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Lo smascheramento dell’ordine mostrato all’inizio
Se prima del delitto è stato mostrato un ordine apparente, ciò è avvenuto solo per un’astuzia gialla. Quell’ordine è sembrato ordine solo a qualcuno che sopraggiungeva. Era soltanto un ordine della prima occhiata. Solo a posteriori, quando anche quell’ordine fenomenico è stato turbato dal flagrante delitto, l’ordine descritto in precedenza è divenuto significativo. Col delitto l’ordine è divenuto parte di una storia del disordine. Con lo smascheramento dell’ordine da parte del delitto è entrato in gioco il tempo, cioè il tempo che ha preceduto il sopraggiungere dello straniero e in cui si sono create le premesse del disordine.
L’ordine era solo un ordine dei sensi. Dopo il delitto è necessario riesaminare quell’ordine sensibile ormai trascorso. Gli oggetti, persone e cose, che costituivano l’ordine, vengono posti in tutti i possibili rapporti reciproci, in rapporti di luogo e di tempo. L’ordine che si era mostrato ai sensi non può essere mai esistito nella realtà.
Si esaminano gli oggetti per verificare se esiste un rapporto tra di essi e l’oggetto ora in questione: il morto.
Si indaga sul conto delle persone per verificare se hanno avuto rapporti diretti con la vittima. Si esaminano le cose per verificare se la persona della vittima ha avuto rapporti con esse. Si indaga sul conto delle persone per verificare se hanno avuto rapporti con cose con le quali anche la persona della vittima ha avuto rapporti. Si verifica se cose appartenenti al colpevole e abbandonate da costui dopo il delitto suggeriscano rapporti tra una persona di cui si sa che ha avuto rapporti con la vittima e questi oggetti abbandonati. Si verifica se cose di cui si sa che sono state in rapporto con la persona della vittima si trovino dopo il delitto con altre persone. Si indaga sul conto di persone di cui si sa che sono state in rapporto con la persona della vittima, per verificare se questo rapporto è mutato. Si esaminano luoghi per verificare se sono in rapporto col luogo in cui è avvenuto il delitto. Si verifica se una persona che è stata in rapporto con cose appartenenti alla vittima o direttamente con la persona della vittima, oppure ha stabilito rapporti con cose appartenenti alla vittima dopo il delitto, può essere in rapporto col luogo e col momento del delitto.
Si cercano di appurare a posteriori quei rapporti che il sopraggiunto, il quale si limitò a vedere e sentire e fiutare, non poté né vedere, né sentire, né fiutare.
Si tratta ora della storia del disordine, di cui si è taciuto mentre, per astuzia, si rappresentava l’altra storia, quella dell’ordine.
Si tratta di comporre punto per punto la storia vera.
Mentre la storia dell’ordine si è svolta al presente e in un luogo soltanto, ora, nello smascheramento dell’ordine, si tratta del tempo antecedente a quel presente e di luoghi diversi dal luogo del delitto. Per la storia gialla, che era iniziata come continuazione di un’altra storia, si cerca ora proprio quest’altra storia: gli oggetti a disposizione si riesaminano al fine di stabilirne il passato. L’enumerazione del disordine era in funzione di questo esame. Dall’enumerazione degli oggetti del disordine bisogna poter leggere in che modo si è arrivati a questo disordine.
Il sopraggiunto, da cui la storia prende le mosse, si è lasciato sviare perché ha badato soltanto alle azioni e non all’autore o agli autori delle azioni. Nel momento del delitto, l’assassino per lui era fatto di sole azioni.
Ora la mancanza di chiarezza lo inquieta. Lo inquieta l’aver visto il risultato di un gesto, ma non il gesto stesso. Lo inquieta la mancanza del punto di partenza di una linea.
Dopo aver interrogato se stesso, comincia a interrogare altri.
Come estraneo, può interrogare con disinvoltura. Chi sopraggiunge è naturale che sia curioso, che voglia conoscere le circostanze.
Ciononostante suscita sospetto perché, a questo punto della storia, qualsiasi domanda e qualunque sconosciuto la ponga devono suscitare sospetto.
Forse è già troppo che domandi a qualcuno come sta.
Deve aver notato qualcosa che nessun altro ha notato. Gli ostacoli che l’interrogante incontra sulla via che deve condurlo alla storia vera danno come risultato la nuova storia, che ha però il suo fulcro nella vecchia.
In questo capitolo della storia gialla l’interrogante incontra solo ostacoli.
L’assassino viene già nominato, non come assassino però:
Si torna continuamente a porre la questione del tempo.
Sembrava molto più giovane quando era in vita. Dopo aver fatto scomparire la lettera in tasca, l’ambulante si guarda attorno in fretta. Ora, poiché la vittima non vive più, parlando di lui si parla di un passato. Non ha parlato con nessuno di quello che aveva fatto prima e che aveva intenzione di fare dopo. Nessun rumore l’ha fatto trasalire, non ha fissato alcun oggetto più a lungo degli altri. L’assassinato è il secondo da sinistra.
Il venditore ambulante scorge le gambe di una vecchia. L’intonazione della sua voce è tale che la frase non viene presa per una domanda, ma per un’asserzione. Ha vissuto in modo tale che la sua morte innaturale appare del tutto naturale.
In questa via si conoscono tutti. Apre il giornale con avidità. Dapprincipio ha preso il nero per rosso. L’altro abbonato ha risposto subito, eppure avrebbe dovuto scendere di corsa un gradino per raggiungere il ricevitore. Il letto ha l’aria di essere stato messo in disordine soltanto in un secondo tempo. Non ha guardato l’orologio perché era buio. Il contatto gli è sgradito perfino quando si tocca da solo.
Con questa luce tutti i liquidi sembrano uguali. Nota dei solchi rossastri nelle pieghe delle ginocchia. Quando lui si muove, le braccia si muovono in modo buffo. Gli sembra strano che adesso siano tutti vestiti. Qui le pareti delle case hanno colori stridenti.
Lei si spaventa soltanto nel sentirsi domandare quando l’ha visto per l’ultima volta. Improvvisamente nessuno vuole più avere a che fare con diritti di proprietà. Se è un venditore ambulante, ha scelto un brutto momento per fare una visita.
«Ma Lei non legge i giornali?»
Si pulisce le scarpe sul selciato nudo. Piega la testa all’indietro per mostrare come ha sanguinato il suo naso. La casa di fronte non è abitata. Ha chiuso gli occhi davanti al flash. Chi era rimasto solo in quel momento? Il cane fiuta il terreno. Indietreggia davanti al corpo. Aspetta col fiato sospeso la pausa nella conversazione. «Questo guanto non ha niente a che vedere con me!» Quando passa sopra la grata della conduttura, gli viene freddo. Pone le domande per passare il tempo. Finora non si era mai curato delle connessioni tra gli oggetti.
In ogni figura scopre improvvisamente la simiglianza con la figura del morto. Bussa alla porta come uno che conta di essere bene accetto. Ritrae la nuca nelle spalle quando mettono a posto il vaso di miele sopra il suo capo. Lo incuriosisce che lei lavi così alacremente la biancheria in mezzo a quel disordine. Il faro lo lascia abbagliato nella oscurità. Le caviglie si sono gonfiate. Il volto dell’uomo che gli sta di fronte non lascia trasparire nulla. Il tubo di gomma è stato usato per lavare una macchina. Poiché si aspettava di camminare su qualcosa di duro, si spaventa quando sente del morbido sotto i piedi. Il proprietario dell’appartamento è partito. Il respiro che si sente dietro la porta, se è un respiro, si arresta. L’interrogato corruga la fronte per mostrare che non ha ancora sentito parlare della faccenda. «Queste non sono macchie d’olio!» È costretto a tornare col pensiero ai piedi divaricati del morto.
Non è un oggetto che potrebbe cambiar di proprietario.
La difficoltà che trova nell’intrattenersi con loro consiste nel fatto che conosce troppo poco gli argomenti quotidiani per trovare nella conversazione il modo di passare agli argomenti non quotidiani.
Le setole della spazzola sono rivolte verso l’alto. Non può più prendere sul serio questo grido, adesso. Fa per soffiare via qualcosa che si rivela fisso. Suoni inquietanti vengono dagli uccelli. Il bambino solleva i pugni. Non deve assolutamente permettere che si accorgano del momento in cui le domande oziose si mutano nelle vere domande. Qui c’era un oggetto pesante! «L’ho conosciuto soltanto di vista.»
Mentre si aspettava di assaggiare qualcosa di amaro, assaggia qualcosa di dolce. Segue a ritroso la storia dell’oggetto risalendo sino alla sua fabbricazione. Dà l’impressione di essere un uomo navigato. «Molte donne portano scarpe coi tacchi alti.» Il venditore ambulante annuisce una volta di troppo.
L’origine di un assegno si può accertare, quella di un biglietto di banca no. Nel periodo in questione l’interrogato è stato sempre in compagnia di altri. Immediatamente dopo l’hanno incontrato con in mano una sigaretta fumata sino all’ultimo. Si sente odore di sapone bagnato. Ha preso in mano l’arma senza sapere con che cosa aveva a che fare. Quando sta per incrociare le braccia, nota di avere un oggetto in una mano. Il mentitore lo guarda fisso negli occhi.
Lo sorprende che tutte le persone che incontra siano occupate con oggetti innocui. Bisogna esaminare la saliva sul retro del francobollo! Non c’è nulla di cui potrebbe minacciare. A poco a poco porta la conversazione sull’argomento insidioso. È seduto sulla baracca del pietrisco e dice parole che non esistono affatto.
L’oggetto è già passato per molte mani. Se si fa un calcolo del tempo, la linea che conduce dal luogo in questione al luogo del delitto è troppo lunga. Il filo ha delle caratteristiche in comune con l’altro filo. C’entra sempre anche una donna nella storia. Il venditore ambulante si risponde. Poiché la forma delle gocce è allungata, le gocce sono cadute da un uomo in corsa. Quello che ha detto sinora è soltanto un pretesto. Fino ad ora le mollette della biancheria erano sempre rimaste indegnamente inutilizzate.
Nonostante le palpebre abbassate, guarda attentamente l’uomo che ha di fronte. Da giorni non ha lasciato la casa. Il cane avrebbe dovuto abbaiare, trovandosi davanti un estraneo. Perché tutto gli sembra così in ordine?
Già da parecchio tempo stanno parlando, ma non è ancora stato invitato a sedersi. Usa il lavabo come portacenere. «Morto, non è la parola adatta.»
Tutte le volte che guarda il liquido, si passa la lingua sulle labbra. Le scarpe dell’interrogato sono vistosamente scure. La seconda pallottola lo ha risollevato quando già stava cadendo, mentre la terza lo ha fatto girare su se stesso. I bambini del morto si raggomitolano nei letti del vicino. «Lei ha letto troppi romanzi polizieschi!»
Le dita dell’uomo che ha di fronte aprono solennemente la cassetta di sigari. Il volto non esprime nulla. Lui giace sul ventre. Le scarpe sono state pulite con una foglia. I risvolti vengono rivoltati. I pezzi di ghiaccio sono così piccoli che non li sente quando cadono nel mastello. Non tocca nulla con le dita.
Quando entra nella stanza i suoi movimenti si fanno incerti, quasi entrasse nella stanza per la prima volta. Le macchie chiare sulla giacca sono orlate di nero. Lo scarico non lo riguarda. Il delitto è già invecchiato.
Sta in piedi, pensieroso, davanti al ripostiglio delle scope. Dopo aver domandato, gioca diffusamente con un oggetto. Riflette, chiedendosi quale dei suoi ricordi potrebbe trascurare. Non capisce che cosa stiano dicendo le persone sedute al tavolo accanto, ma sente continuamente lo stesso errore di pronuncia. Quando chiude la porta, il lembo del cappotto che vi è rimasto impigliato lo trascina indietro con la maniglia.
Riconosce nella donna la furia di riordinare. È troppo pigro per fermarsi. La mano deve essere rimasta a lungo nell’acqua. Improvvisamente non riesce a trattenersi dal voltarsi indietro. Sulla strada non c’è nessun cappello. Fissa l’ultima cosa che ha visto la vittima. Si strofina le mani, soprappensiero. Questa paura non può più aggiustare nulla.
I suoi gesti gli sono ormai entrati a tal punto nel sangue, che non riescono più a distrarre le sue parole. Il volto della donna, che apre la porta e vede lui lì fuori, è un’immagine della delusione.
L’uno sostiene dell’altro di non conoscerlo. Lui non sa più come è entrato. È qui solo per motivi professionali. Guarda attraverso lo specchio-spia. Il colore dei capelli alla radice è diverso dal colore delle punte. «Se l’assassino non aveva alcun motivo per iniziare, non ha nemmeno alcun motivo per smettere.» Il venditore ambulante ha vissuto tanti fatti inverosimili che adesso non gli riesce difficile inventarne uno. Quando si salutano, non riescono a mettersi d’accordo sul momento in cui smettere di scuotersi la mano, e così uno smette di scuotere mentre l’altro continua a scuotere, dopo di che, proprio nel momento in cui l’altro smette di scuotere, il primo ricomincia a scuotere.
Il sorriso non raggiunge i suoi occhi. Paragona il morto col vivente. È l’attimo che precede il movimento repentino. La pallottola stride sul selciato. La voce della donna trema. L’interpellato ha preso un respiro così largo che ormai non può più reprimere la risposta. Improvvisamente tutti sono corsi giù per la strada, passandogli accanto. Il movimento è troppo rapido o troppo lento perché egli possa percepirlo. Si apre di colpo una finestra, ma subito si richiude. Non riesce a pronunziare la frase che aveva preparato. Quando torna a girarsi non c’è più nessuno.
Forse gli è solo scivolata la mano.
Il silenzio fa venire voglia di tossire.
La donna si è portata le mani al volto, non per proteggersi, ma per mascherarsi.
La pietra, sotto, è umida. Lo mette in agitazione la vista di quell’uomo che dorme tranquillamente. Quando il venditore ambulante fa scivolare col piede la lettera sotto la porta, all’interno si fa improvvisamente silenzio. Le mani affondano nel mucchio di calze. «Tutti i cadaveri devono essere seppelliti.» Per molto tempo non riesce ad aprire gli occhi. Quello stivale sulla strada lo ha sviato. «E dove è andata Lei, dopo?»
La bocca è aperta fino all’estremo limite. Fa l’innocente con troppa innocenza. La provoca per estorcerle la verità. Si sente odore di capelli bruciati, qui! Lei deve aver sbadigliato proprio in quel momento, e così non ha potuto vedere nulla.
La domanda del venditore ambulante contiene già la risposta. Solleva il ferro da calza e ne osserva la punta. Il terreno è argilloso. Sperimenta la domanda su un oggetto. Interrompono la conversazione finché lui non è più a portata di voce. Dalle dita serrate è sgorgata fuori una poltiglia. Trova una scarpa bruciata nel secchio dei rifiuti. «Dagli spari ravvicinati nasce un alone di fumo.» La giacca si è gonfiata troppo, non può essere stata la lenta corrente dell’acqua a scostarla dal corpo in questo modo. Sa usare bene le sue unghie, lei. Il venditore ambulante pensa con invidia al venditore ambulante di un minuto prima.
Il coperchio del tombino è troppo piccolo per la valigia. Davanti a una certa parola il colloquio farà un salto. Il cavallo si adombra di nuovo allo stesso punto. È un segno la riga tracciata col gesso su questo steccato?
Non riesce a distogliere lo sguardo dall’oggetto. Improvvisamente il corpo del morto scricchiola. Il ricevitore ciondolante continuava a battere con un rumore sordo contro qualcosa. C’è un tale silenzio in pieno giorno che il suo orecchio percepisce il vento come fosse un vento notturno. Dall’aspetto della donna capisce che passa nelle case la maggior parte del suo tempo. Lui parla di sé con grande naturalezza. Il venditore ambulante si alza con decisione. La lettera non è affrancata. Forse gli occhi gli hanno giocato un brutto tiro. Lui è abituato alle domande.
Qualcosa, in quell’uomo, lo fa subito pensare alla morte. Ripensa al momento in cui la molla deve essere saltata fuori dall’imbottitura della poltrona. Lo affatica quel riso forzato. Ora, sulla strada, al posto del morto c’è una busta da lettera. Questo tappeto è destinato a una stanza più grande! Un tagliacarte si può usare facilmente per uno scopo che non gli è proprio. Un piccolo particolare del volto del morto lo ha incuriosito. Cammina su una macchia che non è stata ancora calpestata da nessuno. Apparentemente non rivolge la domanda alle persone, ma all’oggetto. Non si vede nessuno, eppure la stanza sembra abitata. I mozziconi di sigaretta lasciano sulla strada delle macchie nere. Il morente ha scambiato fino all’ultimo la morte che si avvicinava per un’illusione dei sensi.
Ora le distanze tra gli oggetti si misurano in gittate.
Si ferma per darle occasione di dire qualcosa. Forse gli basterebbe mutare l’angolo visuale, e capirebbe tutto. «Lei deve scambiarmi con qualcun altro!»
Il secondo incontro con il nuovo conoscente è il più difficile. Egli si tiene lontano da tutti i vetri delle finestre. Dopo una certa frase si produce una pausa, dopo la quale non hanno più nulla da dirsi. Otterrebbe lo stesso risultato se parlasse a un sasso.
Le dita sono incurvate verso l’interno. Dal ricevitore non giunge alcun rumore. Lei si piega in avanti, perché sta per iniziare a parlare. Il morto è di sopra, al primo piano. Il fondo della bottiglia è stato troncato. Come innocente, lei fa una cattiva impressione. Nella tromba delle scale l’ambulante è nel suo elemento. La mela morsicata porta ancora le tracce dei denti. È stato rivoltato ogni granello di polvere. Lei gli ricorda qualcosa che non esiste per nulla.
Uno scoppio, e la folla si disperde.
Quando alza gli occhi, alcune mosche sono posate sulla sua mano. Crede di non sentirci bene. Lei annuisce con gli occhi. Quante porte ci sono qui! Dalla stanchezza, fa ancora alcuni passi oltre la meta. La maniglia della porta è troppo consumata perché vi si possa distinguere qualcosa. Gli oggetti stanno lì attorno, inutilizzati.
Vi è un luogo, qui, dove si possa parlare senza essere disturbati? L’interrogato si vanta di essere un proprietario terriero. Quando bussa, l’ambulante sente all’interno dei movimenti precipitosi. Davanti alla casa c’è un’automobile di aspetto modesto.
Mentre si attendeva di toccare soltanto l’involucro, in una fessura le sue dita incontrano l’oggetto freddo contenuto nell’involucro. Benché la si possa vedere, lei parla con voce alterata. In tutti gli armadi ci sono delle cose dimenticate. Alla domanda risponde con un’altra domanda. Si siede così lontano da lei che la donna deve parlare a voce alta.
Improvvisamente torna a essere loquace. Al momento dello scoppio, gli uccelli si sono alzati in volo e l’intonaco del soffitto è caduto. La donna vende le sue risposte come fossero merce. A metà dell’orario d’ufficio, l’ufficio è chiuso. Il rumore non l’ha fatta pensare a nulla. Qualcuno è corso alla cabina del telefono. La puntura dell’ago si vede appena. Il rivoletto continua a scorrere fintanto che nuovo liquido incalza. Non gli si impone alcun confronto.
Questa fotografia mostra la vittima nei giorni ancora felici. Con un piccolo gesto lei rivela di essere già stata qui una volta. Contemporaneamente suonano il telefono e il campanello della porta. L’oggetto è passato per troppe mani. Il tappeto attutisce il rumore dei suoi passi. La porta che egli sbatte si spalanca di nuovo. Il cadavere è un numero di una serie. Continua a convincersi di cose evidenti. La musica gli facilita i movimenti. Lei enumera tutto ciò che possiede. Quando la guarda, lei sta guardando altrove, ma quando lei, che ha notato le sue occhiate, lo guarda, lui ha già distolto lo sguardo, e quando lui, che ha notato le sue occhiate, torna a guardarla, lei ha già distolto lo sguardo. Per errore dà un morso alla carta che avvolge il cioccolato. Lei risponde prima ancora che lui abbia posto la domanda. Non ha le chiavi di nessuna stanza. «Lei pensa troppo!»
Si muove per assicurarsi di essere lui l’uomo riflesso dallo specchio. Dopo la sua frase scherzosa nasce una pausa, nella quale la frase scherzosa a poco a poco si fa seria. Lei non conosce nessuno a cui la descrizione possa adattarsi. Sembrava che corresse, ma, avvicinatosi, bighellonava. Lei dà l’impressione di essere un tipo molto gaio.
Dopo il rumore cerca subito il nome dell’oggetto che l’ha causato. Appena si accorge che vuole parlare, lei si volta di scatto da un’altra parte. «Come fa a sapere il mio nome?» Capisce dai suoi occhi che lei sta per alzarsi. Il gatto si cerca con le zampe nello specchio. Il bicchiere cade in terra, ma resta intero. Il venditore ambulante evita di fare gesti inaspettati di fronte a lei. Ha visto subito che l’uomo non aveva nulla in mano. Era uno scoppio o uno schianto? «Se si spara un proiettile da una certa arma, le caratteristiche di quell’arma restano impresse sul proiettile.»
Dopo essersi salutati, non sanno più cosa dire e se ne stanno lì senza far nulla. D’un tratto sente il sapore dell’insetto nella mela. Lei si posa il dito sulla bocca.
Lui trattiene il respiro per non lasciarsi sfuggire nulla.
Nell’attimo in cui, improvvisamente, sente peggio, dapprima crede di vedere peggio.
Quando rialza gli occhi, gli sembra diversa da come l’aveva ricordata mentre teneva il capo basso. Non si è seduto sull’orlo estremo della poltrona. La voce di lei trema di rabbia o di paura. Le domande hanno fatto venire le vertigini all’interrogato. Crede che lo stiano chiamando, ma si tratta soltanto di un rumore. Lei non trova la chiusura del recipiente. Parla in modo tale che non riesce a vederle la bocca. La parete è ancora calda, benché ormai faccia fresco. Tutte le finestre sono aperte, ma vuote.
La vittima non ha mai parlato di altre persone con lei. Pietre spigolose ve ne sono dappertutto. Cerca invano di persuaderla a ripetere la parola. Non saprebbe dare una risposta alla propria domanda.
La camicia del morto era aperta perché avevano auscultato il cuore.
Dev’essere ancora lavato.
Lei lo guarda senza comprendere. È più stanco degli interrogati. Molti qui portano dei guanti simili. Il nome non dice niente a nessuno. Nessun particolare richiama un altro particolare. Non riesce più a immaginarsi che ora sia. Lei gli siede di fronte su una sedia vuota. Non sa più che altro dire, perché non trova niente da contrapporre alle risposte che riceve. Siede là e prova la malinconia di chi non riesce a formulare un pensiero chiaro.
Dice qualcosa.
«Latte o tè?»