1) La torta di riso della signora Pardon

 

La cameriera posò la torta di riso in mezzo alla tavola rotonda e Maigret fece uno sforzo per assumere un'aria al tempo stesso sorpresa e beata, mentre la signora Pardon, arrossendo, gli lanciò un'occhiata maliziosa.

Era la quarta torta di riso da quando, quattro anni prima, i Maigret avevano preso l'abitudine di cenare una volta al mese dai Pardon, e costoro di recarsi due settimane dopo in boulevard Richard-Lenoir, dove la signora Maigret, a sua volta, serviva un pranzo sontuoso.

Il quinto od il sesto mese, la signora Pardon aveva servito una torta di riso. Maigret ne aveva preso due volte, dicendo che gli ricordava la sua infanzia e che da quarant'anni non ne mangiava di così buone, ed era vero.

Da allora, ogni cena a casa dei Pardon, nel loro nuovo appartamento di boulevard Voltaire, si concludeva con lo stesso dolce vellutato che sottolineava il carattere amabile, riposante ed un po' incolore di quelle riunioni.

Maigret e la moglie, non avendo famiglia a Parigi, non conoscevano quelle serate che si trascorrono a giorni fissi dalle sorelle o dalle cognate e le cene con i Pardon ricordavano loro le visite alle zie ed agli zii di quand'erano piccoli.

Quella sera la figlia dei Pardon, Alice, che avevano conosciuto quand'era ancora una liceale e che era sposata da un anno, partecipava al pranzo insieme al marito. Incinta di sette mesi, aveva la maschera gravidica, soprattutto efelidi sul naso e sotto gli occhi, e il giovane marito era attento a cosa mangiava.

Maigret era nuovamente sul punto di dire quanto fosse deliziosa la torta di riso della sua ospite quando squillò il telefono per la terza volta a partire dalla minestra di verdure. Erano abituati. All'inizio del pasto, chiedersi se il dottore sarebbe arrivato alla fine senza essere chiamato da un paziente era diventata una specie di trovata comica.

Il telefono si trovava su una consolle sormontata da uno specchio. Pardon, con il tovagliolo in mano, afferrò il microfono.

«Pronto! Dottor Pardon...»

Gli ospiti tacendo lo guardarono e improvvisamente udirono una voce così acuta da far vibrare l'apparecchio.

A parte il medico, nessuno poteva afferrare le parole. Erano suoni che si susseguivano, come quando si mette un disco a una velocità eccessiva.

Tuttavia, Maigret aggrottò le sopracciglia perché vide il viso del suo amico diventare serio, invaso da un certo imbarazzo.

«Sì... L'ascolto, signora Kruger... Sì...»

La donna, all'apparecchio, non aveva bisogno d'incoraggiamento per parlare. I suoni si succedevano precipitosamente e formavano, per chi non aveva il microfono vicino all'orecchio, una litania incomprensibile ma patetica.

Sul volto di Pardon si svolgeva un dramma, muto, carico di sfumature. Il medico di zona, che pochi istanti prima seguiva divertito la scena della torta di riso, sembrava ora lontanissimo dalla sala da pranzo quieta e borghese.

«Capisco, signora Kruger... Lo so, sì... Se può aiutarla, sono pronto a venire...»

L'occhiata lanciata dalla signora Pardon ai due Maigret voleva dire:

«Ecco! Finiremo un'ennesima cena senza di lui...»

Si sbagliava. La voce continuava a risuonare. Il medico era sempre più a disagio.

«Sì... Certo... Cerchi di metterli a letto...»

Lo si sentiva scoraggiato, impotente.

«Lo so. Lo so... Non posso fare niente di più di lei...»

Nella stanza, nessuno mangiava, nessuno parlava.

«Si rende conto che se continua sarà lei a...»

Sospirò, si passò la mano sulla fronte. A quarantacinque anni era quasi calvo.

La voce stanca, finì per sospirare, come avesse ceduto a una pressione insopportabile:

«Gli dia una compressa rosa... No... Una sola!... Se tra mezz'ora non avrà fatto effetto...»

Tutti ebbero l'impressione di un sollievo dall'altro capo del filo.

«Io non esco... Buonasera, signora Kruger...»

Riagganciò, andò a sedersi e tutti evitarono di fargli domande. Ci vollero molti minuti per riprendere la conversazione. Pardon restava assente. La serata seguiva il suo ritmo tradizionale. Ci si alzò da tavola per prendere il caffè in salotto, dove il tavolo era coperto di riviste perché nell'orario di ambulatorio era là che i malati aspettavano.

Le due finestre erano aperte. Era maggio. La serata era tiepida e l'aria di Parigi, nonostante gli autobus e le macchine, aveva un sapore primaverile. Alcune famiglie del quartiere passeggiavano in boulevard Voltaire, e sulla terrazza di fronte due uomini erano in maniche di camicia.

Con le tazzine piene, le donne presero il lavoro a maglia nel loro solito angolo. Pardon e Maigret si sedettero accanto a una finestra mentre il giovane marito di Alice non sapeva in quale gruppo inserirsi e finì per sedersi vicino alla moglie.

Era già stato stabilito che la signora Maigret sarebbe stata la madrina del bambino, per il quale preparava a maglia un coprifasce.

Pardon accese un sigaro. Maigret caricò la pipa.

Non avevano particolare voglia di parlare e trascorsero in silenzio un intervallo abbastanza lungo mentre giungeva loro il parlottio delle donne.

Il medico finì per mormorare tra sé e sé:

«Un'altra di quelle sere in cui vorrei avere scelto un altro mestiere!»

Maigret non insistette, non forzò le confidenze. Gli piaceva Pardon. Lo considerava un uomo, nel senso pieno della parola.

L'altro guardò furtivamente l'orologio.

«Può durare tre o quattro ore ma potrebbe chiamarmi da un momento all'altro...»

Continuò senza fornire particolari di modo che bisognava capire al volo:

«Un giovane sarto, ebreo polacco, che abita in rue Popincourt sopra un'erboristeria... Cinque figli, il più grande ha nove anni e la moglie incinta di un sesto...»

Automaticamente diede un'occhiata al ventre della figlia.

«La medicina non può salvarlo e da cinque settimane non riesce a morire... Ho fatto di tutto per convincerlo ad andare in ospedale... Quando pronuncio quella parola, esce dai gangheri, prende i suoi a testimoni, piange, geme, li supplica che non lo lascino portare via di forza...»

Pardon fumava senza gusto l'unico sigaro della giornata.

«Vivono in due stanze... I bambini piangono... La moglie è al limite... E' lei che dovrei curare ma finché va avanti così, sono impotente... sono andato là prima di cena... Ho fatto un'iniezione all'uomo, un sedativo alla moglie... Non fa più effetto... Mentre mangiavamo ha ricominciato a gemere, poi a urlare dal dolore e la moglie, al limite delle forze...»

Maigret tirò una boccata di pipa e mormorò:

«Credo di avere capito».

«Legalmente, dal punto di vista medico, non posso prescrivergli un'altra dose... Non è la prima telefonata di questo genere... Finora sono riuscito a convincerla...»

Guardò il commissario come per chiedergli indulgenza.

«Si metta al mio posto...»

Diede di nuovo un'occhiata all'orologio. Per quanto tempo il malato si sarebbe ancora dibattuto?

La serata era mite, con un certo languore nell'aria.

Continuava il mormorio delle donne in un angolo del salotto e il rumore ritmato dei ferri.

Maigret disse con voce esitante:

«Non è la stessa cosa, ovviamente... Anche a me è capitato parecchie volte di desiderare di avere scelto un altro mestiere...»

Non era una vera conversazione in cui le battute si concatenavano con una certa logica. C'erano delle pause, dei silenzi, lente boccate di fumo che venivano fuori dalla pipa del commissario.

«Da un po' di tempo, nella polizia, non abbiamo più gli stessi poteri né, di conseguenza, le stesse responsabilità...»

Pensava ad alta voce, si sentiva molto vicino a Pardon e ciò era reciproco.

«Nel corso della mia carriera, ho visto diminuire progressivamente le nostre mansioni a beneficio dei magistrati... Non so se sia un bene o un male... Ad ogni modo, il nostro ruolo non è mai stato quello di giudicare... Spetta ai tribunali e ai giurati decidere se un uomo è colpevole o innocente ed in che misura lo si può considerare responsabile...»

Parlava di proposito perché sentiva il suo amico teso, con la mente altrove, in rue Popincourt, nelle due stanze in cui il sarto polacco stava morendo.

«Anche allo stato attuale della legislazione, quando non siamo altro che strumenti del procuratore, del giudice istruttore, c'è comunque un momento in cui dobbiamo prendere una decisione carica di conseguenze...

In fin dei conti, i magistrati prima, i giurati poi, si faranno un'opinione grazie alle nostre indagini e agli elementi raccolti da noi...

«Il semplice fatto di considerare un uomo sospetto, di convocarlo al Quai des Orfèvres, d'interrogarlo sulla sua famiglia, i suoi amici, la custode ed i vicini può cambiare il resto della sua vita...»

Questa volta fu Pardon a mormorare:

«Capisco».

«La tal persona ha potuto commettere un delitto?...

Comunque, quasi sempre, in primo luogo spetta a noi porci la domanda... Gli indizi materiali sono spesso inesistenti o poco convincenti...»

Squillò il telefono. Pardon aveva paura di rispondere e fu la figlia a staccare il ricevitore...

«Sì, signore... No, signore... No... Ha sbagliato numero...»

Spiegò sorridente:

«Ancora il ballo delle Virtù...»

Una balera in rue de Chemin-Vert, il cui numero telefonico era simile a quello dei Pardon.

Maigret riprese a voce bassa:

«Il tal individuo che hai di fronte e che sembra normale, ha potuto uccidere?... Capisce cosa intendo, Pardon? Non si tratta di decidere se sia colpevole o no, va bene. Non spetta alla Polizia giudiziaria. Non dobbiamo neanche chiederci se è possibile che... Ma è comunque giudicare! Mi fa ribrezzo... Se ci avessi pensato quando sono entrato nella polizia, non sono sicuro che...»

Una pausa più lunga. Vuotò la pipa e ne prese un'altra dalla tasca, che caricò lentamente, dando l'impressione di carezzarla.

«Mi ricordo di un caso, non tanto tempo fa... Lei seguì il caso Josset?...»

«Il nome mi ricorda qualcosa...»

«Se ne parlò molto sui giornali, ma la verità, per quanto ci fosse una verità, non fu mai dichiarata...»

Era raro che parlasse di un caso di cui si era occupato.

A volte, al Quai des Orfèvres, con gente del mestiere, capitava di accennare a un caso famoso, a un'inchiesta difficile, ma sempre con due parole.

«Rivedo Josset alla fine del suo primo interrogatorio.

Devo essermelo chiesto allora... Potrei farle leggere il verbale, per avere la sua opinione... Ma lei non ha avuto l'uomo davanti a sé per due ore... Non ha udito la sua voce, non ha spiato le sue espressioni...»

Fu al Quai des Orfèvres, nell'ufficio di Maigret, un martedì, si ricordava il giorno, verso le tre del pomeriggio.

Ed era primavera, fine aprile o inizio maggio.

Il commissario, arrivando al Quai quel mattino, non sapeva niente del caso e soltanto verso le dieci era stato avvisato dal commissario di polizia di Auteuil prima, dal giudice Coméliau poi.

Quel giorno regnava una certa confusione. Il commissariato di Auteuil sosteneva di avere avvisato la Polizia giudiziaria a notte fonda ma, per una ragione o per l'altra, il messaggio non sembrava essere arrivato a destinazione.

Erano quasi le undici quando Maigret scese dalla macchina in rue Lopert a due o trecento metri dalla chiesa di Auteuil, e si trovò a essere l'ultimo. I giornalisti, i fotografi erano circondati da un centinaio di curiosi arginati dagli agenti. Il procuratore era già arrivato e cinque minuti dopo giunsero gli esperti del casellario giudiziale.

A mezzogiorno e dieci il commissario fece entrare nel suo ufficio Adrien Josset, un uomo di quarant'anni, un bel ragazzo, appena un po' appesantito che, sebbene non rasato e con i vestiti un po' sgualciti, era comunque elegante.

«Prego, entri... Si sieda...»

Aprì la porta dell'ufficio degli ispettori per chiamare il giovane Lapointe.

«Prendi il taccuino e una matita...»

L'ufficio era bagnato dal sole ed i rumori di Parigi penetravano attraverso la finestra aperta. Lapointe, che aveva capito di dover stenografare l'interrogatorio, si sistemò in un angolo del tavolo. Maigret caricò la pipa, guardò un istante un treno d'imbarcazioni risalire la Senna mentre un uomo dentro a una barca si lasciava andare alla deriva.

«Mi spiace, ma sono costretto, signor Josset, a registrare le risposte che vorrà darmi... Non è troppo stanco?»

L'uomo fece segno di no, con un sorriso un po' amaro. Non aveva dormito per tutta la notte e la polizia di Auteuil l'aveva sottoposto a un lungo interrogatorio.

Maigret non aveva voluto leggerlo, preferendo farsi prima un'idea personale.

«Cominciamo con le banali domande d'identità...

Nome, cognome, età, professione...»

«Adrien Josset, 40 anni, nato a Sète, nell'Hérault...»

Bisognava saperlo per scoprirgli una punta di accento meridionale.

«Suo padre?»

«Maestro. E' morto dieci anni fa».

«Sua madre è ancora viva?»

«Sì. Abita ancora nella stessa casetta a Sète».

«Lei ha studiato a Parigi?»

«A Montpellier».

«E' farmacista, mi pare?»

«Ho fatto farmacia poi un anno di medicina, ma non l'ho terminata».

«Per quale ragione?»

Esitava e Maigret capì che era per una sorta di onestà.

Si sentiva che si sforzava di rispondere con precisione, con veridicità, per lo meno finora.

«Forse ci sono state molte ragioni. La più evidente è che avevo un'amica che aveva seguito i genitori a Parigi».

«Si è sposato con lei?»

«No. A dire il vero, i nostri rapporti sono cessati qualche mese dopo... Credo anche di non avere avuto la vocazione del medico... I miei genitori non avevano soldi... Dovevano fare grossi sacrifici per pagarmi gli studi... Una volta medico, avrei faticato molto a sistemarmi...»

Faceva uno sforzo, a causa della stanchezza, per seguire il filo delle sue idee e di tanto in tanto lanciava un'occhiata a Maigret come per accertarsi dell'impressione prodotta sul commissario.

«E' importante?»

«Tutto può essere importante».

«Capisco... Mi chiedo se avessi una vocazione precisa...

Mi avevano parlato della carriera che si prospetta nei laboratori... La maggior parte delle case farmaceutiche ha laboratori di ricerca... Una volta a Parigi, con il diploma di farmacista in tasca, tentai di ottenere un posto...»

«Senza successo?»

«Tutto quello che trovai fu una sostituzione in una farmacia, poi in un'altra...»

Aveva caldo. Anche Maigret, che andava e veniva nell'ufficio fermandosi talora davanti alla finestra.

«Le hanno fatto queste domande a Auteuil?»

«No. Non le stesse. Ho capito che lei sta cercando di scoprire chi sono... Come vede, mi sforzo di risponderle sinceramente... In fondo, non mi credo né migliore né peggiore di altri...»

Si asciugò la fronte.

«Ha sete?»

«Forse...»

Maigret andò ad aprire la porta degli ispettori.

«Janvier! Vuole farci portare da bere?»

E a Josset:

«Birra?»

«Se vuole».

«Non ha fame?»

Senza aspettare la risposta, continuò rivolto a Janvier:

«Birra e panini».

Josset fece un sorriso triste.

«L'ho letto...» mormorò.

«Ha letto cosa?»

«La birra, i panini... Il commissario e gli ispettori che si alternano a fare le domande... Comincia ad essere risaputo, sa?... Non immaginavo che un giorno...»

Aveva delle belle mani che talora tradivano il suo nervosismo.

«Si sa quando si entra qui, ma...»

«Stia tranquillo, signor Josset. Posso assicurarle che non ho alcuna idea preconcetta a suo riguardo».

«L'ispettore al commissariato di Auteuil l'aveva».

«L'ha urtata?»

«Mi ha trattato abbastanza duramente, usando termini che... Insomma! Chissà se, al suo posto...»

«Torniamo ai suoi esordi a Parigi... Quanto tempo passò prima che conoscesse colei che sarebbe diventata sua moglie?»

«Circa un anno... Avevo venticinque anni e lavoravo in una farmacia inglese del Faubourg Saint-Honoré quando la conobbi...»

«Era una cliente?»

«Sì».

«Il suo nome da ragazza?»

«Fontane... Christine Fontane... Tuttavia portava ancora il nome del primo marito, morto qualche mese prima... Lowell... Della famiglia dei birrai inglesi...

Avrà visto il suo nome sulle bottiglie...»

«Era dunque vedova da qualche mese ed a che età...?»

«Ventinove anni».

«Niente figli?»

«No».

«Ricca?»

«Certamente. Era una delle migliori clienti del negozio di lusso del Faubourg Saint-Honoré».

«Divenne il suo amante?»

«Lei conduceva una vita molto libera».

«Anche ai tempi del marito?»

«Ho motivo di crederlo».

«Da che ambiente proveniva?»

«Da un ambiente borghese... Non ricco ma benestante...

Ha trascorso l'infanzia nella Sedicesima circoscrizione ed il padre era il presidente di molti consigli di amministrazione...»

«Se ne innamorò».

«Molto presto, sì».

«Aveva già rotto i rapporti con la sua amica di Montpellier?»

«Da molti mesi».

«Tra Christine Lowell e lei, si parlò subito di matrimonio?»

Non esitò che un istante.

«No».

Bussarono alla porta. Era il cameriere della brasserie Dauphine che portava la birra e i panini. Cosa che permise una pausa. Josset non mangiò, limitandosi a bere mezzo bicchiere di birra mentre Maigret continuava ad andare su e giù per l'ufficio spilluzzicando un panino.

«Può dirmi com'è accaduto?»

«Ci provo. Non è facile. Sono passati quindici anni.

Ero giovane, ora me ne rendo conto. Con un certo distacco, mi pare che la vita fosse diversa, che le cose non avessero la stessa importanza di oggi.

«Guadagnavo pochi soldi. Abitavo in una camera ammobiliata, vicino a place des Ternes e pranzavo nei ristoranti a prezzo fisso, quando non mi accontentavo dei cornetti... Spendevo più per vestirmi che per mangiare...»

Aveva conservato quel gusto nel vestire ed il completo che indossava usciva da una delle migliori sartorie di Parigi, la camicia, con la cifra, era stata fatta su misura, così come le scarpe.

«Christine viveva in un mondo diverso, che non conoscevo e che mi affascinava... Ero ancora un provinciale, figlio di un maestro, a Montpellier facevo parte di un gruppo di studenti non molto più ricchi di me...»

«La presentò ai suoi amici e alle sue amiche?»

«Molto tempo dopo... Di un aspetto della nostra relazione mi sono reso conto soltanto in séguito...»

«Ossia?»

«Si parla volentieri degli uomini d'affari, industriali o finanzieri, che si concedono un'avventura con una commessa o con un'indossatrice... era un po' il suo caso, in senso contrario... Lei dava appuntamenti a un aiuto-farmacista senza denaro e senza esperienza...

Voleva sapere dove abitassi, un albergo ammobiliato a buon mercato, con le piastrelle di maiolica sul muro delle scale ed i rumori che si udivano attraverso i tramezzi... Tutto questo la entusiasmava... La domenica mi portava in macchina in una locanda di campagna...»

La sua voce era diventata più sorda e si sentiva al contempo una sorta di nostalgia e di risentimento.

«All'inizio, anch'io credetti a un'avventura che non sarebbe durata».

«Era innamorato?»

«Lo divenni».

«Geloso?»

«Proprio per questo tutto cominciò. Mi parlava dei suoi amici e persino dei suoi amanti. Si divertiva a raccontarmi i particolari... Dapprima tacqui... Poi, in una crisi di gelosia, le dissi di tutto e finii per picchiarla...

Ero convinto che si burlasse di me e che alzandosi dal mio letto di ferro andasse a raccontare agli altri la mia goffaggine o la mia ingenuità... Litigammo molte volte in quel modo... Rimasi un mese senza vederla...»

«Era lei a tornare alla carica?»

«Lei o io. Uno dei due chiedeva sempre scusa... Ci amammo davvero, signor commissario...»

«Chi parlò di matrimonio?»

«Non lo so più. Francamente è impossibile dirlo...

Eravamo arrivati al punto di farci male apposta... A volte arrivava alle tre del mattino, mezza ubriaca, e bussava alla porta della mia camera... Se, imbronciato, non rispondevo subito, i vicini protestavano a causa del baccano... Non conto le volte in cui minacciarono di cacciarmi fuori... Anche in farmacia, certe mattine, arrivavo in ritardo, non sempre molto sveglio...»

«Beveva molto?»

«Bevevamo entrambi... Mi chiedo perché... Era meccanico... Ci esaltava di più... Alla fine, ci accorgemmo che io non potevo vivere senza di lei e lei non poteva vivere senza di me...»

«Dove abitava lei a quell'epoca?»

«Nella casa che ha visto, in rue Lopert... Erano le due o le tre del mattino, una notte, in un cabaret, quando ci guardammo e di colpo sobri, ci chiedemmo seriamente quello che dovevamo fare».

«Non si ricorda chi lo chiese per primo?»

«Francamente, no. Per la prima volta, la parola matrimonio venne pronunciata, dapprima con tono di scherzo o quasi. E' difficile dirlo, dopo così tanto tempo».

«Sua moglie aveva cinque anni più di lei?»

«E anche qualche milione in più. Non potevo, una volta diventato suo marito, passare la giornata dietro il banco di una farmacia... Lei conosceva un certo Virieu, a cui i genitori avevano lasciato una casa farmaceutica abbastanza modesta... Virieu non era farmacista...

A trentacinque anni, aveva diviso la sua vita tra il Fouquet's, il Maxim's e il casinò di Deauville...

Christine investì del denaro nella società Virieu e io ne divenni il direttore...»

«Insomma, lei realizzò così la sua ambizione?»

«Può dare quest'impressione, è vero. Se si ripercorrono i fatti nel loro svolgimento, può sembrare che io avessi preparato ogni tappa, con cognizione di causa.

Eppure, le assicuro che non è così.

«Sposai Christine perché l'amavo appassionatamente e se avessi dovuto separarmene, forse mi sarei suicidato... dal canto suo, lei mi supplicò di vivere legalmente con lei...

«Da molto tempo non aveva più avventure e, a sua volta gelosa, era arrivata al punto di odiare le clienti della farmacia e di spiarmi...

«Si presentava l'occasione di farmi una posizione al livello del suo tipo di vita... Il denaro investito nell'azienda rimase a suo nome ed il matrimonio ebbe luogo sotto il regime della separazione dei beni...

«Alcuni mi presero per un mantenuto e non sempre fui ben accolto nel nuovo ambiente dove ormai vivevo...»

«Foste felici?»

«Credo di sì. Lavorai molto. I laboratori, un tempo poco importanti, sono da annoverare oggi tra i quattro più grandi di Parigi. Uscivamo anche molto, di modo che non c'erano mai momenti vuoti nelle mie giornate o nelle mie notti...»

«Non vuole mangiare?»

«Non ho fame. Se permette, prendo un altro bicchiere di birra...»

«Era ubriaco, la notte scorsa?»

«E' proprio su questo punto che mi hanno fatto più domande stamattina. Forse lo sono stato a un certo punto, ma mi ricordo tutto...»

«Non ho voluto leggere la deposizione che ha fatto a Auteuil e che ho qui...»

Maigret la sfogliò con mano distratta.

«Vorrebbe apportarvi delle correzioni?»

«Ho detto la verità, forse con una certa veemenza, a causa dell'atteggiamento dell'ispettore... Fin dalle prime domande ho capito che mi considerava un assassino... Poi, al momento del sopralluogo del procuratore in rue Lopert ho avuto l'impressione che il giudice condividesse la sua convinzione...»

Tacque qualche istante.

«Li capisco... Ho avuto torto a indignarmi...»

Maigret mormorò senza esitare:

«Non ha ucciso sua moglie?»

E Josset scosse la testa. Non protestava più con collera. Si sentiva stanco, scoraggiato.

«So che è difficile da spiegare...»

«Vuole riposarsi?»

L'uomo esitò. Oscillava leggermente sulla sedia.

«E' meglio continuare... Mi permette soltanto di alzarmi e camminare?»

Anche lui aveva voglia di andare alla finestra e guardare fuori, al sole, il mondo di coloro che proseguivano la loro esistenza quotidiana.

Il giorno prima, apparteneva ancora a quel mondo.

Maigret lo seguiva con gli occhi, sognante. Lapointe aspettava con la matita tra le dita.

In boulevard Voltaire, nella sala tranquilla, un po' troppo, dalla calma quasi soffocante, dove le donne sferruzzavano e chiacchieravano, il dottor Pardon ascoltava ogni parola di Maigret.

Costui, tuttavia, sentiva che era rimasto un legame visibile tra il suo interlocutore ed il telefono sulla consolle, tra il medico e il sarto polacco che conduceva un'ultima battaglia tra i suoi cinque figli e la moglie isterica.

Passò un autobus, si fermò, ripartì dopo aver caricato due ombre ed un ubriaco andò a sbattere contro i muri senza smettere di canticchiare.