il signor Lalinde, poiché è di lui che si tratta, ha forse visto un uomo entrare in casa alle dieci e quarantacinque, quando il mio cliente era addormentato...»
«Sarebbe l'assassino?»
«Probabilmente».
«Sarebbe passato davanti a Josset senza vederlo?»
«Il pianterreno non era illuminato. Più ci penso e più mi convinco che al momento del delitto davanti alla casa c'erano non due ma tre macchine. Sono andato a rendermi conto della disposizione del luogo. Non sono entrato a casa del signor Lalinde dove la domestica mi ha accolto poco amabilmente. Sostengo tuttavia che dalla finestra di questo dignitoso vecchio si possa scorgere la Cadillac e una macchina parcheggiata davanti ma non una macchina parcheggiata dietro.
Ho chiesto di verificare la mia ipotesi. Se ho ragione, sono pronto ad affermare che c'erano tre macchine...»
La signora Maigret quella sera era sovraeccitata.
Aveva tenuto duro a lungo ma aveva finito per appassionarsi a un caso di cui le parlavano nei negozi.
«Credi che Lenain abbia avuto ragione ad attaccare?»
«No».
«Josset è innocente?»
Lui la guardò con occhi evanescenti.
«Ci sono cinquanta probabilità su cento».
«Sarà condannato?»
«E' probabile, soprattutto ora».
«Non puoi fare niente?»
Questa volta lui si limitò a stringersi nelle spalle.