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IL CAFFELLATTE DI FÉLICIE
Félicie ha gli occhi spalancati. Non sa che ora è. La sera prima ha dimenticato di caricare la sveglia come fa di solito. La stanza è immersa nella penombra, e solo alcuni raggi di luce argentea, filtrando attraverso le stecche delle persiane, annunciano il nuovo giorno.
Félicie ascolta. È ignara di tutto. Ancora intorpidita, quasi spossata per aver dormito d’un sonno troppo profondo, stenta a distinguere il sogno dalla realtà. Si ricorda di un battibecco, di aver discusso con veemenza, quasi litigato, con quell’uomo flemmatico che ha deciso di rovinarla e che lei detesta cordialmente. Oh, come lo odia…
Chi ha aperto la porta? Sa che qualcuno ha aperto la sua porta durante la notte. Lei era lì in attesa, inquieta. Era buio. Dal pianerottolo arrivava una luce giallastra, poi la porta si è chiusa e ha sentito il motore di un’auto… Per tutta la notte, nel sonno, ha sentito un ronzio di motore…
Non si muove, non osa muoversi, si sente minacciata da un pericolo, sente un peso sullo stomaco… L’aragosta!… Adesso ricorda… Ha mangiato troppa aragosta… E ha anche preso qualcosa… Lui l’ha costretta a farlo…
Tende l’orecchio. Cosa succede? In cucina c’è qualcuno. Riconosce il rumore familiare del macinacaffè. Sta ancora sognando. Non è possibile che qualcuno stia macinando il caffè…
Fissa il soffitto con tutti i sensi all’erta. Il rumore dell’acqua bollente che viene versata. Il profumo di caffè che invade la tromba delle scale e arriva fino a lei. Un tintinnio di tazze. Altri suoni che conosce bene: il barattolo dello zucchero che viene aperto, la porta dell’armadietto…
Qualcuno sale le scale. E le viene in mente che la sera prima non ha chiuso a chiave la porta. Perché? Per orgoglio! Sì, per non mostrare a quell’uomo che aveva paura. Si era ripromessa di farlo più tardi, silenziosamente, quando lui fosse tornato al piano di sotto, ma si era addormentata subito.
Bussano. Félicie si solleva su un gomito. Fissa la porta preoccupata, ha i nervi tesi.
Bussano di nuovo.
«Che cosa c’è?».
«La colazione…».
Con la fronte aggrottata, cerca invano la vestaglia e si infila in fretta sotto le lenzuola, proprio nell’istante in cui la porta si apre. Vede dapprima un vassoio ricoperto da un tovagliolo, una tazza a pallini blu…
«Ha dormito bene?».
È Maigret, più serafico che mai. Si trova nella stanza di una ragazza, e di una ragazza ancora a letto, ma la cosa non sembra turbarlo.
«Che cosa vuole da me?».
Il commissario posa il vassoio sul tavolino. Ha l’aria fresca e riposata. Dove si sarà lavato? Di sicuro da basso, in cucina o sul bordo del pozzo. I capelli sono ancora umidi.
«Lei prende il caffellatte al mattino, vero? Purtroppo non ho potuto andare a comprare il pane fresco da Mélanie Chochoi… Non potevo allontanarmi… Su, mangi, da brava… Vuole che mi giri così può infilarsi la vestaglia?».
Félicie obbedisce suo malgrado e beve un sorso di caffellatte bollente. Poi si ferma d’improvviso:
«Chi c’è di sotto?».
È sicura di aver sentito qualcuno muoversi.
«Chi c’è?… Mi risponda!…».
«L’assassino…».
«Ma cosa dice?».
E con un balzo è fuori dal letto.
«Che cosa sta architettando ancora?… Ha proprio deciso di farmi impazzire?… E
nessuno che mi difenda, nessuno che…».
Maigret si siede sul bordo del letto. La guarda agitarsi a vuoto e sospira, scuotendo la testa:
«Le ripeto che al piano di sotto c’è l’assassino… Ero certo che sarebbe tornato…
Nella sua situazione non aveva altra scelta, doveva giocare il tutto per tutto… Senza contare che sicuramente pensava fossi a Parigi a dirigere le operazioni… Non ha previsto che sarei rimasto ostinatamente a sorvegliare questa casa…».
«È qui?…».
Torna in sé. Non ci capisce più niente. Afferra Maigret per i polsi, urlando:
«Ma chi?… Chi è?… Com’è possibile che…».
La sua smania di sapere è tale che si precipita verso le scale da sola, sottile e nervosa nella sua vestaglia di un azzurro violento, per andare a vedere, ma poi si ferma di botto, in preda alla paura.
«Chi è?».
«Mi detesta ancora?».
«Sì… Non so…».
«Perché mi ha mentito?».
«Perché sì!».
«Mi ascolti, Félicie…».
«Non voglio ascoltarla più… Voglio aprire la finestra, chiedere aiuto…».
«Perché non mi ha mai detto che quel lunedì mattina, tornando a casa, ha visto Jacques Pétillon che usciva di corsa dal giardino?… Perché lei lo ha visto…
Probabilmente è passato dietro la siepe… È per lui che il vecchio Lapie è andato a prendere la caraffa e due bicchieri dalla credenza… Ha pensato che il nipote fosse venuto per fare la pace, per chiedere perdono, che ne so io…».
Félicie lo ascolta impietrita, senza muoversi, senza protestare.
«E lei ha creduto che fosse stato Jacques a uccidere lo zio. Ha trovato in camera la pistola e se l’è tenuta addosso per tre giorni, prima di sbarazzarsene facendola scivolare in tasca a un passeggero sul mètro… Si sentiva un’eroina… Voleva salvare a tutti i costi l’uomo che ama - e lui, poveretto, non ne sa niente!… E così, proprio a causa sua e delle sue menzogne, Jacques ha rischiato di essere arrestato per un delitto che non ha commesso…».
«E lei come fa a saperlo?».
«Perché il vero assassino è qui, al piano di sotto…».
«Chi è?».
«Non lo conosce…».
«Cerca ancora di farmi parlare… Ma io non le risponderò più, mi ha sentito?, non le dirò niente!… E adesso esca da questa stanza e mi lasci vestire… No, un momento…
Per quale motivo Jacques sarebbe venuto qui quel lunedì mattina?».
«Perché il Musicista glielo aveva chiesto».
«Quale musicista?».
«Un amico… A Parigi, sa, si conoscono individui di tutti i tipi, buoni e cattivi…
Soprattutto quando si suona il sassofono in un locale notturno… Dovrebbe bere il caffellatte finché è ancora tiepido…».
Apre le persiane e getta uno sguardo dalla finestra.
«To’! Ecco là la sua amica Léontine che va a comprare il pane… Sta guardando da questa parte… Ne avrà di storie da raccontarle!…».
«Non le dirò un bel niente…».
«Scommettiamo?».
«Non scommetto con lei…».
«Continua a detestarmi così tanto?».
«Allora Jacques è innocente?».
«Se è sì, non mi detesta più. Se è no, invece… Benedetta Félicie! Ebbene, Jacques è colpevole di avere, una sera di un anno fa o poco più, quando viveva in questa casa, sotto il tetto dello zio, è colpevole, dicevo, di aver dato ospitalità, per una notte o forse più, a un tale che aveva conosciuto a Montmartre. Un certo Albert Babeau, detto il Musicista, detto anche il Piccoletto…».
«Perché Piccoletto?».
«Lasciamo perdere… Dopo il colpo allo Chamois, con la polizia alle calcagna, il Musicista si è ricordato del suo amico Pétillon, che a quel tempo viveva in campagna presso un vecchio zio… Ottimo nascondiglio per un delinquente ricercato dalla polizia!».
«Mi ricordo…» dice a un tratto.
«Di cosa?».
«Dell’unica volta che Jacques… dell’unica volta che Jacques è stato scortese con me… Ero entrata nella sua stanza senza bussare… Ho fatto in tempo a sentire un rumore, come se stesse nascondendo qualcosa…».
«Non qualcosa ma qualcuno… Qualcuno che lui nascondeva o che si nascondeva, qualcuno che non avrebbe dovuto trovarsi là… E prima di andarsene costui ha pensato fosse prudente nascondere il malloppo in quella stanza, sotto un’asse dell’armadio…
L’hanno preso… Si è fatto un anno di galera… Che cos’ha da guardarmi così?».
«Niente… Continui…».
Distoglie lo sguardo, arrossendo. Senza rendersene conto, stava fissando il commissario con occhi pieni di ammirazione.
«Quando è uscito ovviamente era senza un soldo, e ha pensato al suo malloppo. In un primo momento ha avuto l’idea di farle la corte, così sarebbe stato facile entrare in casa…».
«Cosa? E lei crede che io, io…».
«Lei gli ha dato uno schiaffo… Allora è andato da Pétillon e gli ha raccontato una storia qualsiasi, che aveva lasciato qui qualcosa di importante e che aveva bisogno del suo aiuto per riprenderla… Mentre Jacques chiacchierava con il vecchio Lapie in giardino…».
«Ho capito».
«Era ora!».
«Grazie tante!».
«Di niente… Gambadilegno avrà sentito un rumore… Senza dubbio aveva l’orecchio fino…».
«Anche troppo…».
«È salito in camera, e il Musicista, sorpreso proprio mentre era in piedi sulla sedia, ha perso la testa e gli ha sparato… Pétillon, terrorizzato dallo sparo, fugge e anche l’assassino se la fila… Lei ha visto Jacques, il suo Jacques, l’uomo dei suoi sogni, ma non ha visto il Musicista che scappava da un’altra parte…
«Tutto qui… Jacques non ha detto niente, è naturale… Quando ha capito di essere sospettato, si è fatto prendere dal panico, come un ragazzino che…».
«Non è vero!».
«Non si è comportato come un ragazzino? D’accordo! Come un imbecille, allora.
Invece di venire a raccontarmi tutto, ha avuto la brillante idea di trovare il Musicista per chiedergli spiegazioni. L’ha cercato in tutti quei locali loschi che lui frequentava abitualmente e alla fine, non sapendo più dove sbattere la testa, è persino andato a Rouen per interrogare la sua donna…».
«E come mai la conosceva?» chiede Félicie, punta dalla gelosia.
«Questo non lo so, ragazza mia… Sa, a Parigi… Insomma, è sempre più nervoso…
È stremato… A sera non ne può più ed è sul punto di dirmi tutto, ma l’altro mangia la foglia e gli piazza una pallottola in corpo, per insegnargli a tenere la bocca chiusa…».
«Non parli così…».
«Quella notte stessa il Musicista ritorna qui, con la speranza di riprendersi finalmente il malloppo… Lei non immagina com’è difficile sfuggire alla polizia quando non si ha neppure un soldo in tasca… Ma sopra l’armadio non trova niente…
Comunque le lascia un piccolo ricordo… Se i soldi non sono qui, allora vuol dire che li ha trovati Pétillon… Per questo incarica Adèle di frugare la sua stanza in rue Lepic…
«Ma anche lì non c’è niente… Stanotte Montmartre è in stato di assedio e l’uomo è braccato… Adèle viene catturata…
«Non si sa come, il Musicista riesce a sfuggire al blocco di polizia e, determinato come solo sanno esserlo individui della sua risma, raggiunge Poissy in taxi. È
talmente al verde che paga l’autista con una bastonata sulla nuca…».
Félicie è percorsa da un brivido. Fissa il volto di Maigret quasi fosse uno schermo sul quale si snodano le avventure mozzafiato di un film d’azione.
«È venuto qui?».
«Sì… Piano piano, silenzioso come un gatto… Ha attraversato il giardino senza far scricchiolare neppure un ramo, poi è passato davanti alla finestra aperta della cucina e…».
Per Félicie Maigret è diventato un eroe.
«Vi siete battuti?» chiede sbigottita.
«No… Quando meno se lo aspettava, ha sentito quanto è sgradevole una canna di pistola alla tempia…».
«E che cosa ha fatto?».
«Niente!… Ha detto: “Merda! Sono fregato…”».
Che delusione! Possibile che tutto si sia svolto in un modo tanto banale? L’abituale diffidenza riaffiora, e i suoi lineamenti si irrigidiscono.
«Davvero non è ferito?».
«Ma se le dico di no…».
Non vuole spaventarla! Ma Félicie è sicura che lui ha lottato, che è un eroe, che…
Tutt’a un tratto, nota il vassoio sul tavolino.
«E ha macinato il caffè! Ha avuto il… la… l’idea di prepararmi il caffellatte, di portarmi su la colazione…».
Gli occhi le si riempiono di lacrime. Lacrime di tenerezza, di ammirazione…
«Lei ha fatto questo, lei!… Ma perché?… Mi dica, perché?».
«Ma è chiaro, no? Perché la detesto! La detesto al punto che quando Lucas arriverà col taxi me ne andrò via col mio salame… Ah sì, non le ho detto che il Musicista è legato come un salame… Sono stato persino costretto a prendere in prestito le corde del povero Lapie…».
«E io?».
A quel «e io?» Maigret trattiene a fatica un sorriso: senza rendersene conto, Félicie ci ha messo tutta se stessa.
E io? Rimarrò completamente sola, io? Senza più nessuno che mi prenda sul serio?
Senza più nessuno che mi faccia delle domande, che mi stuzzichi, che…
E io?…
«Trovi un po’ il modo con Jacques… In quel negozio del faubourg Saint-Honoré che lei conosce, vendono sempre arance, uva, champagne… Non mi ricordo gli orari di visita all’ospedale, ma può informarsi…».
Un taxi… Niente di più familiare a Parigi, ma qui, su quel sentiero che si snoda attraverso i campi, sembra così fuori posto!
«Farebbe meglio a vestirsi…».
E mentre, senza voltarsi, si avvia verso le scale, la sente mormorare:
«Perché è così cattivo con me?».
Un istante dopo si avvicina al Musicista, che giace legato nella poltrona del vecchio Lapie. Dal piano di sopra giungono rumori inconfondibili: andirivieni di passi, l’acqua che scorre, vestiti tirati fuori dall’armadio, una scarpa che cade e viene raccolta, e la voce di chi, per l’agitazione, parla da solo…
Non c’è dubbio: è lei, Félicie!