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LA NOTTE DELL’ARAGOSTA
Le sei e mezzo di sera. Pressappoco all’ora in cui, di fronte a Capo Horn, Maigret inforca la bicicletta e si gira per dire a Félicie, in piedi sulla porta del villino:
«E invece io la adoro…».
Il telefono squilla nel commissariato di polizia di Béziers. L’ufficio è deserto e la finestra spalancata. Arsène Vadibert, l’assistente del commissario, che, in maniche di camicia, sta guardando una partita a bocce all’ombra dei platani, si volta verso la finestra protetta da un’inferriata, al di là della quale la suoneria insiste fastidiosamente.
«Vengo!… Vengo!…» urla con una nota di rammarico.
E poi col suo accento strascicato:
«Pronto!… Parigi?… Eh?… Cosa?… Qui Béziers… Béziers, sì, così come si pronuncia…,La Polizia giudiziaria?… Sì, abbiamo ricevuto la vostra richiesta… Ho detto la vostra richiesta… Ma lo capite o no il francese a Parigi?… La vostra richiesta di informazioni su una certa Adèle… Ecco, può darsi che abbiamo quel che vi serve…».
Si china un po’ per vedere la camicia bianca del Grélé, che si appresta a bocciare.
«È successo la settimana scorsa, giovedì, nella casa… Come dice?… Quale casa?…
Quella casa, no!… Qui si chiama il Paradou… Una certa Adèle, una bruna non molto alta… Come?… Con le tette a pera?… E che ne so io?… Non le ho mai visto le tette, io… Ma adesso se n’è andata… E se lei mi lasciasse parlare glielo avrei già detto… Ho anche altro da fare, io… Le sto dicendo che una certa Adèle ha voluto lasciare la casa e ha chiesto i soldi che le spettavano… La maitresse ha chiamato il padrone… A quanto pare non aveva il diritto di piantarli in asso così, avrebbe dovuto almeno finire il mese, così il padrone si è rifiutato di darle i soldi. Allora lei si è messa a spaccare bottiglie, a strappare cuscini, insomma è scoppiato un putiferio, e alla fine, siccome non aveva un soldo, si è fatta prestare qualcosa da un’amica e se n’è andata lo stesso… È venuta a Parigi… Cosa?… Non ne so niente… Volevate una Adèle e io ve ne ho trovata una… Buonasera, collega…».
Le sei e trentacinque. L’Anneau d’Or, a Orgeval. Una porta aperta al centro della facciata bianco-grigiastra. Una panca a ogni lato della porta. Un alloro piantato in una botticella all’estremità di ciascuna panca. Panche e botti sono dipinte di verde scuro.
La linea di confine tra ombra e sole è proprio al centro del marciapiede. Un furgone si ferma e ne scende il macellaio, con indosso una camicia a quadretti blu.
Nella fresca penombra della sala, il padrone gioca a carte con Forrentin, Lepape e l’autista del taxi che ha accompagnato Maigret. Lucas li guarda fumando la pipa con aria serena, proprio come fa il commissario, mentre la padrona lava i bicchieri. Il macellaio esclama:
«Buonasera a tutti!… Un bicchiere di vino, signora Jeanne… Senta un po’, le farebbe piacere una bella aragosta?… Me ne hanno appena date due in città, e a casa le mangio solo io, perché mia moglie dice che le fanno venire l’orticaria…».
Va al furgone e ritorna tenendo un’aragosta viva per una chela. Dall’altra parte della strada, si apre una finestra, una mano si agita e una voce chiama:
«Telefono, signor Lucas…».
«Prima di uscire, mi dica… Le piace l’aragosta?».
Se gli piace l’aragosta!
«Germaine! Prepara subito un court-bouillon per cuocere l’aragosta…».
«Pronto!… Sì, sono Lucas… Il capo non è lontano… Come? Da Béziers?… Adèle?…
Giovedì?…».
Maigret smonta dalla bicicletta proprio nel momento in cui il furgone del macellaio si sta allontanando. Mentre aspetta che Lucas esca dall’ufficio postale, si mette a seguire la partita a carte. L’aragosta si muove goffamente sul pavimento vicino al bancone.
«È sua, signora, quell’aragosta? Non me la darebbe?».
«Stavo appunto per cucinarla per il brigadiere e l’autista».
«Mangeranno qualcos’altro. La prendo io, se non le dispiace…».
Lucas attraversa la strada.
«Hanno trovato una certa Adèle, capo… A Béziers… È partita all’improvviso giovedì per venire a Parigi…».
Di tanto in tanto i giocatori gettano un’occhiata dalla loro parte e ascoltano brani di conversazione.
Le sette meno dieci. L’ispettore Rondonnet e il commissario Piaulet chiacchierano in un ufficio della Polizia giudiziaria. Dalle alte finestre prospicienti la Senna entra il fischio di un rimorchiatore.
«Pronto!… Orgeval in linea?… Signorina, sarebbe così gentile da chiamare all’apparecchio il commissario Maigret?…».
Una mano si agita di nuovo alla finestra, e Lucas si precipita. Maigret sta già rimontando in bicicletta, con l’aragosta in mano.
«È per lei, capo…».
«Pronto… Piaulet?… Novità?…».
«Rondonnet crede di aver scoperto qualcosa… Secondo il portiere del Sancho, che è proprio di fronte al Pélican, la notte scorsa il padrone del Pélican è andato a telefonare al bar all’angolo, proprio mentre lei era nel locale… Pronto?… Sì… Poco dopo si è fermato un taxi… Non è sceso nessuno, ma il padrone ha parlato sottovoce con qualcuno che stava dentro… Vede? C’è qualcosa di sospetto… E poi, sabato sera, è scoppiata una rissa al bar-tabacchi di rue Fontaine… Difficile sapere perché… Pare c’entrasse un tipo non in regola…».
«Ahi!…» bofonchia Maigret.
«Cosa?».
«No, niente… È stata l’aragosta… Vada avanti…».
«Non c’è altro… Continuiamo a torchiarli… Qualcuno la sa lunga…».
«Adesso ascolti me… Pronto… Controllate negli archivi… Una rapina o qualcosa del genere, forse una truffa, circa tredici mesi fa… Scoprite chi, in quel periodo, nel giro di place Pigalle aveva un’amante di nome Adèle… Telefonate pure qui a qualunque ora della notte… Lucas rimane vicino al telefono… Che cosa c’è ancora?».
«Un momento… È Rondonnet che ci sta ascoltando all’altro ricevitore e mi sta dicendo qualcosa… Glielo passo…».
«Pronto, capo?… Non so se c’entra… Mi è venuto in mente proprio adesso… Il periodo coincide… Aprile dell’anno scorso… Me ne sono occupato io… Rue Blanche, si ricorda?… Pedro, il padrone dello Chamois…».
L’aragosta non vuole star ferma, e Maigret la posa delicatamente per terra borbottando:
«Non ti muovere…».
«Eh?».
«Dicevo all’aragosta… Pedro… Aiutami a…».
«Un piccolo locale come il Pélican, ma ancora più equivoco, in rue Blanche… Un tipo alto, magro, sempre pallido, con una ciocca bianca, una sola, tra i capelli neri…».
«Ci sono…».
«Erano le tre di notte… Stava per chiudere… È arrivata una macchina, sono scesi cinque uomini che hanno lasciato il motore acceso… Hanno spinto da parte il capocameriere, che stava già chiudendo gli scuri, e sono entrati nel locale…».
«Mi ricordo vagamente…».
«Hanno spinto Pedro in una stanzetta dietro il bar… Pochi istanti dopo c’è stata una sparatoria, vetri a pezzi, bottigliate in testa, poi, di colpo, il buio completo. Io mi trovavo in zona… Una fortuna che siamo arrivati in tempo per prenderne quattro, compreso Patte-en-l’air che si era nascosto sul tetto… Pedro era morto, con quattro o cinque proiettili in corpo… Degli assassini uno solo era riuscito a filarsela, e ci abbiamo messo parecchi giorni per scoprire che era il musicista Albert Babeau… Sa, quello soprannominato il Piccoletto, perché è proprio basso e porta i tacchi per sembrare più alto… Un momento… Il commissario Piaulet mi sta dicendo qualcosa…
Vuole parlarle di persona… Glielo passo…».
«Pronto, Maigret… Mi ricordo anch’io… Ho il fascicolo nel mio ufficio… Vuole che…».
«Non ne vale la pena… Ora mi viene in mente che il Musicista si è fatto prendere a Le Havre… Quanti giorni dopo?».
«Una settimana circa… Avevamo ricevuto una lettera anonima…».
«Quanto gli hanno dato?».
«Bisognerebbe andare a vedere al Casellario giudiziale… Ma la condanna più pesante l’ha presa Monte-en-l’air, perché dal caricatore della sua rivoltella mancavano tre proiettili… Vent’anni, se non mi sbaglio… Gli altri se la sono cavata con condanne da uno a cinque anni… Si diceva che Pedro tenesse sempre grosse somme nel suo locale, e invece non si è trovato niente… Crede che abbiamo fatto centro?… E, senta, non farebbe un salto qui?…».
Maigret esita, urta col piede l’aragosta:
«No, ora non posso… Ascolti… Ecco cosa dovrebbe fare… Lucas rimarrà in contatto tutta la notte…».
Quando esce dalla cabina dice all’impiegata:
«L’avevo avvertita che non avrebbe dormito molto stanotte… Credo anzi che non dormirà per niente…».
Due parole a Lucas, che contempla l’aragosta con uno sguardo cupo.
«Va bene, capo… D’accordo… Dico all’autista di restare?».
«Sì, così siamo più tranquilli…».
E, sullo sfondo di uno splendido tramonto, Maigret ripercorre la stessa strada, come ha fatto tante volte negli ultimi giorni. Guarda con soddisfazione le case-giocattolo di Jeanneville, che ben presto usciranno dal suo orizzonte quotidiano per restare solo un ricordo.
La terra emana un buon odore, l’erba luccica, i grilli cominciano a cantare. E non c’è nulla di più riposante, nella sua semplicità, che osservare i pacifici pensionati con il cappello di paglia che, nei loro orti ben curati, bagnano le verdure con l’innaffiatoio.
«Sono io!» esclama affacciandosi nel corridoio del villino, che odora di sanguinaccio rosolato.
«Senta Félicie… Devo chiederle una cosa importante…».
Lei è già sulla difensiva.
«Sa fare la maionese?».
Un sorriso d’orgoglio.
«Bene, allora vada subito a prepararla e metta questa in pentola…».
Maigret si stropiccia le mani contento. La porta della sala da pranzo è aperta. Entra e, scorgendo la tavola apparecchiata, aggrotta le sopracciglia: la tovaglia a quadretti rossi, un bicchiere di cristallo, le posate d’argento, un bel cestino per il pane, ma un solo coperto.
Non dice niente. Attende. Ha il vago sospetto che dovrà sopportare a lungo - molto a lungo - le frecciate di sua moglie a proposito di quell’aragosta che sta prendendo colore nell’acqua bollente. La signora Maigret non è gelosa, o almeno così dice.
«Gelosa di cosa, Dio mio?» ama esclamare con una risatina forzata.
Quando però, durante una riunione familiare o tra amici, il discorso cadrà sul lavoro di Maigret, non mancherà di sospirare con un certo compiacimento: «Oh, non è poi un lavoro così duro come si crede… Può anche capitare di condurre un’indagine mangiando aragosta in compagnia di una certa Félicie e che poi si passi la notte a casa sua…».
Povera Félicie! Certi pensieri non la sfiorano neppure! Mentre si affaccenda per casa, in quella testa dura di normanna e dietro la fronte sporgente da capra si agitano solo pensieri dettati dall’ansia o dalla disperazione. Il crepuscolo la rattrista, la rende inquieta. Dalla finestra aperta segue con lo sguardo gli andirivieni di Maigret. Forse si sta chiedendo, come Gesù, se questo calice si allontanerà mai da lei.
Maigret coglie persino dei fiori e li sistema lui stesso in un vaso.
«A proposito, Félicie, dove mangiava il povero Lapie?».
«In cucina. Perché? Non valeva la pena di sporcare la sala da pranzo solo per lui».
«Però!».
Ed eccolo che toglie i piatti, la tovaglia e riapparecchia la tavola in cucina vicino al fornello, mentre Félicie, agitatissima, sente che le sta impazzendo la maionese.
«Se tutto va bene, e se lei si comporta come si deve, forse domani mattina avrò una bella notizia da darle…».
«Che notizia?».
«Ma se le ho detto che potrà saperla solo domattina!».
È più forte di lui: non riesce a non tormentarla. Vede bene che soffre, che è disorientata, che ha i nervi a pezzi, ma sente il bisogno di provocarla, quasi volesse vendicarsi di qualcosa.
Non sarà piuttosto che si sente a disagio per il fatto di essere lì con lei anziché a dirigere le complesse operazioni che fra poco scatteranno a place Pigalle e dintorni?
«Il posto di un generale non è nella mischia…».
D’accordo! Ma è proprio indispensabile stare così lontano, tanto da dover organizzare tutto un sistema di staffette, mobilitare l’impiegata postale e mandare su e giù il povero Lucas, da Orgeval a Jeanneville e da Jeanneville a Orgeval, come un postino di campagna?
«Anche l’uomo che sta cercando il malloppo potrebbe pensare a uno scambio degli armadi e quindi ritornare. Chissà se allora si limiterebbe a stordire Félicie con un pugno…».
Scuse plausibili, ma non del tutto valide. La verità è che Maigret prova un’intima soddisfazione a rimanere là, nell’atmosfera tranquilla, quasi irreale, di quel villaggio-giocattolo, e a reggere intanto le fila di un mondo vero, ben diverso e brutale.
«Perché ha apparecchiato qui in cucina?».
«Perché ci tengo a mangiare con lei… Glielo avevo già detto quando mi sono invitato… È la prima e probabilmente l’ultima volta che ceniamo insieme… A meno che…».
Sorride. Lei insiste:
«A meno che?…».
«Niente… Domani mattina, ragazzina, parleremo di tutto e, se ne avremo il tempo, conteremo tutte le bugie che mi ha detto… Prenda questa chela… Su, da brava…».
E d’un tratto, mentre mangiano sotto la lampada, gli viene da pensare:
«Eppure Gambadilegno è stato ucciso!».
Povero Gambadilegno! Curioso destino il suo! Lui che odia le avventure tanto da rifiutare anche la più banale, il matrimonio, finisce per perdere una gamba su un trealberi a Capo Horn, dall’altra parte del mondo!
Per starsene in pace sceglie di vivere a Jeanneville, dove le passioni non sembrano essere di casa, le abitazioni sembrano finte e gli alberi assomigliano a quelli di legno dipinto che ornano le scuole materne.
Eppure l’avventura riesce a scovarlo anche là, arriva minacciosa da un luogo dove lui non ha mai messo piede, un luogo di cui intuisce a malapena gli orrori, da quella place Pigalle dove vive un mondo a parte, una sorta di giungla cittadina in cui le tigri hanno i capelli impomatati e portano in tasca delle Smith & Wesson.
In una mattina come tutte le altre, una mattina trasparente come un acquerello, Gambadilegno curava il suo giardino e, con il cappello di paglia in testa, trapiantava innocenti pomodori. Forse già se li immaginava: rossi, turgidi, succosi, la buccia sottile che si screpola sotto il sole - e pochi minuti dopo era disteso per terra, morto, nella sua stanza che profumava di cera e di campagna.
Come sempre, Félicie mangia a un angolo della tavola e si alza in continuazione per sorvegliare una casseruola sul fornello o versare l’acqua bollente nella caffettiera.
La finestra è spalancata sulla notte blu, un blu di velluto trapuntato di stelle; grilli invisibili si alternano in duetti e anche le rane prendono parte al concerto; un treno passa nella valle, all’Anneau d’Or si gioca a carte e il fedele Lucas mangia bistecche in luogo dell’aragosta.
«Che cosa fa?».
«Lavo i piatti…».
«Non questa sera… La vedo molto stanca. Adesso mi farà il piacere di andare a dormire… Niente storie! Può chiudere a chiave la porta…».
«Non ho sonno…».
«Davvero? Allora le do io qualcosa per dormire… Prenda mezzo bicchiere d’acqua… Due compresse… Ecco fatto… Adesso beva… Non abbia paura… Non ho certo intenzione di avvelenarla…».
Per dimostrargli che non ha paura, Félicie beve. Di fronte all’atteggiamento paterno di Maigret sente il bisogno di ribadire il suo pensiero:
«Io la detesto lo stesso… Un giorno si pentirà di tutto il male che mi ha fatto… E
comunque domani me ne vado…».
«Dove?».
«In un posto qualunque… Non voglio più vederla… Non voglio più restare in questa casa, così lei potrà fare tutto quello che le pare…».
«D’accordo. Domani…».
«Dove sta andando?».
«Salgo con lei… Voglio essere sicuro che nella sua stanza sia tutto a posto…
Bene… Le imposte sono chiuse… Buonanotte, Félicie…».
Quando ridiscende in cucina, la carcassa dell’aragosta è ancora sul piatto di porcellana. L’avrà davanti agli occhi tutta la notte.
L’orologio sulla mensola di marmo nero del camino segna le nove e mezzo quando Maigret si toglie le scarpe e, senza far rumore, sale le scale e si mette in ascolto dietro la porta, per assicurarsi che Félicie, stordita dal sonnifero, dorma tranquilla.
Le dieci meno un quarto. Il commissario, seduto nella poltrona di vimini di Gambadilegno, fuma la pipa con gli occhi socchiusi. Il rumore di un’auto nella campagna, una portiera che sbatte, Lucas che nel corridoio buio urta contro l’attaccapanni di bambù e impreca sottovoce.
«Hanno appena telefonato, capo…».
«Sst… Parla piano… Dorme…».
Lucas sbircia l’aragosta con un pizzico di risentimento.
«Il Musicista aveva una donna, conosciuta nell’ambiente come Adèle. Abbiamo trovato il suo fascicolo. Il vero nome è Jeanne Grosbois ed è nata dalle parti di Moulins…».
«Continua…».
«All’epoca del colpo al locale di Pedro, lo Chamois, lei lavorava al Tivoli, a Rouen… Il giorno dopo la morte di Pedro è venuta via…».
«Avrà accompagnato il Musicista a Le Havre… E poi?».
«Per alcuni mesi ha lavorato al Floralies, a Tolone, poi a Béziers… Raccontava a tutti che il suo uomo era in galera…».
«È stata vista a Parigi?».
«Sì… Domenica una delle sue ex colleghe l’ha incontrata in place Clichy… Ha detto di essere in partenza per il Brasile…».
«C’è dell’altro?».
«No… Il Musicista è uscito di prigione venerdì scorso…».
La solita routine, come dice Maigret. A quell’ora, le camionette della polizia si stanno appostando nelle strade deserte intorno a place Pigalle. Al Quai des Orfèvres continuano gli interrogatori, e quei signori cominciano a innervosirsi e a pensare che la faccenda si stia mettendo male.
«Telefona che ti mandino subito una foto del Musicista… Al Casellario devono averne una… O meglio ancora… Telefona e manda il taxi a prenderla…».
«Qualcos’altro, capo?».
«Sì… Quando l’autista ritorna con la fotografia, fa’ un salto a Poissy… C’è una balera vicino al ponte… Sarà chiusa, ma tu sveglia il proprietario, è uno che tempo fa era nel giro… Fagli guardare bene la foto e chiedigli se è il tizio che domenica sera si è beccato un ceffone da Félicie…».
L’auto si allontana. La notte è di nuovo silenziosa e priva di eventi. Maigret si è versato un bicchierino di liquore e lo tiene al caldo nel cavo della mano. Di tanto in tanto lo sorseggia guardando il soffitto.
Félicie si muove nel sonno facendo cigolare la rete. Chissà che cosa sta sognando, chissà se di notte la sua immaginazione galoppa come di giorno.
Le undici. Nel sottotetto del Palazzo di Giustizia un impiegato in grembiule grigio estrae da un fascicolo due fotografie troppo nitide, una di fronte e una di profilo, e le consegna al tassista perché le porti a Lucas.
È l’ora in cui a Pigalle gli spettatori escono a frotte dai cinema e le pale luminose del Moulin-Rouge girano lentamente al di sopra della folla che gli autobus fendono con difficoltà. I portieri in divisa blu, rossa o verde, i buttafuori e i fattorini negri montano in servizio all’ingresso dei locali notturni, mentre il commissario Piaulet, dal centro dello spartitraffico, controlla lo svolgersi di operazioni invisibili.
Janvier ha preso posto al bar del Pélican, nella sala male illuminata dove i musicisti stanno togliendo dalla custodia i loro strumenti, e non gli sfugge che un cameriere arriva da fuori con un’aria preoccupata e trascina il padrone nei bagni.
Accanto alla gente per bene che conclude una bella serata bevendo una birra al tavolino di un caffè prima di andare a dormire, l’altra Montmartre, quella che comincia adesso a vivere, è percorsa da notizie appena sussurrate, da fremiti di nervosismo. Il padrone esce dai bagni, sorride a Janvier e si rivolge sottovoce a una delle donne sedute in un angolo.
«Non ho voglia di fare tardi stanotte… Sono stanchissima!» annuncia la donna.
E come lei, ora che è stata segnalata la presenza delle auto della polizia, sono in tanti a non aver più voglia di trattenersi in quel settore pericoloso. Ma in boulevard Rochechouart, in rue de Douai, in rue Notre-Dame-de-Lorette, in tutte le vie d’uscita dal quartiere, quei signori e quelle signore vedono tutt’a un tratto emergere figure nascoste nell’ombra.
«Documenti…».
Il seguito dipende dall’umore.
«Vada pure…».
O più spesso:
«Salga…».
… Sui cellulari, le cui luci brillano debolmente lungo i marciapiedi!
Chissà se il Musicista e Adèle sono ancora intrappolati? Riusciranno a sfuggire attraverso le maglie? Di sicuro sanno della retata in corso. Anche se si tengono nascosti in una soffitta, qualche anima caritatevole deve aver provveduto ad avvertirli.
Mezzanotte meno un quarto. Lucas, che inganna l’attesa giocando a domino con il padrone dell’Anneau d’Or - nella sala deserta solo una lampada è accesa -, si alza sentendo arrivare il taxi.
«Starò via una mezz’ora» dice. «Il tempo di scendere a Poissy e poi di andare a riferire al commissario…».
La balera è immersa nel buio, e i colpi di Lucas risuonano nella calma notturna.
Una testa di donna, coperta di bigodini, s’affaccia alla finestra.
«Fernand… Ti vogliono…».
Una luce, dei passi, un borbottio, poi la porta si schiude.
«Eh?… Come dice?… Lo sapevo che avrei avuto delle rogne… Ho la licenza da pagare, io!… Ho delle spese… Non mi va proprio di trovarmi invischiato…».
Vicino al bancone di quella sala sbiadita, le bretelle ciondoloni sulle cosce e i capelli arruffati, osserva le due fotografie.
«Ho visto… Be’? Che cosa vuole sapere?».
«È il tipo che si è preso uno schiaffo da Félicie?».
«E poi?».
«Niente… Mi basta… Lo aveva già visto prima?».
«Mai visto prima di quel giorno… Che cosa ha fatto?».
Mezzanotte. Lucas scende dall’auto, e Maigret sobbalza nella poltrona, come chi si sveglia bruscamente da un sonno profondo. Sembra poco interessato al racconto del brigadiere.
«Me l’immaginavo…».
Con i delinquenti, per quanto duri siano o credano di essere, si gioca sul velluto. Si sa come sono fatti. Si possono prevedere facilmente le loro mosse. Non è come con Félicie, quel bel fenomeno, che gli da ben altro filo da torcere.
«Che cosa faccio adesso, capo?».
«Torna a Orgeval… Fai una partita a domino e aspetti che ti chiamino al telefono…».
«Chi le ha detto che stavo giocando a domino?».
«Siete lì in due, tu e il padrone, e tu non sai giocare a carte…».
«Crede che qui succederà qualcosa?».
Maigret si stringe nelle spalle. Non ne ha idea e non gli importa.
«Buonanotte…».
L’una del mattino. Félicie parla nel sonno. Dietro la porta, il commissario si sforza inutilmente di capire quello che dice. Senza pensarci, gira il pomolo e l’uscio si schiude.
Gli viene da sorridere. È stato gentile da parte di Félicie non chiuderla a chiave: si vede che ha fiducia in lui. Per un attimo ascolta il suo respiro e le sillabe confuse che mormora come un bambino, osserva la macchia lattiginosa del letto e quella nera dei capelli sul cuscino, poi richiude dolcemente la porta e ridiscende in punta di piedi.
In place Pigalle risuona un fischio acuto. È il segnale. Tutte le uscite sono bloccate, e gli agenti in divisa avanzano in ranghi serrati. Da ogni parte sbucano uomini e donne che tentano di forzare lo sbarramento ma vengono acciuffati al volo. Un agente si fa mordere a sangue un dito da una rossa corpulenta in abito da sera. I cellulari si riempiono.
Sulla porta del Pélican, il padrone fuma nervosamente una sigaretta e protesta:
«Vi assicuro, signori, che qui da me non troverete niente… Qualche americano un po’ brillo…».
Un uomo tira per la manica Dunan, il giovane ispettore che nel pomeriggio ha aspettato Maigret all’Hotel Beauséjour. È il cameriere dell’albergo! Ma forse è lì solo per curiosare.
«Presto… È lei…».
E indica la porta a vetri di un bar dove c’è solo il padrone dietro al banco. Sul fondo, una porta si sta richiudendo, ma l’ispettore ha avuto il tempo di intravedere una figura femminile.
«È la donna che è venuta con quel tipo…».
Adèle!… L’ispettore chiama due agenti… Insieme si precipitano verso la porta, attraversano i gabinetti deserti e scendono a precipizio per una scala stretta, dove ristagna puzza di umidità, di vino cattivo e di urina.
«Aprite…».
Davanti a loro c’è la cantina. La porta è chiusa a chiave e un agente la butta giù con una spallata.
«Mani in alto!…».
Il fascio di una torcia elettrica illumina botti, scaffali pieni di bottiglie, cassette di aperitivi. Nessun rumore. Ma rimanendo immobili come ha ordinato l’ispettore gli agenti percepiscono un respiro affannoso, forse addirittura i battiti del cuore di un essere umano terrorizzato.
«Venga fuori, Adèle…».
La donna sbuca da dietro una pila di casse, dibattendosi come una furia nell’inutile tentativo di sfuggire ai tre poliziotti. Ed è con non poca fatica che questi riescono a metterle le manette.
«Dov’è il tuo uomo?».
«Non lo so…».
«Che cosa stavi facendo per la strada?».
«Non lo so…».
E in tono sarcastico:
«È più facile prendersela con una donna indifesa che col Musicista, eh?».
Le tolgono la borsetta. Quando la aprono, nel bar, vi trovano soltanto un biglietto da visita professionale un po’ malandato, qualche spicciolo e delle lettere scritte a matita, senza dubbio quelle che il Musicista le inviava dal carcere, dato che sono indirizzate a Béziers.
Un primo cellulare, ormai pieno, si dirige verso il carcere provvisorio, che stanotte sarà piuttosto affollato. Molti signori in smoking, molti abiti da sera, persino camerieri e portieri di notte.
«Ecco la sua pollastrella, signor commissario…».
Il commissario Piaulet domanda, anche se con poche speranze:
«Sicura di non voler vuotare il sacco? Dov’è?».
«Non lo troverete!…».
«Portatela via… Non col cellulare… Mandatela da Rondonnet…».
Negli alberghi a ore gli agenti bussano a tutte le porte e verificano i documenti, e per molti gentiluomini in camicia è imbarazzante essere trovati in posti come quelli e, per di più, in compagnia.
«Vi chiedo solo di fare in modo che mia moglie…».
Ma sì! Ma sì!
«Pronto? È lei, Lucas?… Dica per favore a Maigret che Adèle è qui… Sì…
Ovviamente non apre bocca… No, nessuna notizia del Musicista. Sì, continuiamo a interrogarla… E controlliamo sempre il quartiere…».
Ora i pesci sono quasi tutti nella rete, e in place Pigalle e dintorni si può dire che regni la calma, la calma piatta che segue la tempesta: le strade sono più silenziose del solito, e i nottambuli che arrivano dal centro sono sorpresi di vedere i locali notturni tanto tranquilli e, anche, di ricevere degli inviti a entrare così poco calorosi.
Le quattro. Per la terza volta Lucas entra a Capo Horn. Maigret si è tolto il solino e la cravatta.
«Per caso, non hai un po’ di tabacco? Ho finito l’ultima pipa mezz’ora fa…».
«Hanno preso Adèle…».
«E lui?».
Teme di sbagliarsi, eppure… Il Musicista è al verde, di questo è assolutamente sicuro… Il giorno prima che uscisse dal carcere, Adèle ha lasciato Beziers senza denaro… Lui viene a Poissy… È domenica… Forse si è spinto fino a Jeanneville…
Segue Félicie alla balera. Certo, se potesse sedurre la servetta colorata come un pappagallo, tutto sarebbe più facile… Potrebbe entrare in casa quando vuole…
Ma lei lo schiaffeggia!
Il giorno dopo, lunedì, il vecchio Lapie viene ucciso in camera sua, e il Musicista deve filarsela in tutta fretta senza aver trovato il malloppo.
«A che ora hanno preso Adèle?».
«Circa mezz’ora fa… Ci hanno telefonato subito…».
«Vacci tu… Prendi il taxi…».
«Crede che lui…».
«Vacci, ti dico… E sbrigati…».
Maigret richiude con cura la porta e, dopo aver spento la luce e aver gettato l’ennesima occhiata al carapace rosso dell’aragosta sul tavolo, riprende il suo posto vicino alla finestra della cucina.