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IL CLIENTE NUMERO 13
Quella mattina Maigret aveva dato prova di una pazienza inesauribile. Eppure!…
Non aveva potuto impedire a Félicie di vestirsi a lutto, con un ridicolo cappello piatto e un velo di crespo che la avvolgeva come un drappeggio antico. Si era coperta la faccia con uno strato di chissà che cosa. Per nascondere i lividi? Il dubbio era lecito, perché lei aveva un senso del dramma tutto speciale. Fatto sta che era cadaverica, coperta di crema e di cipria come un pagliaccio. Nel treno che li portava a Parigi stava seduta immobile, ieratica, con lo sguardo dolorosamente perso nel vuoto. Lo si intuiva: voleva che tutti pensassero di lei:
«Dio mio! Come soffre… E come si controlla… Sembra la statua del dolore, un’autentica mater dolorosa…».
Eppure a Maigret non venne da sorridere neanche una volta. Quando la vide entrare in un negozio di primizie in rue du Faubourg-Saint-Honoré, mormorò con dolcezza:
«Non credo che Jacques possa mangiare qualcosa!».
Ma allora non capiva proprio? Ma sì, capiva benissimo, e la lasciò fare. Lei volle comprare l’uva di Spagna più bella, delle arance e una bottiglia di champagne. Ci tenne a caricarsi di fiori, un enorme mazzo di lillà bianchi, e a portare tutto da sola, senza abbandonare quel suo atteggiamento tragico e distaccato.
Maigret la seguiva con rassegnazione, come un buon padre indulgente. Si sentì sollevato quando vide che all’ospedale Beaujon non era l’ora delle visite: conciata così, Félicie non sarebbe certo passata inosservata. Il commissario ottenne comunque dal medico di guardia l’autorizzazione a entrare per qualche momento nella stanza singola dove avevano messo Jacques Pétillon. Era in fondo a un lungo corridoio dalle pareti a olio, impregnato di odori indefinibili, su cui si aprivano una dopo l’altra porte che lasciavano intravedere letti, visi tristi, e tanto, troppo bianco, che qui assurgeva a simbolo della malattia.
Dovettero aspettare a lungo, e lei rimase in piedi con i suoi pacchetti. L’infermiera, che alla fine si presentò, non poté trattenere un gesto di sorpresa.
«Dia a me tutta questa roba… La regaleremo a qualche bambino… Silenzio!… Mi raccomando non fate rumore…».
Socchiuse una porta, quel tanto da permettere a Félicie di gettare un’occhiata nella cella in penombra dove Pétillon giaceva immobile come morto.
Quando la porta venne richiusa, Félicie si sentì in dovere di esclamare:
«Lo salverete, non è vero?… La supplico, fate tutto il possibile per salvarlo…».
«Ma, signorina…».
«Non badate a spese… Tenga…».
Maigret non rise, non sorrise neppure quando la vide tirar fuori dalla borsetta un biglietto da mille franchi piegato piccolo piccolo e tenderlo all’infermiera.
«Se c’è bisogno di denaro, qualunque somma…».
Ormai Maigret non rideva più di lei, eppure non era mai stata tanto ridicola. Anzi!
Mentre ripercorrevano a ritroso lo stesso corridoio - e il velo nero di Félicie svolazzava scenograficamente -, incrociarono un bambinetto; la ragazza si chinò e baciò il piccolo malato sospirando:
«… Povero tesoro!…».
Non si è forse più sensibili al dolore degli altri quando si soffre? A pochi passi da loro c’era una giovane infermiera dai capelli platinati, il corpo sfacciatamente esibito in un camice aderentissimo. Osservò la scena trattenendosi a stento dal ridere, poi richiamò da una delle stanze una collega perché venisse a vedere.
«Lei è proprio un’oca, signorina!» l’apostrofò Maigret.
E riprese a seguire Félicie, compunto come un familiare. Lei lo aveva sentito rimbeccare l’infermiera, e gliene era riconoscente. Quando si ritrovarono in strada, sul marciapiede inondato di sole, Maigret notò che era più rilassata, che gli stava accanto con naturalezza, e ne approfittò per chiederle sottovoce:
«Lei sa tutta la verità, non è così?».
Félicie non negò. Guardò altrove, e fu come una confessione.
«Venga…».
Era quasi mezzogiorno. Maigret decise di girare a destra, verso il brulichio scintillante e chiassoso di place des Ternes. Lei lo seguì, appollaiata su quei tacchi troppo alti, e dopo qualche passo gli disse con voce sommessa:
«Comunque, io non le dirò niente».
«Lo so…».
Ormai sapeva tante cose. Non conosceva ancora il nome dell’assassino del vecchio Lapie né quello dell’uomo che la notte precedente aveva sparato al sassofonista, ma ormai era solo questione di tempo.
Sapeva in particolare che Félicie… Non era facile trovare le parole giuste. Sul treno, per esempio, i viaggiatori che l’avevano vista impietrita da un melodrammatico dolore dovevano averla trovata ridicola; all’ospedale, quell’infermiera civetta non aveva potuto trattenere le risa; il padrone della balera di Poissy la chiamava Cocorita, altri Principessa, il vecchio Lapie addirittura Cacatua, e lo stesso Maigret aveva perso molte volte la pazienza di fronte ai suoi artifici puerili.
Anche adesso c’era chi si voltava a guardare quella strana coppia, e quando Maigret spinse la porta di una trattoria frequentata di solito da clienti fissi, e a quell’ora ancora deserta, non mancò di notare lo scambio di occhiate tra il cameriere e la padrona alla cassa.
Ciò che Maigret aveva scoperto era quel semplice palpito del cuore che si nasconde anche dietro le apparenze più grottesche.
«Andiamo a pranzare insieme, da buoni amici, d’accordo?».
Lei credette di dover ribadire:
«Comunque non le dirò niente…».
«Ho capito… Non mi dirà niente… Che cosa vuole mangiare?».
* * *
La sala da pranzo della trattoria ha un’aria vecchiotta e familiare: pareti color crema, grandi specchi un po’ appannati, globi nichelati dove i camerieri ripongono gli strofinacci, scaffali dipinti in finto legno dove si trovano i tovaglioli dei clienti fissi.
Su un cartello è riportato a mano il piatto del giorno: stufato di montone primavera.
Per i piatti a la carte è previsto quasi sempre un supplemento annotato a fianco.
Maigret ordina. Félicie solleva il velo e lo lascia ricadere sulle spalle: è così pesante che le tira indietro i capelli.
«Era molto infelice a Fécamp?».
Sa ciò che fa. Si aspetta quel fremito delle labbra, quell’espressione di sfida che le compare istintivamente sul viso.
«Perché avrei dovuto essere infelice?».
Già! Perché mai? Il commissario conosce bene Fécamp: le casette povere addossate una all’altra ai piedi della scogliera, le stradine con i rigagnoli d’acqua sporca, i bambini che giocano in mezzo a un nauseante odore di pesce.
«Quanti fratelli e sorelle ha?».
«Sette…».
Il padre sempre ubriaco. La madre che lava biancheria tutto il giorno. Se la vede davanti agli occhi: una ragazzina troppo alta, con le gambe magre e i piedi scalzi. La mettono a servizio come sguattera in una trattoria del porto, Chez Arsène, dove dorme nel sottotetto. Viene sbattuta fuori perché ha rubato qualche soldo dalla cassa, e allora va a giornata da Ernest Lapie, il carpentiere…
Adesso quando mangia ostenta modi raffinati, ed è già tanto se non tiene il mignolo sollevato; eppure Maigret non ride di lei.
«Se solo avessi voluto, avrei potuto sposare il figlio di un armatore…».
«Ma certo, mia cara… È lei che non lo ha voluto, vero?».
«Non mi piacciono quelli con i capelli rossi… Senza contare che suo padre aveva messo gli occhi su di me… Gli uomini sono dei porci…».
È strano: se la si guarda in certi momenti, ci si dimentica che ha ventiquattro anni, si vede soltanto il viso di una ragazzetta un po’ isterica e ci si chiede come sia possibile prenderla sul serio anche un solo istante.
«Mi dica, Félicie… Il suo padrone… intendo dire Gambadilegno… era geloso?…».
È contento. Quel brusco scatto del mento, lo sguardo insieme sorpreso e inquieto, il lampo di collera negli occhi: tutto come previsto.
«Non c’è stato mai niente fra noi…».
«Questo lo so… Però lui era geloso, non è vero?… Scommetto che le proibiva di andare a ballare a Poissy la domenica e che lei era costretta a uscire di nascosto…».
La ragazza non risponde. Senza dubbio si sta chiedendo come abbia fatto Maigret a indovinare la strana gelosia del vecchio, che la domenica sera aspettava il suo rientro, a volte le andava perfino incontro sulla salita e la accoglieva con scenate spaventose.
«Lei gli lasciava credere di avere degli amanti…».
«Che cosa potrebbe impedirmi di avere degli amanti?».
«Naturale! Lei gliene parlava! E lui gliene diceva di tutti i colori. Mi chiedo se qualche volta non sia arrivato persino a picchiarla».
«Non gli avrei mai permesso di toccarmi…».
Mente, ne è sicuro! Maigret se li immagina bene, tutti e due! In quella villetta nuova, nel cuore di Jeanneville, sono soli quanto su un’isola deserta. Non hanno altri legami. Dal mattino alla sera si scontrano, si spiano, bisticciano e hanno bisogno l’uno dell’altra, formano un mondo a parte.
A questo piccolo mondo Gambadilegno sfugge soltanto per la partita a carte all’Anneau d’Or, sempre alla stessa ora; ma lei, Félicie, sogna evasioni più forti.
Bisognerebbe rinchiuderla e montare di guardia sotto le sue finestre per impedirle di andare la domenica sera a recitare la parte della gran dama in incognito alla balera di Poissy. Non appena ha un momento libero, corre da Léontine per abbandonarsi alle confidenze più appassionate.
Tutto qui! I modesti impiegati che entrano per consumare il pranzo leggendo il giornale osservano con stupore quello stravagante personaggio che ha fatto irruzione nel loro scenario abituale. Non ce n’è uno che, di tanto in tanto, non sbirci Félicie con la coda dell’occhio. Nessuno che non accenni un sorrisetto o che non ammicchi con lo sguardo al cameriere.
Eppure, è soltanto una donna… Una donna-bambina!… Maigret l’ha capito, ed è per questo che adesso le parla con dolcezza, con affettuosa indulgenza.
Ricostruisce la vita che si svolgeva intorno a lei a Capo Horn. Se il vecchio Lapie fosse ancora vivo, di sicuro lo scandalizzerebbe dichiarandogli senza preamboli:
«Lei è geloso della sua domestica…».
Geloso, lui, che non ne era neppure innamorato, che non è mai stato innamorato in tutta la sua vita? Geloso, proprio così, perché lei era parte del suo mondo, di un mondo di dimensioni così ridotte che se la più minuscola particella fosse venuta a mancare…
Lapie vendeva forse la verdura dell’orto che aveva in sovrappiù? O la frutta? La regalava, per caso? Certo che no! Era roba sua, così come Félicie. Non lasciava entrare estranei in casa sua. Non offriva a nessuno il vino della sua cantina.
«Come mai ha ospitato il nipote?».
«L’ha incontrato a Parigi. Quando è morta la sorella, gli ha proposto di venire a vivere con lui, ma Jacques non ha voluto… È un ragazzo orgoglioso…».
«E poi, una volta che Lapie è andato a Parigi a riscuotere la pensione, l’ha incontrato. Era in uno stato pietoso, vero?…».
«Perché pietoso?».
«Scaricava cassette di verdura alle Halles…».
«Non è mica un disonore!…».
«No di certo! Anzi! Allora l’ha preso con sé. E gli ha dato la sua stanza perché…».
Interrompe furibonda.
«Non per il motivo che crede lei…».
«Ciò non toglie che vi sorvegliava tutti e due…
Che cosa ha scoperto?…».
«Niente…».
«Pétillon era il suo amante?».
Félicie china la testa sul piatto senza dire né sì né no.
«Fatto sta che la vita in casa era insopportabile e Jacques se n’è andato…».
«Non andava d’accordo con lo zio…».
«È quello che penso anch’io…».
Maigret è contento. Non dimenticherà quel pranzo alla buona, l’atmosfera tranquilla e familiare da trattoria senza pretese. Un raggio obliquo di sole scivola sulla tovaglia e colpisce la caraffa di vino rosso. Fra lui e Félicie si è stabilito un rapporto sereno, quasi cordiale. Sa bene che se lo facesse notare alla ragazza lei negherebbe, col solito tono sprezzante. Ma si capisce che è contenta quanto lui di essere lì, di sfuggire per un po’ alla sua solitudine, che d’istinto cerca di alleviare con fantasie senza capo né coda.
«Vedrà che tutto si sistemerà…».
Lei è sul punto di credergli, ma poi la diffidenza ha il sopravvento. Sospetta sempre chissà quali trappole. In certi momenti - pochi e brevi, purtroppo sembra quasi stia per diventare una giovane come tante. Non ci vorrebbe molto: i tratti del viso potrebbero finalmente rilassarsi e lo sguardo posarsi su Maigret in modo naturale, senza esprimere cose che non pensa. Ha gli occhi pieni di lacrime, i lineamenti addolciti dalla stanchezza…
È pronta a confidarsi, e lui è lì per aiutarla, come un padre…
Ahimè! In quello stesso istante il sospetto che sempre si agita dietro la sua fronte testarda riaffiora e ha la meglio su di lei. Ed è col tono sferzante di sempre che gli dice:
«Se crede che non capisca dove vuole arrivare…».
Si sente sola, completamente sola, a portare il peso di quella tragedia sulle spalle. È
il centro dell’universo, tanto è vero che un commissario della Polizia giudiziaria, un uomo come Maigret, si accanisce contro di lei, unicamente contro di lei!
Non sa che in quello stesso momento Maigret regge le fila di tutto, o quasi: alcuni ispettori si occupano di rue Pigalle e dintorni; altri, al Quai des Orfèvres, procedono all’interrogatorio di individui tirati giù dal letto di buon’ora in equivoci meublé. In diverse città, gli agenti della Buoncostume danno la caccia a una certa Adèle, che già ha lavorato per qualche mese in un bordello di Rouen.
La solita routine, che però da sempre buoni risultati.
Ma in quella trattoria, dove i clienti si salutano con un cenno discreto del capo -
mangiano uno di fronte all’altro tutti i giorni, ma nessuno li ha mai presentati! -, il commissario cerca qualcosa di diverso: il significato di quanto è successo e non la meccanica ricostruzione dei fatti.
«Le piacciono le fragole?».
Ce ne sono sulla credenza, dentro piccoli cestini imbottiti di bambagia. Le prime della stagione.
«Cameriere… Ci porti delle fragole…».
Félicie è golosa, e questo lo diverte. O meglio, ha una predilezione per le cose rare.
Poco importa che Jacques Pétillon non sia in grado di mangiare uva o arance, né di bere champagne. È il gesto che conta, la vista dei grossi acini viola, della bottiglia col cappuccio dorato… Mangerebbe le fragole anche se non le piacessero…
«Che cos’ha, Félicie?».
«Niente…».
Tutt’a un tratto la vede impallidire e questa volta non è una finzione. Qualcosa l’ha colpita. Non riesce a inghiottire la fragola che ha in bocca, sembra sul punto di alzarsi e precipitarsi fuori. Tossisce nascondendo il viso nel fazzoletto, come se il boccone le fosse andato di traverso.
«Ma cosa c’è?…».
Maigret si volta. Vede un tizio non molto alto che nonostante la giornata sia tiepida, si toglie il pesante cappotto e la sciarpa, li appende all’attaccapanni e va a prendere un tovagliolo arrotolato da uno degli scomparti dello scaffale, quello su cui spicca il numero 13.
È un uomo di mezza età, brizzolato. Un tipo comune, scialbo, come se ne incontrano tanti nelle città: solitari, pignoli, brontoloni, vedovi o scapoli incalliti, dalla vita costellata di piccole abitudini. Il cameriere lo serve senza neppure chiedergli cosa desideri e posa davanti a lui una bottiglia già iniziata di acqua minerale. Mentre apre il giornale, l’uomo guarda Félicie aggrottando le sopracciglia, fruga nei suoi ricordi e si domanda…
«Non ne vuole più?».
«Non ho più fame… Andiamo via…».
La mano le trema nel posare il tovagliolo sulla tavola.
«Si calmi…».
«Io?… Sono calmissima… Perché non dovrei essere calma?…».
Dal suo posto, Maigret può osservare il numero 13 nello specchio di fronte e seguire sul viso dello sconosciuto lo sforzo di ricordare. Ecco, ci siamo!… No, non ancora… Vediamo!… Continua a scavare nella memoria… Forse ha trovato… È così, adesso si è ricordato!… Sbarra gli occhi per la sorpresa… Si capisce che pensa:
«Ma guarda un po’ che coincidenza…».
Però non si alza per venirla a salutare, non le rivolge neppure un segno d’intesa.
Com’è che la conosce? Che rapporti ci sono stati fra loro? L’uomo esamina Maigret da capo a piedi, chiama il cameriere, gli sussurra qualcosa; di sicuro il cameriere risponde che non sa niente, che è la prima volta che quella coppia…
Nel frattempo Félicie, in preda all’angoscia, si è alzata bruscamente e si è diretta verso la toilette. Non sarà che ha lo stomaco così chiuso che le viene da vomitare le fragole gustate con tanto piacere?
In sua assenza, Maigret e lo sconosciuto si guardano apertamente in faccia. Il numero 13 vorrebbe forse dire qualcosa all’amico di Félicie?
La porta a vetri smerigliati che conduce alla toilette è la stessa da cui si accede alla cucina. Il cameriere va e viene. Ha i capelli rossi, come il figlio dell’armatore che voleva sposare Félicie quando viveva a Fécamp. Come si fa a non sorridere? Tutto ciò che le capita sotto gli occhi è per lei fonte di ispirazione. Ha visto un ragazzo dai capelli rossi. Il commissario le stava chiedendo se era molto infelice… La sua fantasia si è messa a correre a briglia sciolta e il cameriere è diventato il figlio di un armatore che…
Félicie rimane assente a lungo, troppo a lungo secondo Maigret. Anche il cameriere è molto che non si fa vedere. Il numero 13 riflette, riflette intensamente, con l’aria di chi è sul punto di prendere una decisione.
Finalmente la ragazza ricompare. Sulle labbra ha un mezzo sorriso, e mentre si avvicina abbassa il velo sul viso. Non si siede.
«Andiamo?» lo sollecita.
«Ho ordinato il caffè… Le piace il caffè, no?».
«Non adesso… Mi renderebbe troppo nervosa…».
Maigret finge di crederle. Chiama il cameriere e mentre paga il conto lo guarda dritto negli occhi. Il ragazzo arrossisce leggermente. È tutto chiaro! Félicie gli ha affidato un messaggio per il numero 13. Forse ha scribacchiato due parole su un pezzo di carta, dicendogli di consegnarlo al destinatario solo dopo che sarà andata via.
Mentre escono, lo sguardo del commissario si sofferma involontariamente sul pesante cappotto, dalle grandi tasche sformate, che è appeso all’attaccapanni.
«Torniamo a Jeanneville, vero?».
E gli prende il braccio con un gesto che vorrebbe sembrare spontaneo.
«Sono così stanca!… Tutte queste emozioni…».
Poi ha un moto di impazienza, perché lui se ne sta in piedi, immobile sul marciapiede, come se non sapesse che fare.
«A cosa sta pensando?… Perché non andiamo?… C’è un treno fra mezz’ora…».
Si vede che sta morendo di paura. La mano che si appoggia al braccio del commissario trema, e Maigret sente il bisogno di rassicurarla, non sa nemmeno lui perché. Si stringe nelle spalle…
«Ma sì, andiamo!… Taxi!… Gare Saint-Lazare… Alle linee extraurbane…».
Le ha tolto un gran peso dal cuore, e nel taxi scoperto, sotto i carezzevoli raggi del sole, Félicie sente il bisogno di parlare, parlare…
«Ha detto che non mi abbandonerà… Lo ha promesso, vero?… Non ha paura di compromettersi?… Lei è sposato?… Che stupida sono… Porta la fede…».
Alla stazione, un altro tuffo al cuore. Maigret compra un solo biglietto per Poissy.
Non avrà intenzione di metterla sul treno e rimanere a Parigi? Ha dimenticato che il commissario viaggia senza biglietto. Maigret si lascia cadere pesantemente sul sedile e la guarda con un leggero senso di rimorso.
Non farà fatica a rintracciare l’anziano signore del numero 13, in qualunque momento lo desideri: non c’è dubbio che è un cliente fisso. Il treno parte e Félicie tira un respiro di sollievo. A Poissy passano insieme davanti alla balera. Il padrone, in piedi davanti alla costruzione in legno, riconosce Maigret e gli strizza l’occhio.
Il commissario non sa resistere dal punzecchiare Félicie.
«Guarda chi c’è! Quasi quasi vado a chiedergli se Gambadilegno è mai venuto qui a spiarla mentre ballava…».
Lei lo trascina via.
«Non è il caso… È venuto spesso…».
«Lo vede che allora era geloso…».
Continuando per la strada in salita, arrivano davanti al negozio di Mélanie Chochoi. Maigret ha deciso di spingere oltre il suo gioco:
«E se andassi a chiederle se l’ha mai vista passeggiare di sera con Jacques Pétillon?».
«Non ci ha mai visti!».
Questa volta è sicura di quello che dice.
«Vi nascondevate così bene?».
Arrivano in vista della casa proprio mentre la grossa auto della Scientifica si allontana. Lucas se ne sta sulla porta da solo, quasi fosse il padrone.
«Chi sono?».
«Fotografi, specialisti…».
«Ah sì… Le impronte digitali…».
Félicie sa bene di cosa si tratta. È una lettrice di romanzi, di sicuro anche di romanzi polizieschi!
«Allora, Lucas?».
«Non molto, capo… L’uomo portava guanti di gomma, come lei aveva previsto…
Tutto quello che abbiamo potuto fare è prendere il calco delle impronte delle scarpe…
Erano nuovissime, non le portava da più di tre giorni…».
Félicie è salita in camera sua a togliersi gli abiti da lutto e il velo.
«Novità, capo?… Si direbbe…».
Come lo conosce bene! Maigret ha un modo tutto suo di manifestarsi, di farsi leggere dentro, di sprizzare la vita da tutti i pori… Abbraccia con lo sguardo quell’ambiente: gli è ormai così familiare che, per una sorta di mimetismo, ha acquisito le abitudini delle persone che lo abitano…
«Un goccio?».
Va in sala da pranzo a prendere la caraffa dalla credenza, riempie due bicchierini e si mette sulla porta, di fronte al giardino.
«Alla tua salute!… Senta, Félicie…».
La ragazza è ridiscesa in cucina, si è messa un grembiule e sta controllando che quelli della Scientifica abbiano lasciato tutto in ordine.
«Sarebbe così gentile da preparare un po’ di caffè per il mio amico Lucas?… Io devo fare un salto alla locanda, ma il brigadiere resta qui, quindi stia tranquilla…
Arrivederci a stasera…».
Quello sguardo diffidente e ansioso se lo aspettava.
«Le assicuro che vado proprio all’Anneau d’Or…».
È la verità, ma non ci resta a lungo. Poiché a Orgeval non ci sono taxi, chiede a Louvet, il meccanico, di portarlo a Parigi con il furgone.
«Place des Ternes… Prenda la rue du Faubourg-Saint-Honoré…».
Quando Maigret irrompe nella trattoria, la sala è deserta. Il cameriere stava di certo dormendo da qualche parte nel retro, perché si presenta sbadigliando, con i capelli ritti in testa.
«Sa dove abita il cliente al quale poco fa ha consegnato un biglietto da parte della signora che era con me?».
Quell’imbecille crede di trovarsi di fronte a un marito geloso o a un padre furibondo. Nega, farfuglia. Maigret gli mostra il distintivo.
«Non so come si chiama, gliel’assicuro… Lavora nel quartiere, ma non credo ci abiti, perché mangia qui soltanto a mezzogiorno…».
Maigret non ha intenzione di aspettare fino a domani.
«Non sa che lavoro fa?».
«Un momento… Un giorno ho sentito che ne parlava con il padrone… Vado a vedere se non è ancora uscito…».
Decisamente la siesta qui deve essere sacra! Il padrone si presenta senza solino, cercando di ravviarsi con le mani i capelli in disordine.
«Il numero 13?… Cuoio e pellami… Me ne ha parlato una volta, non ricordo a proposito di che cosa… Lavora in una ditta in avenue de Wagram…».
Elenco alla mano, il commissario non ci mette molto a scoprire il nome della ditta: Gellet e Mautoison, cuoio e pellami, import-export, avenue de Wagram, 17 bis. Ci va senza indugio. Ticchettio di macchine da scrivere negli uffici oscurati da vetri verdastri, sui quali il nome dei proprietari si legge all’incontrario, dall’interno.
«Dev’essere il signor Charles… Venga…».
Attraverso un dedalo di corridoi e di scale che trasudano unto, lo conducono a uno stanzino dell’ultimo piano, che reca sulla porta il cartello: «Economato».
È proprio il signor 13. Eccolo, più grigio che mai nel lungo camice pure grigio, che indossa nell’esercizio delle sue funzioni. Vedendo Maigret violare il suo sacrosanto rifugio ha un sussulto.
«Desidera?…».
«Polizia giudiziaria… Non si agiti… Voglio solo chiederle un’informazione…».
«Non capisco…».
«Ma sì, signor Charles… Lei capisce benissimo… Mi faccia vedere, per favore, il biglietto che il cameriere le ha consegnato poco fa».
«Le giuro…».
«Non giuri, perché sarei costretto ad arrestarla seduta stante per complicità in omicidio…».
L’uomo si soffia il naso rumorosamente, e non solo per guadagnare tempo. Soffre di raffreddore di testa cronico, il che spiega il cappotto pesante e la sciarpa.
«Mi mette in una situazione imbarazzante…».
«Molto meno imbarazzante di quella in cui verrebbe a trovarsi se rifiutasse di rispondere con sincerità alle mie domande…».
Maigret fa la voce grossa, fa il duro, come dice la signora Maigret, che, conoscendolo meglio di chiunque altro, trova tutto questo molto divertente.
«Vede, signor commissario, non pensavo che il mio gesto…».
«Mi mostri quel biglietto, innanzitutto…».
Non lo tiene in tasca: l’ha nascosto in cima allo scaffale più alto, dietro i pacchi di carta intestata, e per recuperarlo deve salire su una scala. Prende anche una rivoltella che maneggia con molta cautela, come chi ha una fifa blu delle armi.
«Di grazia, non dica niente, mai, per nessuna ragione. Getti quello che sa nella Senna. È una questione di vita o di morte».
Maigret sorride leggendo l’ultima frase: vi riconosce lo stile tipico di Félicie. Non aveva detto le stesse parole a Louvet, il meccanico di Orgeval?
«Quando mi sono accorto…».
«Vuol dire quando si è accorto di avere quest’arma nella tasca del cappotto…?».
«Sa già tutto?».
«Era in mètro… Accanto a una ragazza vestita a lutto e, nel momento in cui lei si dirigeva verso l’uscita, ha sentito che un oggetto pesante veniva fatto scivolare nella sua tasca…».
«Solo in seguito mi sono reso conto di cosa si trattava…».
«E ha avuto paura…».
«Non ho mai maneggiato un’arma in vita mia… Non sapevo se fosse carica… E non lo so tuttora…».
Sotto lo sguardo impaurito dell’economo, Maigret estrae il caricatore e vede che manca un proiettile.
«Ma si ricordava della ragazza vestita a lutto…».
«In un primo momento ho pensato di consegnare questo… questo oggetto alla polizia…».
Il signor 13 è confuso.
«Lei è un uomo sensibile, signor Charles. Le donne la mettono a disagio, non è vero? Scommetto che non ha avuto molte avventure nella vita…».
Si sente uno squillo, e l’uomo rivolge uno sguardo preoccupato al pannello sulla parete davanti alla scrivania.
«È il capo… Posso…».
«Vada pure!… So tutto quello che volevo sapere…».
«Ma quella ragazza?… Mi dica… Ha veramente…?».
Un’ombra offusca gli occhi di Maigret.
«Questo è affar nostro, signor Charles… Si sbrighi… Il suo capo è impaziente…».
Infatti risuona di nuovo uno squillo, imperioso.
Poco dopo Maigret sale su un taxi e ordina all’autista:
«Da Gastinne-Renette, l’armaiolo!». Dunque è andata così: sentendosi sorvegliata e sapendo che la casa e il giardino sarebbero stati frugati da cima a fondo, Félicie ha tenuto la rivoltella nascosta addosso per tre giorni! La immagina nel furgone. La strada non è abbastanza deserta. Forse qualcuno li sta seguendo, forse Louvet potrebbe notare il suo gesto. A Parigi…
Alla porte Maillot un ispettore comincia a pedinarla. Félicie prende tempo per riflettere ed entra in una pasticceria dove si rimpinza di dolci. Un bicchiere di porto…
Magari il porto non le piace neppure, ma fa parte di quelle cose raffinate, come l’uva e lo champagne che ha portato all’ospedale. Il mètro… A quell’ora c’è ancora poca gente… Félicie aspetta… Il poliziotto non la perde di vista un attimo…
Le sei, finalmente… La folla che invade i vagoni, i viaggiatori pigiati gli uni contro gli altri, quel provvidenziale cappotto dalle grandi tasche spalancate…
Peccato che Félicie non possa vedere Maigret mentre in taxi si reca dall’esperto di armi. L’ammirazione che leggerebbe sul volto del commissario le farebbe forse dimenticare, almeno per un attimo, le sue paure, e proverebbe un moto d’orgoglio.