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IL MÉTRO DELLE SEI

Maigret se ne sta in corridoio, con le mani nelle tasche dei pantaloni, davanti all’attaccapanni di bambù, quello con uno specchio a losanga al centro. La faccia che vede dovrebbe suscitargli un sorriso: sembra quella di un bambino che vorrebbe fare qualcosa ma si vergogna. Maigret però non ha voglia di ridere, e alla fine allunga il braccio, prende il cappello di paglia a tesa larga da uno dei ganci e se lo mette in testa.

Che buffo! La testa del vecchio Gambadilegno era perfino più grossa di quella del commissario, che pure non scherza, costretto com’è a entrare in più di un negozio per trovare un cappello della sua misura. Questo particolare gli dà da pensare. Sempre tenendo il cappello di paglia in testa, torna in sala da pranzo per guardare d nuovo la fotografia di Jules Lapie trovata in un cassetto.

A un criminologo straniero che lo interrogava sui metodi di Maigret, il direttore della Polizia giudiziaria ha un giorno risposto con un sorriso enigmatico:

«Maigret? Che posso dirle? Entra in un’inchiesta come infilerebbe i piedi nelle pantofole…».

Oggi poco manca che il commissario si infili, se non le pantofole della vittima, almeno i suoi zoccoli. Sono lì, proprio dove uno se lo aspetterebbe: a destra della porta d’ingresso! Ogni cosa è al suo posto. Se non fosse per la scomparsa di Félicie, Maigret potrebbe pensare che la vita in casa si svolge come al solito, che è lui il vecchio Lapie, e che adesso si sta avviando lentamente verso il filare di pomodori rimasto incompiuto per concludere il lavoro.

Il sole tramonta in un tripudio di colori dietro le villette chiare che si vedono dal giardino. Ernest Lapie, il fratello del morto, ha avvisato che passerà la notte a Poissy e ha rimandato la famiglia a Fécamp. Gli altri, i vicini e alcuni contadini di Orgeval, dopo il funerale se ne sono tornati a casa oppure sono andati a bere un bicchiere alla locanda, L’Anneau d’Or.

Anche il brigadiere Lucas si trova alla locanda, perché Maigret gli ha chiesto di portare lì la sua valigia e di tenersi in contatto telefonico con Parigi.

Gambadilegno aveva la testa grossa, folte sopracciglia grigie, il viso rettangolare e ricoperto di barba grigia perché si radeva una sola volta alla settimana… Era avaro…

Basta dare un’occhiata ai suoi conti… Si capisce subito che badava al centesimo…

Anche il fratello lo ha ammesso:

«Certo era un po’ tirato…».

E quando un normanno dice di un altro normanno che è «un po’ tirato»…

L’aria è tiepida. Il cielo si sta facendo viola. Ventate di aria fresca arrivano dalla campagna e Maigret, con la pipa in bocca, si accorge di stare un po’ curvo, proprio come Lapie. Mentre si avvia verso la cantina, strascica persino un po’ la gamba sinistra. Apre la spina della botte del rosé, sciacqua un bicchiere, lo riempie. A quest’ora Félicie dovrebbe essere in cucina, e di certo il profumo dello stufato arriverebbe fino in giardino… Forse è tempo di dare acqua alle piante… Nelle proprietà vicine c’è chi innaffia il giardino… La penombra sta invadendo Capo Horn dove, quando il vecchio era ancora vivo, le luci si accendevano di sicuro all’ultimo momento.

Perché lo hanno ucciso? Maigret si sorprende a pensare che un giorno anche lui andrà in pensione, e avrà una casetta in campagna, un giardino, un grande cappello di paglia.

Certo non lo hanno ucciso per derubarlo: il fratello dice che non possedeva quasi niente all’infuori della famosa pensione. In casa sono stati trovati un libretto della Cassa di Risparmio, una busta con delle banconote per duemila franchi e alcune obbligazioni della Città di Parigi. Neanche il suo orologio d’oro è stato toccato.

No! Bisogna cercare altrove. Entrare ancora di più nella pelle del vecchio. È un brontolone, burbero, taciturno, pignolo. È anche un solitario, e il benché minimo cambiamento d’abitudini lo infastidisce. Non ha mai sentito il desiderio di sposarsi né di avere dei figli, e non gli si conosce nemmeno un’avventura.

Che cosa ha voluto insinuare Félicie? Non è possibile! Mente di sicuro! Quella ragazza mente come respira! O meglio, si inventa delle storie a suo uso e consumo.

Sarebbe troppo semplice, troppo banale essere solo la domestica del vecchio.

Preferisce lasciar credere che se Gambadilegno l’ha voluta con sé…

Maigret si gira verso la finestra della cucina. Com’erano i rapporti tra quei due, che vivevano in un simile isolamento? Ha il sospetto che litigassero come cane e gatto.

Anzi, ne è sicuro.

Tutt’a un tratto… Maigret ha un sussulto… È appena uscito dalla cantina dove ha bevuto un secondo bicchiere di vino… Se ne sta lì fermo, in piedi nel crepuscolo, con in testa il cappello di paglia, e per un attimo si chiede se non stia sognando. Dietro la tenda di pizzo della cucina si è accesa una luce, si distinguono le casseruole che brillano sulle pareti verniciate a smalto, si sente il pluff del fornello a gas. L’orologio del commissario segna le otto meno dieci.

Maigret apre la porta e vede Félicie, che ha già appeso velo e cappello all’attaccapanni e sta mettendo l’acqua sul fuoco.

«Ah! È tornata?».

Senza scomporsi, Félicie lo squadra dalla testa ai piedi, poi il suo sguardo si fissa sul cappello di paglia che Maigret si è dimenticato di avere indosso.

Il commissario si siede. Probabilmente sta occupando il posto del vecchio vicino alla finestra, e distende le gambe, mentre Félicie va avanti e indietro come se lui non ci fosse: apparecchia la tavola per sé, prende il burro, il pane e un po’ di salame dall’armadietto.

«Senta, figliola…».

«Non sono sua figlia…».

«Senta, Félicie…».

«Potrebbe anche chiamarmi signorina!».

Dio mio! Quanto è antipatica! Maigret prova lo stesso senso di irritazione di chi tenta di afferrare un animaletto, una lucertola o una biscia per esempio, che gli sfugge ripetutamente fra le dita. Gli secca doverla prendere sul serio, ma è convinto che da lei, e solo da lei, verrà a sapere la verità.

«Le avevo chiesto di non allontanarsi…».

Lei ostenta un sorriso soddisfatto come per dire:

«E io me ne sono andata lo stesso! Ha visto?».

«Posso chiederle cosa è andata a fare a Parigi?».

«Una passeggiata!».

«Davvero? Attenta a quello che dice. Tra poco saprò tutto per filo e per segno».

«Lo so. C’era un imbecille che mi seguiva».

«Un imbecille?».

«Un tizio alto, con i capelli rossi, che ha cambiato sei volte mètro per starmi dietro».

Di sicuro era l’ispettore Janvier, che l’aveva pedinata dopo che il furgone del meccanico era arrivato alla porte Maillot.

«Da chi è andata?».

«Da nessuno».

Si siede a tavola per mangiare e, come se non bastasse, sistema davanti a sé uno dei suoi romanzetti, toglie il coltello che fa da segnalibro e si mette tranquillamente a leggere.

«Mi dica, Félicie…».

Ha una fronte da capra, ecco cosa lo ha colpito fin dal primo istante. Se ne rende conto solo ora. La fronte alta e testarda di una capra che si avventa ostinata contro qualunque cosa le sembri un ostacolo.

«Ha intenzione di passare la notte in questa casa da sola?».

«E lei? Intende rimanere qui?».

Félicie continua a mangiare e a leggere, mentre lui cerca di nascondere il cattivo umore dietro un’espressione ironica che vorrebbe sembrare paterna.

«Stamattina mi ha detto che era sicura di ereditare…».

«E allora?».

«Come faceva a saperlo?».

«Lo sapevo!».

Ha preparato il caffè e se ne versa una tazza; da come lo gusta si capisce che il caffè le piace molto. Non gliene offre, e a questo punto Maigret si alza con un sospiro:

«Verrò a trovarla domani».

«Faccia come crede…».

«Spero che ci penserà».

I suoi occhi chiari e sibillini gli lanciano uno sguardo di sfida:

«A cosa?» risponde con un’alzata di spalle.

Al cancello Maigret incontra l’ispettore Janvier, che ha pedinato Félicie fino a Jeanneville. La sua sigaretta brilla nel buio. È una notte calma e stellata, e si odono gracidare le rane.

«L’ho riconosciuta subito, capo, dalle indicazioni che Lucas ci ha dato al telefono.

Quando il furgone è arrivato al dazio, la ragazza era seduta vicino al meccanico e chiacchieravano come due buoni amici. È scesa e ha percorso a piedi l’avenue de la Grande-Armée, fermandosi a guardare le vetrine. All’angolo di rue Villaret-de-Joyeuse è entrata in una pasticceria dove ha mangiato una mezza dozzina di paste alla crema, con un bicchiere di porto».

«Si è accorta che la pedinavi?».

«Non credo».

«E invece sì».

Janvier è mortificato.

«Si è diretta verso il mètro, ha comprato un biglietto di seconda classe e ha cambiato linea prima a place de la Concorde, poi alla gare Saint-Lazare… I vagoni erano semivuoti… Si sedeva e leggeva un romanzetto che teneva nella borsa…

Abbiamo cambiato cinque volte…».

«Ha parlato con qualcuno?».

«No… Intanto saliva sempre più gente… Quando poi alle sei hanno chiuso i negozi e gli uffici, c’è stato l’assalto… Sa com’è…».

«E poi…».

«Alla fermata di place des Ternes, ci siamo ritrovati a meno di un metro l’uno dall’altra, schiacciati tra la folla… Devo ammettere che a quel punto ho capito che la ragazza sapeva di essere seguita… Mi guardava… Solo un’impressione, capo… Come dire… Per un attimo il suo viso è cambiato… Sembrava che avesse paura… Sono sicuro che ha avuto paura, di me o di qualche cosa… Questione di pochi secondi, poi si è fatta strada a gomitate ed è scesa…».

«Sei sicuro che non abbia parlato con nessuno?».

«Sicurissimo… Stava lì sul marciapiede a fissare il vagone strapieno, aspettando che il treno ripartisse…».

«Ti è sembrato che fosse interessata a qualcuno in particolare?».

«Non saprei… Certo è che la sua faccia ha cominciato a rilassarsi, e quando il treno è scomparso nell’oscurità della galleria non ha potuto fare a meno di lanciarmi uno sguardo di trionfo… Poi è risalita rapidamente in strada… Secondo me non conosceva il quartiere… Ha bevuto un aperitivo all’angolo di avenue des Ternes, poi ha consultato l’orario ferroviario e ha preso un taxi per la gare Saint-Lazare… Questo è tutto… Ho preso il suo stesso treno fino a Poissy, poi abbiamo risalito la collina uno dietro l’altra…».

«Hai mangiato?».

«Un panino al volo alla stazione».

«Resta qui ad aspettare Lucas…».

Maigret si allontana, lasciandosi alle spalle la quieta frazione di Jeanneville, dove solo qualche finestra è illuminata di luce rosata, e poco dopo arriva a Orgeval. Lucas lo sta aspettando all’Anneau d’Or. L’ispettore non è solo. L’uomo che è con lui, in tuta blu, è di sicuro Louvet, il meccanico, e come dimostrano i quattro o cinque sottobicchieri che ha davanti è alquanto su di giri.

«Il mio capo, il commissario Maigret…» dice Lucas facendo le presentazioni, e si sente che ha bevuto un po’ anche lui.

«L’ho già detto al brigadiere, signor commissario… Quando sono rimontato in macchina non mi sono accorto di niente… Tutti i giovedì pomeriggio vado a Parigi a comprare i pezzi che mi servono».

«Sempre alla stessa ora?».

«Be’, più o meno…».

«Félicie lo sapeva?».

«A dire la verità, la conoscevo appena, e solo di vista… Non le ho mai parlato…

Però conoscevo Gambadilegno che veniva tutte le sere a giocare a carte con Forrentin e Lepape… A volte ero io a fare il quarto, oppure il padrone o qualcun altro… Ecco, guardi… Forrentin e Lepape sono quei due, nell’angolo a sinistra, tra il sindaco e il muratore…».

«Quando si è accorto che c’era qualcun altro nel furgone?».

«Poco prima di Saint-Germain… Ho sentito un soffio proprio alle mie spalle, ma ho pensato che fosse il vento, perché c’era un po’ d’aria che faceva sollevare il telone… All’improvviso sento una voce che mi dice:

«“Ha da accendere, per favore?”.

«Mi giro e la vedo, con il velo sollevato e la sigaretta in bocca…

«Non rideva di certo, glielo garantisco… Era molto pallida e la sigaretta le tremava fra le labbra…

«“Che cosa ci fa lei qui?” le chiedo.

«Allora si mette a parlare e non la finisce più… Mi racconta che deve andare immediatamente a Parigi, che non c’è un minuto da perdere, che è una questione di vita o di morte, che quelli che hanno ucciso Gambadilegno adesso ce l’hanno con lei e la polizia non ci capisce niente.

«Mi fermo un attimo per farla sedere sul sedile davanti, vicino a me, invece che su quella vecchia cassa non tanto pulita dove si era messa…

«“Un giorno, forse un giorno…” continuava a ripetere. “Quando avrò fatto quello che devo, può darsi che le racconterò tutto… Ad ogni modo le sarò grata in eterno per avermi salvata…”.

«Poi, arrivati al dazio, mi dice grazie e scende, con l’aria sostenuta di una principessa».

Lucas e Maigret si scambiano un’occhiata.

«Adesso, però, se siete d’accordo ci facciamo l’ultimo - tocca a me offrire - poi vado a mangiare un boccone… Non avrò delle noie per questa storia, no? Alla vostra!…».

Sono le dieci. Davanti a Capo Horn Lucas ha preso il posto di Janvier, che è tornato a Parigi. La sala dell’Anneau d’Or è piena di fumo. Maigret ha mangiato troppo ed è già al terzo o quarto bicchierino di grappa locale.

A cavalcioni sulla sedia di paglia, con i gomiti appoggiati allo schienale e gli occhi semichiusi, un filo di fumo che sale dalla pipa, sembra sonnecchiare. Quattro uomini giocano a carte davanti a lui.

Gettano le carte untuose sul tappeto rosso scuro, parlano, rispondono alle domande, ogni tanto si raccontano un fatterello. Il signor Joseph, il proprietario, ha preso il posto del vecchio Lapie, e il meccanico, dopo essere andato a casa a cenare, è ritornato.

«Insomma,» sospira Maigret «una vita da pascià… Un po’ come un buon curato di campagna con la sua perpetua… Vezzeggiato e coccolato…».

Lepape, il vicesindaco di Orgeval, lancia agli altri un’occhiata fugace. Il suo compagno, Forrentin, è il direttore della società che gestisce la lottizzazione e abita nella villa più bella, quella sulla strada, vicino al cartello che informa i passanti che a Jeanneville ci sono ancora terreni in vendita.

«Un curato e la sua perpetua, questa sì che è buona!…» sogghigna il vicesindaco.

Forrentin si limita a un risolino sarcastico.

«Ma no! Si vede che lei non lo conosceva…» interviene il proprietario del caffè senza smettere di giocare a belote. «Pace all’anima sua… Ma era un asino calzato e vestito…».

«In che senso?».

«Voglio dire che non faceva altro che brontolare dalla mattina alla sera, spesso a sproposito. Non era mai contento… Prenda ad esempio la faccenda dei bicchieri…».

E chiama gli altri a testimone.

«Prima ha trovato da ridire sui miei bicchieri da liquore, che secondo lui avevano un fondo troppo spesso, ed è andato a scovare, su in alto sullo scaffale, un bicchiere spaiato che era più di suo gusto. Poi un giorno, facendo un travaso, si è accorto che aveva la stessa capienza degli altri e si è infuriato.

«“Ma se l’ha scelto lei, quel bicchiere!” gli ho detto io.

«Pensi che è andato in città a comprare un bicchiere e me l’ha portato. Conteneva un terzo in più dei miei.

«“Per me sta bene…” gli ho replicato. “Basta che mi paghi cinque soldi in più”.

«Non è venuto per una settimana. Una sera l’ho visto in piedi, sulla porta.

«“Il mio bicchiere?”.

«“Cinque soldi in più” gli rispondo.

«E lui se ne va. La faccenda è andata avanti per un mese, e alla fine ho ceduto io perché ci mancava il quarto per la partita.

«Ho ragione o no di dire che era un asino? Con la domestica era la stessa cosa.

Litigavano dalla mattina alla sera. Si sentivano a chilometri di distanza. Musi lunghi per settimane intere… Mi sa tanto però che alla fine l’aveva vinta lei, perché, senza offesa, è più normanna di lui… Però vorrei proprio sapere chi ha ucciso quel poveraccio. In fondo non era cattivo… Aveva un brutto carattere, ecco tutto. Mai una volta che si finisse una partita senza che lui a un certo punto si mettesse a strepitare che qualcuno cercava di fregarlo!».

«Andava spesso a Parigi?» domanda Maigret dopo un po’.

«Quasi mai… Una volta ogni tre mesi, per riscuotere la pensione… Partiva la mattina e tornava la sera».

«E Félicie?».

«Secondo voi Félicie andava spesso a Parigi?».

Nessuno sa niente. Ma più di una volta Félicie è stata vista di domenica a Poissy, in una balera in riva al fiume.

«Indovini come la chiamava il vecchio… Parlando di lei, diceva: “Il mio cacatua”…

Dire che si veste in modo originale è poco… Vede, signor commissario - ora il nostro amico Forrentin si offenderà, ma io dico sempre quello che penso -, gli abitanti di Jeanneville sono tutti strambi, chi più chi meno… Non è gente normale… Sono poveracci che hanno sgobbato tutta la vita sognando di ritirarsi un giorno in campagna… E quando quel giorno arriva si lasciano affascinare dagli opuscoli pubblicitari di Forrentin… Buono, buono Forrentin! Lo sanno tutti che hai un vero talento per prendere i pesci all’amo… Ed eccoli finalmente nel paradiso terrestre, dove però si rompono subito le scatole… per cento franchi l’ora…

«Solo che ormai è troppo tardi… Ci hanno investito i loro quattro soldi, e quindi devono divertirsi come possono, o almeno far finta di divertirsi… E allora alcuni vanno in tribunale per un ramo d’albero che sconfina nel loro giardino o per un cane che ha pisciato sulle loro begonie… Altri…».

Maigret non si è appisolato, tant’è vero che muove il braccio per portare il bicchiere alle labbra. Ma è intorpidito dal caldo, e sprofonda lentamente in un mondo che a poco a poco prende forma nella sua mente. Rivede i viali non ancora sistemati di Jeanneville, i giovani alberelli, le case-giocattolo variopinte, i giardinetti troppo leccati, gli animali di ceramica, i lampioni a globo…

«E mai nessuna visita».

Non ha senso. È tutto troppo normale, troppo preciso, nessun punto oscuro. Se la sua vita era davvero come gliela descrivono, come mai un bel giorno, proprio quel lunedì, mentre Félicie era a fare la spesa al negozio di Mélanie Chochoi, Gambadilegno ha abbandonato d’un tratto le piante di pomodori per andare a prendere la caraffa e il bicchiere in sala da pranzo, si è messo sotto il pergolato a bere da solo il liquore delle grandi occasioni e poi…?

Aveva ancora in testa il cappello di paglia quando è salito in quella sua camera dal pavimento lucidissimo. Cosa c’è andato a fare?

Nessuno ha sentito il colpo, eppure dall’esame balistico risulta che gli hanno sparato nel petto a bruciapelo, a meno di due metri di distanza.

Se si fosse trovata la pistola, si sarebbe magari potuto pensare che Gambadilegno, in una crisi di depressione…

Il vicesindaco non si pone tanti interrogativi, e contando i punti borbotta:

«Cosa vuole che le dica? Era un tipo strano…».

D’accordo! Ma è morto! Qualcuno lo ha ucciso! E Félicie, con quella sua aria da santarellina, è riuscita a svignarsela subito dopo il funerale sotto gli occhi della polizia, per andare a Parigi a guardare le vetrine come se niente fosse, a mangiare paste alla crema, bere un bicchierino di porto, scorrazzare su e giù in mètro!

«Mi chiedo chi andrà ad abitare in quella casa…».

I giocatori si parlano a mezze frasi, e Maigret non presta loro molta attenzione: è come un brusio di sottofondo. Non risponde neanche che sarà Félicie. I pensieri vanno e vengono. Le immagini si formano e si dissolvono. Conserva a malapena la nozione dello spazio e del tempo… Félicie sarà a letto a leggere. Non ha paura di starsene tutta sola nella casa dove il suo padrone è stato ucciso… Ernest Lapie, il fratello, si è offeso per via del testamento… Non che abbia bisogno di denaro, ma va al di là della sua comprensione il fatto che suo fratello…

«… La casa meglio costruita di tutto il quartiere…».

Chi sta parlando? Deve essere Forrentin.

«È comoda, non c’è che dire… Grande quanto basta per avere tutto a portata di mano e…».

Maigret rivede la scala tirata a cera. Si può dire quel che si vuole di Félicie, ma tiene la casa come uno specchio. Per usare le parole della mamma di Maigret, ci si potrebbe mangiare per terra.

Una porta a destra… La stanza del vecchio… Una porta a sinistra: quella di Félicie… La camera di Félicie da su un’altra stanza piuttosto grande, dove sono ammucchiati alcuni mobili…

Maigret aggrotta le sopracciglia. Non è proprio un’intuizione e ancor meno un’idea. Solo il vago sospetto che forse c’è qualcosa che non va.

«Quando c’era il ragazzo…» sta dicendo Lepape.

Maigret ha un sussulto.

«Vuol dire il nipote?».

«Sì… È stato dallo zio circa un anno fa, per sei mesi o poco più… Un ragazzo malaticcio… Si diceva che gli avessero consigliato l’aria di campagna, ma lui se la filava sempre a Parigi…».

«Qual era la sua stanza?».

«Bella domanda!…».

Lepape strizza l’occhio, mentre Forrentin da segni di imbarazzo. Evidentemente non gli piace che circolino pettegolezzi su Jeanneville, di cui si considera una specie di tutore morale.

«Non significa niente» ribatte.

«Insomma, è vero o no che il vecchio e Félicie…? Senta, signor commissario… Lei conosce la casa… A destra della scala c’è solo una stanza, ed è quella di Gambadilegno… A sinistra ce ne sono due, ma bisogna attraversarne una per entrare nell’altra… Be’, quando è arrivato il nipote, lo zio gli ha ceduto la propria stanza e si è sistemato dall’altra parte, cioè, in pratica, con Félicie. Lui dormiva nella prima stanza e la domestica nella seconda, e quindi lei doveva passare da quella del padrone per entrare nella sua o uscirne…».

Forrentin obietta:

«Avrebbe forse dovuto mettere insieme un ragazzo di diciotto anni e una ragazza?».

«Non dico questo, non dico questo…» controbatte Lepape con l’aria di chi la sa lunga. «Non voglio insinuare niente, io… Mi limito a constatare che il vecchio e Félicie stavano dalla stessa parte del pianerottolo e il nipote da solo dall’altra… Quel che poi succedeva…».

Maigret non pensa a nulla del genere. Non che si faccia delle illusioni sugli uomini di una certa età e neppure sui vecchi. D’altronde Gambadilegno aveva solo sessant’anni ed era ancora pieno di vigore.

Solo che non corrisponde all’idea che si è fatto di lui, tutto qui. Gli sembra di cominciare a entrare nei panni dell’uomo scorbutico di cui poco prima ha indossato il cappello di paglia.

Non sono i suoi rapporti con Félicie che lo preoccupano. E allora che cosa? Questa storia della camera lo lascia perplesso.

Come uno scolaro che vuole fissarsi bene in mente la lezione, continua a ripetersi:

«Il nipote a sinistra, da solo… Lo zio a destra, e poi Félicie…».

Il vecchio si è messo in mezzo ai due ragazzi. Ha voluto evitare che si incontrassero a sua insaputa? Ha cercato di impedire che Félicie corresse la cavallina? No, tant’è che dopo la partenza del nipote l’ha di nuovo lasciata sola dall’altra parte del pianerottolo.

«Faccia un altro giro!» dice al proprietario.

Si alza e si avvia verso la sua stanza. Non vede l’ora che arrivi domani, vorrebbe già essere nel villaggio-giocattolo, rivedere le rosee casette assolate, quelle tre stanze… Prima di tutto, però, chiamerà Janvier a Parigi per dirgli di tenere d’occhio il ragazzo.

Fino a quel momento Maigret non gli ha prestato molta attenzione, anche perché la mattina del delitto nessuno l’ha visto a Jeanneville. È uno spilungone magro e nervoso, con l’aria un po’ del buono a nulla, ma che non sembra avere la stoffa dell’assassino.

Stando alle informazioni che Maigret ha ricevuto, sua madre, cioè la sorella di Lapie, ha sposato un violinista che suonava nei caffè e che è morto ancora giovane.

Per mantenere il figlio ha fatto la cassiera in un negozio di tessuti in rue du Sentier ed è morta anche lei due anni fa.

Qualche mese dopo, Lapie ha preso con sé il nipote. Ma, come era prevedibile, la convivenza non è stata facile. Jacques Pétillon è un musicista come suo padre, e Gambadilegno non era certo il tipo a cui piace sentir strimpellare un violino o suonare il sassofono in casa propria!

Al momento, Jacques Pétillon si guadagna da vivere suonando il sassofono in un locale di rue Pigalle e occupa una stanza al sesto piano di un alberghetto di rue Lepic.

Maigret si addormenta sprofondato in un letto di piume, e sopra la sua testa i topi ballano tutta notte. C’è un buon odore di campagna, di fieno, anche un po’ di muffa.

Lo sveglia il muggito delle vacche, e il primo autobus si ferma davanti all’Anneau d’Or mentre lui assapora il profumo del caffè corretto.

La faccenda delle stanze… Prima telefonare a Janvier…

«Pronto… Rue Lepic… Hotel Beauséjour… Ciao, vecchio mio…».

E si dirige a passi lenti verso Jeanneville, i cui tetti sembrano spuntare dall’avena ondeggiante dei campi. Lungo il cammino, uno strano fenomeno si produce in lui. Si ritrova ad allungare il passo, ad aguzzare la vista per distinguere le finestre di Capo Horn… Deve ammetterlo, ha fretta di ritrovare Félicie. La immagina di già in cucina, i tratti spigolosi, la fronte da capra rivolta verso di lui, che lo accoglie come peggio non potrebbe, con quello sguardo indefinibile nelle pupille trasparenti.

È possibile che senta la sua mancanza?

Il commissario capisce, intuisce, anzi ne è certo, che Gambadilegno aveva bisogno della sua intima nemica come del bicchiere di vino che sorseggiava in cantina, come dell’aria che respirava, della partita a carte la sera e delle discussioni con i compagni a proposito di certe mosse.

In lontananza scorge Lucas che monta la guardia alla fine del viale e che certo non ha passato una bella notte. Poi, attraverso la finestra aperta della camera, intravede dei capelli scuri raccolti in una specie di turbante e una figura nervosa che scuote le lenzuola. L’ha visto. L’ha riconosciuto. Sta già pensando a come accoglierlo.

Gli viene, suo malgrado, da sorridere: ecco là Félicie!