4) Seguito della notte di Adrien Josset

 

Un giorno che si parlava del famoso interrogatorio e dei non meno tradizionali interrogatori di terzo grado della polizia americana, Maigret aveva detto che i sospettati con maggiore possibilità di cavarsela sono gli imbecilli. Finita nell'orecchio di un giornalista, la battuta era diventata una notizia che la stampa riproduceva periodicamente con alcune varianti.

In realtà, voleva dire, e lo pensava ancora, che un individuo rozzo è per natura diffidente, sempre sulle difensive, risponde con poche parole senza preoccuparsi di essere creduto e, se messo in contraddizione, non si lascia smontare ma rimane accanitamente attaccato alla sua dichiarazione.

Invece, l'uomo intelligente sente il bisogno di spiegarsi, di dissipare i dubbi nella mente del suo interlocutore.

Cercando di convincere, previene le domande che prevede, fornisce troppi particolari e ostinandosi a costruire un sistema coerente, finisce per dare degli appigli.

Allora, colta in fallo la sua logica, è raro che non si confonda e che, vergognandosi, preferisca confessare.

Anche Adrien Josset preveniva le domande, ansioso di spiegare fatti e gesti apparentemente incoerenti.

Non soltanto ammetteva tale incoerenza, ma la sottolineava, a volte con l'aria di cercarne la chiave ad alta voce.

Colpevole o innocente, conosceva abbastanza bene il meccanismo di un'indagine per sapere che, una volta incominciata, diventava un ingranaggio in cui prima o poi, sarebbe sfilato ogni suo atto e ogni gesto più insignificante compiuto da lui durante la notte.

Metteva tanto ardore nel dire tutto che due o tre volte Maigret era stato sul punto d'interrompere quella sorta di confessione, che, secondo il commissario, giungeva prima del tempo.

Infatti, di solito, il momento giusto lo sceglieva Maigret. Preferiva avere prima una visione più completa e più personale del caso. Quel mattino, aveva dato a malapena un'occhiata al palazzo di rue Lopert, senza sapere nulla dei suoi abitanti e quasi nulla del delitto.

Non aveva interrogato nessuno, né la cameriera spagnola, né la signora Siran, la cuoca il cui figlio lavorava nella metropolitana e che ogni sera tornava a Javel.

Non aveva nessuna idea dei vicini, non aveva visto Annette Duché, né il padre venuto da Fontenay-le-Comte dietro un invito più o meno misterioso. E doveva ancora conoscere la sede sociale dei prodotti farmaceutici Josset et Virieu in avenue Marceau, gli amici di Josset, tanti personaggi bene o male importanti!

Il dottor Paul aveva finito di eseguire l'autopsia e doveva essere stupito di non ricevere la telefonata abituale del commissario che aveva raramente la pazienza di aspettare il rapporto scritto. Anche sopra, al casellario giudiziale, si lavorava sugli indizi rilevati al mattino.

Torrence, Lucas, forse dieci ispettori seguivano la routine e negli uffici del Quai des Orfèvres interrogavano Carlotta e altri testimoni minori.

Maigret avrebbe potuto interrompere l'interrogatorio per andare in cerca di notizie e lo stesso Lapointe chino sul quaderno su cui stenografava, si stupiva di vederlo ascoltare pazientemente, senza controllare, senza cercare di mettere Josset in difficoltà.

Le domande che faceva raramente erano tecniche ed alcune sembravano non avere alcun rapporto con gli avvenimenti di quella notte.

«Mi dica, signor Josset, immagino che in avenue Marceau o nei suoi laboratori di Saint-Mandé, a volte sia necessario sbattere fuori un impiegato od un'operaia?»

«Capita in tutte le aziende».

«Se ne incarica lei personalmente?»

«No... Lascio che se ne occupi il signor Jules...»

«Ha avuto occasionalmente difficoltà di ordine commerciale?»

«E' inevitabile. Tre anni fa per esempio, si asserì che un nostro prodotto non era assolutamente puro e che di conseguenza aveva provocato delle complicanze...»

«Chi se ne occupò?»

«Il signor Jules».

«Da quanto ho capito, è il capo del personale e non il direttore commerciale... Sembrerebbe dunque...»

Maigret s'interruppe, aggiunse dopo una pausa di riflessione:

«Non ama dire alla gente cose sgradevoli, vero? Ho notato che in rue Caulaincourt, lei ha promesso al signor Duché qualunque cosa, di divorziare, di sposare la figlia, piuttosto che avere una spiegazione franca.

«Scoprendo sua moglie morta, ha evitato di avvicinarsi e non ha neanche acceso la luce. La sua prima idea è stata di partire...»

Josset teneva il capo chino.

«E' vero... sono stato preso dal panico, non trovo altre parole...»

«Ha preso un taxi vicino alla chiesa di Auteuil?»

«Sì. Una 403 grigia, il cui autista ha l'accento meridionale...»

«Si è fatto portare in avenue Marceau?»

«Sì».

«Che ora era?»

«Non so».

«Deve essere passato davanti a molti orologi luminosi.

La sua intenzione era di prendere un aereo. Lei viaggia spesso in aereo. Conosce dunque gli orari di un certo numero di linee. Per lei, l'ora aveva grande importanza...»

«Me ne rendo conto ma non trovo una spiegazione.

Le cose non avvengono come ci s'immagina a sangue freddo».

«In avenue Marceau, ha chiesto al taxista di aspettarla?»

«Non volevo attirare l'attenzione. Ho pagato la corsa e ho attraversato il marciapiede. Per un attimo, frugando nelle tasche, ho creduto di avere dimenticato la chiave».

«Si è spaventato?»

«No. Avevo intenzione di partire ma ero fatalista.

Del resto ho ritrovato la chiave in una tasca in cui non ho l'abitudine di metterla. Sono entrato».

«Non rischiava di svegliare il custode?»

«In questo caso, gli avrei detto che mi servivano alcuni documenti per un viaggio d'affari deciso all'ultimo minuto. La cosa non mi preoccupava».

«In ogni caso, l'ha sentita?»

«No. Sono salito nel mio ufficio. Ho aperto la cassaforte, ho preso i quattrocentocinquantamila franchi che erano all'interno, mi sono chiesto dove nasconderli nel caso in cui mi avessero perquisito alla dogana.

Non vi ho dato molta importanza perché non mi hanno mai perquisito... Seduto al mio solito posto, sono rimasto una decina di minuti immobile, a guardarmi attorno».

«E' allora che ha deciso di non partire?»

«Mi sentivo troppo stanco. Non avevo più il coraggio...»

«Il coraggio di far cosa?»

«Di andare a Orly, di prendere un biglietto, di aspettare, di mostrare il passaporto, di avere paura...»

«Paura di essere arrestato?»

«Di essere interrogato. Pensavo a Carlotta che forse era andata al piano di sotto. Anche quando fossi sceso dall'aereo in un aeroporto straniero avrei ancora rischiato di essere interrogato. Nella migliore delle ipotesi, si trattava di cominciare una nuova vita, senza nessuno...»

«Ha rimesso il denaro nella cassaforte?»

«Sì».

«Cos'ha fatto, poi?»

«La valigia mi dava fastidio. Avevo voglia di bere.

Era un'idea fissa. Ero convinto che un po' d'alcol, che prima mi aveva giovato così poco, mi avrebbe ridato il mio sangue freddo. Devo avere camminato fino all'Étoile per trovare un altro taxi. Ho detto:

«"Si fermi davanti a un bar..."

«L'auto ha percorso duecento metri. Ho lasciato la valigia in macchina e sono entrato senza accorgermene in un locale in cui si svolgeva uno spettacolo di strip-tease. Ho rifiutato però di seguire il cameriere a un tavolo. Appoggiato al banco, ho ordinato un whisky. Un'entraîneuse mi ha chiesto di offrirle da bere e per essere lasciato in pace, ho fatto segno che la servissero.

«Un'altra donna, sulla pista, si toglieva la biancheria intima nera e scopriva progressivamente una pelle bianchissima.

«Ho bevuto due bicchieri. Ho pagato. Sono uscito e ho ritrovato il mio taxi.

«"Dove?" mi ha chiesto l'autista.

«"A Auteuil. Prenda rue Chardon-Lagache. Le dirò dove fermarsi..."

«La valigia mi dava un senso di colpa. Ho fatto fermare il taxi a centocinquanta metri da casa mia e mi sono assicurato prima di entrare che non ci fosse luce in casa. Non ho udito alcun rumore. Ho acceso soltanto le lampade indispensabili e ho rimesso a posto i gioielli di mia moglie, i miei vestiti, gli oggetti da bagno.

Suppongo che verranno trovate le mie impronte digitali sulla toeletta e sui gioielli, se non è già stato fatto».

«E' entrato dunque di nuovo in camera».

«Dovevo farlo».

«Non ha guardato?»

«No».

«Non le è venuto in mente di telefonare alla polizia?»

«Rimandavo...»

«Cos'ha fatto, poi?»

«Sono uscito e ho camminato».

«In che direzione?»

Josset esitò; Maigret, che l'osservava, aggrottò le sopracciglia e insistette con una certa impazienza:

«Si tratta di un quartiere che le è familiare, in cui lei abita da quindici anni. Anche preoccupato o sconvolto deve avere riconosciuto i posti in cui è passato...»

«Ho un ricordo preciso del ponte Mirabeau dove mi sono ritrovato senza sapere come vi ero arrivato».

«L'ha attraversato?»

«Non tutto. Arrivato a metà mi sono appoggiato al parapetto e ho guardato scorrere la Senna...»

«A cosa pensava?»

«Che probabilmente sarei stato arrestato e che per settimane se non per mesi, mi sarei dibattuto in mezzo a complicazioni massacranti e penose...»

«E' tornato sui suoi passi?»

«Sì. Avrei voluto bere ancora un bicchiere prima di recarmi al commissariato, ma nel quartiere era tutto chiuso. Sono stato sul punto di prendere un taxi, un'altra volta».

«Annette Duché ha il telefono?»

«Gliel'ho fatto mettere io».

«In nessun momento è stato tentato di chiamarla per metterla al corrente?»

Rifletté.

«Forse. Non so più. In ogni caso, non l'ho fatto».

«Non si è mai chiesto chi poteva avere ucciso sua moglie?»

«Ho soprattutto pensato che avrebbero accusato me».

«Secondo il rapporto che ho sotto gli occhi, si è presentato alle tre e trenta al commissariato di Auteuil all'angolo tra boulevard Exelmans e rue Chardon-La-gache. Ha consegnato i suoi documenti al brigadiere di servizio e ha chiesto di parlare al commissario in persona. Le hanno risposto che era impossibile a un'ora simile e l'hanno portata nell'ufficio dell'ispettore Jeannet».

«Non mi ha detto il nome».

«L'ispettore l'ha brevemente interrogata e quando lei gli ha consegnato la chiave, lui ha mandato una macchina in rue Lopert... Qui ho le dichiarazioni più dettagliate che lei ha fatto in séguito... Non le ho lette...

Sono esatte?»

«Credo di sì... Faceva molto caldo nell'ufficio...

Improvvisamente mi sentivo intorpidito e avrei voluto dormire... il modo ora brutale ora ironico con cui l'ispettore faceva le domande m'irritava...»

«Pare che lei abbia effettivamente dormito per due ore».

«Non sapevo per quanto tempo».

«Non ha niente da aggiungere?»

«Non so... Forse più tardi certe cose mi ritorneranno...

Sono esausto... Mi sembra che tutto sia contro di me, che non riuscirò mai a stabilire la verità... Non ho ucciso Christine... Ho sempre cercato di non fare male a nessuno... Mi crede?»

«Non ho un'opinione... Vuole andare a battere a macchina il verbale, Lapointe?»

E a Josset.

«Ci vorrà un po' di tempo... Quando le porteranno il testo dattilografato, lo legga e lo firmi...»

Passò nell'ufficio vicino, mandò Janvier a tenere compagnia a Josset al suo posto.

Il colloquio era durato tre ore.

Quando tacque guardando mollemente le luci di boulevard Voltaire, Maigret udì la moglie che tossicchiava, si voltò e vide che lei gli rivolgeva un cenno discreto.

Gli ricordava l'ora. Era più tardi del solito. Alice salutò la madre perché con suo marito doveva ritornare a Maisons-Alfort dove abitavano. Pardon baciò la figlia sulla fronte.

«Buona notte!»

Proprio nel momento in cui la giovane coppia raggiunse la porta, echeggiò lo squillo del telefono e si sarebbe potuto giurare che era più stridente del solito.

La signora Pardon guardò il marito che si diresse lentamente verso l'apparecchio.

«Dottor Pardon...»

Era la signora Kruger, la cui voce non era più alta e vibrante come prima. Ora, a distanza, a malapena si udiva un mormorio al microfono.

«Ma no» le disse dolcemente Pardon. «Non deve farsi nessun rimprovero... Non è colpa sua, glielo assicuro... I bambini sono in piedi?... Non ha una vicina cui affidarli?... Ascolti, sarò da lei tra mezz'ora al massimo...»

Ascoltò ancora un momento, mormorando qualche parola.

«Ma sì... Ma sì... Ha fatto tutto quello che ha potuto... Me ne occuperò... Sì... Sì... A tra poco...»

Riagganciò ed emise un sospiro. Maigret si era alzato.

La signora Maigret aveva riavvolto il suo lavoro di cucito e aveva indossato un cappotto da mezza stagione.

«E' morto?»

«Pochi minuti fa... E' urgente che vada là... E' lei ad avere bisogno di cure...»

Scesero insieme. La macchina del medico era parcheggiata lungo il bordo del marciapiede.

«Volete che vi accompagni?»

«Grazie... Preferiamo camminare un po'...»

Faceva parte della tradizione. La signora Maigret prendeva automaticamente sotto braccio il marito e sul marciapiede deserto, camminavano lentamente nella calma della notte.

«Gli hai raccontato il caso Josset?»

«Sì».

«Sei riuscito ad arrivare fino alla fine?»

«No. Gliene riparlerò un'altra volta».

«Hai fatto tutto quello che hai potuto...»

«Come Pardon stasera... Come la moglie del sarto...»

Lei gli strinse il braccio più forte.

«Non è colpa tua...»

«LO SO...»

C'erano dei casi che non amava ricordare e, paradossalmente, si trattava di quelli che aveva preso più a cuore.

Per Pardon, il sarto ebreo di rue Popincourt all'inizio non era stato altro che uno sconosciuto, un malato come gli altri. Ormai, a causa di una voce stridula al telefono, di una decisione presa alla fine di una cena in famiglia, di poche parole pronunciate con stanchezza, Maigret era convinto che il suo amico non l'avrebbe più dimenticato.

Anche Josset, per un po', aveva occupato un posto importante nelle preoccupazioni del commissario.

Mentre Lapointe batteva a macchina le frasi stenografate, i telefoni squillavano un po' ovunque negli uffici, i giornalisti e i fotografi s'impazientivano, Maigret andava e veniva nei locali della Polizia giudiziaria, grave, preoccupato, con le spalle curve.

Come si aspettava, trovò la cameriera spagnola nell'ufficio in fondo, a colloquio con Torrence. Era sulla trentina, abbastanza carina, con lo sguardo impertinente ma le labbra sottili e dure.

Maigret la esaminò un momento dalla testa ai piedi, poi si voltò verso Torrence.

«Cosa dice?»

«Non sa niente. Dormiva quando è stata svegliata dalla polizia di Auteuil che faceva un gran baccano al primo piano».

«A che ora è rientrata la sua padrona?»

«Non lo sa».

«Non era in casa?»

«Avevo il permesso di uscire» intervenne la ragazza.

Non glielo chiedevano, ma la irritava vedere che tenevano poco conto di lei.

«Aveva appuntamento con il suo innamorato sul bordo della Senna» spiegò Torrence.

«A che ora?»

«Alle otto e mezza».

«Quando è rientrata?»

«Alle undici di sera».

«Non ha visto una luce accesa nella casa?»

«Sostiene di no».

«Non sostengo. Dichiaro!»

Aveva conservato un forte accento.

«E' andata nella sala del pianterreno?» le chiese Maigret.

«No. Sono entrata dalla porta di servizio».

«C'erano macchine davanti alla casa?»

«Ho notato quella della signora».

«E quella del padrone?»

«Non vi ho badato».

«Non aveva l'abitudine, rientrando, di assicurarsi che non avessero bisogno di qualcosa?»

«No. La sera non mi occupavo dei loro continui andirivieni».

«Non ha sentito un rumore?»

«L'avrei detto».

«E' andata subito a dormire?»

«Il tempo di prepararmi».

Maigret borbottò a Torrence:

«Convoca il suo innamorato... Verifica».

Il pesante sguardo di stizza di Carlotta lo seguì fino alla porta.

Nell'ufficio degli ispettori, prese il telefono.

«Mi passa il dottor Paul, per favore? Forse è ancora all'istituto di medicina legale... Altrimenti lo chiami a casa...»

Dovette aspettare molti minuti.

«Sono Maigret... Ha notizie?...»

Prese meccanicamente degli appunti, cosa che non era necessaria dal momento che avrebbe ricevuto il rapporto completo poco dopo.

La ferita alla gola era stata una delle prime inflitte e sarebbe bastata a provocare la morte, al massimo un minuto più tardi. L'assassino aveva dunque continuato a vibrare colpi rabbiosi a un cadavere già dissanguato...

Nel sangue era presente un coefficiente d'alcol che indicava, secondo il medico legale, che al momento in cui era stata aggredita Christine Josset era ubriaca.

Non aveva cenato. Lo stomaco non conteneva alimenti in corso di digestione.

Le condizioni del fegato, infine, rivelavano disturbi epatici abbastanza gravi.

Quanto all'ora della morte, il dottor Paul esitante, la situava tra le dieci di sera e l'una del mattino.

«Non può essere più preciso?»

«Non per il momento. Un ultimo particolare che forse le interesserà. La donna ha avuto un rapporto sessuale qualche ora prima della morte».

«Potrebbe essere mezz'ora prima?»

«Non è impossibile».

«Dieci minuti?»

«Scientificamente, non posso rispondere».

«La ringrazio, dottore».

«Cosa dice?»

«Chi?»

«Il marito».

«Che è innocente».

«Lei gli crede?»

«Non so».

Squillò un altro telefono. Un ispettore fece segno a Maigret che era per lui.

«E' lei, commissario? Sono Coméliau. L'interrogatorio è terminato?»

«Pochi minuti fa».

«Vorrei vederla».

«Vengo».

Era sul punto di lasciare la stanza quando Bonfils entrò con aria eccitata.

«Stavo proprio per bussare nel suo ufficio, capo...

Arrivo da laggiù... Ho passato due ore con la signora Siran, a interrogarla e a rifare un'ispezione minuziosa della casa... Ho delle novità...»

«Quali?»

«Josset ha confessato?»

«No».

«Non le ha parlato del pugnale?»

«Quale pugnale?»

«Stavamo esaminando la camera di Josset, la signora Siran e io, quando l'ho vista cercare qualcosa con aria sorpresa... E' stato difficile convincerla a parlare perché credo che preferisse il suo padrone alla moglie di cui non aveva un'alta opinione... Ha finito per mormorare...

«"Il pugnale tedesco".

«Si tratta di uno di quei coltelli da commando che qualcuno conserva come ricordo di guerra...»

Maigret parve sorpreso.

«Josset ha fatto la guerra in un reparto d'assalto?»

«No. Non l'ha fatta per nulla. E' stato riformato.

Uno che lavora nel suo ufficio, un certo signor Jules, l'ha riportato e gliel'ha regalato».

«Cosa ne faceva Josset?»

«Niente. L'arma era posata su una piccola scrivania, nella camera da letto e forse serviva come tagliacarte...

E' scomparsa».

«Da quanto tempo?»

«Da stamattina... La signora Siran è categorica...

Ha fatto lei la camera del suo padrone, mentre la spagnola si occupa della stanza e degli oggetti personali della signora Josset...»

«Avete guardato dappertutto?»

«Ho perquisito la casa da cima a fondo, comprese cantina e soffitta».

Maigret fu sul punto di rientrare nel suo ufficio e di chiedere a Josset. Non lo fece perché il giudice istruttore lo aspettava e Coméliau non era indulgente, e poi aveva bisogno di riflettere.

Attraversò la porta a vetri che separava la Polizia giudiziaria dal Palazzo di Giustizia, percorse un certo numero di corridoi prima di bussare alla porta del gabinetto che conosceva bene.

«Si sieda, Maigret».

I giornali del pomeriggio erano sparsi sulla scrivania con i loro titoloni e le fotografie.

«Ha letto?»

«Sì».

«Nega ugualmente?»

«Sì».

«Ammette tuttavia che la scena in rue Caulaincourt abbia avuto luogo ieri sera, qualche ora prima dell'assassinio di sua moglie?»

«Me ne ha parlato di sua iniziativa».

«Immagino che sostenga si tratti di una coincidenza...»

Come al solito, Comélieau andava su tutte le furie ed i suoi baffi fremevano.

«Alle otto di sera, un padre lo trova con la figlia di vent'anni, che Josset ha fatto la sua amante... I due uomini si affrontano e il padre chiede soddisfazione...»

Maigret sospirò con stanchezza:

«Josset gli ha promesso di divorziare».

«E di sposare la figlia?»

«Sì».

«Per far questo, innanzitutto doveva rinunciare alla sua fortuna e alla sua posizione».

«Non è esatto. Da qualche anno, Josset era proprietario della casa farmaceutica per un terzo».

«Crede che la moglie avrebbe acconsentito al divorzio?»

«Non credo niente, signor giudice».

«Dov'è?»

«Nel mio ufficio. Uno dei miei ispettori sta battendo a macchina il rapporto dell'interrogatorio. Josset lo leggerà e lo firmerà...»

«E poi? Cosa conta di fare di lui?»

Coméliau sentiva reticenza nel commissario, cosa che lo mandava fuori di sé.

«Prevedo che lei mi chiederà di rimetterlo in libertà, mi proporrà di farlo sorvegliare dai suoi ispettori nella speranza che si tradisca in un modo o nell'altro...»

«No».

Il magistrato era sconcertato.

«Lo crede colpevole?»

«Non so».

«Ascolti, Maigret... Se un caso è mai stato chiaro, è proprio questo... Quattro o cinque miei amici, che conoscono bene Josset e la moglie mi hanno telefonato...»

«Sono contro?»

«L'hanno sempre preso per quello che è».

«Ossia?»

«Un ambizioso non molto scrupoloso che ha approfittato della passione di Christine... Ma quando lei ha incominciato a invecchiare ed a sfiorire, lui ha sentito l'esigenza di un'amante più giovane e non ha esitato...»

«Le invierò il rapporto appena sarà terminato».

«E fino ad allora?»

«Tengo Josset nel mio ufficio. Deciderà lei».

«Nessuno potrebbe capire se lo rimettessi in libertà, Maigret».

«E' probabile».

«Nessuno, capisce, nessuno crederà alla sua innocenza.

Voglio leggere il suo documento prima di firmare il mandato di cattura, ma consideri fin d'ora che la mia decisione è presa...»

Non gli piaceva vedere quell'espressione del commissario. Lo richiamò.

«Ha un argomento a suo favore?»

Maigret evitò di rispondere. Non ne aveva. Se non che Josset gli aveva detto che non aveva ucciso la moglie.

Forse era tutto troppo facile, troppo evidente?

Raggiunse il suo ufficio dove Janvier gli indicò l'uomo che era addormentato sulla sedia.

«Puoi andare. Di' a Lapointe che sono tornato».

Maigret si sistemò al suo posto, tastò le pipe, ne scelse una che accese quando Josset aprì gli occhi e lo guardò in silenzio.

«Vuole continuare a dormire?»

«No. Mi scusi. E' qui da molto?»

«Qualche istante».

«Ha visto il giudice istruttore?»

«Arrivo dal suo ufficio».

«Mi arresta?»

«Credo di sì».

«Era inevitabile, no?»

«Conosce un buon avvocato?»

«Ce ne sono molti tra i miei amici. Mi chiedo se non è meglio qualcuno che mi sia totalmente estraneo».

«Senta, Josset...»

Costui trasalì, sentendo che ci sarebbe stato qualcosa di sgradevole in fondo a quelle semplici parole.

«Sì?»

«Dove ha nascosto il coltello?»

Ci fu una breve esitazione.

«Ho avuto torto... Avrei dovuto parlargliene...»

«E' andato a gettarlo nella Senna dal ponte Mirabeau, vero?»

«L'hanno ritrovato?»

«Non ancora. Domani mattina, i palombari cercheranno e finiranno per ricuperarlo».

L'uomo tacque.

«Ha ucciso lei Christine?»

«No».

«Tuttavia, si è preso la briga di andare fino al ponte Mirabeau per gettare il suo coltello nella Senna».

«Nessuno mi crederà, neanche lei».

Il "neanche lei" era un omaggio a Maigret.

«Mi dica la verità».

«Quando sono rientrato per rimettere a posto la valigia...

Nella mia stanza, ho visto il pugnale...»

«Era sporco si sangue?»

«No. In quel momento pensai a quello che avrei detto alla polizia. Mi rendevo già conto che la mia storia sarebbe sembrata inverosimile... Avevo un bel guardare il cadavere, quel poco che avevo visto evocava comunque l'idea di un coltello...

«Scorgendo il mio, in evidenza sulla scrivania, mi sono detto che la polizia avrebbe fatto subito l'accostamento...»

«Ma non era sporco di sangue!»

«Se avessi ucciso e se fosse stato sporco non avrei avuto cura di pulire l'arma? Non ho riflettuto più di quando ho chiuso la valigia con l'intenzione di prendere l'aereo... La presenza del coltello a pochi passi dal corpo mi sembrava schiacciante e l'ho portato via... E' stata Carlotta a parlarne, vero?... Non mi ha mai potuto soffrire...»

«E' stata la signora Siran».

«Da parte sua, mi stupisce un po'... Ma dovevo aspettarmelo... Ormai, immagino di non poter più contare su nessuno...»

Lapointe entrò in ufficio, tenendo in mano le pagine dattilografate che posò davanti al capo. Maigret tese una copia a Josset, diede una scorsa all'altra.

«Fissa un palombaro per domani mattina... All'alba al ponte Mirabeau...»

Un'ora dopo, i fotografi potevano finalmente riprendere Adrien Josset che usciva dall'ufficio di Maigret, con le manette ai polsi.

Proprio a causa dei giornalisti e dei fotografi, il giudice Coméliau aveva insistito per le manette.