2) I gerani di Rue Caulaincourt
«Mio Dio!» esclamò all'improvviso Alice alzandosi.
«Ho dimenticato i liquori!»
Era sconvolta. Quand'era ragazza, partecipava a quelle cene che doveva trovare noiose. Durante i primi mesi di matrimonio, l'avevano vista una volta o due, per mostrarsi nel suo nuovo ruolo di moglie, alla pari, insomma, della madre.
Da quando era incinta, veniva sovente in boulevard Voltaire, dove giocava volentieri alla padrona di casa e improvvisamente aveva iniziato ad attribuire più importanza della madre ai minimi particolari domestici.
Il marito, veterinario da poco, balzò giù dalla sedia, costrinse la moglie a risedersi, andò nella sala da pranzo a cercare l'armagnac per gli uomini e per le donne un liquore olandese che si trovava soltanto a casa dei Pardon.
Come la maggioranza delle sale d'aspetto dei medici quella era mal illuminata, i mobili erano insignificanti e malandati. Maigret e Pardon, davanti alla finestra aperta, vedevano le luci crude del boulevard dove le foglie degli alberi incominciavano a fremere. Si annunciava un temporale?
«Armagnac, commissario?»
Maigret sorrise distrattamente al giovanotto perché, se pur cosciente del luogo in cui si trovava, con il pensiero era rimasto nel suo ufficio bagnato di sole, quel famoso martedì dell'interrogatorio.
Sembrava più pesante che a cena, della stessa pesantezza grave del dottore. Si erano sempre capiti al volo, lui e Pardon, benché si fossero conosciuti molto tardi, quando ciascuno aveva già compiuto gran parte della carriera. Fin dal primo giorno, tra loro era regnata la fiducia e avevano provato reciproco rispetto.
Forse dipendeva dal fatto che avevano lo stesso tipo di onestà, non solo verso gli altri ma verso se stessi?
Non imbrogliavano, non s'indoravano la pillola, si guardavano in faccia.
E quella sera, Maigret si era improvvisamente messo a parlare non tanto per distogliere l'amico dai suoi pensieri quanto perché la telefonata aveva destato in lui sentimenti simili a quelli che turbavano Pardon.
Non si trattava di un senso di colpa e Maigret non sopportava quella parola. Non si trattava neanche di rimorsi.
Entrambi, per lavoro, il lavoro che avevano scelto, si trovavano a volte costretti a fare una scelta, scelta decisiva per il destino altrui: nel caso di Pardon per la vita o la morte di un uomo.
Niente di romantico nel loro atteggiamento. Né abbattimento, né ribellione. Soltanto una certa gravità malinconica.
Il giovane Bruart esitava a sedersi accanto a loro.
Avrebbe voluto sapere di cosa parlavano sottovoce, ma consapevole di non far ancora parte del clan, riprese posto vicino alle donne.
«Eravamo in tre nell'ufficio» disse Maigret. «Il giovane Lapointe che stenografava la conversazione lanciandomi di tanto in tanto un'occhiata, Adrien Josset, ora in piedi ora seduto sulla sedia, e io che mi piantavo il più delle volte con la schiena verso la finestra aperta.
«Mi rendevo conto della stanchezza dell'uomo.
Non aveva dormito. Aveva bevuto molto la sera prima, poi di nuovo durante la notte. Sentivo come delle ondate di stanchezza, a volte vere e proprie vertigini, impadronirsi di lui e talora i suoi occhi un po' torbidi diventavano fissi, privi di espressione, come se sprofondando nel torpore, si sforzasse di risalire in superficie.
«Può sembrare crudele avere proseguito comunque quel primo interrogatorio che sarebbe durato più di tre ore.
«Eppure, tenevo duro tanto per lui quanto per dovere. Da una parte, non avevo il diritto di trascurare la possibilità di ottenere una confessione, se avesse avuto qualcosa da confessare. Dall'altra, a meno di fargli un'iniezione o dargli un sedativo, non avrebbe trovato pace, date le sue condizioni nervose.
«Aveva bisogno di parlare, parlare subito e se l'avessi mandato al Carcere provvisorio, avrebbe continuato a parlare da solo.
«I giornalisti, i fotografi aspettavano nel corridoio, da cui provenivano scoppi di voci e di risate.
«A quell'ora, i giornali del pomeriggio erano già usciti. Ero sicuro che parlassero del delitto di Auteuil e che le fotografie di Josset scattate quella mattina in rue Lopert fossero in prima pagina.
«Presto ricevetti una telefonata del giudice Coméliau, sempre ansioso di ottenere una rapida soluzione dei casi di cui era incaricato.
«"Josset è da lei?"
«"Sì".
«"Confessa?"
«L'uomo mi guardava intuendo che si parlava di lui.
«"Sono molto occupato" dissi senza precisare.
«"Nega?"
«"Non so".
«"Gli faccia capire che è nel suo interesse..."
«"Proverò".
«Coméliau non è cattivo. L'hanno chiamato il mio nemico intimo, perché a volte ci siamo scontrati.
«Non è colpa sua, in realtà. Dipende dall'idea che ha del suo ruolo, dunque del suo dovere. Ritiene che, pagato per difendere la società, deve dimostrarsi spietato verso tutto quello che minaccia di turbare l'ordine stabilito. Penso che non abbia mai conosciuto il dubbio. Serenamente, separa i buoni dai cattivi, senza riuscire a credere che la gente possa trovarsi in mezzo.
«Se gli avessi confessato che non avevo ancora un'opinione in proposito, non mi avrebbe creduto o mi avrebbe accusato di rilassatezza nell'esercizio delle mie funzioni.
«Eppure, dopo un'ora, dopo due ore d'interrogatorio, ero incapace di rispondere alla domanda che Josset mi poneva di tanto in tanto, lanciandomi uno sguardo supplichevole:
«"Lei mi crede, vero?"
«Il giorno prima non lo conoscevo. Non avevo mai sentito parlare di lui. Il suo nome mi era vagamente familiare per avere preso dei medicinali sulla cui scatola era scritto Josset et Virieu.
«Stranamente, non avevo mai messo piede in rue Lopert, che avevo scoperto quel mattino con un certo stupore.
«Nel quartiere che circonda la chiesa di Auteuil, i delitti sono rari. E rue Lopert, che non porta in nessun luogo, strada privata più che una via vera e propria, ha una ventina di case che potrebbero limitare un viale di provincia.
«E' a due passi da rue Chardon-Lagache, eppure ci si sente molto lontani dai rumori di Parigi; le strade vicine, invece di ricordare i grandi uomini della repubblica, hanno nomi di scrittori: rue Boileau, rue Théophile-Gautier, rue Leconte-de-Lisle...
«Avevo voglia di tornare in quella casa diversa dalle altre della via, una casa quasi tutta di vetro, dagli angoli inaspettati, costruita all'epoca delle arti decorative, verso il 1925.
«Tutto mi era estraneo: la decorazione, i colori, i mobili, la disposizione delle stanze ed avrei avuto difficoltà a dire che genere di vita vi si conduceva.
«Tuttavia, l'uomo davanti a me, lottando contro la stanchezza e la bocca impastata, mi chiedeva con sguardo ansioso e al tempo stesso rassegnato:
«"Lei mi crede, vero?"
«L'ispettore di Auteuil non gli aveva creduto e sembrava averlo trattato senza riguardo.
«A un certo punto, fui costretto ad aprire la porta per chiedere ai giornalisti che facevano troppo baccano nel corridoio di tacere...»
Per la seconda o la terza volta, Josset rifiutò il panino che gli veniva offerto. Pareva che a tutti i costi volesse continuare fino in fondo con lo stesso slancio, prevedendo che le forze avrebbero potuto abbandonarlo da un momento all'altro.
E forse non soltanto perché aveva di fronte un commissario capo, qualcuno che aveva un'influenza sulla sua sorte.
Aveva bisogno di convincere, di convincere chiunque, un'altra persona.
«Eravate felici, lei e sua moglie?»
Cosa avrebbero risposto Maigret e Pardon alla stessa domanda?
Anche Josset esitava.
«Credo che in certi periodi lo siamo stati... Soprattutto quando eravamo soli... Soprattutto di notte...
Eravamo veri amanti... Capisce cosa intendo?... E se avessimo potuto essere più spesso soli...»
Avrebbe tanto voluto essere preciso!
«Non so se lei conosce quell'ambiente... Neanch'io lo conoscevo prima di entrarvi... Christine vi era cresciuta fin dall'infanzia... Ne aveva bisogno... Aveva molti amici... Si creava un sacco di obblighi... Appena restava sola un momento, prendeva il telefono...
C'erano i pranzi, i cocktail, le cene, le prove generali e le cene nei cabaret... C'erano centinaia di persone che chiamavamo per nome e che ritrovavamo sempre negli stessi posti...
«Lei mi ha amato, ne sono sicuro... forse, in un certo senso, mi amava ancora...»
«E lei?» chiese Maigret.
«Anch'io. Non mi si crederà. Anche i nostri amici, che sono al corrente, sosterranno il contrario. Tuttavia, quello che ci legava era forse più forte di quello che generalmente viene chiamato amore.
«Ormai eravamo amanti in rare occasioni...»
«Da quando?»
«Da qualche anno... Quattro o cinque... Non so esattamente... Non potrei neanche dire com'è accaduto...»
«Litigavate?»
«Sì e no. Dipende dal significato che si dà alle parole.
Ci conoscevamo troppo bene. Non c'erano più illusioni possibili, neanche imbrogli. Avevamo finito per diventare spietati...»
«Spietati in che senso?»
«Per ogni piccolo difetto, ogni minima forma di vigliaccheria che è di ciascuno. Nei primi tempi, vengono ignorati o, se vengono scoperti, si è tentati di vederli sotto una luce tale per cui diventano attraenti...»
«Li si trasforma in qualità?»
«Diciamo che l'altro diventa più umano, più vulnerabile, tanto da avere voglia di proteggerlo o di circondarlo di tenerezza... Vede, alla base di tutto, forse c'è il fatto che non ero preparato a quella vita...
«Conosce i nostri uffici, in avenue Marceau? Abbiamo anche dei laboratori a Saint-Mandé, poi in Svizzera e in Belgio... Essi rappresentavano o rappresentano ancora una parte della mia vita, la parte più solida... Mi chiedeva prima se fossi stato felice... Dirigendo un'azienda sempre più importante, avevo una sensazione di pienezza... Poi, all'improvviso, squillava il telefono... Christine mi dava appuntamento da qualche parte...»
«Nei confronti di sua moglie, a causa del suo denaro, lei provava soggezione?»
«Non credo. Alcuni hanno creduto e forse continuano a credere che io abbia fatto un matrimonio d'interesse».
«E' falso? Il denaro non era preso in considerazione?»
«Lo giuro».
«L'azienda è rimasta a nome di sua moglie?»
«Purtroppo no. Lei ne ha conservato una parte considerevole, ma una parte quasi uguale mi è stata riconosciuta sei anni fa».
«Su sua richiesta?»
«Su richiesta di Christine. Badi che nella sua mente non si trattava di riconoscere il risultato dei miei sforzi, ma di sfuggire a una parte delle imposte senza cedere azioni a terzi... Ahimè! Non posso provarlo e questo si rivolterà contro di me... Come il fatto che Christine ha scritto un testamento in mio favore...
Non l'ho letto... Non l'ho visto... Non so dove si trovi...
E' lei che me ne ha parlato, una sera che era malinconica e si credeva malata di cancro».
«Era in buona salute?»
Esitò, dando sempre l'impressione di uno scrupoloso che vuole dare alle parole il loro giusto significato.
«Non aveva né cancro, né malattie di cuore, né nessuna malattia di cui si parla ogni settimana sui giornali e in merito a cui si organizzano collette per strada. Dal mio punto di vista, era comunque molto malata... Negli ultimi tempi, godeva di piena lucidità soltanto poche ore al giorno e qualche volta passava due o tre giorni chiusa nella sua camera...»
«Non dormivate nella stessa stanza?»
«L'abbiamo fatto per anni... Poi dal momento che mi alzavo presto e la svegliavo, mi sono trasferito nella stanza a fianco...»
«Beveva molto?»
«Se interroga i suoi amici, come farà di sicuro, le diranno che non beveva più di molti di loro... Ma la vedevano soltanto in un certo ruolo, capisce?... Ignoravano che un'uscita di due o tre ore fosse preceduta da molte ore a letto e che al risveglio il giorno dopo, avesse bisogno di rifornirsi di alcol o di ricorrere a dei farmaci...»
«Lei non beve?»
Josset si strinse nelle spalle, come avesse voluto dire che a Maigret bastava guardarlo per trovare la risposta.
«Meno di lei, comunque. Meno morbosamente.
Altrimenti, i laboratori non esisterebbero più da molto tempo. Ma mi capita di ubriacarmi, di comportarmi come uno che ha bevuto, così gli stessi amici le diranno che io ero il più ubriacone dei due. Soprattutto perché in quei casi, divento anche violento. Se lei non ha provato le stesse esperienze, come può capire?»
«Ci provo!» sospirò Maigret.
E a bruciapelo:
«Ha un'amante?»
«Ecco! Mi ha fatto la stessa domanda l'ispettore stamattina e quando ho risposto, ha avuto l'aria trionfante di chi finalmente mette un dito sulla verità».
«Da quando?»
«Da un anno».
«Quindi molto dopo che i rapporti con sua moglie avevano cominciato a deteriorarsi, ossia, mi pare, cinque o sei anni fa?»
«Molto dopo, sì e non vi è alcun nesso. Prima avevo avuto delle avventure come tutti, la maggior parte abbastanza brevi».
«Mentre da un anno è innamorato?»
«M'infastidisce adoperare la stessa parola che ho usato per Christine, perché è molto diverso. Ma come dire?»
«Chi è?»
«La mia segretaria. Quando ho dato questa risposta all'ispettore, pareva che se l'aspettasse, che fosse entusiasta della sua lungimiranza. Perché è talmente banale da essere diventato argomento di scherzo, no?
Eppure...»
Non c'era più birra nei bicchieri. La maggior parte dei passanti che prima si vedevano andare e venire sul ponte e sul lungosenna erano stati assorbiti dagli uffici e dai negozi dove era ripreso il lavoro.
«Si chiama Annette Duché, ha vent'anni e il padre è capufficio alla sottoprefettura di Fontenay-la-Comte.
E' a Parigi al momento e mi stupirebbe, quando usciranno i giornali, che non venisse qui».
«Per accusarla?»
«E' possibile. Non so. Da un momento all'altro accade un certo fatto, una persona muore in circostanze non ben determinate e tutto diventa molto complicato.
Capisce cosa intendo? Niente è più naturale, ovvio o fortuito. Ogni iniziativa, ogni parola acquistano un significato schiacciante. Le assicuro che sono lucido.
Mi ci vorrà del tempo per dare ordine alle idee ma ora vorrei tanto che lei sapesse che non le nascondo niente e che farò di tutto perché lei scopra la verità...
«Annette lavorò per sei mesi in avenue Marceau senza che mi accorgessi della sua presenza, perché il signor Jules, il capo del personale, l'aveva assegnata al reparto spedizioni che è a un altro piano e dove metto piede raramente. Un pomeriggio in cui la mia segretaria era indisposta e io dovevo dettare un rapporto importante, mi fu mandata Annette. Lavorammo fino alle undici di sera nei locali vuoti e, avendo dei rimorsi per averle impedito di cenare, la portai a mangiare un boccone in un ristorante del quartiere.
«Potrei dire che è tutto... Ho passato i quaranta e lei ha vent'anni. Assomiglia a certe ragazze che conobbi a Sète e a Montpellier... Esitai a lungo... Prima la feci trasferire in un ufficio vicino, dove mi era possibile osservarla... Presi informazioni su di lei... Seppi che era una brava ragazza, che aveva vissuto con una zia in rue Lamarck e che dopo aver litigato con lei, aveva preso in affitto un appartamentino in rue Caulaincourt...
«E' ridicolo, va bene! Comunque andai a passeggiare in rue Caulaincourt e vidi dei vasi di gerani alla finestra del quarto piano.
«Per quasi tre mesi non accadde nulla. Poi, aprimmo una succursale a Bruxelles dove mandai la mia segretaria e misi Annette al suo posto...»
«Sua moglie lo sapeva?»
«Io non le nascondevo niente e neanche lei».
«Aveva degli amanti?»
«Se rispondo, si sosterrà che per difendermi non esito a screditare la sua memoria... Morendo la gente diventa sacra...»
«Come reagì?»
«Christine? All'inizio non reagì, limitandosi a guardarmi con un tocco di pietà.
«"Povero Adrien! Sei rimasto a questo punto..."
«Mi chiedeva notizie della piccola, la chiamava così.
«"Non è ancora incinta? Cosa farai quando capiterà?
Chiederai il divorzio?"»
Maigret, con le sopracciglia aggrottate, guardò il suo interlocutore con più attenzione.
«Annette è incinta?» chiese.
«No! Questo, almeno, sarà facile provarlo».
«Abita ancora in rue Caulaincourt?»
«Non ha cambiato niente della sua vita. Non le ho arredato l'appartamento; non le ho comprato la macchina né i gioielli né la pelliccia... I gerani sono rimasti sul davanzale della finestra... Nella camera da letto c'è un armadio in noce con lo specchio come quello dei miei genitori e la cucina continua a servire anche da sala da pranzo...»
Le sue labbra fremevano, come se lanciasse una grande sfida.
«Non voleva che cambiasse?»
«No».
«Passava spesso la notte in rue Caulaincourt?»
«Una o due volte la settimana».
«Può farmi il racconto più esatto possibile della giornata di ieri e della notte?»
«A partire da che momento?»
«Dal mattino».
Maigret si voltò verso Lapointe come per raccomandargli di registrare attentamente l'impiego di quel lasso di tempo.
«Mi sono alzato alle sette e mezzo, come al solito e sono andato sulla terrazza per fare ginnastica».
«Era in rue Lopert?»
«Sì».
«Cosa aveva fatto la sera prima?»
«Christine e io eravamo andati alla prima di Les Témoins, al teatro della Madeleine e poi avevamo cenato in un cabaret di place Pigalle».
«Niente litigi?»
«No. Avrei avuto una giornata pesante davanti a me il giorno dopo. Abbiamo esaminato l'eventualità di cambiare l'imballaggio di alcuni nostri prodotti, e la presentazione ha un'enorme influenza sulle vendite».
«A che ora è andato a letto?»
«Attorno alle due del mattino».
«Sua moglie è andata a dormire alla stessa ora?»
«No. L'ho lasciata a Montmartre con degli amici che abbiamo incontrato».
«Il nome?»
«I Joublin. Gaston Joublin è avvocato. Abitano in rue Washington».
«Sa a che ora è rientrata sua moglie?»
«No. Ho il sonno profondo».
«Avevate bevuto?»
«Qualche coppa di champagne. Ero perfettamente lucido, soltanto preoccupato per il lavoro del giorno dopo».
«Al mattino, è entrato nella camera di sua moglie?»
«Ho socchiuso la porta e ho visto che dormiva».
«Non l'ha svegliata?»
«No».
«Perché ha aperto la porta?»
«Per accertarmi che fosse rientrata».
«Capitava che non rientrasse?»
«Qualche volta».
«Era sola?»
«Che io sappia non ha mai portato nessuno in casa».
«Quanti domestici avete?»
«Pochi, tutto sommato, per una casa come la nostra.
E' vero che pranzavamo raramente in casa. La cuoca, signora Siran, che è più che altro quella che gli inglesi chiamano una housekeeper, non dorme da noi e vive con il figlio nel quartiere di Javel, dall'altra parte del ponte Mirabeau. Il figlio deve avere una trentina d'anni, è celibe, non sta molto bene di salute e lavora nella metropolitana.
«Sotto il nostro tetto dorme soltanto la cameriera, una spagnola che si chiama Carlotta...»
«Chi prepara la colazione?»
«Carlotta. La signora Siran arriva quando sto per uscire».
«Ieri mattina tutto si è svolto come gli altri giorni?»
«Sì... Cerco... Non vedo niente di particolare...
Ho fatto il bagno, mi sono vestito, sono sceso a mangiare un boccone e quando stavo per entrare in macchina, che rimane sempre davanti alla porta, ho visto la signora Siran che girava l'angolo della strada, con la borsa sotto il braccio, perché strada facendo fa la spesa...»
«Avete soltanto una macchina?»
«Due... Io ne uso una inglese a due posti, perché ho la passione per le macchine sportive... Christine guidava una macchina americana...»
«L'auto di sua moglie era lungo il bordo del marciapiede?»
«Sì. Rue Lopert è tranquilla, poco frequentata ed è facile parcheggiare».
«Si è recato subito in avenue Marceau?»
Josset arrossì, si strinse impercettibilmente nelle spalle.
«No! E anche questo ovviamente si ritorcerà contro di me. Sono andato a prendere Annette in rue Caulaincourt».
«Ci va ogni mattina?»
«Quasi. La mia macchina è decappottabile. In primavera è un piacere attraversare Parigi presto...»
«Arriva in ufficio in compagnia della sua segretaria?»
«Per molto tempo l'ho lasciata alla più vicina stazione della metropolitana. Alcuni impiegati ci hanno visto.
Tutti hanno finito per sapere, ho preferito essere franco e credo di aver provato un certo piacere a non nascondere niente, addirittura ad affrontare l'opinione altrui. Detesto, vede, certi sorrisi, i bisbigli, l'aria di intesa. Dal momento che non c'è niente di male nella nostra relazione, non vedo perché...»
Cercava approvazione ed il commissario rimase impassibile. Era il suo ruolo.
Il tempo era lo stesso del giorno prima, una stuzzicante mattina di primavera e la macchina sportiva scendeva da Montmartre, s'intrufolava nel traffico, costeggiava i cancelli a punta dorata del parco Monceau, attraversava place des Ternes, girava intorno all'Arco di Trionfo all'ora in cui una folla ancora fresca si precipitava verso il lavoro.
«Ho passato la mattina a discutere con i capireparto, in particolare con il capo dell'ufficio vendite...»
«In presenza di Annette?»
«Lavora nel mio ufficio».
Probabilmente le alte finestre davano sulla via elegante, dove le macchine di lusso rimanevano in sosta lungo i marciapiedi.
«Avete pranzato insieme?»
«No. Ho invitato al Berkeley un importante cliente inglese che era appena arrivato».
«Non aveva notizie di sua moglie?»
«Le ho telefonato alle due e mezza, tornando in ufficio».
«Era alzata?»
«Si stava svegliando. Mi ha annunciato che avrebbe fatto delle commissioni, poi che avrebbe cenato con un'amica».
«Non ha detto il nome?»
«Mi pare di no. Me ne ricorderei. Capita sovente e non vi ho badato. Abbiamo quindi ripreso la riunione interrotta a mezzogiorno».
«Non è accaduto niente d'insolito durante il pomeriggio?»
«Non è insolito ma ha la sua importanza... Verso le quattro, ho mandato un nostro fattorino in un negozio della Madeleine a comprare degli antipasti, un'aragosta, dell'insalata russa e della frutta... Gli ho raccomandato di comprare due cassette delle prime ciliegie, se le avesse trovate... Ha lasciato tutto nella mia macchina... Alle sei i miei collaboratori se ne sono andati così come la maggior parte degli impiegati... Alle sei e un quarto, il signor Jules, il più anziano della ditta, è venuto a chiedermi se non avessi più bisogno di lui e se n'è andato a sua volta...»
«E il suo socio, il signor Virieu?»
«Aveva lasciato l'ufficio alle cinque... Nonostante gli anni, è rimasto un dilettante ed il suo ruolo è piuttosto rappresentativo... Generalmente invita i nostri corrispondenti stranieri e i grossi clienti di provincia a pranzo o a cena...»
«Era anche lui a pranzo con l'inglese?»
«Sì. Partecipa anche ai congressi».
«Lei e la sua segretaria siete rimasti soli nella ditta?»
«A parte il custode, ovviamente. Ci capita spesso.
Siamo scesi e una volta in macchina, ho deciso di approfittare del bel tempo per andare a prendere l'aperitivo fuori città... Mi rilassa guidare... Abbiamo raggiunto in poco tempo la valle di Chevreuse e abbiamo bevuto un bicchiere in una locanda...»
«Lei e Annette non cenate mai al ristorante?»
«Raramente. All'inizio evitavo di farlo perché mantenevo la nostra relazione più o meno segreta. Poi, ho preso gusto alle nostre cenette nell'appartamentino di rue Caulaincourt...»
«Con i gerani alla finestra».
Josset parve ferito.
«La fa sorridere?» chiese leggermente aggressivo.
«No».
«Non capisce?»
«Credo di sì».
«Anche l'aragosta dovrebbe aiutarla... Nella mia famiglia, quand'ero bambino, mangiavamo l'aragosta nelle grandi occasioni... Anche dai genitori di Annette...
Quando ci facevamo la cenetta, come la chiamavamo noi, cercavamo dei piatti di cui abbiamo avuto voglia in gioventù... A proposito, con lo stesso spirito le ho fatto un regalo: un frigorifero che stona nell'appartamento poco moderno, ma ci permette di tenere il vino bianco al fresco, a volte di aprire una bottiglia di champagne... Non si burla di me?»
Maigret lo rassicurò con un gesto. Lapointe sorrideva come gli fossero tornati alla mente ricordi recenti.
«Era un po' prima delle otto quando siamo arrivati in rue Caulaincourt. Devo fare un'altra parentesi. La custode, all'inizio materna con Annette, quando non avevo ancora messo piede in quella casa, l'ha poi presa in antipatia e quando passa borbotta parolacce voltandomi decisamente la schiena... Siamo passati davanti alla portineria dove la famiglia era a tavola e giurerei che quella donna ci ha guardato con un sorriso cattivo...
«Mi ha talmente colpito che ho avuto voglia di tornare indietro e di chiederle cosa avesse provocato in lei quella specie di giubilo...
«Non l'ho fatto ma abbiamo avuto la risposta mezz'ora dopo... In casa, mi sono tolto la giacca e mentre Annette si cambiava, ho apparecchiato la tavola. Non lo nascondo... Anche questo mi piace, mi ringiovanisce...
Lei mi parlava dalla stanza vicina, mentre di tanto in tanto io lanciavo un'occhiata attraverso la porta socchiusa... Ha un corpo fresco, chiaro, riposante...
«Immagino che tutto quanto sarà spiattellato in pubblico... A meno che qualcuno mi creda...»
Chiuse gli occhi dalla stanchezza e Maigret andò a cercargli un bicchiere d'acqua nell'armadio a muro, esitando a servirgli un po' dell'acquavite di cui teneva sempre una bottiglia di riserva.
Era troppo presto. Temeva di provocare un'eccitazione artificiale.
«Nel momento in cui stavamo sedendoci a tavola davanti alla finestra aperta, Annette si è messa ad ascoltare i passi fuori dalla porta e poco dopo anch'io ho udito dei passi per le scale. Non era per nulla sorprendente, perché lo stabile ha cinque piani e ci sono tre appartamenti sopra la nostra testa.
«Perché improvvisamente si è sentita imbarazzata per non avere addosso che una vestaglietta di raso blu? I passi si sono fermati sul nostro pianerottolo.
Nessuno ha bussato alla porta ma una voce ha esclamato:
«"Lo so che ci sei. Apri!"
«Era suo padre. Da quando ci conoscevamo Annette e io, non era mai venuto a Parigi. Non l'avevo mai visto.
Me l'aveva descritto come un uomo triste, severo e chiuso. Vedovo da molti anni, viveva solo, ripiegato su se stesso, senza concedersi il minimo svago.
«"Un attimo, papà!..."
«Era troppo tardi per rivestirsi. Io non ho pensato a indossare la giacca. Lei ha aperto la porta. Lui ha guardato subito me, con gli occhi duri sotto folte sopracciglia grigie.
«"Il tuo capo?" chiese alla figlia.
«"Il signor Josset, sì".
«Il suo sguardo vagava sulla tavola, si è fermato sulla macchia rossa dell'aragosta, sulla bottiglia di vino del Reno.
«"E' proprio quello che mi avevano detto" ha mormorato allora sedendosi su una sedia.
«Non si era tolto il cappello. Mi ha esaminato dalla testa ai piedi, con una smorfia disgustata.
«"Suppongo lei abbia il pigiama e le pantofole nell'armadio?"
«Non si sbagliava e arrossii. Se fosse entrato nel bagno, vi avrebbe trovato il rasoio, il pennello da barba, lo spazzolino da denti e anche il dentifricio a cui sono abituato.
«Annette, che all'inizio non osava alzare gli occhi su di lui, aveva cominciato a osservarlo e aveva notato che ansimava in modo strano, forse a causa delle scale.
Inoltre, dondolava il torace in modo curioso.
«"Hai bevuto, papà?" ha esclamato.
«Non beveva mai. Probabilmente, nel corso della giornata era già venuto in rue Caulaincourt e aveva parlato con la custode. Forse era lei che gli aveva scritto per metterlo al corrente.
«Per aspettare, doveva essersi appostato nel bar di fronte da cui ci aveva visto entrare in casa.
«Aveva bevuto per farsi coraggio. Era un uomo dalla carnagione grigiastra, dai vestiti svolazzanti, che doveva essere stato grasso e forse anche allegro.
«"Così era vero..."
«Spiava prima uno e poi l'altra, cercando le parole, probabilmente a disagio come noi.
«Infine, girato verso di me, chiese, minaccioso e al tempo stesso vergognandosi:
«"Cosa conta di fare?"»