13
La mia frequenza cardiaca è diversi chilometri all’ora al di sopra del limite consentito e ho il corpo appesantito dall’appagamento sessuale.
Perfino le mie endorfine hanno endorfine.
Rebecca si rilassa sotto di me, il fiato corto. Sollevo la mia stanca carcassa e mi sposto di lato, trascinandomela addosso. Appoggia la testa sul mio petto ed espira, come se fosse stupita.
E forse lo è. Io so di esserlo. Non solo è stata l’esperienza più bella della mia vita, ma mi ha lasciato anche senza parole.
Non ho mai perso il controllo di me stesso in modo così totale.
Di solito, sono la persona più controllata che conosco. Mi alzo alle cinque tutte le mattine. Ho corso delle maratone. Tenermi al guinzaglio corto è l’unico modo che ho per rimanere in forma e sempre sul pezzo.
Stanotte ho dato un nuovo pericoloso significato all’espressione “stare sul pezzo”.
Cristo santo.
Scosto una ciocca di capelli dal viso perfetto di Rebecca. È sudata. Ha un’espressione a metà tra il sognante e il diffidente.
Non c’è modo di capire quale prevalga.
«Nate» sussurra.
«Che c’è?» Infilo il viso tra i suoi capelli e stringo le braccia intorno alle sue curve. L’uccello si tende in un piccolo spasmo stanco ma speranzoso.
Si schiarisce la gola. «Per fortuna prendo la pillola.»
«Lo so» borbotto. «È proprio lì, sul piano del bagno.»
«Okay...»
«Non ti farei mai correre rischi» sussurro. «Sono prudente.» Fino a oggi. Perché mai dovrebbe credermi, poi?
Becca esita e spero che la conversazione non si protragga oltre. Ho bisogno di qualche minuto per capire cosa diavolo dire. Anzi, mi serve più tempo. Un anno potrebbe non bastare.
«Quindi...» Solleva la testa dal mio petto. «Secondo te perché abbiamo…»
«Bec?»
«Sì?»
Le passo il palmo della mano lungo il braccio liscio in una carezza. «Non rovinarlo. A meno che tu non ne abbia davvero bisogno.»
Torna ad appoggiarsi sul mio petto.
Potrei offrirmi di andarmene. Forse lo preferirebbe. Invece, no. Sono un cocciuto bastardo che ha appena ottenuto l’unica cosa che ha sempre desiderato e non ha mai potuto avere. Così chiudo gli occhi e mi appisolo, mentre il suo battito rallenta contro il mio.
Il mio subconscio, però, non mi consente di dimenticare troppo a lungo che sono nudo in un letto con Rebecca. Mi risveglio che è ancora buio pesto. Ora è distesa con la schiena contro di me. Le passo una mano sul fianco, non posso farne a meno. Ha la pelle incredibilmente morbida e mi piace il modo in cui la discesa delle costole risale di nuovo lungo l’anca.
Perciò… lo rifaccio.
«Mmm» mugugna alla mia carezza. E quando le prendo il seno a piena mano, il capezzolo si inturgidisce sotto i miei polpastrelli. Preme la mano sulla mia, incoraggiandomi.
Gesù. Non sono poi così forte come pensavo. Basta il suo tocco e già sono duro e pronto.
La bacio a bocca aperta sul retro del collo e lascio vagare le mie mani sul suo corpo. Subito piagnucola, spingendosi contro di me.
Allora rotolo verso di lei, la giro a pancia in giù e le sollevo il bacino.
«Sì» ansima, mentre mi spingo a casa per la seconda volta.
Sì.
Glielo do forte e rapido e Rebecca mi asseconda, il respiro ansante. Quando le infilo una mano tra le cosce per accarezzarla, singhiozza il mio nome contro il cuscino.
Rabbrividiamo insieme prima di crollare in un ammasso inutile di membra stanche.
Poi il sonno arriva una volta per tutte.
La coscienza ritorna lentamente. La sensazione del corpo solido di un uomo contro il mio è ancora meglio del cashmere scontato, e non ho molta voglia di svegliarmi. Una mano enorme mi accarezza i capelli mentre stringo gli occhi per evitare la luce del sole che entra nella stanza.
Ma poi l’uomo dei miei sogni sospira in un modo molto da Nate e mi sveglio di colpo. È una buona cosa che sia girata dall’altra parte, perché sono certa di avere un’espressione sbalordita mentre i ricordi della scorsa notte mi assalgono nella fredda luce del mattino.
Che diavolo abbiamo fatto?
Finché non ti svegli nuda accanto a un uomo che è il tuo capo da sette anni non puoi dire di aver vissuto davvero.
Poi Nate emette un leggero verso di impazienza e mi irrigidisco.
«Rebecca.» La sua voce è bassa e ruvida. «Tutto bene?»
Considero la domanda. La verità è che non lo so. «Sì» mormoro. «Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui la gente smetterà di chiedermelo.»
«Lo so.» Mi stringe le spalle ed è una sensazione fantastica. «Ma non mi riferivo al trauma cranico.»
Merda. «Sto bene» affermo, sviando la domanda.
«Allora perché non mi guardi?»
«Ho sonno» brontolo. Ma poi mi giro, tirando con me il lenzuolo per coprirmi il seno. Quel gesto non fa che ricordarmi l’espressione ardente sul viso di Nate quando mi ha passato la lingua intorno ai...
Ah! Adesso tutte le parti della mia coscienza sono sveglie, comprese quelle sexy.
Lentamente, alzo lo sguardo e trovo Nate che mi osserva. I suoi occhi sono morbidi, ma la sua splendida bocca è piegata in un sorrisino compiaciuto.
«Che c’è?» esigo.
Passa un dito sulla pelle appena sopra l’orlo del lenzuolo. «Vorrei tanto che non avessimo destinazioni diverse, oggi. Non voglio che te ne vada a casa a rimuginare.»
«Non lo farò.»
Lo farò sicuramente, invece.
Si acciglia. «Facciamo prima colazione?»
«Be’...» esito. «Dovrei fare colazione con Georgia. Se disdico, vorrà sapere perché.»
«Ah.» È più un sospiro. «Sei sicura di stare bene?»
«Benissimo.»
Non mi crede, ma mi dà un bacio e si alza. Lo guardo rimettersi lo smoking di ieri sera e mi chiedo quante persone incontrerà da qui alla sua stanza. Non mi aspetto che si fermi e dica: “Ehi, indovina da quale stanza sono appena uscito?”, ma l’idea di essere scoperta mi innervosisce comunque.
Sono appena diventata la ragazza che va a letto con il capo.
«Ci sentiamo più tardi?» chiede, abbottonandosi la camicia.
«Come sempre?» ribatto, evitando così di rispondere.
Mi rivolge un’altra occhiataccia. «Non ripartire senza salutare, okay?»
«Okay.» Anche se ormai è diventato tutto strano. Ho fatto sesso con Nate. Due volte. Pur ripetendomelo nella mente, non riesco a crederci.
Qualche minuto dopo, la porta si richiude dietro di lui e tiro un sospiro di sollievo. Alzo il telefono e mando un messaggio a Georgia per disdire la colazione. Le chiedo anche di andare a prendere il mio kit da manicure dalla stanza di Lauren. Perché se salissi al piano delle suite executive e trovassi Nate, bellissimo in giacca e cravatta, non credo che riuscirei a fingere indifferenza.
Che cosa ho fatto?
C’è una colonna sonora nuova di zecca che mi scorre nel cervello. Fa più o meno così: Porca puttana. Porca puttana. Porca puttana.
Per tutta la vita la gente mi ha ripetuto che sono una persona con la testa sulle spalle. Le follie e i comportamenti rischiosi li lascio agli altri… a mia sorella, per esempio. Io sono quella intelligente, quella che non fa mai casini.
Finora. Ho gettato al vento il mio buonsenso per un’unica notte rovente con il capo.
Anche se è stata una gran bella notte.
Sul volo di ritorno, sorseggio il mio acquoso caffè da aereo e mi interrogo su quanto accaduto. Riesco ancora a sentire le sue mani su di me. Il sapore dei suoi baci. Quando trascino il mio trolley giù dal nastro del ritiro bagagli, sono delirante per lo stress e la stanchezza.
Ramesh – l’autista di Nate – è già lì che mi aspetta. «Salve, signorina Rebecca» mi accoglie con un sorriso. «Ho avuto l’ordine di portarla a Pierrepont Place. È lì che desidera andare?»
Sì e no. «Devo andare da Nate, ma solo per cinque minuti circa. Potresti aspettare mentre faccio una scappata dentro? Devo prendere delle cose e poi tornare al mio appartamento in Water Street.»
«Nessun problema.»
Ottimo. Sono ufficialmente in fuga.
Ci vogliono solo pochi minuti per preparare le valigie da Nate e ritornare alla macchina. Ci sono tante domande inespresse negli occhi della signora Gray. «Ti fermi per un tè?» mi invita, mentre Ramesh porta la mia valigia giù per le scale.
«Stamattina non posso,» mento, «ma ci vedremo sicuramente presto.» Solo che non ne sono affatto sicura.
Dieci minuti dopo, Ramesh ha trascinato le valigie su per le strette scale del mio condominio. Lo ringrazio nel modo più gentile possibile. Come la signora Gray, probabilmente anche lui si starà chiedendo cosa diavolo mi passa per la mente.
Continua pure a chiedertelo, penso, mentre gli stringo la mano. Tanto non lo so nemmeno io.
Per una volta, il mio piccolo appartamento è tranquillo. Renny dorme nella stanza di mia sorella, ma Missy e il bambino sono in giro da qualche parte.
Accosto la porta della camera da letto e poi mi do da fare con le valigie. Disfo i bagagli e li metto via. Tolgo la culla portatile dalla mia camera da letto e riordino.
Muoversi mi dà una bella sensazione, così continuo nelle pulizie. Attacco il disordine del soggiorno, dividendo le cose del bambino da quelle di mia sorella.
Nel frattempo, il panico mi si agita dentro come una tempesta. E, come in un vero uragano, a volte non è facile intuire dove si nasconda il pericolo. Quale sarebbe la conseguenza peggiore dell’essere andata a letto con Nate? Difficile dirlo. Se qualcuno lo scoprisse, i pettegolezzi in ufficio sarebbero feroci. Rabbrividisco all’idea che Hugh Major possa guardarmi in modo diverso, bollandomi come la tipa che se la spassa con il capo in trasferta.
Ma questo non è che la punta dell’iceberg. Se penso che dovrò rivedere Nate – e viaggiare di nuovo con lui – mi sembra di impazzire. Cosa dirà? Se fingerà che non sia successo niente, che effetto mi farà?
Perché qualcosa è indubbiamente successo. Almeno per me.
D’altra parte, non mi aspetto che lui lo trasformi in qualcosa di serio. Ha confessato di avere un’infatuazione per me. E credo di avergli dato l’opportunità di togliersi lo sfizio. Due volte.
Porca miseria. Sono nel mezzo di un salotto, con una borsa di pannolini in mano, e mi sento terribilmente eccitata. Quando ha preso in bocca il mio capezzolo, io...
Puff. Forse dovrei aprire una finestra e dare una rinfrescata a questa stanza.
Finisco di liberare spazio in soggiorno e affronto il cucinotto. Ci sono dei piatti nel lavandino. Insapono la pentola per gli spaghetti e intanto metto a punto una strategia. Ci sono due possibilità. A) Nate ignora l’intero episodio. La prossima volta che lo vedrò in ufficio e mi dirà: «Ehi, Bec! Hai le cifre della vendita dei biglietti? E che ne dici del sushi per il pranzo di oggi?»
Brucerà, ma credo sia meglio dell’opzione B, cioè la conversazione più imbarazzante del mondo. «Be’, Becca. Una volta ogni sette anni o giù di lì, che ne sentiamo il bisogno o meno. Giusto?» Vai con la risatina imbarazzata.
No, la conversazione potrebbe andare anche peggio. «Becca, ehi. Mi dispiace tanto di essermi fatto sfuggire di mano le cose. Ti prego di accettare le mie scuse e questo cesto di frutta gourmet. A proposito, d’ora in poi verrà Lauren in trasferta con me.»
Cavolo. E pensare che ero così ansiosa di tornare al lavoro.
Alla fine sento la chiave di mia sorella girare nella serratura. «Wow, Bec! È una meraviglia qui dentro.»
Mi rimangio la battuta acida sul perché. Missy non ha tempo per le pulizie. Deve portare a termine il semestre e poi quello successivo per ottenere il diploma. Ed è quello che desidero per lei. Le ho consentito di vivere qui così che potesse prendere la laurea che io non ho mai portato a termine.
«Grazie» dico.
Perché è questo ciò che conta nella vita: la mia famiglia e il lavoro che ci mantiene. Non posso perderlo di vista. Andare a letto con Nate è stato davvero stupido da parte mia. Perché mai dovrei rendermi le cose più difficili in questo momento? Ho già un trauma cranico e dei grossi obblighi.
«Va tutto bene?» chiede Missy, mentre Matthew balbetta nel marsupio.
«Certo, tutto bene.»
Per dimostrarlo, continuo con le pulizie. Passo l’aspirapolvere e spolvero ogni superficie. Poi mi dedico al bagno, riordinando l’armadietto dei medicinali per lasciare la maggior parte dello spazio a mia sorella, in modo che abbia un posto dove mettere tutti i ciucci e le coppette assorbilatte.
Quando tiro fuori lo straccio per lavare il pavimento del bagno, Missy interviene. «Mi preoccupi» dichiara sulla soglia, rimanendo a distanza di sicurezza. «Voglio dire, le pulizie antistress sono una cosa che ho sempre apprezzato della tua personalità, ma queste mi sembrano eccessive.»
La mia risposta è un brontolio. Missy e mia madre dipendevano dalle mie pulizie da stress in periodo d’esami universitari. Meno fatica per loro.
«Hai perso il lavoro? Non c’è problema, me lo puoi dire. Ce la caveremo.»
«No.» Ma trasalisco all’idea.
Mi sono appena resa conto che, con un capo diverso, perdere il lavoro non sarebbe così fuori dalle possibilità. Nate è una brava persona. Non mi licenzierebbe mai per imbarazzo, né farebbe un dramma di tutta la storia.
«Ma potresti?» indaga mia sorella.
«Probabilmente dovrei.» So di essere eccessivamente drammatica. Ma mi sembra tutto così confuso, e non essere dietro una scrivania da settimane non aiuta.
«Che cosa hai fatto?»
«Sono andata a letto con il mio capo.» Cavolo. A voce alta voce suona anche peggio che nella mia testa.
Missy arriccia il naso. «Veramente? Sei andata a letto con Hugh Major? È vecchio!»
Come ho già detto, a mia sorella manca qualche rotella. «Ingoia quella lingua. È vecchio e sposato. Non andrei mai a letto con Hugh Major.»
Missy aspetta.
«Sono andata a letto con...» Non riesco quasi a dirlo. «Nate.» E sono subito scossa da un piccolo brivido. Il suo nome non suona più lo stesso tra le mie labbra. Per il resto della mia vita immaginerò Nate nudo, ansimante, i pettorali scolpiti che si muovono sopra di me, le sue dita lunghe che premono le mie sul letto...
«Nooo!» La bocca di Missy è una O perfetta. «Quindi ha finalmente trovato il coraggio di ammettere di avere una cotta per te?»
«Missy!» squittisco. «Non dire così.»
«Ma per favore.» Alza gli occhi al cielo, nel modo tipico delle sorelle che fa venir voglia di mollare loro un pugno. «Reperto A.» Indica il cesto gigante di fiori molto appassiti che ho messo accanto alla porta. Spero sempre che Renny li noti e li porti al compattatore di rifiuti.
«Sono solo fiori» borbotto.
«È stato bello?» chiede.
«Eh?» Sto strofinando le piastrelle come se fossi in attesa di un’ispezione.
«Il sesso. È stato bello?»
Avvampo al solo sentire la domanda.
«Qualcuno ha fatto sesso senza di me?» chiede Renny, riemergendo dalla camera da letto con Matthew in braccio.
«Rebecca!» annuncia Missy. «Con il suo capo.»
«Oh, ca... pperi» esclama. A quanto pare stanno lavorando per eliminare le parolacce, questa settimana. «Ci hai dato dentro con Hugh Major? Non è un po’ troppo vecchio per te?»
«Non lui» preciso a denti stretti. «Esco a fare due passi.» È una decisione impulsiva, ma ho bisogno di prendere un po’ d’aria.
«Prima di uscire... ci sono due lettere che dovresti guardare.» Mia sorella si degna di alzarsi dal divano giusto il tempo di rovistare tra la posta sul tavolino. Si tratta per lo più di cataloghi, ma tra di essi pesca due buste, una spessa e una sottile. «Su questa c’è scritto che il mittente è una società immobiliare, quindi ho pensato che fosse importante. E l’altra è dell’assicurazione sanitaria.»
Oh, merda. Doppia merda. La busta più spessa è della DUMBO Holdings. «È il nostro nuovo contratto d’affitto.» Aspettavo questo momento. Il biennio dell’affitto è scaduto e, per legge, possono aumentarlo significativamente. Apro la busta e tiro fuori i fogli piegati. Passo in rassegna la prima pagina finché trovo quello che cerco.
Aumento del tasso dopo due anni: 0,00%.
Lo leggo altre tre volte perché non riesco a crederci. Poi passo alla seconda pagina per assicurarmi che i numeri corrispondano a quelli della prima.
Corrispondono.
«Wow» respiro. «È la più bella notizia che abbia ricevuto da settimane.»
«Ah, sì?» Missy mi si avvicina per guardare. «Nessun aumento? A New York?»
«Già. Forse si sono sbagliati.»
«Non importa» si affretta a dire mia sorella. «Firma e rispedisci. Dovranno onorarlo per forza.»
Non è vero, anche perché non è ancora controfirmato. Tuttavia, prendo una penna dal barattolo in cui le ho raccolte (ordinatamente!) e firmo.
«Prendo un francobollo» si offre Missy.
La busta più sottile è del mio piano sanitario. Anche questa mi spaventa. Nell’ultimo mese ho accumulato una visita al pronto soccorso, una dal neurologo e poi una visita domenicale dal dottor Armitage. Non sarà mai coperta.
All’interno trovo uno di quei moduli di Spiegazione dei benefici, di quelli scritti in codice. “Questa non è una fattura”, si legge in alto, ma so bene che non devo aspettarmi buone notizie. E infatti non ce ne sono. Il dottor Armitage compare nell’elenco dei “fornitori non coperti”, e la cosa non mi sorprende affatto. Anche la mia prima sessione nella sua clinica di riabilitazione è elencata come non approvata per la copertura.
Quando leggo il costo, resto senza fiato. Quattrocento dollari per il consulto e duecentosettantacinque per la prima seduta di terapia. E dovrei andarci tre volte a settimana.
«Brutte notizie?» Missy è tornata con un francobollo sulla punta di un dito.
«No» mento. «Solo un impiccio burocratico. Probabilmente impiegherò mezza giornata per parlare con la compagnia di assicurazioni.» Magari. Cercherò di farmi approvare la terapia, ma so di avere scarsissime possibilità di successo.
Accidenti.
«Spedisci il contratto d’affitto!» mi sprona Missy, incollando il francobollo sulla busta di ritorno. «Una cosa in meno di cui preoccuparsi.»
Spero abbia ragione.
Cinque minuti dopo, imbuco la busta in una cassetta postale su Water Street. Altri due anni con lo stesso canone di affitto in un appartamento a soli due isolati da un lavoro che amo. Dovrebbe essere un bel colpo.
Ma sono molto confusa su cosa succederà adesso.