6

L’interrogatorio

Prima che si possa pretendere una risposta da chi nella storia gialla sa qualcosa o almeno si crede che sappia qualcosa, costui deve essere messo in rapporto con chi pretende la risposta, rapporto che solo permette a quest’ultimo di pretendere la risposta.

In ogni caso questo rapporto consiste in un «essere in potere» di colui che dev’essere interrogato: in caso di rifiuto della risposta, dev’essere possibile prendere provvedimenti contro la persona dell’interrogato.

Ma poiché hanno la possibilità di prendere provvedimenti, gli interroganti possono ricattare l’interrogato ponendogli dinnanzi agli occhi questi provvedimenti. Una mancata risposta produrrà in ogni caso dei provvedimenti. L’interrogato, a questo punto della storia gialla, è in balia del potere impersonale di una legge o del potere illegale di una persona, che può, grazie alla sua autorità sovrana, prendere provvedimenti. Ma anche la legge agisce come ricatto.

Legali o non legali che siano, ambedue le forme di interrogatorio autoritario iniziano con la ripetizione continua del «se non — allora». Se l’interrogato non risponde, contro di lui verrà intrapresa un’azione.

Questo «se non — allora» viene ripetuto nel caso che l’azione intrapresa contro l’interrogato non abbia ancora prodotto alcuna risposta, oppure abbia prodotto una risposta palesemente falsa.

Se l’interrogato si ostina a non rispondere, viene intrapresa contro di lui una nuova azione.

Se non risponde neanche dopo questa azione, viene minacciato di una nuova azione.

Tutte le volte che lui non agisce, cioè non risponde, si intraprendono azioni contro di lui.

Ognuna di queste azioni è solo un diverso modo di esprimere la domanda fatta a parole. Questa accumulazione di «se non — allora» continua sino a che l’interrogato risponde, oppure non è momentaneamente o non è più in grado di rispondere.

Anche se l’interrogato non risponde, dal suo comportamento si potranno dedurre le possibili risposte. Ognuno dei suoi gesti è una possibile risposta. Un mutamento di espressione è già una indicazione. Si cerca di trarre deduzioni da ciascuno dei suoi movimenti. Nulla di ciò che fa è privo di significato. Anche ciò che non fa allude a qualche cosa. Qualunque atto che serva a uno scopo quotidiano e palese persegue, oltre a questo, anche uno scopo particolare.

Qualunque cosa l’interrogato che tace faccia o non faccia, è un indizio. Non fa più nulla per se stesso. Ciascuno dei suoi atti può essere una comunicazione. Ciascuno dei suoi gesti è un’«involontaria» rivelazione.

Tocca agli interroganti trovare le parole capaci di smascherare l’azione quotidiana. Essi cercano la chiave che valga a decifrare gli atti, i gesti e le espressioni dell’interrogato. Che cosa significa il fatto che slacci e riallacci un bottone della giacca? Che cosa significa che sia proprio quel bottone della fila? Che cosa significa quel pollice scostato dalla mano? Perché si asciuga così spesso il volto? Che cosa significa il suo abbigliamento? Che cosa significa l’angolo che formano i suoi piedi? Che cosa rivela lo schioccare delle dita? E quel tirare il lobo dell’orecchio? E la saliva nell’angolo della bocca?

Qualunque cosa l’interrogato faccia o non faccia, anche le sue menzogne, anche il suo modo di tacere, sono una possibile risposta. Perfino il sonno dell’interrogato serve ai fini dell’interrogatorio. Che cosa rivela la posizione in cui dorme? Che cosa dice nel sonno? Perché non parla più nel sonno? Che cosa cerca con le mani nel sonno?

L’interrogato, nella storia gialla, cerca di distruggere il rapporto forzato che, di per sé, potrebbe pretendere da lui la risposta infinite volte.

Di regola, nella storia gialla, egli non sa ancora chi lo interroga, oppure per conto di chi l’interrogante lo interroghi.

Ora per l’interrogato si tratta di rispondere o di non rispondere in modo tale da ricevere lui stesso la risposta alla sua domanda inespressa: chi sia l’uomo che lo interroga o lo fa interrogare.

Ciascuno dei due, l’interrogante e l’interrogato, vuole quindi ottenere una risposta, il primo con la forza, il secondo con l’astuzia.

Questo capitolo, almeno nella storia gialla, finisce di regola in modo tale che l’interrogato riesce a uscirne senza aver dato risposta o senza aver dato la risposta giusta, nel qual caso in definitiva è proprio lui che si serve della forza, appunto allo scopo di uscirne:

 

 

Chi minaccia si serve dapprima di giochi di parole.

Vedendolo spostare il proprio peso sull’altra gamba, il venditore ambulante capisce che lo vuole prendere di nuovo a calci. Esercita le dita prima di afferrare. L’urto lo scaraventa indietro di alcuni passi. La punta della scarpa sibila verso l’alto. L’appoggio gli sembra tremare dei battiti del suo cuore. Mantiene astutamente la posizione assunta anche quando è solo. «Dovremo aiutare un po’ la Sua memoria!» Dapprincipio ha preso le tenebre per notte.

Non attribuisce alcun significato all’accaduto. Fa seguire alla sua frase uno strano mormorio. Gli faranno ben perdere il vizio di sogghignare! I suoi gesti ora sono gesti di difesa.

È abituato a essere maltrattato. Trasale al solo udire l’accento interrogativo all’inizio della frase. Ogni esempio che gli citano è spaventoso. Sta ad ascoltare con grande curiosità una storia che, secondo loro, egli avrebbe vissuto. Crede che potrebbe far provare il proprio dolore agli oggetti. Dopo aver chinato la testa, a un tratto non riesce più a immaginarsi l’aspetto dell’uomo che gli sta di fronte. «Che cosa vuole sentire?» Poiché scorge un oggetto il cui limite di utilizzazione è indicato sull’oggetto stesso, crede che non gli possa succedere nulla fintantoché l’oggetto è utilizzabile. A poco a poco gli diventa un tormento la convinzione di dover prendere nota di tutto ciò che percepisce. È dominato da un pensiero come altri sono dominati da un gioco. «Ha il sonno leggero.»

Quando una volta dice la verità, si sente in imbarazzo. Ode la sigaretta consumarglisi crepitando tra le dita. Non può appoggiarsi all’indietro. L’altro cammina per la sua stanza con movimenti marcati, per mostrare che lui può muoversi liberamente. Lasciato solo con l’uomo appena conosciuto, il silenzio gli diventa un peso. Un uccello si alza in volo e stride.

Non ha udito nulla che fosse destinato a orecchie estranee. L’ultima volta ha tossito diversamente. Tutte le parole erano assurde nel momento in cui è tornato in sé. Già il fatto che auguri «buon giorno» viene preso per una simulazione. Le pareti sono provviste di isolamento acustico. Ecco una sedia!

Risponde senza sollevare lo sguardo. Desta sospetto chiunque, di sera, porti occhiali da sole. «Devo essere più chiaro?» Lotta contro il risveglio. È sua la mano che gli passa sul corpo? Non riesce a starsene tranquillamente seduto. Guarda in modo che tutti si credano osservati. Come è piacevole poter muovere almeno il dito!

È disperato perché conosce situazioni alle quali può paragonare la sua situazione attuale. Non si abitua al nuovo ambiente. Trova ridicolo confessare la verità. L’inseguitore lo seguirà anche nel sonno. Tutti lo tranquillizzano, perché lui non tranquillizza loro. «Lei sa più di quanto non voglia ammettere!» Un attimo, ora, è per lui un tempo molto lungo.

È solo sopraggiunto, qualunque cosa stesse avvenendo. Nella fotografia soltanto uno non ha la striscia nera sugli occhi.

Osserva l’uomo che ha di fronte sorridere affettuosamente, mentre tiene in mano la tazza di tè come se fosse una cosa naturale. Non avrebbe più scampo soltanto se scoprissero i suoi pensieri. Fin dall’inizio del gesto sa che il colpo coglierà nel segno. Nel lungo discorso di approvazione aspetta con ansia il «ma». Gli danno il tempo di dire qualcosa. Scuotendo la testa, verifica quanta libertà di movimento gli è rimasta. Gli pongono di fronte degli oggetti perché il modo di trattarli lo tradisca. Al telefono non ha potuto parlare. Il suo sorriso può significare molte cose.

Mentre parla, pensa ad altro. Vede sulla porta i segni di bruciature di sigaretta. Per il dolore volta la faccia da una parte. È troppo piccolo per il muro. Solo quando pronuncia la frase si accorge di mentire. Vorrebbero fargli un paio di domande. Guarda come se avesse davanti a sé una strada vuota. La cerniera lampo è bloccata. Cercano di insinuarsi oltre le sue difese passando per le cose che gli appartengono. Nel mezzo del discorso deve essergli venuto in mente qualcosa. «La nostra pazienza è esaurita!» A poco a poco il silenzio diviene sopportabile.

Per costringerlo a rispondere gli rifiutano impressioni sensoriali.

Fa finta. Tutte le volte che lo guardano pare colto in fallo. L’aria fresca gli farà bene! Fanno attenzione ai toni della sua voce. Quando uno cerca di sputargli addosso, la saliva gli va di traverso. Hanno ancora bisogno di lui.

Può servirsi di ogni parola per cambiare discorso. Con questo dolore si difende dall’oblio. Gli infliggono solo ferite carnali. Gli gridano dietro un nome che non è il suo. «Ha ancora qualcosa da dire?» Che cosa significa che lasci cadere l’oggetto e lo raccatti nuovamente? Perché viene descritto questo avvenimento secondario e non quell’altro avvenimento secondario?

Pianifica ognuno dei suoi movimenti. Il gesto con cui getta via il fiammifero non serve soltanto a gettare via il fiammifero. Gli dipingono un futuro che non sarà nelle sue mani. Da solo, il colore della sua camicia non ha alcun significato. Forse le sue mani si ricordano meglio di lui. Chiudere una volta gli occhi significa assentire. La camera ha una vista gradevole. Solo dai movimenti del collo si capisce che è lui a parlare. È sospetto che già da molto tempo lo stiano interrogando troppo sommessamente. Le grida di dolore non sono dichiarazioni.

Architetta risposte a domande che non gli porranno mai. Non può nemmeno strofinarsi gli occhi. Dopo aver mentito, inspira più a lungo che prima della menzogna. Se fosse cosciente della sua colpa, masticherebbe più adagio, strozzandosi, con le guance piene. Cercano di fargli credere che è andato con loro spontaneamente.

Benché al momento sia insensibile, gli sembra che il contatto più delicato gli causerebbe un dolore insopportabile. Gli hanno soltanto dato un assaggio di quello che ancora lo aspetta. Le cose che ha con sé non dimostrano nulla di ciò che potrebbe essere accaduto. Non diventerà vecchio. Traggono conclusioni dal bianco dei suoi occhi. Siede con la schiena rivolta alla parete. Un colpo sul viso lo riconduce alla coscienza. Lo interrogano su oggetti che non può assolutamente avere con sé, e che pure ha con sé.

Dorme coi denti serrati.

«Vogliamo fare una breve passeggiata con Lei!»

Anche il gesto di giocare con le stringhe delle scarpe può essere un’allusione. Quando fa per intingere di nuovo il cucchiaio, il piatto non c’è più. Non si sbaglia nel parlare. Lo spazio vuoto alle sue spalle è sgradevole. In altri tempi gli avrebbero tagliato via le palpebre. Fanno tintinnare delle chiavi davanti al suo orecchio. Lui non chiede se ha parlato nel sonno. Protegge i denti con le labbra. Il dolore serve comunque a far passare il tempo.

Finirà pure di gridare.

Non vorrebbe avere degli spettatori. Cercano di diventare suoi amici per rendere incerti anche i suoi pensieri. Ogni volta che si interrompe, attaccano subito le interpretazioni. Il fatto che sollevi la mano al di sopra della spalla fa desumere un’intenzione ostile.

Ha in tasca dei ritagli di giornale che parlano dell’avvenimento. La sua coscienza si fa sempre più sensibile. Devono condurlo al punto che le sue sofferenze lo facciano apparire riluttante. Parlano della sua proprietà come se fosse già loro. Cosa gli viene in mente quando sente questa parola? Non avrà più bisogno di niente nel luogo dove andrà fra poco.

Non vuole motivare la sua presenza. Per un attimo il battito del suo cuore si interrompe. Conta gli angoli della finestra, benché ne conosca esattamente il numero. Chiude gli occhi in attesa del colpo. Per un poco resta lì seduto con lo sguardo stravolto. Sente la mancanza del dolore. Dover inghiottire di nuovo lo irrita. «È Lei il fortunato proprietario?» Lo spostamento d’aria provoca un sibilo. Hanno scelto una sedia con le gambe talmente alte che non arriva al pavimento neanche con le dita dei piedi. Non serra troppo le labbra, perché non credano che voglia tacere qualcosa.

Vorrebbe soltanto riprendere fiato. Gli sembra che adesso potrebbe farsi male anche con oggetti tondeggianti. Dispongono ogni cosa in modo che, più tardi, la sua morte appaia naturale. D’un tratto non gli viene in mente più nulla a cui potrebbe ancora pensare. Lo spavento interrompe il suo sbadiglio. Non riesce a mantenere la direzione con le mani legate. Stendono il verbale dei suoi gesti. Prima che l’uomo di fronte lo colpisca, gli si gonfiano le vene.

Guarda con gli occhi fissi le sue scarpe. Non ode nulla, non vede nulla, non pensa a nulla, sente solo, dolorosamente, la propria presenza. L’odore del pugno davanti al suo naso gli ricorda qualcosa. Questo è un’arma micidiale! Le sue attività non sono più le sue attività. Giace sotto un divano pieno di gente. L’uomo che colpisce ha i denti gialli. Nella serie delle innocue parole che gli gridano, ne introducono alcune che giocano un ruolo nell’interrogatorio. Giornali incollati coprono i vetri delle finestre. I gambali degli stivali si afflosciano uno sull’altro. Le caviglie avranno bisogno di un certo tempo per guarire. Un ambulante morto non è di alcuna utilità per loro.

Quando lo stringono alla gola, la necessità lo induce a sollevare devotamente il capo. Lo spavento ha mutilato la scrittura. Possiede uno di quei volti che cambiano poco nel corso della vita. Improvvisamente non sa più come si costruisce una frase. Non vorrebbe più udire né vedere nulla.

Voleva dire qualcosa, ma nel bel mezzo del discorso si è accorto che non valeva la pena di dirlo, e perciò ha smesso di parlare, e ora viene sollecitato da tutte le parti a concludere il suo discorso. Le tapparelle non sono completamente sollevate. «Ha meritato la morte.» Prima di andarsene dovrebbe dire una parola violenta, ma non può andarsene. Non ha intenzione di gridare. Trattenendo il fiato, osserva l’oggetto fin nelle più piccole scalfitture, quasi volesse saziarsene. Quando si interrompe, pensano che si sia lasciato sfuggire qualcosa. Nessuno era preparato alla battuta, e così nasce una pausa penosa.

Non vede la figura, ma nota il primo gesto pericoloso. Ora la sua risata è un lusso. Ci penseranno loro a non fargli dimenticare mai questo momento. L’interruttore della luce è troppo lontano dalle punte delle sue dita. Cerca invano di immaginarsi in anticipo il dolore. Il morbido appoggio attutisce la violenza del colpo. Nell’attimo decisivo ha la bocca piena, e così, di nuovo, non può parlare. La difficoltà di ricordare consiste per lui nel fatto che la cosa dimenticata non è un oggetto, ma una parola. Questo buio pietoso! Toccano il punto che si suppone gli faccia male, ma lui non trasale, o meglio: trasale, ma un attimo troppo tardi: avrebbe dovuto trasalire prima del contatto. «L’uomo interrogante si lima con cura le unghie.» Iniziano il loro gesto in modo tale da costringerlo a notare che per il momento il gesto è inteso solo come una minaccia, che quindi può essere interrotto in qualsiasi momento, basta che si dimostri docile, ma che è tuttavia possibile condurre a termine il gesto nel modo accennato: invece di una parola, è dunque un gesto che serve da ricatto. Cambiano bruscamente la direzione da cui gli pongono le domande, perché debba girare continuamente la testa verso chi lo interroga e questi bruschi movimenti lo stanchino. Delle mani lo afferrano sotto le ascelle, ma non per sostenerlo.

È entrato dalla porta in posizione verticale, ma non ne uscirà più allo stesso modo. La sedia è senza fondo. Non deve abbassare la testa. A poco a poco si sente alleggerito. L’asciugamano è spiegazzato in un solo punto. La stanza è arredata in modo impersonale. Il suo sudore non è un sudore di paura. Quando la bottiglia viene inserita di forza nella schiera delle altre bottiglie, il contraccolpo la risospinge fuori. Sfiorano le suppellettili con la punta delle dita e poi si guardano la punta delle dita.

Non è più in grado di rispondere ai loro movimenti. Se chiude gli occhi gli viene la nausea. Mentre lo interrogano, gli afferrano il polso con apparente dolcezza. Se aspira l’aria troppo lentamente, può guadagnare molto tempo. Si costringe a essere tranquillo. Aspettano solo l’oscurità completa. Qualcuno gli domanda se sta bene.

Non sa più in che posizione si trova. Quanto più è piccola la loro sfera d’azione, tanto più avidamente la sfruttano. Più tardi non riconoscerebbe gli oggetti che ci sono qui. Non può esprimere la sua rabbia. I suoi piedi non gli ricordano più il camminare. Gli premono in mano un oggetto liscio. Ha già avuto dei predecessori. Devono scambiarlo con qualcun altro. Dato che non possiede nulla, non possono minacciargli la distruzione dei suoi beni. Il dolore continua a crescere, fin quasi a farlo cantare. D’un tratto si rende conto che proprio ora, in questo istante, dimentica qualcosa e non riesce a trattenerla. Nel desiderio di essere lasciato solo, si fruga affannosamente nel colletto. Si rallegra molto di poter almeno giocare di nascosto con le dita.

Non può tradirsi con sguardi fissi.

«L’ho spaventata?» Vorrebbe premersi le mani sulle orecchie. L’uomo di fronte gli mostra come si toglie la giacca prima di far ricorso alla forza. Fa col pensiero un tentativo di camminare. Lo aiutano a ingannare l’attesa scherzando. Giocano con un oggetto anticipandogli su di esso che cosa gli succederà. «È un viandante appassionato.» Quando lo rivoltano, veli di sabbia colano dai suoi abiti. Gli chiedono ancora una volta tutto quello che già sanno. Quando s’infuriano, sillabano le parole.

Non è loro amico! L’altro gli batte sulla spalla prima di colpirlo. «Un tramonto non è nulla in confronto a questa meraviglia di colori.» Fanno attenzione anzitutto alla posizione delle parole nella frase. Le sue scarpe piegate verso l’alto lo riconciliano con l’ambiente. L’intervallo tra due colpi gli pare già del tutto naturale. Ora gli accordano tutto quello che vuole perché si tradisca. Qualcuno lo sfiora passando, benché vi sia spazio sufficiente. Smetterà presto di ridere! All’ordine di alzare le mani, un monco di un braccio ha alzato la mano. Approfittano di ogni minima variazione nel suo atteggiamento per interrogarlo in proposito. Sembrerà una caduta sfortunata.

Non possono più indurlo a rispondere, neppure con le promesse, poiché non riesce più a immaginarsi gli oggetti che gli promettono. I fatti che accertano alla sua presenza sono considerati ordini. Ora qualsiasi movimento è falso. Continua a smettere di fare attenzione. C’è un capello appiccicato al muro! Lo esortano a raccontare la storia ancora una volta.

Lui guarda soprattutto i loro padiglioni auricolari. Non possono interrogarlo con troppa precisione, perché si tradirebbero. Non può parlare perché la porta è ancora aperta. È un’arma di ordinanza! Aspettano che gli manchi l’aria. Può usare anche uno stuzzicadenti per l’automutilazione. Sono tutti padri di famiglia. Stanno litigando su chi di loro debba aprire la porta. Anche quando chiude gli occhi, non riesce a smettere di vedere. Dovunque la metta, la mano gli riesce molesta. «Prendilo tu in consegna!» Manca sempre quello di loro col quale avrà a che fare quando avrà finito con gli altri. Anche nel dolore percepisce molti piccoli particolari dell’ambiente, solo che adesso non lo distraggono più. Ripercorre i pensieri, uno dopo l’altro, per ricordarsi del primo. In una stanza chiusa le loro possibilità sono maggiori. Per chi lavora?

Non è duro d’orecchio. «Quando l’arma viene estratta dalla sua custodia, si sente un sibilo.» La sua mano è sorprendentemente tranquilla. La testa si appesantisce in modo insopportabile. Spera nell’attimo di esitazione. La goccia che pende dal mento diventa sempre più lunga. Guarda con gli occhi proverbiali dell’animale braccato. Cerca inutilmente di immaginarsi luoghi diversi da quello in cui si trova. Se adesso risponde anche a una sola domanda, non si fermerà più. Nemmeno il dolore è capace di strappare anche solo un lamento alla sua laconicità.

Non si siede, per paura di perdere tempo nel rialzarsi.

«Non è davvero così divertente come pensa Lei!» L’oggetto che si trova presso la sua mano potrebbe anche essere infinitamente lontano da lui. Le gocce cadono nello stesso punto, una dopo l’altra.

Improvvisamente annuisce. Qualunque cosa percepisca, gli duole. Finché c’è ancora qualcuno dietro di lui, non parla. Definiscono l’ammazzare con parole meno crude. Se fuori c’è la neve, questo è uno sferragliare di catene da neve. Non trovano la parola adatta a provocarlo. Dalla voce se lo era immaginato diverso. Nessun altro sa dove si trova adesso.

Non fa loro il piacere di alzare gli occhi. A un tratto fiuta l’arma micidiale. Tutte le volte che si gireranno, dovranno fare i conti con la sua presenza alle loro spalle! All’improvviso agisce senza stare a passare attraverso i pensieri. Lo slancio è stato abbastanza forte. La lampadina scoppia al momento giusto.

Lo lascia avvicinare a sé. L’attimo di spavento non è ancora passato. Nasconde le sue allusioni in frasi secondarie. Gli ordinano di sentirsi come a casa propria. «Come trova la mia cravatta?» All’improvviso sente i suoi piedi e sbigottisce.

Guarda attraverso le ascelle del suo avversario. Si volta, ma non abbastanza rapidamente. Il dolore rimuove lo stato d’incoscienza. Ora, poiché il suo futuro è nelle loro mani, parlano del tutto apertamente. Un momento fa era così loquace, che il suo ammutolire li sorprende particolarmente. Il colpo viene da dietro a destra! Se finalmente parlassero chiaro, in modo che si possa difendere! Il dolore è talmente forte che desidererebbe svestirsi.

Ritrae il ventre in anticipo. Ai loro occhi è già morto. Svegliato di forza, dapprima ha guardato nella direzione sbagliata. Si fermano sempre un attimo prima che il dolore raggiunga il suo culmine. Deve aggrapparsi a qualcosa. Ora anche ciò che non gli appartiene duole a lui. Purché non vengano a mancargli le parole. Gli dipingono il suo aspetto futuro. Nessun colpo lo coglie due volte nello stesso punto. La canna del giardino ha giusto il diametro della sua bocca.

Sente il rumore di un osso che si rompe. Comincia a contare. Questa domanda innocua non può venire da chi lo minaccia. Non gli resta più il tempo di abituarsi ai pensieri. Non può smettere di parlare, altrimenti ricominciano a fare domande. Il suo corpo vibra per il dolore. Loro vogliono sapere dei fatti.

Finisce per collaborare alla tortura. Non farà più domande stupide. Gli mostrano le suole delle loro scarpe. È sufficiente un breve cenno del capo. Questa situazione è nuova per lui. Deve uscire per primo dalla stanza. Un oggetto duro gli si conficca tra le costole.

Cerca di acchiappare un dito. Non può più stare ad ascoltare. Scrolla le spalle per riabituare a poco a poco al movimento i suoi minacciatori, che gli hanno proibito qualsiasi movimento. Anche se sa qualcosa, a loro non la dirà. Se la sbrigheranno facilmente con lui. Quando lo colpiscono gli risparmiano la bocca. C’è uno di troppo nella stanza! Non sa dove vogliono arrivare. Gli danno ancora un minuto. D’un tratto, nel bel mezzo del dolore, nasce un momento di pazienza.

Deve aver dormito. Non appena gli escono delle parole, ne escogita di nuove. Gli mostrano le perle di sudore che gli asciugano dalla fronte. Anche quello che fanno è un lavoro.

Sa troppo. «Non c’è una parola di vero in tutta questa storia.» Cercano sul suo corpo punti ancora intatti. Vorrebbe scuotersi di dosso il dolore correndo in giro. D’un tratto guarda stupito un punto alle loro spalle.

Teme la domanda che gli porranno dopo la domanda che gli pongono adesso. I suoi occhi scintillano. È duro a morire. L’espressione del loro volto, mentre colpiscono, può sembrare anche compassionevole. Lo spostamento d’aria gli toglie il respiro. La pietra è grande quanto la testa di un bimbo. Lo interrompono nel mezzo della frase. Si sono stancati di domandare. Le punte delle sue dita cambiano colore, diventano scure. Lo stupisce il suo improvviso desiderio di uccidere. Un gesto continua l’altro.

Ora non è più possibile trattenerlo. Mette tutto il suo peso nel colpo.

Si sente un rumore simile a un gorgoglio.

Per un attimo i lottatori sono completamente immobili.

Dalla bocca esce uno strano suono.

Lo strangolato ringhia.

L’urto del respiro lo fa rimbalzare all’indietro.

Comprime la gola finché sente uno scricchiolio.

L’uomo che gli sta di fronte è di gomma.

Ora è lui che gioca con le parole!

La porta è soltanto accostata.

Il venditore ambulante si ferma sul gradino più basso e tende l’orecchio.

Si fa buio, e lui comincia a parlare.

Lo spavento si fa sentire soltanto dopo.