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LE CONFIDENZE DELL’AGENDA

«Pronto! È lei capo?… Sono Janvier…».

Una giornata nera. Si preannuncia un temporale, ma non è soltanto per questo che il viso di Maigret si copre talvolta di un velo di sudore e che le sue mani si muovono irrequiete. Gli torna in parte quel senso di angoscia di quando da bambino si trovava in un luogo proibito e sapeva bene che non avrebbe dovuto essere lì.

«Dove sei?».

«In rue des Blancs-Manteaux… Le telefono dalla bottega di un orologiaio… Il ragazzo è qui di fronte, in uno squallido bar… È solo, ma ha l’aria di aspettare qualcuno o qualcosa… E continua a bere…».

Segue un attimo di silenzio. Maigret sa già quello che l’ispettore sta per dire.

«Mi chiedo, capo, se non sarebbe meglio che venisse qui…».

Va avanti così dal mattino, ed è dal mattino che Maigret non cede.

«Non mollarlo e telefonami se ci sono novità…».

Forse sta commettendo un errore. Forse non è così che dovrebbe condurre l’inchiesta. Eppure non ha il coraggio di andarsene, qualcosa lo trattiene, anche se non saprebbe dire cosa.

Un’inchiesta ben strana, a pensarci! Per fortuna la stampa non sembra interessata alla morte di Gambadilegno!

«Eppure, il vecchio è stato ucciso!…» si è ritrovato a mormorare fra sé più di una volta.

È come se il delitto passasse in secondo piano e la sua mente andasse, suo malgrado, a qualcos’altro. E questo qualcos’altro è Félicie!

Sulla vecchia bicicletta che gli ha prestato il proprietario dell’Anneau d’Or, Maigret sembra un orso ammaestrato. Ma così può andare e venire a piacere da Orgeval a Jeanneville e viceversa.

Il tempo si mantiene radioso. Impossibile immaginare quello scenario se non sotto un sole primaverile, con i fiori lungo i muretti e ai bordi delle aiuole, con i proprietari delle villette che fanno del giardinaggio e girano pigramente la testa al passaggio del commissario o del brigadiere Lucas, che Maigret ha trattenuto con sé.

Anche secondo Lucas è uno strano modo di condurre un’indagine. Ma tiene questo suo giudizio per sé. Camminare su e giù davanti a Capo Horn lo annoia. Qual è il suo incarico, in fin dei conti? Sorvegliare Félicie? Le finestre della casa sono tutte aperte e si può vedere la domestica che va da una stanza all’altra. È uscita come al solito a fare la spesa e sa che il brigadiere la pedina. Il commissario teme forse che sparisca di nuovo?

Lucas se lo chiede, ma non osa fare commenti. Dunque morde il freno e fuma una pipa dietro l’altra; e qualche volta, tanto per combattere la noia, prende a calci i sassi del viale.

Eppure quella mattina l’indagine sembrava giunta a una svolta. La prima telefonata era arrivata dalla pensione di rue Lepic. Maigret l’aveva aspettata alla locanda, seduto all’aperto, vicino a un cespuglio di alloro piantato in un barile dipinto di verde.

Ha già preso le sue piccole abitudini. Dovunque vada, non ci mette molto a ricrearsele. Si è messo d’accordo con l’impiegata dell’ufficio postale perché lo chiami dalla finestra appena arriva una telefonata da Parigi.

«È lei capo?… Sono Janvier… Telefono dal caffè all’angolo con rue Lepic…».

Maigret rivede la strada in pendenza, i carretti dei venditori ambulanti di frutta e verdura, le casalinghe in ciabatte, tutto il brulichio colorato di place Bianche, e l’ingresso, tra due negozi, dell’Hotel Beauséjour, dove gli è già capitato di fare delle indagini.

«Jacques Pétillon è rientrato alle sei del mattino, stremato. Si è gettato sul letto tutto vestito. Sono andato al Pélican, il locale dove lavora. Stanotte non lo hanno visto. Che devo fare?».

«Non ti muovere… E se esce vagli dietro…».

Forse il nipote non è così innocente come sembra! E forse Maigret farebbe meglio a occuparsi seriamente di lui invece di starsene appiccicato a Félicie! O almeno è così che la pensa Janvier. Non è difficile capirlo, soprattutto dopo la seconda telefonata.

«Pronto… Sono Janvier… Il ragazzo è appena entrato nel bar-tabacchi di rue Fontaine… Ha la faccia stravolta… Sembra nervoso, preoccupato… Si guarda intorno come se temesse di essere seguito, ma non credo che mi abbia notato…».

Così Pétillon ha dormito solo poche ore ed è di nuovo in strada. Il bar-tabacchi di rue Fontaine è frequentato in prevalenza da piccoli delinquenti.

«Che cosa sta facendo?».

«Non parla con nessuno… Tiene d’occhio la porta… Come se aspettasse qualcuno…».

«Continua a seguirlo…».

Nel frattempo Maigret ha ricevuto nuove informazioni sul nipote del vecchio Lapie. Ma perché non riesce a provare interesse per questo ragazzo che vuol diventare un grande musicista e intanto, per vivere, suona il sassofono in un locale di Montmartre?

Pétillon ha passato dei momenti difficili. Certe notti ha caricato casse di verdura alle Halles. Ha spesso tirato la cinghia ed è arrivato al punto di portare il violino al Banco dei pegni, e più di una volta.

«Non le sembra strano, capo, che se ne stia fuori casa tutta la notte, senza mettere piede al Pélican, e che adesso… Dovrebbe vederlo… Vorrei proprio che lo vedesse…

Si capisce che c’è qualcosa che lo tormenta, che ha paura… Forse se lei fosse qui…».

Ma la risposta è sempre la stessa:

«Stagli alle calcagna…».

Intanto Maigret fa la spola in bicicletta fra l’Anneau d’Or, dove aspetta le varie telefonate, e la casa rosa dove ritrova Félicie.

Entra, va su e giù come se fosse in casa propria; lei lo ignora ostentatamente, fa le pulizie, si prepara da mangiare, la mattina va da Mélanie Chochoi a comprare il necessario. Talvolta fissa il commissario dritto negli occhi, ma dal suo sguardo è impossibile capire quello che prova.

È in lei che Maigret vorrebbe suscitare un moto di paura. Fin dall’inizio si è mostrata troppo sicura di sé. Dietro questo suo atteggiamento deve per forza nascondersi qualcosa, e lui è lì, pronto a cogliere un segno di cedimento.

«Eppure il vecchio è stato ucciso!…».

Ma è a lei, sempre a lei che pensa Maigret, è da lei che vuole sapere la verità. Ha gironzolato in lungo e in largo per il giardino. È entrato in cantina cinque o sei volte e si è servito un bicchiere di quel rosé che è diventato un’altra delle sue piccole abitudini. Ha anche trovato qualcosa. Smuovendo con un forcone un mucchio di terriccio sotto la siepe, ha scoperto un bicchierino da liquore, uguale a quello che aveva visto il primo giorno sul tavolo sotto il pergolato. Lo ha mostrato a Félicie.

«Non le resta che far rilevare le impronte digitali!» ha ribattuto lei, in tono sprezzante e senza mostrare il minimo turbamento.

Quando è salito al primo piano, lei non lo ha seguito. Ha frugato minuziosamente la stanza di Lapie. Poi è passato dall’altra parte del pianerottolo, nella camera di Félicie, e si è messo ad aprire i cassetti. Dalla cucina lei lo ha sentito di sicuro andare su e giù. Ha avuto paura?

Il tempo è sempre incantevole, l’aria tiepida, e la brezza profumata e il canto degli uccelli entrano dalle finestre aperte.

Alla fine, in fondo all’armadio di Félicie, tra le calze e la biancheria in disordine ha trovato un’agenda. Non aveva torto Gambadilegno a chiamare la sua domestica Cacatua. Anche per la biancheria intima Félicie preferisce i colori squillanti, i rosa aggressivi, i verdi acidi, i merletti alti una spanna, non importa se di qualità scadente, i ricami vistosi.

Con atto provocatorio, Maigret va a sedersi proprio in cucina a sfogliare le pagine dell’agenda, che porta la data dell’anno precedente. Félicie continua a pelare le patate, lasciandole poi cadere in una bacinella di smalto blu.

13 gennaio. Perché non è venuto?

15 gennaio. Lo supplicherò.

19 gennaio. Che supplizio l’incertezza. È sua moglie?

20 gennaio. Disperata.

23 gennaio. Finalmente!

24 gennaio. Di nuovo ebbra di felicità.

25 gennaio. Ebbrezza.

26 gennaio. Sempre e solo lui. Le sue labbra. Felicità.

27 gennaio. Il mondo è fatto male.

29 gennaio. Ah! partire… partire…

Di tanto in tanto Maigret alza gli occhi. Félicie finge di ignorarlo.

Il commissario si sforza di ridere, ma la sua risata suona falsa come quella di un cliente che ha allungato le mani sulla cameriera dell’albergo e cerca di mascherare l’imbarazzo con una battuta un po’ pesante.

«Come si chiama?».

«La cosa non la riguarda».

«Sposato?».

Lo trafigge uno sguardo di gatta arrabbiata che difende i suoi piccoli.

«È il grande amore?».

Lei non risponde, lui continua ostinato e ce l’ha con se stesso per questa sua ostinazione. Si ripete che sbaglia e pensa a me Lepic, a rue Fontaine, al ragazzo atterrito che dal giorno prima vaga per le strade, sbattendo contro i muri come un calabrone impazzito.

«Mi dica, figliola, lo incontrava qui, quell’uomo?».

«E perché no?».

«E il padrone lo sapeva?».

Basta! È ora di smetterla con queste domande! La ragazza, lo sta prendendo in giro. Non che andare a trovare Mélanie Chochoi sia una mossa tanto più intelligente, ma ci va. Appoggia la bicicletta vicino alla vetrina e aspetta che la donna che sta comprando i piselli in scatola esca.

«A proposito, signora Chochoi, la domestica del signor Lapie aveva molti corteggiatori?».

«Ne aveva di sicuro…».

«Che cosa intende?».

«Be’, lei ne parlava… Sempre dello stesso… Ma sono affari suoi… Poverina, spesso era così triste…».

«Un uomo sposato?».

«Può darsi… Forse è per questo che parlava sempre di ostacoli… Comunque non mi diceva granché… Forse si confidava di più con Léontine, la domestica del signor Forrentin…».

C’è stato un omicidio ed ecco qui che Maigret, un uomo serio, un uomo nel pieno vigore degli anni, si interessa agli amori di una ragazzina romantica! Così romantica che le pagine del suo diario sono piene di frasi del tipo: 17 giugno. Malinconia.

18 giugno. Tristezza.

21 giugno. Il mondo è un falso paradiso dove non c’è abbastanza felicità per tutti.

22 giugno. Lo amo.

23 giugno. Lo amo.

Maigret va a casa di Forrentin. Léontine, la domestica del direttore, ha circa vent’anni e un viso di luna piena. Si agita fin dalla prima domanda: ha paura di fare un torto all’amica.

«Certo che mi raccontava tutto… Cioè, tutto quello che voleva dirmi… Veniva spesso a trovarmi, sempre in fretta e furia…».

Gli sembra di vederle, tutt’e due. Léontine, a bocca aperta per l’ammirazione.

Félicie, con il cappotto buttato con negligenza sulle spalle.

«Sei sola?… Ti devo raccontare una cosa…».

E parla, parla, come parlano le ragazze tra di loro.

«Ci siamo visti… Sono così felice…».

La povera Léontine non sa che cosa rispondere alle domande di Maigret.

«Non voglio dire male di lei… Félicie ha sofferto tanto!…».

«Per via di un uomo?».

«Voleva morire… Me l’ha confessato spesso».

«Lui non l’amava?».

«Non lo so… Non insista…».

«Sa come si chiama?».

«Non me l’ha mai detto».

«Lo ha mai visto?».

«No…».

«Dove si incontravano?».

«Non lo so…».

«Erano amanti?».

La ragazza arrossisce e balbetta:

«Una volta mi ha confessato che se avesse avuto un bambino…».

Che cosa c’entra tutto questo con l’omicidio del vecchio? Maigret va avanti per la sua strada, e la vaga sensazione di angoscia che precede l’errore è ormai una compagnia fissa.

Pazienza! Eccolo di nuovo seduto a un tavolino all’aperto dell’Anneau d’Or.

L’impiegata gli fa segno.

«Hanno già telefonato due volte da Parigi… La richiameranno da un momento all’altro…».

Sarà ancora Janvier. No, non è la sua voce, è una voce che il commissario non riconosce.

«Pronto! Il signor Maigret?».

Non si tratta di un collega dunque.

«Sono un cameriere del bar della gare Saint-Lazare… Un signore mi ha incaricato di telefonarle per dirle che… Aspetti… Ho dimenticato il suo nome… Era il nome di un mese… Février…».

«Janvier…».

«Esatto… Ha preso il treno per Rouen. Non poteva aspettare… Pensa che se lei prende una macchina potrebbe essere a Rouen all’arrivo del treno…».

«Ha detto qualcos’altro?».

«No, signore… Nient’altro… Le ho riferito tutto…».

Che cosa significa? Se Janvier all’improvviso ha preso il treno per Rouen, vuol dire che Pétillon è partito per quella città. Ha un attimo di esitazione, poi esce dal caldo soffocante della cabina e si asciuga il sudore sotto lo sguardo incuriosito dell’impiegata. Certo, potrebbe procurarsi un’auto…

«Ma, insomma!» borbotta. «Che se la sbrighi da solo…».

La perquisizione nelle tre stanze ha avuto come unico risultato quello di fargli trovare l’agenda di Félicie. Lucas continua ad annoiarsi lì impalato davanti alla casa, e dalle ville vicine ogni tanto qualcuno occhieggia attraverso le tende.

Invece di precipitarsi sulle tracce di quello strano nipote, Maigret fa uno spuntino all’Anneau d’Or, beve il caffè, cui segue un bicchierino di grappa invecchiata, quindi con un sospiro rimonta in bicicletta. Strada facendo, lascia un pacchetto con dei panini a Lucas e scende per la collina fino a Poissy.

Ci mette poco a scovare la balera dove Félicie va a ballare la domenica. È una costruzione in legno, in riva alla Senna. A quell’ora non c’è nessuno, a parte il proprietario, un pezzo d’uomo in maglione, che gli chiede che cosa vuole. Cinque minuti più tardi, seduti davanti a un bicchiere, i due ricordano di essersi già incontrati. Il mondo è piccolo. L’uomo che la domenica incassa i soldi tra un ballo e l’altro è un ex lottatore che in passato bazzicava le fiere e che ha già avuto a che fare con la polizia. È lui che riconosce per primo il commissario.

«Non sarà qui per me? Ormai sono l’uomo più tranquillo del mondo…».

«Lo so… Lo so…» sorride Maigret.

«I miei clienti poi… No, signor commissario, non troverà niente che possa interessarla qui da me. Fattorini, domestiche, gente semplice che…».

«Conosce Félicie?».

«E chi è?».

«Una strana ragazza, secca come uno stuzzicadenti, con il naso a punta e la fronte da capra, che ama i colori sgargianti…».

«La Cocorita!».

Senti, senti! Il vecchio Lapie la chiamava Cacatua!

«Che cosa ha fatto?».

«Niente… Vorrei solo sapere chi incontrava quando veniva qui…».

«Praticamente nessuno… Mia moglie - non cerchi di ricordarsela, non la conosce, è una brava donna - mia moglie, le stavo dicendo, la chiama la Principessa, perché si crede chissà chi… E chi è poi?… Non ho mai saputo niente di lei… Arriva dandosi delle arie da principessa, appunto… Balla rigida come un manico di scopa… Se uno le chiede qualcosa, fa la misteriosa, da a intendere che lei non è quello che sembra, che è qui in incognito… Un mucchio di balle, insomma… Ecco, guardi! Si siede sempre a quel tavolo, da sola. Beve con il mignolo alzato, a piccoli sorsi… E poi la signorina non balla con chiunque… Domenica… Adesso mi ricordo…».

Maigret immagina le coppie che ballano sul tavolato malfermo, il suono della fisarmonica, il proprietario che aspetta, con le mani sui fianchi, di passare fra le coppie a raccogliere i soldi.

«Stava ballando con un tipo che ho già visto da qualche parte… Dove, però, non lo ricordo proprio… Un tipo basso, tarchiato, con il naso un po’ storto… Be’, non importa… Fatto sta che lui la stringeva troppo… A un certo punto, mentre ballavano, lei gli ha mollato un ceffone in piena faccia!… Credevo che si sarebbe scatenato un putiferio e mi sono avvicinato… Invece no… Il tipo se l’è filata senza fiatare e la Principessa è ritornata altezzosa al suo tavolo e ha cominciato a incipriarsi…».

* * *

Janvier deve essere arrivato a Rouen da un pezzo ormai. Maigret lascia la bicicletta vicino ai tavolini dell’Anneau d’Or ed entra nell’ombra fresca dell’ufficio postale.

«Nessuna telefonata per me?» chiede all’impiegata.

«Solo un messaggio… Deve mettersi in contatto con il commissariato centrale di Rouen… Glielo chiamo?».

Risponde un ispettore sconosciuto.

«Il commissario Maigret?… Mi hanno incaricato di riferirle che il giovanotto è arrivato a Rouen… Prima ha girovagato per Montmartre, entrando in una decina di bar… A quanto pare, non ha parlato con nessuno… Era come se aspettasse qualcuno…

A Rouen, si è diretto immediatamente verso il quartiere delle caserme… È entrato in una di quelle case… L’avrà senz’altro sentita nominare, il Tivoli… Ci è rimasto mezz’ora circa, poi ha ripreso a vagare per le strade ed è finito alla stazione… Sempre più stanco e scoraggiato… Adesso sta aspettando il treno per Parigi e l’ispettore Janvier continua a pedinarlo…».

Maigret impartisce le solite istruzioni: interrogare la padrona del Tivoli, scoprire chi è la donna che Pétillon voleva vedere e perché, e così via. Dall’interno della cabina avverte un rimbombo sordo, come se stesse passando un autobus, ma una volta fuori si accorge che sono le prime avvisaglie di un temporale che si sta avvicinando.

«Aspetta altre telefonate?» gli chiede l’impiegata, che non ha mai avuto tanti diversivi in vita sua.

«Può darsi. Manderò qui il brigadiere…».

«Che vita appassionante quella del poliziotto! Noi, in questo angolo sperduto, non vediamo mai niente!».

Avrebbe voglia di alzare le spalle, ma abbozza un sorriso di circostanza. Poi eccolo di nuovo sulla strada che porta a Jeanneville.

«Parlerà bene prima o poi!» continua a ripetersi per tutto il tragitto.

Il temporale è vicino. L’orizzonte si fa di un viola minaccioso, i raggi obliqui del sole sembrano più nitidi, gli insetti pungono.

«Torna all’Anneau d’Or, Lucas… E se mi chiamano al telefono rispondi tu…».

Sospinge la porta di Capo Horn con l’espressione decisa dell’uomo che si è fatto prendere in giro per troppo tempo. Ma adesso basta! Adesso si piazzerà davanti a questa Félicie della malora e la scuoterà sino a farle saltare i nervi.

«Il gioco è finito, ragazzina!…».

È in casa, lo sa. Mentre rispediva Lucas a Orgeval, ha visto muoversi una tendina al piano terra. Entra. Silenzio ovunque. Il caffè sobbolle in cucina. Anche in giardino non c’è nessuno. Aggrotta le sopracciglia.

«Félicie!» chiama a voce bassa. «Félicie!…».

Il tono della voce si fa più aspro. Alla fine è un urlo pieno di rabbia:

«Félicie!».

Per un attimo gli viene da chiedersi se non si sia presa gioco di lui un’altra volta, se non sia riuscita di nuovo a squagliarsela sotto i suoi occhi. Ma no, dal primo piano arriva un rumore leggero, qualcosa di simile al singhiozzo di un bimbo. Sale i gradini a quattro a quattro e si ferma sulla soglia della stanza.

Félicie è distesa sul divano e piange con la faccia nascosta nel cuscino. Nello stesso istante cominciano a cadere grosse gocce di pioggia e, da qualche parte nella casa, una corrente d’aria fa sbattere con violenza una porta.

«Che succede?» borbotta Maigret.

Lei non si muove. Solo la schiena è scossa dai singhiozzi. Lui le tocca la spalla.

«Allora, piccola?».

«Mi lasci stare… Per pietà, mi lasci stare!…».

Un sospetto, che si sforza di allontanare, gli sfiora la mente: che sia tutta una messa in scena. Félicie ha accuratamente scelto il momento. E persino la posa. È forse un caso che il vestito sia risalito ben al di sopra delle ginocchia nervose?

«Su, piccola, si sieda…».

Incredibile! Obbedisce! Félicie obbedisce senza opporsi, il che è, a dir poco, una novità. Eccola lì seduta sul letto, gli occhi gonfi di lacrime e il viso chiazzato di rosso: lo guarda con un’aria così abbattuta, così stanca, che lui si sente un aguzzino.

«Che cosa c’è? Forza! Mi dica tutto…».

Lei scuote la testa. Non può parlare. Gli fa capire che vorrebbe tanto dirgli tutto, ma è impossibile, e nasconde di nuovo il volto fra le mani.

In piedi in quella stanzetta, il commissario ha l’impressione di essere troppo ingombrante. Prende una sedia e l’avvicina al capezzale, ma è con una certa esitazione che le prende una mano e la scosta dal viso in lacrime. Non è del tutto convinto, e non si stupirebbe più di tanto se, sotto le dita contratte, facesse capolino uno sguardo pieno di ironia.

Ma Félicie piange lacrime vere. Piange come una bambina, senza civetteria. E con voce infantile balbetta:

«Lei è cattivo…».

«Io cattivo?… Ma no, piccola… Si calmi… Cerchi di capire che tutto quello che faccio è nel suo interesse…».

Lei fa cenno di no con la testa.

«Ma via, deve rendersi conto che c’è stato un delitto, che solo lei conosce questa casa quanto basta per… Non sto dicendo che lei ha ucciso il suo padrone…».

«Non era il mio padrone…».

«Lo so… Me l’ha già detto… Ammettiamo che fosse suo padre… Perché è questo che voleva insinuare, non è vero?… Ammettiamo che il vecchio Lapie a suo tempo abbia fatto qualche sciocchezza e che poi l’abbia fatta venire a vivere qui con lui… È

lei che eredita, Félicie… Lei che trae vantaggio dalla sua morte».

È stato troppo brusco. Lei si alza, e rimane davanti a lui dritta e rigida, il simbolo stesso della dignità offesa.

«Ma è così, ragazza mia!… E stia seduta… A rigor di logica avrei già dovuto arrestarla…».

«Sono pronta…».

Che fatica, santiddio! Preferirebbe mille volte avere a che fare con il più scaltro dei truffatori, con il più ostinato dei delinquenti. Come si fa a capire quando recita e quando è sincera? Ammesso che sia mai sincera! Sente che lo sta osservando, che non smette di osservarlo con una terribile lucidità.

«Non si tratta di questo… Però lei deve aiutarci… L’uomo che ha approfittato del momento in cui lei era fuori a fare la spesa per uccidere il suo padrone… insomma, per uccidere Jules Lapie, doveva conoscere sufficientemente bene le abitudini della casa per…».

Lei si siede sul bordo del letto con aria stanca e mormora:

«La ascolto…».

«D’altra parte perché Lapie avrebbe portato in camera sua uno sconosciuto?… È lì che è stato ucciso… E non aveva alcun motivo per salire in camera a quell’ora… Stava lavorando in giardino… Per di più ha offerto da bere al suo visitatore, lui che era piuttosto avaro…».

In certi momenti Maigret è costretto quasi a gridare per vincere il rumore dei tuoni.

D’un tratto, durante un boato più violento, Félicie gli tende la mano e istintivamente lui l’afferra al polso.

«Ho paura…».

Trema, trema tutta per davvero.

«Non c’è niente di cui aver paura… Ci sono qui io…».

Si rende conto di aver detto una stupidaggine. Lei approfitta subito del suo imbarazzo, accentua l’espressione di dolore e con un gemito mormora:

«Lei mi sta facendo tanto male!… E forse me ne farà ancora di più!… Sono infelice!… Dio mio, come sono infelice!… E lei… lei…».

Lo guarda supplichevole con gli occhi spalancati.

«Lei si accanisce contro di me perché sono debole, perché non ho nessuno al mondo che mi difenda… Per tutta la notte c’è stato un uomo davanti alla casa, e anche per tutto il giorno, e la notte prossima sarà ancora lì…».

«Come si chiama l’uomo cui ha dato uno schiaffo domenica, in balera?».

Félicie sembra perdere il suo sangue freddo, ma ribatte subito sarcastica:

«Lo vede!».

«Che cosa devo vedere?».

«Lei mi tormenta… Lei si accanisce contro di me come se… come se mi odiasse…

Che cosa le ho fatto? Mi dica almeno cosa le ho fatto!».

Sarebbe il momento giusto per alzarsi, per farla finita, e parlare seriamente.

Maigret ne ha tutta l’intenzione. Per niente al mondo vorrebbe che qualcuno lo osservasse dal pianerottolo in quel momento! Ma ormai è troppo tardi! Non ha saputo agire tempestivamente e adesso Félicie si fa più impetuosa, approfitta di un altro tuono per aggrapparsi a lui. Quando gli parla è ancora più vicina, e Maigret sente il suo alito caldo sulla guancia, vede il suo viso che quasi lo sfiora.

«Fa così perché sono una donna? O forse anche lei è come Forrentin?…».

«Che cosa fa Forrentin?».

«Mi vuole… Mi perseguita… E ha detto che un giorno o l’altro mi avrà, che alla fine io…».

Può darsi che sia vero. Maigret ricorda bene la faccia del direttore, il sorriso ambiguo, le grosse mani sensuali.

«Se è questo che vuole, lo dica!… Sempre meglio che…».

«Ma no, piccola, no…».

Adesso si alza, la allontana.

«Scendiamo, le va?… Non c’è ragione di stare in questa stanza…».

«È lei che è venuto qui…».

«Non è un buon motivo per restarci, e tanto meno per mettersi in testa simili idee…

Scendiamo, la prego…».

«Mi dia un minuto per sistemarmi un po’…».

Si mette davanti allo specchio e si incipria distrattamente, continuando a tirar su col naso.

«Vedrà che alla fine farà succedere una disgrazia!».

«Che cosa vuol dire?».

«Non lo so… Per esempio potrebbero trovarmi morta…».

«Non dica stupidaggini… Venga…».

La fa passare avanti. Il cielo è buio per il temporale, e Maigret è costretto ad accendere la luce in cucina. Il caffè bolle sul fornello.

«Preferisco andarmene» dice Félicie spegnendo il gas.

«Dove?».

«In un posto qualunque… Non ne ho idea… Sì, partirò e non mi ritroverete mai…

Sono stata stupida a tornare…».

«Lei non andrà da nessuna parte».

In un tono di voce troppo basso perché il commissario sia sicuro di aver capito bene, Félicie borbotta fra i denti:

«Si vedrà!».

Tanto per vedere la sua reazione, lui butta là:

«Se lo fa per ritrovare il giovane Pétillon, posso informarla che in questo momento si trova in una di quelle case, a Rouen».

«Non è…».

Riprende subito il controllo:

«E a me cosa importa?…».

«È lui?».

«Lui chi?».

«È lui il suo amante?».

Félicie scoppia in una risata sprezzante.

«Lui? Un ragazzino che non ha nemmeno vent’anni!».

«Sarà! Ma se è lui, cara Félicie, che lei cerca di proteggere…».

«Io non cerco di proteggere nessuno… E comunque non le risponderò più… Lei non ha il diritto di starmi appresso tutto il giorno, assillandomi con le sue domande…

Protesterò».

«Protesti pure!».

«Si crede furbo, vero?… Ha il coltello dalla parte del manico!… Se la prende con una povera ragazza come me perché sa bene che non posso difendermi…».

Maigret si mette il cappello e va verso la porta, deciso a tornare all’Anneau d’Or nonostante il temporale. Non la saluta nemmeno. Ne ha abbastanza. Ha sbagliato.

Deve ricominciare tutto daccapo, ripartire da zero.

Pazienza se si bagnerà! Fa un passo ma Félicie si precipita.

«Non se ne vada…».

«Perché?».

«Lo sa bene perché… Non se ne vada… Ho paura del temporale…».

Ed è vero. Questa volta non sta fingendo. Trema tutta, lo supplica di rimanere, si mostra piena di gratitudine quando lui torna in cucina e si siede, col muso lungo, è vero, ma comunque si siede, e per ringraziarlo arriva a proporgli:

«Vuole una tazza di caffè?… O preferisce un bicchierino di acquavite?…».

Si sforza di sorridere e mentre lo serve ripete:

«Perché è così cattivo con me che non le ho fatto niente?».