5) Il silenzio ostinato del dottor Liorant

 

Alcuni particolari di questo caso si erano impressi più profondamente di altri nella memoria di Maigret e, dopo molti anni, ritrovava ancora il gusto e l'odore del temporale in rue Caulaincourt con la stessa intensità di un ricordo d'infanzia.

Erano le sei e mezza del pomeriggio e quando iniziò a piovere, il sole, già rosso sopra i tetti, non si nascose più, lo sfondo del cielo rimase incandescente, alcune finestre qua e là continuarono a lanciare fiamme mentre un'unica nuvola grigio perla, con il centro appena più scuro, i bordi luminosi, passava sopra al quartiere con la leggerezza di un pallone.

Non piovigginò su tutta Parigi e la sera, la signora Maigret, confermò al marito che in boulevard Richard-Lenoir la pioggia non era caduta.

Le gocce erano più trasparenti, quasi più fluide del solito e all'inizio tracciavano grandi cerchi neri sul selciato polveroso dove si schiacciavano a una a una.

Alzando la testa, il commissario vide quattro vasi di gerani sul davanzale di una finestra aperta e ricevette sulle palpebre una goccia di pioggia così grossa che gli fece quasi male.

La finestra aperta gli fece credere che Annette fosse già rientrata, così s'infilò nell'edificio, passò davanti alla portineria, cercò invano l'ascensore. Sul punto d'imboccare le scale, dietro di lui una porta si aprì. Una voce poco amena lo fermò:

«Dove va?»

Si trovò di fronte alla custode, la quale non rispecchiava l'idea che si era fatto in séguito al racconto di Josset. L'aveva immaginata di una certa età, trasandata.

Era una donna vivace, di circa trent'anni, dalla carne appetitosa.

Soltanto la voce stonava, volgare, aggressiva.

«Dalla signorina Duché», rispose educatamente.

«Non è ancora tornata».

In séguito si rammentò di essersi chiesto in quel momento preciso perché certa gente si mostra sgradevole a priori, senza una ragione apparente.

«Credo che sia più o meno l'ora giusta, no?»

«Entra ed esce quando le pare».

«Ha telefonato lei al giornale?»

Era rimasta nella cornice della porta a vetri, senza invitarlo a entrare.

«E anche se fosse?» esclamò con aria di sfida.

«Sono della polizia».

«Lo so. L'ho riconosciuta. Non m'impressiona».

«Quando il signor Duché ieri si è presentato per vedere la figlia, le ha detto il nome?»

«E' persino rimasto un quarto d'ora dentro la portineria a chiacchierare».

«E' dunque venuto una prima volta, quando la figlia non era in casa? Nel pomeriggio, immagino?»

«Verso le cinque».

«Gli ha scritto lei, a Fontenay?»

«Se l'avessi fatto, avrei assolto il mio dovere e non riguarderebbe nessuno. Ma non sono stata io. E' stata la zia della signorina».

«Lei conosce la zia?»

«Facciamo la spesa negli stessi negozi».

«L'ha messa lei al corrente?»

«Ha capito da sola quello che stava accadendo».

«Le ha detto che avrebbe scritto?»

«Abbiamo chiacchierato».

«Quando è arrivato il signor Duché, lei gli ha parlato del signor Josset?»

«Ho risposto alle sue domande e gli ho consigliato di tornare più tardi, dopo le sette».

«Quando la ragazza è tornata, lei non l'ha avvertita?»

«Non sono pagata per questo».

«Il signor Duché era molto in collera?»

«Faceva fatica a crederci, pover'uomo».

«E' salita poco dopo di lui per sapere cosa succedeva?»

«Ho portato una lettera al quinto piano».

«Si è fermata sul pianerottolo del quarto?»

«E' possibile che abbia ripreso fiato un momento.

Cosa sta tentando di farmi dire?»

«Lei ha parlato di una scena violenta».

«A chi?»

«Al giornalista».

«I giornali pubblicano quello che vogliono loro.

To'! Ecco la sua signorina!»

Non una ma due ragazze entrarono nello stabile e si diressero verso le scale senza uno sguardo alla custode e a Maigret. La prima era bionda e sembrava molto giovane. Vestita con un completo blu scuro, aveva il capo coperto da un cappello chiaro. La seconda, più magra, più dura, doveva essere sui trentacinque anni e camminava come un uomo.

«Credevo fosse venuto per parlarle».

Maigret conteneva la sua collera: quella cattiveria gratuita lo urtava nel profondo.

«Le parlerò, non tema. E' probabile che torni anche da lei».

Si pentì di quella minaccia che aveva qualcosa d'infantile.

Prima di salire a sua volta, aspettò di udire che sopra una porta si aprisse e si richiudesse.

Al terzo piano, si fermò un attimo per riprendere fiato, poco dopo bussò alla porta. Percepì dei bisbigli, quindi dei passi. A socchiudere l'uscio non fu Annette ma la sua compagna.

«Cosa c'è?»

«Commissario Maigret della Polizia giudiziaria».

«La polizia, Annette!»

Costei doveva essere nella sua camera, forse per togliersi il cappotto bagnato di pioggia.

«Vengo».

Tutto era deludente. I gerani erano al loro posto ma era l'unico particolare corrispondente all'immagine che si era fatto il commissario. L'alloggio era banale, senza un tocco personale. Le pareti della famosa cucina-sala da pranzo dove si svolgevano le cenette erano di un grigio spento, i mobili come quelli che si trovano negli appartamenti ammobiliati più modesti.

Annette non si cambiò, si limitò a darsi una pettinata.

Anche lei deludeva. Era fresca, certo, quella freschezza dei vent'anni, ma banale, con grossi occhi azzurri sporgenti. A Maigret ricordava le fotografie che si vedevano nelle vetrine dei fotografi di provincia e avrebbe giurato che a quarant'anni sarebbe stata una donna enorme, dalle labbra dure.

«Mi scusi, signorina».

L'amica si diresse a malincuore verso la porta.

«Perché? Non sei di troppo».

E a Maigret:

«E' Jeanine, lavora anche lei in avenue Marceau.

Ha avuto la gentilezza di accompagnarmi. Si sieda, signor commissario...»

Avrebbe avuto difficoltà a dire cosa lo scontentava.

Ce l'aveva un po' con Josset per avere idealizzato quella ragazzina che, sebbene avesse gli occhi un po' rossi, non sembrava molto sconvolta.

«L'hanno arrestato?» chiese facendo automaticamente ordine attorno a sé.

«Il giudice istruttore ha firmato il mandato di cattura questo pomeriggio».

«Come l'ha presa?»

E Jeanine le consigliò:

«Faresti meglio a lasciar parlare il commissario».

Non si trattava di un interrogatorio regolare e Coméliau sarebbe stato furioso se avesse saputo che Maigret aveva preso quell'iniziativa.

«A che ora ha saputo del dramma?»

«Al momento in cui stavamo per lasciare l'ufficio per pranzo. Un magazziniere ha una radio portatile.

Ha detto agli altri cos'era successo e Jeanine mi ha annunciato la notizia».

«E' andata a mangiare come al solito?»

«Cosa potevo fare?»

«Non aveva fame, signor commissario. Sono stata costretta a riportarla su. Si metteva continuamente a piangere».

«Suo padre è ancora a Parigi?»

«E' partito stamattina alle nove. Voleva rientrare a Fontenay in giornata perché ha un permesso di due giorni e riprende domani il lavoro in prefettura».

«E' sceso in albergo?»

«Sì. Vicino alla stazione. Non so quale».

«Ieri sera, è rimasto ancora a lungo?»

«Circa un'ora. Era stanco».

«Josset gli ha promesso di divorziare e di sposarla?»

Lei arrossì, guardò la sua amica per chiederle consiglio.

«Gliene ha parlato Adrien?»

«L'ha fatto?»

«Se n'è parlato».

«Si trattava di una promessa solenne?»

«Credo di sì».

«Prima, lei sperava che lui l'avrebbe sposata un giorno?»

«Non ci pensavo».

«Non le parlava del futuro?»

«No... Non in modo preciso».

«Era felice?»

«Era molto gentile con me, molto premuroso».

Maigret non osò chiederle se lo amasse, per timore di un'ulteriore delusione ed Annette domandò:

«Crede che verrà condannato?»

«Pensa che abbia ucciso sua moglie?»

Lei arrossì, guardò di nuovo l'amica come per consultarla.

«Non so... E' quanto hanno detto la radio e i giornali...»

«Lo conosce bene. Lo crede capace di avere ucciso sua moglie?»

Invece di rispondere direttamente, Annette mormorò:

«Si sospetta qualcun'altro?»

«Suo padre si è mostrato duro con lui?»

«Papà era triste, addirittura abbattuto. Non immaginava che potesse accadermi una cosa simile. Per lui sono sempre una bambina...»

«Ha minacciato Josset?»

«No. Non è il tipo d'uomo che minaccia. Gli ha soltanto chiesto cosa contava di fare e subito, spontaneamente, Adrien ha parlato di divorzio».

«Non c'è stata una lite, scoppi di voci?»

«Sicuramente no. Non so come, ma alla fine abbiamo bevuto tutti insieme una bottiglia di champagne.

Mio padre sembrava rassicurato. Nei suoi occhi c'era persino un bagliore di allegria che gli ho visto raramente».

«E dopo che Adrien se n'è andato?»

«Abbiamo parlato del matrimonio. Mio padre rimpiangeva che la cerimonia non potesse avere luogo a Fontenay, in bianco, perché la gente avrebbe spettegolato».

«Ha continuato a bere?»

«Ha vuotato la bottiglia, che non avevamo finito prima che Adrien se ne andasse».

L'amica la sorvegliava per impedirle di dire troppo.

«L'ha riaccompagnato in albergo?»

«Gliel'ho proposto. Non ha voluto».

«Suo padre non le è parso sovreccitato, diverso dal solito?»

«No».

«E' un uomo sobrio, se non sbaglio. A Fontenay, l'ha già visto bere?»

«Mai. Soltanto a tavola, un po' di vino tagliato con l'acqua. Quand'era costretto ad andare al caffè per incontrare qualcuno, ordinava acqua minerale».

«Eppure, ieri aveva bevuto prima di sorprendervi».

«Non rispondere senza riflettere» consigliò Jeanine con l'aria di saperla lunga.

«Cosa devo dire?»

«La verità» replicò Maigret.

«Credo che nell'attesa avesse bevuto un bicchiere o due».

«Non ha trovato che avesse difficoltà di parola?»

«Era brillo... Questo mi ha colpito... tuttavia, sapeva quello che diceva e che faceva...»

«Non ha telefonato al suo albergo per accertarsi che fosse rientrato?»

«No. Perché?»

«E lui non ha telefonato stamattina per salutarla?»

«Neanche. Non ci telefoniamo mai. Non abbiamo l'abitudine. A casa nostra, a Fontenay, non abbiamo il telefono...»

Maigret preferì non insistere.

«La ringrazio, signorina».

«Cosa dice?» si preoccupò di nuovo.

«Josset?»

«Sì».

«Dichiara di non avere ucciso la moglie».

«Lei gli crede?»

«Me lo domando».

«Come sta? Non gli manca niente? Non è troppo scoraggiato?»

Ogni parola era scelta male, troppo povera, sproporzionata rispetto ai fatti.

«E' abbastanza depresso. Mi ha parlato molto di lei».

«Non ha chiesto di vedermi?»

«Questo non dipende più da me, ma dal giudice».

«Non l'ha incaricata di qualche messaggio?»

«Non sapeva che venissi da lei».

«Immagino che mi convocheranno per interrogarmi?»

«E' probabile. Anche questo dipende dal giudice istruttore».

«Posso continuare ad andare in ufficio?»

«Non vi vedo alcun ostacolo».

Era meglio andare. Passando sotto la volta, Maigret intravide la custode che mangiava di fronte a un uomo in maniche di camicia e che gli lanciò un'occhiata ironica.

Forse il suo stato d'animo faceva vedere al commissario la gente e le cose sotto una luce deludente.

Attraversò la strada, entrò in un piccolo bar di frequentatori abituali, dove quattro uomini giocavano alla belote mentre altri due, appoggiati con i gomiti al banco, chiacchieravano con il barista.

Non sapeva cosa bere: ordinò il primo aperitivo di cui vide l'etichetta e rimase abbastanza a lungo senza dire niente, accigliato, più o meno nel posto che il padre di Annette aveva occupato il giorno prima.

Sporgendo la testa scopriva l'intera facciata della casa di fronte, i quattro vasi di gerani a una finestra.

Jeanine, tenendosi indietro nella penombra, l'aveva visto attraversare la strada e parlava alla sua amica invisibile.

«Ieri, un cliente è rimasto qui a lungo, vero?»

Il gestore, prese un giornale, indicò il punto in cui era scritto l'articolo sul caso Josset.

«Vuole parlare del padre?»

E rivolto agli altri:

«E' strano, ho subito fiutato qualcosa di poco raccomandabile.

Innanzitutto non era il tipo da rimanere per più di un'ora appoggiato a un banco. Mi ha ordinato l'acqua minerale ed avevo già preso la bottiglia quando ha cambiato idea.

«"Ripensandoci, mi dia piuttosto..."

«Guardava le bottiglie senza decidersi.

«"...un liquore... Uno qualsiasi..."

«E' raro che uno ordini un liquore all'ora dell'aperitivo.

«"Un grappino?... Un calvados?..."

«"Un calvados, per favore..."

«L'ha fatto tossire. Era facile intuire che non era abituato. Guardava continuamente la porta di fronte, poi l'uscita del metrò, un po' più in là. Due o tre volte l'ho visto muovere le labbra come se parlasse da solo».

Il venditore di vini s'interruppe, con le sopracciglia aggrottate.

«Lei non è il commissario Maigret?»

E dal momento che costui non protestò:

«Sentite, voi, è il famoso commissario Maigret...

Allora quella specie di farmacista ha confessato?...

Anche quello, l'avevo individuato, e da molto tempo...

A causa della macchina... Non ci sono molte macchine sportive nel quartiere...

«Lo vedevo soprattutto la mattina, quando veniva a cercare la piccola... Parcheggiava lungo il marciapiede, proprio davanti alla porta e guardava per aria...

La signorina agitava la mano dalla finestra e lo raggiungeva qualche istante dopo...»

«Quanti bicchieri di calvados ha bevuto il suo cliente?»

«Quattro... Ogni volta che ne ordinava uno assumeva un'aria vergognosa, quasi temesse di passare per un ubriacone...»

«E' ritornato, dopo?»

«Non l'ho più visto... Stamattina, ho scorto la signorina che dopo avere aspettato un po' sul marciapiede, si è diretta da sola verso il metrò...»

Maigret pagò e scese in direzione di place Clichy in cerca di un taxi: ne trovò uno libero al momento in cui passava sopra il cimitero di Montmartre.

«Boulevard Richard-Lenoir».

Quella sera non ci fu altro. Cenò con la moglie, a cui non raccontò niente e che, conoscendo i suoi capricci, fece attenzione a non fargli domande.

L'inchiesta, d'altronde, seguiva il suo corso, la macchina poliziesca era in movimento e l'indomani, il commissario avrebbe trovato un certo numero di rapporti sulla sua scrivania.

Contrariamente alle sue abitudini, senza una ragione precisa, in quel caso costruì una sorta di cartella personale.

La questione del tempo, in particolar modo, doveva giocare un ruolo importante e s'ingegnò a ricostruire ora per ora la concatenazione degli avvenimenti.

Il delitto era stato scoperto al mattino, più esattamente verso la fine della notte, i quotidiani del mattino non avevano potuto parlarne e la radio per prima aveva annunciato il dramma di rue Lopert.

All'ora dell'emissione, i giornalisti erano in sosta davanti alla casa di Josset e Auteuil, dove si era svolto il sopralluogo del procuratore.

Tra mezzogiorno e l'una, le prime edizioni dei giornali del pomeriggio parlavano ancora abbastanza brevemente del fatto.

Un solo quotidiano, avvertito dalla custode di rue Caulaincourt, nella terza edizione, pubblicava la storia della visita di Duché alla figlia e del suo incontro con l'amante di Annette.

Nel frattempo, il capufficio viaggiava in treno verso Fontenay-le-Comte e le notizie fresche non potevano raggiungerlo.

Successivamente fu ritrovato un suo compagno di viaggio, un commerciante di grano dei dintorni di Niort. I due uomini non si conoscevano. Alla partenza da Parigi, lo scompartimento era pieno ma da Poitiers in poi erano rimasti soltanto loro.

«Mi sembrava di conoscerlo di vista. Tuttavia, non riuscendo a ricordarmi dove l'avessi incontrato, gli rivolsi un saluto discreto. Lui mi guardò con stupore, quasi con diffidenza e sprofondò nel suo angolo.

«Sembrava che non si sentisse bene. Le palpebre erano infiammate come quelle di uno che non ha dormito.

A Poitiers andò alla buvette a cercare una bottiglia d'acqua di Vichy che bevette avidamente».

«Leggeva?»

«No. Guardava vagamente sfilare il paesaggio.

Talora chiudeva gli occhi e a un certo punto si addormentò...

Tornato a casa, mi ricordai di colpo dove l'avevo visto: alla sottoprefettura di Fontenay, in cui qualche volta vado a fare firmare dei documenti...»

Maigret che aveva intrapreso il viaggio appositamente per incontrare il commerciante di grano si chiamava Lousteau, aveva tentato di saperne di più, come se perseguisse un'idea che non voleva però esprimere.

«Ha notato i suoi vestiti?»

«Non potrei dirle il colore; erano scuri, con un taglio non molto bello...»

«Non erano sgualciti, come quelli di uno che ha passato la notte fuori?»

«Non vi ho badato... guardavo soprattutto il suo viso...

Aspetti!... C'era un soprabito appoggiato alla valigia sulla rete...»

C'era voluto un po' di tempo per ritrovare l'albergo dove era sceso il padre di Annette, l'Hôtel de la Reine et de Poitiers, vicino alla stazione di Austerlitz.

Era un albergo di second'ordine, mal illuminato e triste, ma decente, frequentato soprattutto da clienti abituali. Martin Duché vi era andato più volte. Il suo penultimo soggiorno risaliva a due anni prima, quando aveva accompagnato la figlia a Parigi.

«Occupava la 53... Non ha mangiato in albergo... E' arrivato martedì con il treno delle 15,05 ed è uscito quasi subito dopo aver riempito la scheda, annunciando che sarebbe rimasto soltanto una notte...»

«A che ora è arrivato, la sera?»

Qui c'erano state delle difficoltà. Il guardiano notturno, che apriva il suo lettino da campo nell'ufficio, era un cèco che parlava a malapena il francese e che per di più era stato internato due volte a Sainte-Anne.

Il nome Duché non gli ricordava niente, la sua descrizione neanche. Quando gli parlavano della 53, guardava il quadro delle chiavi grattandosi la testa.

«Qualcuno va... Qualcuno viene... Qualcuno entra...

Qualcuno esce...» mormorava con aria esasperata.

«A che ora è andato a dormire?»

«Non prima di mezzanotte... A mezzanotte chiudo sempre la porta e mi corico... Sono gli ordini...»

«Non sa se il cliente della 53 fosse rientrato?»

Il pover'uomo faceva quello che poteva, ma non poteva fare un granché. Non lavorava ancora all'albergo due anni prima quando Duché vi era sceso l'ultima volta.

Gli avevano mostrato una fotografia.

«Chi è?» aveva chiesto, ansioso di soddisfare chi lo interrogava.

Maigret, ostinato, era arrivato al punto di ricercare i due vicini della stanza 53. Uno abitava a Marsiglia e il commissario era riuscito a raggiungerlo mediante il telefono.

«Non so niente. Sono rientrato alle undici e non ho udito niente».

«Era solo?»

«Certamente».

L'uomo era sposato. Era venuto a Parigi senza la moglie. E avevano la certezza che non avesse passato la notte solo.

Quanto al cliente della camera 51, un belga che non aveva fatto altro che attraversare la Francia, fu impossibile rintracciarlo.

In ogni caso, al mattino, alle otto meno un quarto, Duché era nella sua camera e aveva suonato il campanello per ordinare la colazione. La domestica non aveva notato niente di anormale, se non che il cliente aveva ordinato un triplo caffè.

«Sembrava stanco...»

Era tutto vago. Impossibile farle dire di più. Alle otto e mezza, senza avere fatto il bagno, Duché scendeva e pagava il conto alla cassiera che lo conosceva.

«Era come al solito. Non l'ho mai visto allegro. Dava la sensazione di un uomo malato. Capitava di vederlo impietrito come se ascoltasse il cuore battere.

Ne ho conosciuto un altro, un buon cliente, che veniva tutti i mesi. Aveva la stessa aria, gli stessi gesti e un mattino è caduto morto per le scale senza avere avuto il tempo di chiamare...»

Duché aveva preso il treno, il giornalista di un quotidiano del mattino, dopo essersi precipitato in rue Caulaincourt, chiamava per telefono il suo corrispondente di Fontenay-le-Comte.

La custode non aveva parlato a Maigret di quella visita del giornalista a cui lei aveva fornito l'identità e l'indirizzo del padre di Annette.

Questi fatti insignificanti s'intrecciavano e ci volle tempo e pazienza per disegnare un quadro più o meno logico.

Quando nel pomeriggio il treno si fermò alla stazione di Fontenay-le-Comte, Martin Duché continuava a non sapere niente. Neanche gli abitanti di Fontenay perché la radio non aveva ancora citato il nome del loro concittadino e soltanto la divinazione avrebbe potuto permettere loro di stabilire una relazione tra il capufficio della sottoprefettura e il dramma di rue Lopert.

Soltanto il corrispondente del giornale era al corrente. Aveva avvertito un fotografo. Tutti e due aspettavano sul marciapiede e quando Duché scese dal vagone ebbe la sorpresa di essere accolto da un flash.

«Permette, signor Duché?»

Costui sbatté le palpebre, sbalordito, sconcertato.

«Immagino che lei non sappia ancora la notizia...»

Il giornalista era stato categorico: il capufficio aveva l'aria di uno che non capisce niente di quanto gli succede. Con la valigia in mano, l'impermeabile sul braccio, si diresse verso l'uscita, tese il biglietto all'incaricato che lo salutò toccandosi il berretto con la mano. Il fotografo scattò qualche altra foto. Il giornalista si aggrappò al padre di Annette. Percorsero entrambi rue de la République, sotto il sole.

«La signora Josset è stata assassinata la notte scorsa».

Il giornalista che si chiamava Pecqueur aveva il viso paffuto, le guance tonde e gli stessi occhi azzurri sporgenti di Annette. I capelli erano rossi, il vestito trascurato; fumava una pipa troppo grossa per darsi un'aria importante.

Maigret aveva sottoposto a un interrogatorio anche lui nella sala interna del caffè della Posta, vicino al biliardo abbandonato.

«Quale è stata la sua reazione?»

«Ha smesso di camminare e mi ha fissato negli occhi come se avesse sospettato che gli tendessi una trappola».

«Perché una trappola?»

«Nessuno a Fontenay sapeva ancora che la figlia aveva una relazione. Deve avere pensato che, avendolo saputo, cercassi di farlo parlare».

«Cos'ha detto?»

«Dopo un momento, ha articolato con voce dura:

«"Non conosco la signora Josset".

«Allora gli ho annunciato che il mio giornale ne avrebbe parlato il giorno dopo e avrebbe dato tutti i particolari della vicenda. Ho aggiunto quello che avevo saputo per telefono:

«"Un quotidiano della sera racconta già la sua conversazione con sua figlia e Adrien Josset in rue Caulaincourt..."»

Maigret chiese:

«Lo conosceva bene?»

«Come tutti a Fontenay... Per averlo visto in prefettura e quando passava per la strada...»

«Capitava che si fermasse sul marciapiede?»

«Davanti alle vetrine, certamente».

«Era malato?»

«Non lo so. Viveva solo, non andava al caffè e parlava poco».

«Ha ottenuto l'intervista che sperava?»

«Ha continuato a camminare in silenzio. Gli facevo tutte le domande che mi passavano per la testa:

«"Crede che Josset abbia ucciso sua moglie?"

«"E' vero che pensava di sposare sua figlia?"

«Accigliato, non mi ascoltava. Due o tre volte ha borbottato:

«"Non ho niente da dire."

«"Eppure, lei ha conosciuto Adrien Josset?"

«"Non ho niente da dire".

«Abbiamo raggiunto un ponte. Ha voltato a sinistra sul lungo fiume, dove abita in una casetta di mattoni di cui si cura una donna delle pulizie. Ho scattato una fotografia della casa perché il giornale non ha mai abbastanza fotografie».

«La donna lo aspettava?»

«No. Lavora per lui solo la mattina».

«Chi gli preparava da mangiare?»

«A mezzogiorno, aveva l'abitudine di pranzare ai Trois Pigeons. La sera si preparava la cena da solo».

«E non usciva?»

«Raramente. Una volta alla settimana, per andare al cinema».

«Solo?»

«Sempre».

«Nessuno ha sentito niente, quella sera o durante la notte?»

«No. Un ciclista che passava verso l'una di notte ha notato una luce. Al mattino, quando la donna delle pulizie ha preso servizio, la lampada era ancora accesa».

Martin Duché non si era spogliato, non aveva mangiato.

Non c'era disordine in casa.

Per quanto si potessero ricostruire i fatti e i suoi gesti, era andato a prendere in un cassetto della sala da pranzo un album di fotografie. Sulle prime pagine erano incollati i ritratti ingialliti dei suoi genitori e di quelli di sua moglie, una foto con lui artigliere ai tempi del servizio militare; una foto del suo matrimonio, Annette a pochi mesi su una pelle d'orso, poi a cinque anni, a dieci, alla prima comunione, infine in una foto di gruppo a scuola dalle suore, dove aveva studiato.

L'album, aperto a quella pagina, era posato su un tavolino davanti a una poltrona.

Per quanto tempo Duché era rimasto seduto prima di prendere la sua decisione? Doveva avere raggiunto la camera da letto al primo piano per prendere la rivoltella nel cassetto del comodino che aveva lasciato aperto.

Era ridisceso, aveva ripreso posto sulla poltrona e si era sparato una pallottola alla testa.

Al mattino i giornali annunciavano a carattere cubitali:

IL CASO JOSSET FA UNA SECONDA VITTIMA.

Nella mente dei lettori era un po' come se Josset avesse ucciso il padre di Annette personalmente.

Si parlava della vedovanza del capufficio, della sua vita dignitosa e solitaria, del suo amore per l'unica figlia, del trauma subìto entrando nell'appartamento di rue Caulaincourt e venendo a conoscenza della relazione di Annette con il suo principale.

Per Josset, era la condanna quasi certa. Lo stesso Coméliau, che avrebbe dovuto vedere i fatti da un punto di vista puramente professionale, al telefono parlando con Maigret, era tutto eccitato.

«Ha letto?»

Era giovedì mattina. Il commissario, appena arrivato in ufficio, aveva letto i giornali sulla piattaforma dell'autobus.

«Spero che Josset abbia scelto un avvocato perché ho intenzione di farlo comparire stamattina nel mio gabinetto e di portare avanti il caso alla svelta... L'opinione pubblica non capirebbe se noi lasciassimo che le cose si trascinassero...»

Questo significava che Maigret non aveva più niente da dire. Il giudice istruttore prendeva il caso in mano e il commissario, teoricamente, avrebbe ormai agito dietro le sue direttive.

Forse non avrebbe più rivisto Josset se non in Corte d'Assise. E avrebbe saputo degli interrogatori quello che il magistrato voleva raccontargli.

Non andò a Niort e a Fontenay quel giorno perché Coméliau l'avrebbe saputo e l'avrebbe severamente richiamato all'ordine.

Il regolamento gli proibiva la più innocente iniziativa fuori Parigi.

Persino la prima telefonata al dottor Liorant, che abitava in rue Rabelais a Fontenay-le-Comte e dove un tempo Maigret l'aveva conosciuto, era irregolare.

«Sono Maigret... Si ricorda di me, dottore?»

Gli fu risposto con freddezza, prudentemente, e gli venne subito la pulce in un orecchio.

«Mi permetto di chiederle un'informazione a titolo personale».

«L'ascolto».

«Mi chiedo se per caso Martin Duché non era un suo paziente».

Silenzio.

«Credo che non sia tradire il segreto professionale...»

«E' venuto da me qualche volta».

«Era colpito da una grave malattia?»

«Mi spiace non poterle rispondere».

«Un attimo, dottore... Non me ne voglia se insisto...

Forse si tratta della testa di un uomo... Ho saputo che a volte Duché si bloccava di colpo per strada o altrove, come chi soffre di angina pectoris...»

«E' un medico che glien'ha parlato? Se sì, ha sbagliato a farlo».

«Non è un medico».

«In questo caso, si tratta di una supposizione gratuita».

«Non può dirmi se la sua vita era in pericolo?»

«Non ho assolutamente niente da dire. Mi dispiace, commissario, ma una decina di pazienti mi aspettano...»

Maigret doveva rivederlo senza maggiore successo, durante il suo viaggio a Niort e a Fontenay, tra un treno e l'altro, di nascosto da Coméliau e anche dal Quai des Orfèvres.