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Quando ebbe finito di parlare con Henri il Vago e Kleist, Lord Vipond si diresse verso il palazzo del Maresciallo Ferrazzi, Doge di Memphis.
Il Doge aveva molti consiglieri, perché amava discutere a fondo di ogni argomento. Che poi raramente seguisse i consigli degli altri non era sorprendente, perché si trattava di una caratteristica tipica degli uomini nati per assurgere a posizioni di grande potere. L'unica eccezione a quella regola - l'unica persona cui lui desse ascolto - era Lord Vipond, che a sua volta godeva di un potere notevole, grazie alla sua rete di spie e informatori, e possedeva un talento imbattibile: aveva sempre ragione.
Come diceva la famosa filastrocca:
Vipond il Cancelliere semina o raccoglie
e ciò che non sa son solo morte foglie...
Non era granché, come filastrocca, ma il concetto era quello. Il Maresciallo Ferrazzi era un uomo di considerevole efferatezza, che governava il più grande impero del mondo e che, per vent'anni, era riuscito a mantenerne il controllo, senza che nessuno lo potesse sfidare. Un compito che aveva richiesto un grande valore militare, uno spiccato talento per la politica e una notevole intelligenza. Eppure, sebbene avesse sempre avuto Vipond accanto a sé come Cancelliere, non era mai riuscito a capire come quell'uomo fosse diventato quasi altrettanto potente. Molto tempo prima, circa tre anni dopo l'inizio del suo regno, aveva cominciato a rendersi conto, con orrore, che Vipond gli era diventato indispensabile. La cosa, all'inizio, gli aveva suscitato una profonda ostilità nei confronti del Cancelliere: una cosa del genere, infatti, era non solo intollerabile, ma anche rischiosa perché avrebbe potuto condurre a un colpo di Stato o al suo assassinio. Per non parlare della possibilità che lui diventasse una sorta di burattino nelle mani di Vipond. Il Cancelliere però aveva detto chiaramente al Maresciallo che sarebbe stato sempre un suo fedele servitore, purché egli non interferisse nel suo ruolo di Cancelliere e non gli rompesse le scatole per nessun motivo. Da allora, il loro rapporto era diventato... non proprio complesso ma, come avrebbero detto i contadini nei dintorni di Memphis, «conigliesco».
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Ammesso al cospetto di Ferrazzi, Vipond lo salutò con un cenno del capo e fu invitato ad accomodarsi.
«Come vi sentite, Vipond?»
«Molto bene, mio signore. E voi?»
«Bene, bene.»
Ci fu una pausa imbarazzante, soprattutto per il Maresciallo, giacché Vipond se ne stava semplicemente seduto con un sorriso benevolo stampato sul viso.
«A quanto ho saputo oggi avete incontrato la missione diplomatica norvegese», disse il Cancelliere.
«Già.»
I Norvegesi erano uno dei popoli confinanti, sottomessi da Ferrazzi oltre quindici anni prima. Avevano approfittato con entusiasmo dei vantaggi offerti dall'occupazione, dalle strade ai palazzi con riscaldamento centralizzato all'importazione di beni di lusso, senza tuttavia abbandonare la loro feroce bramosia per i combattimenti. Cinque anni prima, il Maresciallo, ormai stanco e sempre più irritato dalle spese necessarie per mantenere il suo vasto impero, aveva deciso che l'espansione doveva terminare. Pur dimostrando una commovente lealtà nei confronti del loro conquistatore, i Norvegesi non perdevano occasione di espandere il loro territorio verso nord, a dispetto dei reiterati divieti. Sfruttando l'ambiguità che li caratterizzava, provocavano i vicini e mettevano in atto ogni possibile espediente per sostenere di essere stati attaccati e di non avere altra scelta se non quella di proteggere se stessi invadendo le terre degli aggressori. Come Vipond sapeva benissimo, quegli attacchi in realtà erano compiuti da soldati norvegesi infiltratisi nell'esercito del Paese che intendevano saccheggiare.
«Cos'hanno detto a propria discolpa?»
«Come al solito, hanno sostenuto di essere vittime, vittime pacifiche, di voler semplicemente difendere se stessi e l'impero di cui sono sudditi tanto fedeli.»
«E voi che avete detto?»
«Che non sono nato ieri e che, se non ritireranno l'esercito, potremmo prendere in considerazione di offrire loro l'indipendenza.»
«E loro, come l'hanno presa?»
«Tutti e sei sono impalliditi per il terrore e hanno promesso che l'esercito si ritirerà entro una settimana.» Ferrazzi scrutò Vipond. «Forse dovremmo Paul Hoffman
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offrire loro l'indipendenza comunque... e offrirla anche a qualcun altro.
Governare e mantenere l'ordine pubblico costano una fortuna, maledizione.
Più delle tasse che incassiamo, giusto?»
«Ci siamo vicini. Poi però dovreste ridurre il nostro esercito e un gran numero di soldati irascibili se ne andrebbe in giro in cerca di guai. A meno che non vogliate pagarli voi.»
Ferrazzi grugnì. «Tra l'incudine e il martello.»
«Proprio così, mio signore. Ma se volete che io conduca uno studio approfondito...»
«Perché avete preso il ragazzo che ha spezzato la mia spada?»
Quegli improvvisi cambiamenti di traiettoria erano una vecchia tattica del Maresciallo e miravano ovviamente a spiazzare chiunque lo infastidisse.
«Sono responsabile della sicurezza in città.»
«Voi siete responsabile delle questioni relative alla sedizione; non siete un poliziotto. Questa faccenda non c'entra niente con voi. Quel ragazzo ha spezzato la mia spada, che è inestimabile, e ha ferito gravemente mio nipote e i figli di quattro membri della corte. Vogliono il suo sangue... e, se per questo, lo voglio anch'io.»
Vipond sembrava pensieroso. «Forse la Lama si può riparare.»
«Voi non ve ne intendete affatto; non fingete che sia altrimenti.»
«Effettivamente no, però conosco qualcuno che se ne intende. Il prefetto Walter Gurney è tornato dalla sua missione presso i Riben.»
«Perché non è venuto a farmi rapporto?»
«Non sta bene. Probabilmente non arriverà alla fine dell'anno.»
«E questo che c'entra con la mia spada?»
«Il rapporto di Gurney comprendeva una lunga sezione sulla maestria dei Riben nella lavorazione del metallo. Lui afferma di non avere mai visto nulla di simile. Gli ho parlato brevemente e ha detto che, se la Lama può essere riparata, i mastri fabbri dei Riben saprebbero farlo.» Fece una pausa, quindi riprese: «Naturalmente garantirei io per la sicurezza della spada e il lavoro verrebbe svolto a mie spese».
«Perché?» chiese Ferrazzi. «Che significa questo ragazzo per voi?
Perché vi date tanta pena e siete persino disposto a sostenere un tale costo?»
«Se posso essere sincero, è perfettamente comprensibile che siate seccato per ciò che è accaduto a un vostro bene prezioso e per le ferite Paul Hoffman
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riportate da vostro nipote, ma avete trascurato il fatto che un ragazzo di quattordici anni è riuscito a darle di santa ragione a cinque dei soldati più promettenti dei Ferrazzi, compreso uno che è ritenuto il combattente più grande della sua generazione. La cosa non vi preoccupa?»
«Motivo in più per sbarazzarsi di lui.»
«Non siete interessato a scoprire come abbia acquisito questo straordinario talento?»
«Perché, come l'ha acquisito?»
«Questo giovane, Cale, è stato addestrato dai Redentori nel Santuario.»
«Non ci hanno mai causato problemi.»
«In passato no, ma il ragazzo afferma che, negli ultimi anni, c'è stato un grande cambiamento nel Santuario. Stanno addestrando molti più soldati e in modo sempre più spietato.»
«Temete che ci attacchino? Sarebbero davvero sciocchi se lo facessero.»
«Anzitutto è mio dovere temere cose di questo genere. In secondo luogo, quanti re e imperatori pensavano la stessa cosa di voi, trent'anni fa?»
Ferrazzi sospirò, irritato e a disagio. Mentre costruiva il suo grande impero, era stato un condottiero sanguinario e terrificante ma ormai, dopo dieci anni di pace, aveva perso qualsiasi inclinazione per la guerra. Il soldato crudele, avido e assetato di conquista era diventato un uomo di mezza età, che aspirava soltanto a una vita tranquilla. Aborriva la semplice idea di soffrire il freddo una settimana, per poi morire di caldo e sete la settimana seguente; senza contare che - come aveva confessato a Vipond, una volta che era ubriaco - aveva sempre avuto il terrore di finire nelle mani di qualche rozzo contadino e di essere sbudellato con una falce. Non l'aveva mai ammesso con nessuno, ma il suo disprezzo per la guerra era nato dopo un inverno trascorso a soffrire la fame nei campi gelati di Stetl, dove lui si era ridotto a mangiare i resti del suo amato sergente maggiore.
«Dunque qual è il vostro piano?» esclamò. «Sono certo che ne abbiate uno ed è meglio che comprenda un modo per far smettere a mio fratello di tormentarmi a proposito di Conn.»
Vipond posò una lettera sul tavolo. Era di Conn Ferrazzi. Il Maresciallo l'aprì e lesse. Quando finì la rimise sul tavolo.
«Conn Ferrazzi ha molte ammirevoli qualità, ma non immaginavo che, tra queste, ci fosse anche la capacità di farsi da parte per il bene comune.»
«La vostra capacità di valutare il carattere delle persone è un esempio per tutti noi, Maresciallo. Che ne dite per esempio della vanità di Conn?
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Ho fatto due chiacchiere con lui e gli ho fatto notare che far punire Cale per averlo sconfitto l'avrebbe messo in ridicolo. E lui si è detto d'accordo.»
«Non potete permettere che il vostro ragazzo se ne vada in giro per Memphis. I padri della città non lo tollereranno e neanch'io lo potrei tollerare. Non posso permettermi di passarci sopra, Vipond.»
«Naturalmente no, ma tutti sanno che è affidato a me. Se fugge, ogni critica ricadrà su di me.»
«Volete lasciarlo andare?»
«In realtà, no. Quel ragazzo possiede abilità straordinarie. Inoltre lui e i suoi amici sono le uniche vere fonti di cui disponiamo per conoscere le intenzioni dei Redentori. Dobbiamo scoprire molto di più. Ho già provveduto in questo senso, ma ho bisogno di verificare con loro le informazioni. Sono troppo preziosi, più importanti di qualsiasi spada o di qualche testa ammaccata di un gruppo di prepotenti viziati che hanno avuto ciò che si meritavano.»
«Per Dio, mi state sfidando?»
«Se vi ho recato dispiacere, Maresciallo, mi dimetterò immediatamente.»
Ferrazzi, stizzito, emise un profondo sospiro. «Ecco! Ci risiamo. Non appena vi si dice qualcosa, v'infervorate. Più invecchiate, più diventate irritabile, Vipond!»
«Vi porgo le mie scuse, Maresciallo», replicò il Cancelliere con finto rammarico. «Forse le ferite mi hanno reso più irascibile di quanto non vorrei essere.»
«Ma certo! Mio caro Vipond, dovete fare attenzione. Siete passato attraverso sofferenze terribili... Sì, davvero terribili. Vi ho trattenuto troppo a lungo, sono stato un imperdonabile egoista. Dovete riposare.»
Vipond si alzò, chinando il capo in segno di riconoscenza per le preoccupazioni del Maresciallo, e poi si apprestò a uscire. Mentre si avvicinava alla porta, però, Ferrazzi gli disse, in tono quasi allegro:
«Quindi provvederete alla riparazione della spada a vostre spese e vi occuperete anche dell'altra questione».
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