19
22 maggio, Brooklyn
«Basta. Non riuscirei a mandar giù neanche un altro boccone.» Lascio la forchetta sul piatto da dessert e mi appoggio alla sedia.
«Perdente.» Nate raschia il piatto con il cucchiaio e si infila in bocca l’avanzo del soufflé di lamponi al cioccolato che ci siamo divisi.
Fare a metà un dolce con Nate è una cosa che ho già fatto in passato. Stare da sola con lui in un bel ristorante con un vestito studiato per mostrare la mia scollatura, invece, no.
Siamo al River Café. Nate ha allungato un centone al maître di sala per assicurarsi questo tavolo perfetto contro le finestre. Abbiamo appena consumato una delle migliori cene di Brooklyn, con nient’altro che le luci di Manhattan e l’East River come panorama.
Uno yacht illuminato passa davanti alla finestra mentre guardo Nate firmare l’assegno. «Ottima scelta, Nate. Ma mi sarebbe andata bene qualsiasi cosa.»
«Cioè?» Alza gli occhi verso di me e sembrano ancora più scuri al lume di candela. «Proprio tu che hai profonde opinioni persino sul falafel?»
«Okay, va bene» sorrido. «Non qualsiasi cosa. Ma non c’è bisogno di impressionarmi con stravaganze gastronomiche.»
Fa una smorfia come a dire: “Ma per favore”. «Credi che non lo sappia? Non farmi ridere, Bec. Il mese prossimo andrò in Cina con Lauren, e lei di certo non mangerà tutto lo street food che voglio provare. Tu, invece, hai sempre avuto un buon senso dell’avventura. È una cosa che adoro di te.»
Il mio viso si infuoca a quel complimento. Non sono abituata a sentirgli dire certe cose. Questa serata è stata al tempo stesso familiare e del tutto estranea. La conversazione non è mai stata difficile perché conosciamo le stesse persone e non possiamo fare a meno di parlare di hockey. Nel frattempo, Nate mi ha tenuto la mano sotto il tavolo.
Mi è piaciuto. Un sacco. Anche adesso avrei voglia di montare sul tavolo e baciarlo. Eppure, un mese fa non l’avrei mai pensato. «Sai...» Mi schiarisco la gola. «Questa è un’avventura completamente diversa.»
«Esattamente» conferma, chiudendo il libretto degli assegni. «Ed è per questo che stasera siamo qui e non al chiosco dei falafel. Non perché volevo stupirti con un dolce da venti dollari. Anche se è stato squisito. Volevo solo dimostrarti che questa non è la solita cena di lavoro.»
Il cameriere passa a prendere l’assegno. Non lo guardo neanche. Non propongo di pagare la mia metà perché Nate ha più soldi di Dio e non me lo permetterebbe.
Ciò non significa che non sia in conflitto nell’uscire con Nate. La mia titubanza, però, ha ragioni molto più complicate dell’assegno per pagare la cena.
Nondimeno, eccomi qui.
Prendo il mio bicchiere di champagne e scolo l’ultima goccia. Ne ho ordinato mezzo bicchiere solo per far incazzare Nate.
E lui non ha detto una parola. Sveglio, il ragazzo. «Okay, Mister Avventura,» poso il bicchiere, «pronto ad andare?»
Il suo sorriso suggerisce: “sempre”.
Recuperiamo il mio cappotto e usciamo. È una notte fresca, ma c’è un sacco di gente in giro per il molo e la vista sul ponte di Brooklyn è splendida. Nate, però, mi porta in strada, lontano dalla folla.
Verso casa sua.
Non discuto, anche se sento un fremito di nervosa aspettativa nella pancia. «Dov’è Ramesh? Lo stai seminando?»
«No.» Nate mi stringe la mano. «Gli ho dato la serata libera.»
«Davvero? Puoi farlo?»
«Certo, voglio dire, qualche altro membro del mio team di sicurezza probabilmente sta guardando un puntino che si muove su uno schermo da qualche parte, tracciando i miei movimenti. C’è sempre qualcuno di guardia.» Si ferma e si gira verso di me. «Non è un punto a favore, vero?»
«Cosa?»
«La sorveglianza è così sexy.» Si porta il palmo della mia mano alle labbra e lo bacia. La sua bocca sexy è nascosta, ma alza gli occhi rivolgendomi uno sguardo così affamato che avverto una vampata di calore. Mi bacia di nuovo la mano e il mento ruvido risveglia tutte le mie terminazioni nervose.
Wow. Mi ha solo toccato la mano e già voglio arrampicarmi addosso a lui.
Nate parla di nuovo ed è una lotta costringermi ad ascoltare. «Ramesh ha la serata libera perché sapevo che, se gli avessi chiesto di accompagnarci a casa mia, avresti avuto difficoltà a guardarlo negli occhi...»
Probabile.
«...e ho anche chiesto a una delle tirapiedi di Lauren di prenotare il tavolo perché, se l’avessi chiesto direttamente a lei, avrebbe preteso di sapere con chi andavo a cena. E mi hai fatto capire chiaramente come la pensi sui pettegolezzi in ufficio.»
«Molto premuroso. E anche molto carino da parte tua rimanere il mio piccolo sporco segreto.» Sottolineo la mia battutina dandogli un colpetto con l’anca.
Mi mette un braccio intorno alla vita. «Adesso puoi farlo senza perdere l’equilibrio. Ottimo.»
È vero, anche se mi stupisce che Nate se ne sia accorto. «Non metterò mai più piede su quel ghiaccio. Tanto per dire.»
Il suo braccio resta intorno a me per tutto il tragitto verso casa. Tuttavia, divento sempre più nervosa man mano che ci avviciniamo alla villa. Spalanca il cancelletto d’ingresso e me lo tiene aperto. Lo attraverso, perché anche con tutta la mia preoccupazione non posso farne a meno.
Nate inserisce il suo codice di sicurezza sulla porta, che si sblocca. Lo seguo nel grande ingresso, chiedendomi cosa succederà.
«Buonasera, Nate!» saluta Bingley.
«Sera» risponde. Mi sfila il cappotto dalle spalle e lo appende. «Ho messo nel frigorifero della tana un po’ di quella bibita messicana che piace a te.» Accenna al piano di sopra. «Ne vuoi una?»
«Certo!» rispondo, allegra. Mi tremano un po’ le ginocchia, ma non posso attribuirne la colpa alle mie condizioni di salute. In realtà, sono agitata. È così poco da me. «Dio, non vedo l’ora di poter bere un bicchiere di vino come una persona normale.» Ora sto blaterando.
Nate sorride e mi porge la mano per salire le scale con lui.
Di sopra. Dove c’è il suo letto gigante.
Mi blocco al quarto o quinto gradino.
«Probabilmente è una pessima idea» sussurro. Buffo, è la stessa cosa che dico nella mia frequente fantasia con Nate, la stessa in cui lui mi ignora e poi mi scopa fino a farmi perdere i sensi.
Non è quello che succederà adesso, però.
Nate si siede proprio lì, sulla grande scala. Batte la mano sulla spessa moquette accanto a sé.
Mi siedo.
«Tutto bene?» chiede.
«Sì e no» mormoro. «Voglio solo fare la cosa intelligente. E a volte non è facile capire qual è.» Nate probabilmente non capirà. Tutto ciò che fa lui è intelligente.
«Pensi che io sia una cattiva idea. Hai ragione.»
«Ah, sì?»
Mi cinge con un braccio e mi bacia la mascella. Lentamente. Posso sentire sul viso ogni punta della ricrescita della sua barba e la morbidezza delle sue labbra. I capelli mi si drizzano sulla nuca, mentre mi sussurra all’orecchio. «Cattivissima. Perché voglio farti delle cose molto, molto cattive. Sconce. E se non sei d’accordo, è meglio che tu lo dica adesso.»
«Che genere di cose?» chiedo, i capezzoli che si inturgidiscono.
«Potrei anche spiegartele» continua a bassa voce. «Se hai una mezz’oretta o giù di lì. Perché sarò molto dettagliato. In effetti, ho predisposto una presentazione in PowerPoint...»
Il nervosismo ha la meglio e comincio a sghignazzare.
«Non troppo lunga» precisa, accarezzandomi la schiena. «Una cinquantina di diapositive, più o meno.»
«Ci sono anche grafici e diagrammi?» cerco di chiedere. Purtroppo la mia risata si trasforma in un grugnito.
Nate mantiene la sua faccia da poker, ma i suoi occhi sorridono. «Ci sono quattro diagrammi, tratti dalle mie fantasie. E anche le specifiche e le stime delle prestazioni.»
«Oh, Nate» annaspo. «Non cambiare mai.» Sono sull’orlo dell’isteria. Lo voglio, ma è così difficile arrendersi. Abbiamo passato così tanti anni a non farlo...
Mi bacia.
Mi ci vuole circa un secondo e mezzo per superare l’effetto sorpresa. Forse meno. Gli stringo le braccia attorno al corpo e mi tengo stretta mentre mi apre le labbra e ci fa scivolare dentro la lingua. Sa di cioccolata e sicurezza. Due sapori meravigliosi, che stanno insieme alla grande. E sono spacciata.
Dimenticando la mia esitazione di poco prima, gli passo le dita tra i capelli e lo stringo più vicino. Con un gemito, mi fa scivolare una mano lungo il corpo, lasciandosi dietro una scia di brividi... E poi quella mano birichina mi sfiora l’interno coscia. Avevo dimenticato quanto fosse bello.
Forse si sarebbe fermato lì, se non avesse scoperto che sotto il vestito indosso le autoreggenti. Quando la punta delle dita trova la pelle, emette un verso di felice sorpresa. Ormai priva di autocontrollo, rilasso i muscoli, dandogli un accesso migliore.
Il suo bacio successivo è profondo e lento e il suo pollice mi sfiora gli slip di pizzo, proprio in mezzo alle gambe.
Emetto un gemito disperato nella sua bocca che fa trasalire entrambi.
Nate ne deve essere davvero stupito, perché la mano sparisce, mi richiude in fretta le ginocchia e si siede di scatto.
Solo allora vedo Ramesh, in piedi nel vano della porta con la pistola puntata verso il pavimento. Lancio un gridolino di sorpresa. O di imbarazzo. Forse entrambi.
«Ma veramente?» esclama Nate, rosso in viso.
Ramesh guarda il soffitto e scuote la testa. «Due segnali di calore. Se foste stati, diciamo, su un divano, non mi sarei confuso. Ma sulle scale? Sembrava una colluttazione. E stasera non ha attivato i sistemi di sicurezza.»
«L’ho dimenticato» sbotta Nate.
Mi prendo il viso tra le mani.
«Arrivederci» saluta Ramesh. «Chiuda a chiave appena esco. Domani rivedremo i protocolli di sicurezza. Possiamo fare delle modifiche.» Scompare. La porta si chiude di nuovo.
Nate emette un gemito di frustrazione. «Mi dispiace...»
«Lo so» lo interrompo. «Forse alla fine ci rideremo su. Ma ora mi serve un minuto.»
«Ci credo» sospira.
Sono così frustrato. Sessualmente e non solo. Ho già abbastanza problemi con la mia goffaggine. Non ho bisogno dell’aiuto delle mie guardie del corpo per rovinare il momento.
Rebecca si alza lentamente in piedi. Sembra dolorante e infelice.
Scatto in piedi anch’io. «Tutto bene?»
«Sì, solo un po’ indolenzita. Stamattina sono andata a una lezione di pilates che mi ha consigliato Ari. Gli addominali e i glutei non mi perdoneranno mai.»
Questo mi dà un’idea. «Vieni, c’è qualcosa che voglio mostrarti. E non sono sistemi di sicurezza.»
Mi rivolge un sorriso mesto, ma poi prende la mano che le porgo e mi segue di nuovo giù per le scale.
«Buonasera, Nate!» saluta ancora una volta Bingley, mentre attraversiamo il salotto.
«Sera» rispondo. «Attivare tutti i sistemi di sicurezza.»
«Roger, Roger!»
«Quindi non me ne andrò stasera?» chiede Becca appena entriamo in cucina. Bingley accende le luci e Rebecca sbatte le palpebre sui suoi grandi occhi.
«Vuoi andar via?»
Non le permetto di rispondere, però. Le afferro la nuca e la bacio proprio lì, davanti al frigorifero. E la sua bocca si scioglie sotto la mia. È un momento di gloria. E significa che non ho rovinato tutto.
Purtroppo, Bingley non riceve il promemoria. «Salve, Rebecca!» saluta. «È bello risentire la vostra voce, figliola!»
«Mmm» mugola contro il mio sorriso. «Salve a te.»
Ridendo, mi stacco. «Bibita?»
«Certo, perché no?» Scrolla le spalle.
Allungo la mano nel frigorifero e ne tiro fuori un paio. «Seguimi.» Apro una porta che dà sul retro, ma anche nel seminterrato.
«Dove andiamo?»
«Hai parlato di muscoli indolenziti? Vedrai.» Premo l’interruttore e le scale per il livello inferiore si illuminano.
«Bel seminterrato» commenta Becca, seguendomi.
«Non è proprio sottoterra.» Ma è un locale davvero elegante. Alla nostra destra c’è la mia palestra personale, ma porto Becca a sinistra, nella sala spa. Una parete è interamente composta da porte a vetri scorrevoli, ma sono chiuse a chiave per la notte e oscurate da pesanti tendaggi. E ci sono due sedie a sdraio che si affacciano sulla vasca idromassaggio e sulla piscina.
Al momento, è settata l’impostazione della vasca idromassaggio, infatti sento gorgogliare i getti di acqua calda. Premo un pulsante sul pavimento e il coperchio si ritrae automaticamente.
«Oh, wow» esclama Becca. «Che meraviglia.» Si toglie le scarpe e si avvicina al bordo. Poi esita. «Non mi fido ancora del tutto del mio equilibrio. Se ci cado dentro, non ridere.» Immerge con cautela una mano in acqua. «Bello.»
Prendo un asciugamano da una mensola e lo butto sul bordo. «Puoi sederti e immergere i piedi.»
Indossa un vestitino corto di maglia che mi ha fatto impazzire per tutta la sera, quindi sarebbe abbastanza facile per lei togliersi le calze, sedersi sull’asciugamano e infilarci dentro i piedi.
Ed è quello che fa. Fa scivolare una calza sul ginocchio levigato e la sfila.
Non voglio stare lì a fissarla come un ragazzino delle medie. Okay, sì, invece. Ma non voglio metterla a disagio. Così vado all’impianto stereo, collego il telefono alle casse e inserisco una vecchissima playlist.
Una che riconoscerà.
Quando mi giro di nuovo, è seduta sull’asciugamano, entrambe le gambe che penzolano nell’acqua calda. «Ah. Wow.» Mi guarda e i suoi occhi sfavillano. «Hai un bel posticino qui.»
«Vero?» Sfilo le scarpe e le sposto da una parte con il piede.
Parte la prima canzone ed è un brano di Macklemore che mettevamo fin troppo spesso nel nostro primo ufficio. Rebecca scoppia immediatamente a ridere. «No! Non ascolto questa playlist da una vita. Ma scommetto che ricordo ancora la scaletta. Lady Gaga è la prossima.»
«Sicuro.»
Rebecca scalcia, schizzando acqua tutt’intorno. «Ho una piccola confessione da farti.»
«Quale?» Allento la cravatta e sciolgo il nodo.
«Be’...» Mi sorride. «Mi ero presa una cotta per te. I primi tempi.»
Le mie mani si impietriscono sulla cravatta di seta. «Falla finita. Non è vero.»
«Sì, giuro.» Ha le guance rosse. «Il primo anno soprattutto. Ma eri già preso ed eri il mio capo. Due circostanze che rendono abbastanza facile smorzare l’infatuazione, quando sei un tipo pratico come me.»
Mi avvicino e mi siedo accanto a lei, ma con la schiena rivolta all’acqua, perché indosso ancora pantaloni e calzini. «Allora, come funziona esattamente?»
«Cosa?» Mi lancia un’occhiata furtiva, poi distoglie di nuovo lo sguardo.
«Come si fa a non desiderare più qualcuno? Anch’io sono un tipo pratico, ma non vedo come questo possa rendere le cose più facili. Niente sembra mettere a tacere la furiosa attrazione che provo per te.»
Si volta di scatto a guardarmi e colgo l’occasione per baciarla. E basta un solo bacio: un solo scivolamento delle mie labbra sulle sue e sono di nuovo in fiamme.
Siamo rivolti in direzioni opposte, quindi è scomodo da morire. Ma non mi interessa. La divoro avidamente, finché si tira indietro e mi fissa. Ha la pelle arrossata e gli occhi luminosi e felici. «Sembra il Twister.»
«È meglio» la correggo. Parte una canzone di Lady Gaga, proprio come aveva previsto Becca. «Entriamo in questa piscina o cosa?»
Becca calcia l’acqua col piede. «Sono tentata. Ma non ho il costume da bagno.»
«Oh, cavolo.»
Sorride e scuote la testa. «Vuoi davvero entrare?»
«Non dobbiamo per forza.» Non le farò mai pressione.
Le sue dita scorrono sulla superficie gorgogliante. «Ma questa è un’avventura, giusto?»
«Giusto.» Mi alzo e mi tolgo i calzini. Lei mi guarda.
E non riesco a decifrare la sua espressione. «Che c’è?»
«Mi stavo solo chiedendo cos’altro hai intenzione di togliere.» Sorride.
«Vieni qui.» Il comando mi sfugge di bocca.
Rebecca, però, non batte ciglio. Si alza e si gira verso di me, lo sguardo incuriosito.
«Dimmelo tu. Cosa mi tolgo?»
Mi appoggia le mani sul petto, titubante, e mi costringo a essere paziente. Tutto ciò che ho sempre desiderato è dall’altra parte di questo momento. Mi serve solo rompere questa tensione imbarazzante del “vorrei e non vorrei”.
Le sue dita trovano il primo bottone in alto della mia camicia. «Non entrerò in acqua, se non lo farai anche tu.»
È un compromesso accettabile. Slaccio l’ultimo bottone, salendo verso l’alto fino a quando ci incontriamo nel mezzo. A quel punto, Rebecca apre la camicia e fa scorrere una mano lungo il mio petto nudo. Il mio cavernicolo interiore si alza in piedi e applaude. Mi sporgo in avanti e la bacio sulla mandibola. Odora di fiori e un fiotto di pura lussuria mi attraversa la spina dorsale. Una delle mie mani si fa strada verso la parte bassa della sua schiena e le sussurro all’orecchio: «Slacciami la cintura».
Accompagno la richiesta con un bacio sul collo.
I getti dell’idromassaggio producono l’unico rumore della stanza, ma all’interno della mia testa c’è un concerto da stadio. Il polso batte come un basso, mentre le sue mani slacciano la fibbia. Il cuore si stabilizza su un ritmo forsennato, mentre abbassa la cerniera dei pantaloni.
Cristo. Rebecca mi sta spogliando. Potrei non sopravvivere.
Mi porto la sua mano alla bocca e le bacio il palmo della mano. Ma non mi basta. Così seppellisco il viso nel suo collo di seta e la bacio di nuovo. Una volta. Due volte.
Mi sfila la camicia dalle spalle. «Ti sei vestito per la cena» mi sussurra. «Niente felpa col cappuccio, stasera?»
La mia bocca trova la sua, perché non posso non baciarla. «C’è una sola tenuta che preferirei indossare quando sto con te» mugugno contro le sue labbra. Le mie mani sfiorano il tessuto elastico del suo vestito, atterrando poi sul sedere.
Mi spingo oltre, fino alla pelle vellutata delle cosce. La sento trattenere il fiato.
«Posso togliertelo?»
«Sì» ansima.
Le sollevo il vestito sopra la testa e lo lancio sulla chaise longue, dove la mia giacca lo stava aspettando. Il pizzo nero che indossa quasi mi uccide. «Gesù» boccheggio.
Il tessuto è trasparente, e c’è qualcosa di meravigliosamente sconcio nel modo in cui i suoi capezzoli rosati si offrono al mio sguardo avido.
Per la seconda volta la sua scelta di lingerie mi stende. Se in tutti questi anni avessi avuto una mezza idea sul fatto che Becca preferisse l’intimo sexy, non credo che sarei arrivato a fine giornata in ufficio.
Ma lei è ignara della mia sofferenza. Allunga le mani dietro la schiena e slaccia il reggiseno, poi lo getta via. Quasi ingoio la lingua, quando il suo seno generoso viene liberato da quei legacci.
O forse non è del tutto ignara, perché poi si gira, mostrandomi la parte posteriore del suo corpo seminudo. Con uno sguardo sfacciato da sopra la spalla, lancia le mutandine a terra e poi si dirige verso le scale che portano alla piscina.
Mi lascia lì in piedi con nient’altro che pantaloni slacciati, dai quali il mio uccello sofferente cerca disperatamente di scappare.
Giusto.
Nei secondi successivi, mi tolgo i vestiti. L’erezione mi rimbalza sull’addome mentre mi immergo nella vasca per raggiungerla.
Non c’è visuale migliore di Rebecca in una piscina, con l’acqua che zampilla intorno al seno nudo. È seduta su una panca, con la testa reclinata all’indietro contro il bordo. Gli occhi chiusi. «Sono una fan di questo allestimento. Usi spesso questa vasca?»
«Sì e no. La uso per nuotare due volte a settimana. Sempre da solo. Quindi questa è una novità.» Le faccio schizzare l’acqua sul petto, perché il quindicenne che è in me non può resistere. Lei apre gli occhi e sorride. «Ma mi chiedo: che senso ha avere questa casa folle se non fai mai il bagno nudo nell’idromassaggio con la tua ragazza preferita?»
La sua espressione si ammorbidisce. «Questo è divertente. Ma non mi sono ancora abituata.»
Non si riferisce all’acqua. «Lo so. Hai ancora i tuoi dubbi.»
«Non su di te, però» precisa, portandomi una mano bagnata sulla guancia. «Solo… è complicato.»
Annuisco, così penserà che abbia capito. E capisco... quasi tutto. Anche se le mie capacità di comprensione dei rischi migliorano quando siamo vestiti e mi ricordo che esiste anche il resto del mondo. In questo momento, invece, sono senza vestiti, l’acqua mi accarezza la pelle nuda e Becca è a pochi centimetri di distanza.
Mi sorprende che io riesca perfino ad articolare delle parole.
«È davvero piacevole sui muscoli indolenziti» commenta, roteando il collo.
«Cos’è indolenzito esattamente? Te lo massaggio. Ti prego, di’ che sono i glutei.»
Lei ridacchia. «Quasi. Il retro delle cosce.»
«Come se mi servisse un motivo per toccarti le cosce.» Sott’acqua, le metto una mano sul quadricipite e stringo delicatamente.
«Ahi» annaspa. «Okay, fa male anche quello.»
«Mi dispiace.»
Scuote la testa. «È un dolore piacevole. Sono stata così felice quando il dottor Armitage ha detto che stare sdraiata in stanze buie non mi avrebbe aiutato a recuperare! È bello muoversi, perché sento di fare qualcosa.»
Emetto un inarticolato verso di accordo, ma tutta la mia concentrazione è rivolta alla coscia di Rebecca sotto la mia mano. «Metti una gamba qui.»
Dopo solo un attimo di esitazione, acconsente.
Prendo quella gamba liscia nelle mie mani e lavoro delicatamente sui muscoli.
Poi geme, e il cazzo mi diventa più duro dei tubi che riempiono questa piscina d’acqua. «Quanto mi piace.»
Glielo farò ripetere più tardi, ma non si riferirà ai muscoli delle gambe.