30
Salire al piano dirigenziale per la prima volta dopo due anni è uno sballo. È tutto esattamente com’era, dai pesanti tappeti d’importazione alla macchinetta dell’espresso nel cucinotto.
«Ehi!» mi sorride Lauren dalla sua scrivania fuori dall’ufficio privato di Nate. «Come sei chic.»
Un complimento da Lauren. È uno sballo ancora più dell’arredamento immutato. «Grazie» dico un secondo troppo tardi. Lauren è cento volte più sorridente del solito. O ha subito una lobotomia o tornare insieme a Mike Beacon le ha fatto bene.
«Nate sta scambiando due parole con Alex Engels. Vuoi che lo avverta che…?» Non appena me lo propone, però, la porta dell’ufficio di Nate si apre e compare Alex. Batte le palpebre, sconvolta, quando mi vede lì. Apre la bocca e poi la richiude. Infine, abbassa la testa e se ne va.
Tre secondi dopo, è completamente sparita dalla vista, nascosta dalla banchina dell’ascensore.
«Cosa?» esordisco stupidamente. «Un po’ strana o sbaglio?»
«Direi.» Lauren alza le spalle. «È scappata via, eppure non vedo incendi.» Poi indica la porta. «Entra pure. Non ha riunioni per la prossima mezz’ora.»
«Grazie.» Entro nell’ufficio, ma Nate non mi vede. È di spalle. Fermo davanti alle finestre terra cielo con le mani dietro la nuca. Una posa molto maschile. Non riesco a immaginare cosa stia guardando, dato che là fuori c’è una nebbia così fitta che non si vede neanche il fiume.
Chiudo la porta dietro di me con un piccolo clic. «Nate?»
Si gira di scatto. E il suo viso è… sofferente. Non mi viene in mente un’altra parola. Ha la fronte aggrottata e le rughe profonde suggeriscono che è preoccupato.
«Ciao» lo saluto a bassa voce, avvicinandomi alla scrivania.
Non risponde, ma in quattro falcate gira intorno alla scrivania e mi raggiunge. Il suo bacio è un tornado sbucato dal nulla. Rapido e feroce.
Mi ci vuole un attimo per entrare in gioco, ma un bacio così famelico non può andare sprecato. Alzo il mento e rispondo al fuoco. Gli afferro la nuca per incoraggiarlo.
Nate emette un verso basso e ingordo dal profondo del petto. Lo sento ovunque. Rimbomba nello stesso angolo buio del mio subconscio dove vivono le mie fantasie più sfrenate. Dev’essere per questo che interrompo il bacio e faccio una cosa che non avrei mai pensato di fare nella vita reale: allungo la mano e premo il pulsante sulla scrivania di Nate per chiudere a chiave la porta.
I suoi occhi fiammeggiano e ha il petto ansante, come se avesse corso dieci chilometri sul tapis roulant nell’angolo.
E poi mi attacca. Non c’è altra parola che si addica al suo assalto. Le sue mani e la sua bocca sono dappertutto. Con il retro delle ginocchia, urto il divanetto e ci cadiamo sopra.
Il petto di Nate è una parete di calore e la sua bocca è ovunque: collo, mandibola, gola. Sono sopraffatta da lui e questo mi dà alla testa. Quando mi porta la mano tra le gambe, serro le cosce per l’aspettativa.
Ciò che sta accadendo è sorprendentemente vicino alle mie fantasie, se non fosse che… «Nate?»
Grugnisce in risposta infilandomi la lingua nell’orecchio.
«Tutto bene?»
«No.» Mi tira su il vestito. Per qualche motivo, ho ancora i tacchi ai piedi. Spero che non si pugnali da solo. «Ho bisogno di te» mi dice con voce roca.
«Prendimi» annaspo.
Circa due secondi dopo, mi ha tolto gli slip e una scarpa. Se lo tira fuori con la stessa frenesia di chi fugge da un edificio in fiamme. Mi prende la gamba libera, mettendosi il mio ginocchio sotto il braccio, e mi penetra con un’unica lunga spinta.
Solo allora si ferma. E finalmente mi guarda negli occhi. I suoi sono splendidi e scuri e preoccupati. Gli rivolgo il sorriso più bello che riesco a imbastire, anche se sono senza fiato e leggermente attonita. Espira lentamente, appoggiandosi sugli avambracci. E guadagno un altro bacio. Più morbido, ma non meno urgente. Le nostre lingue si toccano, i denti urtano appena.
«Sì» ansima, muovendosi dentro di me.
La mia pelle si infiamma e poi si accappona. Non ho mai provato così tante emozioni in così breve tempo. Il suo ritmo è incessante.
È bellissimo, ansante nel suo completo, e un leggero luccicore di sudore gli vela la fronte. «Bec» geme.
Lo stringo a me con tutto il corpo ed emette il verso di una bestia torturata. È selvaggio e disperato, e Dio solo sa perché quel suono mi manda in orbita. Un minuto dopo, però, mi sto mordendo la lingua per non gridare e sussulto sotto di lui.
Solo a quel punto Nate sembra lasciar andare qualsiasi cosa lo stia tormentando. Si punta sugli avambracci e affonda il viso nel mio collo. «Cazzo» sussurra, rallentando le spinte. Lo sento contrarsi e scuotersi. Poi, finalmente, si rilassa.
Segue il silenzio. Cerchiamo di regolarizzare il respiro, ma non è facile.
«Scusa» dice ancora, le labbra contro la mia pelle.
«Non ti scusare» sussurro immediatamente. «È stato alquanto eccitante.»
«No… lo so… è che…» Impreca. «Scusa per i problemi che ti sto per creare. E per averti inchiodato sul divano prima ancora di darti spiegazioni.»
Con mano pigra gli accarezzo la testa. «Cosa può esserci di così brutto dopo questo?»
Aspetto che rida, perché Nate ride sempre quando siamo a letto. Si alleggerisce e il suo sorriso diventa quello di un ragazzino.
Oggi, però, non succede. Si libera con un sospiro. Poi, di fatto, mi tira su e mi posa sul tappeto. «Ti ho ridotto a un casino.» Mi alliscia la gonna. «Avevi pure un bel vestito.»
Mi guardo, perché avevo dimenticato di essere tutta in tiro e che ero andata lì per spiegare la mia visita a Manhattan. Ora, tuttavia, penso che possa aspettare. «Dimmi che succede.» Ha la camicia storta, così gliela sistemo mentre lui si chiude i pantaloni.
«Sediamoci.» Guarda il divano con trepidazione. «Ehm, vieni qui.» Va a prendere una delle poltroncine degli ospiti e la gira di fronte al sofà.
Approfitto di quel momento per recuperare gli slip e infilarli. Individuo le scarpe e mi siedo.
Siamo faccia a faccia e Nate mi posa le mani sulle ginocchia. «Ricordi quando ti ho detto che non ero poi così complicato? Giuro su Dio che lo pensavo davvero. Ora devo confessarti una cosa.»
Mi si rivolta lo stomaco: il suo sguardo è davvero brutto.
«Alex è incinta di due o tre mesi e ha bisogno di escludermi.»
«Incinta?» Mi ritiro sulla poltrona come se mi avesse dato un pugno. «Di…» Non riesco neanche a ripeterlo, ma non riesco, invece, a trattenermi dallo sputare fuori ciò che ho nella testa. «Ti avevo chiesto se c’era qualcosa tra voi. Hai detto che lo avevate fatto una volta sola e ho pensato che fosse accaduto al college.»
La sua vergogna è immediata. «È successo una volta sola.» Mi stringe il ginocchio. «E sul quando… era quello che volevo farti pensare. Non volevo che sapessi quanto fossi stato stupido quella sera di marzo.»
Non sta mentendo, mi fa notare quel mio stupido cuore speranzoso. «Quindi potresti avere un figlio da Alex» sussurro.
«È una leggerissima probabilità, ma aveva bisogno di controllare. È molto più probabile che il padre sia l’altro. Un uomo che l’ha picchiata.»
Resto a bocca aperta. «Figlio di puttana.»
«Già.» Nate si inumidisce le labbra. «Sono... ehm… attonito anch’io. E incazzato con me stesso. Non era così che volevo andasse il nostro primo anno insieme.»
«Se fosse tuo,» chiedo, «che farai?»
Nate fa spallucce. «Ho avuto questa notizia appena cinque minuti prima che entrassi tu. Non ho idea di cosa succederà. Vorrei essere presente, se fosse quello che vuole anche Alex. Con il bambino. Non con Alex. Io amo te, e questo non cambierà mai.»
Faccio un profondo respiro e poi lo rilascio. Non ho sentito quello che Nate ha detto ad Alex. Scommetto che non è stato un discorso facile, ma scommetto anche che Nate è stato gentile e un buon amico. Quindi posso esserlo anch’io, no? Giusto? Per quanto mi faccia ribrezzo l’idea di Nate che spoglia Alex appena poche settimane prima di spogliare me, posso comportarmi da adulta.
«Porca miseria, pivello» esclamo. «Scopi una volta sola e arriva il test di paternità?»
«Già.» Il suo sguardo è ancora imbarazzato. «Quando faccio un errore, lo faccio in grande.»
«Oh, Nate» ridacchio, ma molto probabilmente a causa dello stress. «Mi dispiace. Povera Alex. Povero te.»
«Me la caverò. Non mi avrebbe nemmeno scosso più di tanto, se non ce la stessi mettendo tutta per convincerti di essere un buon partito.»
«Davvero?»
«Cercare di convincerti? Sempre.»
Ooh. «Tu sei un buon partito. Certo, se tu e Alex finirete per avere un figlio insieme, io sarò incredibilmente gelosa.» Ecco, l’ho detto.
Si protende a stringermi in un abbraccio. Mi posa un bacio sulla mandibola e mi sussurra «Preferirei di gran lunga averlo da te.»
Non dico nulla, perché ci siamo avventurati in un territorio delicato. Mi appoggio a lui, comunque, per fargli capire che l’idea attira anche me.
«Becca, mi ci sono voluti sette anni per capire quanto abbia bisogno di te. E non permetterò a nessuno di mettersi in mezzo.»
«Andrà tutto bene» sussurro. Anche se adesso ci toccherà affrontare gara 7 con il pensiero del test di paternità. «Quanto ci vorrà per il risultato?»
«Non molto. In effetti…» Mi lascia andare, poi si china a prendere una busta dal piano della scrivania. «Alex mi ha lasciato questa per te. Quasi me ne dimenticavo.» Me la passa. Dentro c’è un biglietto.
Rebecca, ti devo delle scuse mostruose. Spero che mi crederai se ti dico che di solito non sono l’emerita stronza che sono stata in Florida. Ero terrorizzata all’idea di essere incinta e per ciò che questo avrebbe potuto significare per tutte le persone coinvolte. Me la sono presa con te e meriti di sapere il motivo. Il modo in cui Nate ti guarda è meraviglioso e raro. Ti guarda come se fosse pronto ad attraversare il fuoco per te. La maggior parte di noi non troverà mai niente del genere, quindi ti auguro di trovarlo nel tuo cuore e apprezzarlo. Mi dispiace essere il terzo incomodo che vi complica la vita in questo momento. Spero che tu possa perdonarmi. A.
«Cosa dice?» chiede Nate, osservandomi con occhi attenti.
Mi si chiude la gola. «Dice che le dispiace. È un biglietto molto bello.»
«Alleluia. Alex è una buona amica da anni. Non l’avrei mai potuto sopportare, se non fosse stata carina con te.»
Vedremo, penso.
«Ti va un caffè?» chiede. «Vaffanculo. Penso che manderò all’aria il resto della giornata.»
«Davvero? Wow!» È la prima volta che gli sento dire una cosa del genere.
«Ehi… come mai sei qui in centro?» mi chiede.
Scuoto la testa. «Ne parliamo in un altro momento.»
«Spara» mi incoraggia. «Posso sopportarlo.»
«Beh, non sono incinta.»
Sorride. «A quello possiamo rimediare.»
«Spiritoso.» Traggo un profondo respiro. «Okay. Non dare di matto, ma avevo un colloquio di lavoro.»
Nate sbatte le palpebre. «Un colloquio? Per te?»
«Sì» confermo a bassa voce. «Probabilmente non è il lavoro che fa per me. Ho fatto solo qualche telefonata e una rapida riunione. Ma è una cosa che potrei prendere in considerazione.»
Nate appoggia i gomiti sulle ginocchia e si prende la testa tra le mani. «Bec, mi fa stare peggio questo che quel dodici percento di possibilità di aver messo incinta Alex.»
Dodici percento. Non mi stupisce che Nate e Alex abbiano calcolato una percentuale precisa. «Non sto dicendo che me ne andrò di sicuro. Mi sto solo guardando intorno.» Quel colloquio di lavoro è stata una cosa improvvisa e casuale. Ho ricevuto una chiamata da un tipo che vorrebbe mettere su una nuova squadra di hockey femminile nell’area dei tre stati. Pia illusione, a questo punto.
Ho bisogno di pensarci bene, prima di lasciare i Bruisers.
Nate rialza lo sguardo. «È tutta la tua vita, l’hai detto tu stessa. Tu ami la squadra.»
«Lo so.» L’ho detto davvero. «Ma amo anche te. Quindi voglio solo valutare cos’altro c’è là fuori per me e dove potrei andare a lavorare senza essere la ragazza del proprietario. Magari non succederà niente, ma voglio almeno provare a considerare l’idea. Te lo dico adesso, per risparmiarti l’eventuale shock.»
Nate mi porge la mano con il palmo in alto. «Fa’ tutto ciò che ritieni opportuno. Voglio solo che tu sia felice. Ma prima di concludere, mi prometti che ne riparleremo?»
Questa è facile. «Promesso.»
«Grazie per essere stata grandiosa.»
«Non sei stato male neanche tu.» Mi sorride proprio mentre la voce di Lauren nell’interfono lo avvisa che sta per cominciare la riunione finanziaria.
«Annulla» dice, titubante. «Non mi sento bene e penso che andrò a casa.»
«Ehm…» Percepisco lo shock nella risposta di Lauren. «Okay. Li avviso.»
E dopo esserci ricomposti alla meglio nel bagno privato di Nate, ce ne andiamo mano nella mano.