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15 maggio, Brooklyn

Ho imparato le prime stringhe del codice di un computer quando avevo otto anni. Una delle mie prime lezioni riguardava i metodi per evitare il loop infinito, quello per cui il programma si blocca e il computer resta paralizzato, mentre tu cerchi di decidere se è il momento di spegnere e riavviare.

In questo momento, mi trovo in questa situazione. È domenica mattina e sono sdraiato sul divano del mio studio di casa a pensare a Rebecca. Sono rimasto impantanato in un loop infinito da quella imbarazzata conversazione nel mio ufficio.

Non posso smettere di chiedermi se ho peggiorato le cose. Eppure non riesco a capire come avrei potuto migliorarle. Se avessi detto di più – che provavo qualcosa di più – le avrei solo messo più pressione. Non voglio essere lo stronzo che la molesta al lavoro. Le donne hanno sopportato comportamenti simili per anni. E mi faccio vanto di dirigere una grande azienda con un eccellente curriculum nei confronti dei dipendenti di tutti i livelli.

Quando avevo tredici anni, mia madre ha affrontato un anno terribile. Aveva appena ottenuto una promozione nella sede centrale del distretto scolastico. E c’era questo stronzo che al lavoro la rincorreva intorno alla scrivania. A mio padre è venuto un infarto. La supplicava di dimettersi, ma mia madre non ha voluto.

Siccome quel tipo era un gigantesco farabutto, alla fine si è fatto cogliere sul fatto e ha risolto le cose da sé facendosi licenziare. Ma intanto i miei genitori erano entrati in crisi. Quando mia madre aveva provato a lamentarsi, ai piani alti non avevano mosso un dito.

Non sarò mai quel tipo di persona.

Mi ci è voluta una buona settimana per capire che avevano ragione sia Stew che Becca. Il dettaglio del lavoro rende tutto molto spiacevole. Non posso andarle dietro come farei con una ragazza che non lavora per la mia azienda. Non posso mandarle fiori, invitarla a cena o rubarle un bacio. Non posso fare ciò che mi riesce meglio, cioè andare a caccia di ciò che desidero di più e tenere duro fino a quando non vinco. E sottolineo “tenere duro”.

Se non pensassi che potremmo avere qualcosa di grandioso, sarebbe facile da accettare. Eppure il mio istinto mi suggerisce che io e lei insieme saremmo una coppia fantastica. E del mio istinto mi fido. Raramente ha sbagliato. Ma niente di tutto questo importa, se lei non vuole considerare l’idea. Devo solo tenere chiusa la bocca (e i pantaloni). Non posso ricordarle quanto sia stato bello, né confessarle quanto desidero farla gemere su ogni superficie di questa enorme casa.

Devo essermi fatto sfuggire un piccolo gemito anch’io, perché Bingley si butta nella mischia. «Padron Nate! Va tutto bene?»

«Immagino di sì»

«Potrebbe ripeterlo, mio buon signore? Non avvertirò la squadra di sicurezza, se non c’è motivo di preoccuparsi.»

«Sto bene, Bingley

«Lieto di sentirlo, signore. Posso aiutarla in qualche altro modo?»

Dovrei caricare un altro modulo vocale, in modo che la pianti di chiamarmi “signore”. È troppo simile al mio lavoro diurno.

D’altra parte, ho scelto quello di un britannico vittoriano per far divertire Becca. E mi manca Becca.

«Bingley» inizio, allora. «Come si fa a voltare pagina su qualcuno?»

«Voltare pagina su qualcuno?» chiede. «Vale a dire, passarci sopra una pagina o sottrarsi a un coinvolgimento romantico?»

«La seconda, Bingley. Non riesco nemmeno a immaginare la prima.»

«Solo un momento, signore. Effettuerò una ricerca su Internet.»

Dovrebbe essere interessante.

«Nate, siamo tutti sciocchi in amore. Ci sono seicentoventidue milioni di risultati per questa domanda» dichiara. «I suggerimenti più comuni sono i seguenti: numero uno, non imbottigliare le emozioni. Piangi, se necessario. Secondo: prendi atto della tua rabbia, se sei arrabbiato. Tre: prenditi cura di te in altri modi. Non dimenticare di mangiare bene e di fare esercizio fisico. Quattro: ascolta la musica, soprattutto canzoni ritmate. Cinque...»

«Grazie, Bingley» sospiro.

«...Tieni un diario» finisce.

«Un diario.»

«Sì, annotare i tuoi pensieri e sentimenti, convalidando ed esercitando tali emozioni sulla carta.»

Quello sarebbe un documento che il mio dipartimento delle Risorse Umane non vorrebbe mai. Caro Diario, solo quando mi sono intrufolato nella stanza d’albergo di Rebecca e l’ho scopata in sette modi diversi fino alla domenica ho capito di essere innamorato di lei.

Non è stato d’aiuto.

Come ripete sempre mia madre, l’unica via d’uscita è quella che passa in mezzo. E dovrei essere più concentrato sulla mia squadra di hockey. Domani andremo a Detroit per affrontare un nuovo avversario. Nel frattempo, in tutto il Paese, la squadra che meno amo in assoluto sta facendo altrettanto.

«Bingley. Ci sono nuove segnalazioni di infortuni per la squadra di Dallas o per Anaheim?»

«Un momento, signore... Sì. Simms non giocherà in gara 1 per Anaheim.»

«Cazzo.»

«Signore?»

«È un’esclamazione di dispiacere. Ignora tutti i “cazzo”.»

«Sì, signore.»

E poi non riesco a decidere se sia o meno una buona notizia. Odio Dallas con tutto il cuore e con tutta l’anima. Quindi non voglio che vincano facile. D’altro canto, se vincessero la Western Conference i miei ragazzi potrebbero falciarli in finale.

Questo sì che è un bel sogno ad occhi aperti. Anche se statisticamente improbabile.

Nella mia tasca il cellulare vibra.

«Sta chiamando Stewart, signore» annuncia Bingley.

Prendo il telefono, perché Stewie di solito non mi disturba il fine settimana. A differenza mia, lui ha una vita. «Sì» rispondo. «Come va, amico?»

«Sono su un campo da golf a Kiawah» ridacchia. «E tu?»

«Mi chiami per sapere se sono in giro a dare al dipartimento delle Risorse Umane qualcosa di cui preoccuparsi? Be’, no.» Siamo o no un interessante studio di contrasti? «Sono sdraiato sul divano a conversare con il mio assistente digitale. Normale amministrazione.»

Il mio vecchio amico prorompe in un versaccio. «Senti, non ti sto controllando. E prima che i giocatori dietro di noi si incazzino, sappi che ho appena ricevuto un messaggio e che domani riceveremo un’offerta per la divisione router.»

«Davvero?» Mi tiro su a sedere. «Da chi?» Non può essere Alex, perché mi chiamerebbe in prima persona.

«Dalla iBits Canada, in effetti. La chipmaker. E vogliono anche un accordo di licenza.»

«Be’, è complicato.»

«Un po’. Comunque, domani avremo tutti i dettagli, okay? Pensavo solo che avresti voluto saperlo per poter pianificare la tua settimana.»

«Grazie, amico. Stendili tutti.»

«Magari. Ho già perso una fornitura a vita di palle in questo campo.»

«Tieniti stretto le tue palle, amico.» Non ho mai saputo resistere a una battuta ovvia.

«Ci sentiamo, nerd.»

«Ci sentiamo.»

Riattacchiamo e mi sento subito meglio. Ora il mio grande cervello ha qualcosa da fare. Solo che c’è un problema. Pensavo di andare a Detroit domani a vedere l’hockey. Ma a quanto pare non succederà.

«Bingley, chiamami Hugh Major.»

«Con piacere, signore.»

Mi si accende il telefono e, un attimo dopo, sento squillare il telefono di Hugh.

«Ciao, Nate» risponde il direttore generale dei Bruisers. «Che succede?»

«Dovrò sottrarre Lauren all’ufficio dei Bruisers, questa settimana. Scusami per il breve preavviso, ma ho bisogno di lei a Manhattan.»

«Ne sarà entusiasta» ridacchia Hugh.

«Già, vero? Probabilmente non ce la faremo a essere a Detroit. Puoi trovare qualcun altro che viaggi con te?» Hugh ha sempre un assistente in viaggio.

«Certo, il tempismo è ottimo. Rebecca mi ha comunicato giusto quarantotto ore fa che è stata autorizzata a tornare a lavorare part-time.»

«Davvero?» È la notizia migliore che abbia ricevuto da una settimana a questa parte. «Ne sei sicuro?»

Ridacchia di nuovo. «Certo che ne sono sicuro. Ho la nota del medico che chiede un orario ridotto.»

«Non esiste orario ridotto durante i play-off» gli faccio notare. Ma devo proprio stare zitto. Non sono affari miei.

«Ci penso io, okay? Assegnerò a Rebecca una stagista che la assista a tempo pieno. Le porterò entrambe a Detroit. La stagista può coprire le ore in cui Rebecca è a riposo. Non preoccuparti per nessuno di noi, né della squadra. Abbiamo buone probabilità di entrare nelle Series. I ragazzi sono pronti.»

Certo che lo sono.

«Andate a prendervela. Ci vediamo tra qualche giorno, forse.»

«A presto.»

Be’, okay, allora. È ora di pensare agli affari e dimenticare Rebecca.

Magari.