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L’inseguimento

Al tentativo di giungere dall’enorme numero iniziale delle possibilità all’unico fatto possibile interrogando le persone ed esaminando gli oggetti, fa riscontro il tentativo di restare invece nell’enorme numero delle possibilità, o almeno di impedire la limitazione all’unico fatto possibile, oppure, ancora, di sviare l’interrogante, con false risposte o con una falsa disposizione degli oggetti, verso l’unico fatto falso possibile.

Se tuttavia l’interrogante, come di regola succede nella storia gialla, non si lascia sviare da azioni che dovrebbero rendere impossibile il suo giudizio con l’astuzia, intervengono allora azioni che dovrebbero rendere impossibile il suo giudizio con la forza, rivolgendosi direttamente contro la sua persona e tentando di por fine a ogni domanda con la sua eliminazione.

L’astuzia delle azioni precedenti consisteva nel fatto che le azioni non dovevano assolutamente essere riconoscibili come azioni violente, mentre ora l’azione violenta sarebbe immediatamente riconoscibile come violenta almeno da colui contro il quale è diretta. D’altronde, ove egli fosse veramente eliminato, potrebbe nuovamente intervenire l’azione astuta, che lo disporrebbe, insieme agli oggetti che lo circondano, in modo tale da impedirgli nuovamente di rivelare alcunché o da fargli nuovamente rivelare il fatto falso. Col cranio fracassato giace presso un macigno ai piedi di una roccia. Simula una disgrazia.

Di regola, a questo punto della storia gialla la persona in questione si sta disponendo a compiere un’ulteriore indagine o un altro interrogatorio. Ha già scoperto qualcosa che limita il numero delle possibilità, e sta per giungere a un risultato che potrebbe limitarlo ulteriormente. Ora, per sventare la minaccia che l’atto delittuoso possa essere indicato come atto da lui compiuto, l’assassino, che lo voglia o no, deve agire di nuovo.

Segue o fa inseguire la persona in questione. Nella storia l’inseguito ha la sensazione indistinta di essere inseguito.

Per accertarsene, non si guarda attorno ma prende vie inconsuete, cambia direzioni, alterna movimenti ad arresti, muta bruscamente la velocità con cui prosegue.

Non prende però vie tali da permettere all’inseguitore di accorgersi che l’inseguito si è accorto di lui. Indugia fra la gente, ma non fra tanta gente che l’inseguitore, dopo, possa svignarsela senza essere notato. Si ferma presso altre persone e chiacchiera con loro, benché non abbia mai chiacchierato con loro in vita sua.

Dice cose senza senso per essere notato. Fa cose che in genere non vengono approvate perché ritiene che la gente lo noti di più se lo disapprova.

Si comporta in modo inconsueto perché lo noti almeno un altro oltre all’uomo che, suo malgrado, si occupa di lui.

L’inseguitore viene descritto soltanto nei rumori che provoca oppure nei rumori che, poiché è l’inseguitore, non provoca. Nel caso che proprio lui venga descritto, lo si fa in modo che non sia riconoscibile né che si possa riconoscerlo più tardi. Di regola le mani sono nascoste, perlomeno una mano, il cappello è calcato sulla fronte, il volto di regola è in ombra.

L’inseguito non si volta mai, e quindi adopera qualsiasi oggetto gli possa dare almeno delle immagini di ciò che avviene alle sue spalle. Egli, oggetto d’attenzione, è a sua volta l’attenzione in persona. La sua attenzione non è rivolta all’inseguitore soltanto, ma soprattutto al suo proprio corpo, che è l’obiettivo dell’inseguimento. Sa che in un qualsiasi momento l’uomo che gli sta alle spalle vorrà trasformare l’inseguimento in incontro. Deve essere costantemente preparato a quel momento. Sa che l’altro non si limita a seguirlo: la fine dell’inseguimento consisterà nel tentativo, da parte dell’inseguitore, di raggiungerlo. L’inseguito aspetta quell’istante. In quell’istante bisognerà scambiare le parti.

Di regola, a questo punto della storia gialla, l’inseguitore raggiunge l’inseguito:

 

 

Il venditore ambulante passa vicino a un muro.

La valigia non gli sembra completamente vuota. Si è seduto a cavalcioni su una sedia che almeno, con l’ampia spalliera di metallo, gli difende il petto. Potrebbe ritrovare il luogo a occhi chiusi. Si esercita a schivare. Si è già fatto così buio che non può più disturbare nessuno nella propria casa. Nessuno ride. Desidererebbe non saper più contare. Scorge nella fotografia l’ombra dell’operatore. La porta che gli sta alle spalle si chiude senza rumore. Impara la lingua dai cartelli di divieto. È diventato molto pigro nel parlare. Le orme non rivelano la fine di alcun movimento. «Qualcuno le ha portato l’automobile da lavare?» Dalla posizione in cui è caduta, pareva che la vittima volesse afferrarsi le caviglie dietro la schiena. Bucce di limone pendono dal recinto di fil di ferro. I capelli sono schiacciati.

Cosa sporge dal fango, laggiù? Per un attimo non capisce se le due figure nel buio si avvicinano o si stanno già allontanando l’una dall’altra. Soltanto dopo che gli hanno detto il nome, sa nuovamente che l’oggetto è un coltello. Ha voluto approfittare ancora del sole. Quando appende la giacca al chiodo, il passante si strappa. Non è ancora lì da molto tempo. Nessuno nota che ha le mani bagnate. Dietro una finestra vede guizzare una candela, in ogni altro luogo invece brilla la luce elettrica. L’ultima volta questa striscia di latta non c’era ancora!

Insegue una foglia che vola via davanti a lui. Descrive un arco intorno a cose innocue, quasi ne dipendesse la sua vita. Fa dietrofront senza motivo. Con quel peso sulle spalle che lo trascina qua e là, rappresenta un bersaglio malsicuro. Meno male che non ha l’orologio, e così nessuno può chiedergli l’ora, altrimenti dovrebbe guardare in basso!

Nota dei fili di paglia sul suo cappotto. Perché il terreno è così ben battuto proprio qui? Il bambino gonfia il sacchetto di carta. Fa attenzione a ogni gesto inconsueto. La ferita non era slabbrata. Fa i suoi bisogni nella completa oscurità. Non sa affatto da quanto tempo ormai stia girovagando. Passa la mano sulla superficie del tappeto. Sente soltanto il proprio respiro. La cenere è più calda di quanto abbia supposto.

Le persone che si vengono incontro cercano già da lontano un oggetto su cui poter fissare lo sguardo fino al momento in cui si sono oltrepassate.

La porta è sprangata. «Dato che è senza fissa dimora, non si può controllare la sua attività.» All’interrogante non viene più in mente nessuna domanda. Gli prude la schiena. Abbassa gradatamente la maniglia, finché si accorge che la porta è chiusa a chiave. Non pareva che il morto si fosse messo il cappello da solo. Persino il fruscio del cappotto lo rende inquieto mentre cammina. Il materasso è marcito. Sente delle voci dietro la siepe, nel buio del giardino, mentre cammina per la strada bene illuminata.

Un solido cade in un liquido. Si lava le mani in una pozzanghera. Il portare non gli sembra ormai più un’attività. Tende fuori della giacca un braccio finto. Se comincia a discendere di corsa questo tratto scosceso, non riuscirà più a fermarsi in tempo.

Conversa con un’animazione tale che lo lasciano chiacchierare fino in fondo. Quando scavalca il tubo di gomma, solleva il più possibile le ginocchia. È vivo. La porta si apre verso l’interno. Solo un venditore ambulante beve in questo modo, dal cavo della mano. Al telefono che suona dice che sta arrivando. Non può essere stato solo il vento a mettere in un tale disordine i vestiti.

Ascolta con ansia, suo malgrado. Si esercita a osservare anche quando ha paura. Se avesse bisogno di aiuto in questo momento, non domanderebbe in mezzo alla stanza vuota se c’è qualcuno, ma se c’è nessuno. Non può neanche appiattirsi in un sottobosco. Lo scolo non ha la grata. La sua mano penetra lentamente sotto l’imbottitura. Cammina così adagio che il topo, sotto il pavimento, non si ferma neppure. Si siederebbe anche lui allo stesso posto, se volesse sorvegliare qualcuno.

Spreme il limone col solo pugno. Osserva chiunque porti una giacca gonfia. Improvvisamente parla con voce stranamente cupa. Può stare tranquillo, finché resta nell’angolo morto. Si può descrivere soltanto la paura dell’inseguito.

Tutto in lui lo spinge a uscire. La strada può servire per la fuga. Le sue narici sono cerchiate di bianco. Qualsiasi rumore è troppo forte per lui. A un tratto, dal liquido si formano dei cristalli. Il silenziatore rovina l’equilibrio dell’arma.

Forse dietro a lui c’è solo un bimbo che imita tutti i suoi movimenti. La tenda è mossa da una vibrazione, o c’è qualcuno che si muove dietro? Spalanca gli occhi nel buio. Ora cominciano già tutti a congedarsi. L’uomo rintanato nell’angolo si alza improvvisamente. Quando corre è cieco a ciò che lo circonda. Qualcuno gli posa la mano sulla spalla, ma lui non si gira. È un grido rassicurante.

Mentre, senza fiato, sta seduto all’interno, sente che fuori qualcuno muove la maniglia della porta già aperta. «Il sorriso non raggiunge i suoi occhi.» L’ombra di una mano sconosciuta oscura il volto del dormiente. Il ricordo non lo ferisce già più. Lei tende le dita bagnate. Gli oggetti, così piacevolmente immobili, lo riconducono alla ragione. Un uccello lo invita a levarsi in volo. Si aiuta a mettere il cappotto. Solleva la mano per bussare, ma la lascia ricadere di nuovo e va oltre. Il cartello indica un vicolo cieco! E se il presunto inseguitore lo seguisse così da vicino soltanto perché si crede inseguito? Dietro di lui qualcuno gira la chiave due volte. Perché sono tutti così gentili, improvvisamente?

Non riesce a capire se l’oggetto si muove. La porta non vuole chiudersi. Quest’oscurità è una punizione. Abbandona la donna a se stessa. Sente una fame tale che anche il muro gli pare commestibile. Passando, vede i segni delle pallottole sul selciato. La sua mano è innaturalmente inattiva. Non osa sedersi. Quella risata è la risata di un uomo.

Si ferma sulla scala in modo che un piede sia già più alto dell’altro, pronto a correre via. Qualcuno gratta sul vetro con un’unghia. Quando torna a scuotere il bicchiere, i pezzi di ghiaccio si sono già sciolti. La calza ha un buco sul calcagno! Il volto dietro di lui è troppo scuro nello specchio. La goccia cade rumorosamente sul terreno da una certa altezza.

Se si trova all’interno, la prima porta si apre verso l’esterno e la seconda verso l’interno, di modo che può entrare senza alcun pericolo, ma resta imprigionato se vuole correre fuori di nuovo. Il granello di polvere sul tappeto non gli dà pace. Ora il fiammifero è in posizione verticale rispetto alla superficie di sfregamento. L’altro non volge altrove la testa, quando lui lo guarda. «Sotto la giacca rigonfia porta qualcosa di più della semplice camicia.»

Poco fa stava parlando tanto, che ora il suo ammutolire deve sorprendere. Tiene in mano la testa di un pesce. Parla con disinvoltura. Non vi è nulla in lui che colpisca qualcuno. Ognuno di questi recipienti può servire anche da nascondiglio. Tende solo la mano destra verso l’interruttore della luce. Si passa spesso la lingua sulle labbra. Finge un atteggiamento amichevole e premuroso. Non gli piace che ci siano attorno delle bottiglie vuote. Trascina in una conversazione l’uomo che gli sta di fronte. Quando calpesta il mozzicone, ne esce ancora una scintilla.

Lo inquieta l’impressione che adesso non lo segua più nessuno. Tutti si sono messi il cappello e se ne sono andati. Le vene gli si dilatano. Sente dei rumori, come se qualcuno camminasse sulla punta dei piedi. Basta un alito d’aria, e la chiave gli cade di mano.

Cerca l’interruttore dalla parte sbagliata. Davanti al muro sono accumulati dei sacchi di sabbia! È l’unico edificio, fin dove arriva l’occhio. Sia che si guardi o non si guardi attorno, in ambedue i casi deve destare sospetto.

Già da molto tempo ha deposto l’oggetto laggiù, ma cade soltanto adesso. Perlomeno questo spavento lo rende consapevole. Mentre parla, c’è un portacenere pieno sotto di lui. Ha già chiamato una volta senza successo. Entra in una stanza priva di arredamento. Nota bianche macchie di muffa sui frutti neri e imputriditi. Potrebbe solo ritirarsi nell’angolo. Il muro non gli fa posto. Un uomo, apparentemente ubriaco, si è adagiato sotto il suo tavolo e ha levato su di lui uno sguardo fisso. Può senz’altro guardare dalla finestra. Forse l’altro deve soltanto fare la stessa strada. Può aver udito male. Torna continuamente a osservare l’oggetto, come se gli fosse sfuggito qualcosa. Smette di respirare per tendere l’orecchio. La poltrona vuota lo guarda.

Pronuncia male tutte le parole. La sua mano, sollevata per indicare che vuole qualcosa, viene ignorata. Dice a tutti i circostanti quale strada prenderà. Si aiuta con occhiate di traverso. Poiché si sa osservato, anche le omissioni più normali diventano così dichiarate da sembrargli azioni.

Nota un movimento innaturale nella massa. Ammutoliscono già molto tempo prima di passargli accanto. Non appena apre la porta, sbattono tutte le altre porte della casa. Circonda i cavi delle proprie ginocchia con le dita di tutte e due le mani. Quando le castagne sono cadute sulla strada, è saltato di fianco gridando.

Mentre parla guarda fisso davanti a sé. Sullo sfondo qualcuno va e viene. D’un tratto il suo corpo gli pare smisurato. Corre verso la porta soltanto dopo che dall’esterno hanno già infilato la chiave. Fa civetta. Ha dimenticato che cosa sta cercando, ma continua a cercare.

Non può ancora morire, nella storia si conoscono ancora troppo poche cose di lui. Per uscire usa come pretesto il desiderio di allacciarsi le scarpe. Si ferma davanti a ognuno dei presenti e pone domande. Prova altri movimenti, per non essere riconosciuto dai movimenti. Perché proprio qui le macchie di pioggia non si sono ancora asciugate? Cerca di raggiungere la tasca interna del cappotto con la mano libera, ma per sfortuna la tasca si trova dalla parte della mano libera. Tutti gli oggetti sono disposti come per attenderlo in agguato.

Aspetta un momento in cui nessuno lo sorvegli. Ormai da troppo tempo tiene i resti dei frutti in mano. Quando lo guardano è ogni volta in procinto di andarsene, ma quando distolgono lo sguardo si rimette comodo. Hanno deposto una tavola nel fango! L’auto va talmente veloce che non si riesce a riconoscerne la targa. Respira con difficoltà, tale è la confusione dei suoi pensieri. Quando si ricorda, gli sembra tutto inverosimile.

Chi ride ora nel cinema, gli attori o gli spettatori? Una figura è ferma nella pioggia. Riflette, domandandosi quale movimento sia quello falso. Il cemento è ancora tenero. Il rumore lo tormenta perché non riesce a vedere nulla. Il viso gli duole ancora per aver simulato di ridere. Il gorgoglio del canale sotto di lui lo coglie impreparato. Mentre contempla assorto un oggetto, qualcuno gli prende la mano.

Saluta con esitazione e vigilanza, per non lasciarsi distrarre dalla conversazione. Il pericolo maggiore lo minaccia quando entra nel cerchio luminoso e l’uomo dietro di lui ha appena superato l’ultimo cerchio luminoso. Questi rami potrebbe usarli benissimo come fruste! Puntella la sedia sotto il pomo della maniglia. La strada aperta è ancora il luogo più sicuro. Siccome ha fame, pensa che tutti debbano aver fame.

Scrive muovendosi come se cercasse alacremente qualche cosa. «L’orma impressa dal piede di un uomo che cammina è più grande del piede stesso.» L’ultima cosa che ora può essergli utile è un crampo alle dita dei piedi. La maniglia è molto calda, scotta. Credendo di dover scendere ancora un gradino, urta il pavimento col piede. «Le ferite di coltello sono lisce.»

Camminano sul marciapiede in un tale numero che, benché ciascuno voglia conservare il proprio posto, non riescono a stare uno di fianco all’altro. Di colpo non riesce più a comprendere l’uso a cui sono destinati gli oggetti. Quanto più lo osservano, tanto più la sua attività si riduce all’essere osservato. Mette qualche cosa in mano all’uomo che gli sta di fronte, ma crede che l’altro non abbia ancora ben afferrato l’oggetto, e cerca di riprendere l’oggetto perché non cada, mentre l’altro, che nel frattempo ha afferrato l’oggetto, lo tira a sé credendo che lui non glielo voglia più dare, al che lui lascia subito andare l’oggetto, e così questo, dato che nel frattempo l’altro si è accorto del proprio errore e a sua volta lascia andare l’oggetto, cade a terra.

Fugge, anche se non ha ancora cominciato a correre. La sua presenza di spirito deve essere talmente esercitata da evitargli ogni necessità di concentrarsi in caso di pericolo.

Parla con voce totalmente mutata. Qualcuno strizza gli occhi violentemente. Gli è improvvisamente impossibile terminare la frase che aveva già pensato per intero. Ricorrendo a paragoni potrebbe facilmente giustificare la propria situazione. Poco fa stava ancora vicino alla finestra, adesso è già presso la porta! Si meraviglia della naturalezza con cui sinora degli oggetti gli sono divenuti familiari. Non deve pensare a se stesso. Il cane morsica, senza abbaiare.

È a portata di tiro. Sente qualcuno corrergli dietro, ma l’altro si ferma a pochi passi da lui e cammina alla sua stessa velocità. Adotta un attributo come una maschera. Nessuno sentirebbe la sua mancanza. La strada è finita.

Sente che nella stanza accanto accendono o spengono la luce. Niente si muove. Inutilmente vorrebbe ritirare le sue parole. Gioca diffusamente con un oggetto con cui potrebbe difendersi. Non ha l’ombrello. Dimostra la sua disinvoltura osservando che tempo fa. Deve calcolare ogni passo.

Come un animale, non lo spaventa l’immobilità, ma il movimento brusco. È un bene che sia già in piedi. Cerca disperatamente compagnia. «Ha visto entrare nella casa uno sconosciuto?» Se ride, rimane indifeso. Il movimento pericoloso avrà bisogno di un movimento preparatorio, dal quale lui potrebbe riconoscere il movimento.

Non deve lasciarsi costringere a andare in una direzione che non possa poi cambiare di sua iniziativa. Entra nella casa con fretta insolita. Non osa passare l’oggetto da una mano all’altra perché questo gesto, per un attimo, gli impegnerebbe tutt’e due le mani. Non vuole minimamente vedere l’uomo che ha alle spalle, perché in seguito non desidera riconoscerlo.

Inciampa nei propri piedi. Vorrebbe dimostrare la sua spensieratezza fischiettando. Cammina su e giù. Appena entra nella stanza estranea, corre subito alla finestra e guarda fuori. Se deve riprendere fiato, per un attimo sarà disattento. Qualcuno cammina col suo stesso passo, così lui non riesce a distinguere i passi diversi. Prima di inchinarsi si diffonde in preparativi, per manifestare l’innocenza della sua intenzione.

Non può più sopportare alcun rumore. Del bisbiglio riesce a cogliere soltanto le numerose sibilanti. In ogni figura che non si muove vede l’inseguitore. Non capisce che cosa si voglia da lui. Mentre ride, ritrae il capo perché non gli cada la sigaretta di bocca.

Deve escogitare sempre domande nuove. Inveisce contro l’oggetto che ha urtato nel buio. Per non lasciarsi sfuggire alcun rumore, tiene fermo il cappotto che fruscia. Irato rimesta il caffè. Dopo lo spavento gli prudono le ascelle.

Ha simulato talmente a lungo di ascoltare, che la pelle del volto gli si è indolenzita. Passa con circospezione accanto all’automobile ferma. Durante la prova deve sopportare di più che in caso di emergenza. Nessuno alza casualmente la testa. «Il cocchiere di un carro di birra appare insospettabile.»

Aspetta la goccia che farà improvvisamente traboccare l’acqua dal bricco. La linea che gli sta di fronte è una bocca. Nessuno cammina col bavero rialzato. Gli si sbarrano gli occhi dallo spavento. Sta lì, impalato. Non può osservare. «Non è obbligatorio che siano scarpe da donna!»

D’un tratto gli cade di mano l’oggetto che teneva da così tanto tempo da non avvertirlo nemmeno più. La sua stretta di mano è particolarmente vigorosa. Quando qualcuno gli si rivolge, si appoggia all’indietro. L’uomo che gli viene incontro distoglie lo sguardo, per non dover confermare più tardi di averlo veduto. Sull’intonaco del muro si sono gonfiate delle bolle che sembrano invitare l’ambulante a schiacciarle. Si immagina la persona che occuperà il posto vuoto accanto al suo. Gli piace quel truciolo di legno. Mentre lui passa smettono di scopare, ma dopo aspetta inutilmente che riprendano a scopare. Resta seduto fino a quando tutte le sedie sono state messe sui tavoli.

Non trova il modo di passare dal cammino alla corsa. Lo inquieta il fatto che il tavolo sia nel mezzo della stanza. Le persone affette da disturbi motori sono più facili da agguantare. Guarda il riflesso dell’acqua sul soffitto. Le tende si muovono leggermente. Le finestre a pian terreno sono chiuse.

Ha visto quello che voleva vedere. Col tempo prende l’abitudine allo spavento tanto da riuscire a mimarlo, ma poi si accorge che lo sta mimando e si spaventa di nuovo.

Non si guarda mai attorno, mentre di solito quelli che camminano si guardano attorno di tanto in tanto, anche se non si credono inseguiti. Riferisce a se stesso qualunque gesto. Le scarpe gli stringono. Per lungo tempo ha vissuto in modo tale da non pensare proprio più che potesse succedergli qualcosa. Descrive un ampio arco prima di girare l’angolo della casa. La carta si ribella a tal punto ai suoi tentativi di sollevarla, che si pesta le unghie sino a farle sanguinare.

Nella sua disperazione prende alla lettera ogni parola. Tutti gli oggetti sono molto lontani, eppure soffre per mancanza di spazio. Avrebbe dovuto esercitarsi a trovare il buco della serratura per il caso drammatico che fosse incalzato dagli inseguitori. Le tenebre sono assolutamente nere. Qualcuno si siede accanto a lui e fa tremare il divano.

Perde di nuovo troppo tempo ad avvitare il coperchio del recipiente. Lo spavento assume per lui la forma di una freccia spezzata in più punti. Cammina molto lentamente, passo dopo passo, ma in modo tale da far supporre che cammini così lentamente soltanto perché si impone di non correre.

Non osa più abbottonarsi la giacca. In un attimo è lucido e vigile. Non pensa, di proposito, a oliare le cerniere della porta. Potrebbe risparmiarci questi innumerevoli gesti, tutti affini tra loro, arrivandoci con un unico gesto. Quando è uscito sulla strada, non ha visto nessuno venirgli incontro. Improvvisamente si inserisce nella conversazione una voce sconosciuta. Dalla paura gli fanno male i piedi. Per un attimo ha preso quel volto per un volto estraneo. Ora non deve prevenire col pensiero quello che accadrà! Incominciano a prudergli proprio quelle parti del corpo a cui non arriva con la mano libera. Il muro non rispecchia nulla. Il tappeto è rovesciato. Sente la resistenza dell’aria. Non ha con sé niente per scrivere. La strada è caldissima. Finalmente qualcuno gli viene nuovamente incontro. Sente la pressione tranquillizzante del portamonete. Nell’attimo in cui, inaspettatamente, l’oggetto gli cade di mano, le labbra hanno un moto convulso. Per chi sta fuori non esiste alcun rapporto tra lui e l’inseguitore. Sulle sue suole si devono essere già depositati molti strati di terra.

Osserva gli oggetti e intanto si chiede se potrebbero servire da trappole. A quest’ora non c’è più una porta aperta. Non sopporta più di essere rinchiuso tra quattro pareti. Si guarda dal fare qualsiasi gesto ambiguo. Cerca ovunque il modo di fare una comunicazione. Non tocca mai con le mani il proprio corpo. Quando entra vorrebbe chiudere la porta all’uomo che sta uscendo, mentre l’uomo che sta uscendo vorrebbe chiudere la porta all’uomo che sta entrando, cosicché tutti e due afferrano la maniglia dal proprio lato della porta e la abbassano contemporaneamente. C’è un solo pericolo: che l’inseguimento duri tanto a lungo da non farsi più prendere sul serio.

Attraversa la piazza con animo tranquillo. Pensa ai pezzi di giornale inzuppati di orina nella baracca del pietrisco. In una stanza da tempo disabitata dovrebbero esserci delle ragnatele. Per un attimo ha visto nella macchia di bagnato l’immagine di qualcosa, e adesso, benché continui a fissarla, non la riconosce più.

Ha cercato inutilmente di svegliare, scuotendolo, il giacente. Giudica che lo spostamento di una sedia sia già un errore determinante. La macchina arretra verso di lui. Tutti gli oggetti posseggono ora la proprietà della levigatezza.

Vuota il bicchiere senza stupirsi. Una volta pensata la parola mortale, non riesce più a liberarsene. Lo inquieta anche il fatto di non sentire nulla dietro di sé. Le mani gli sfuggono in avanti così rapidamente da non riuscire a seguirle. La valigia attira troppo l’attenzione! La porta aperta oscilla ancora un poco. Una cabina telefonica è trasparente!

Cerca di arrestare la catena dondolante tenendola ferma. Quella figura nel buio è una figura di donna. Soltanto adesso che ha paura distingue tra il davanti e il dietro. D’un tratto la matita gli scivola via dalla falsariga. Cammina dalla parte sbagliata del muro. Pensa a voce alta. Se le persone che gli vengono incontro si accorgono di lui, più tardi si ricorderanno anche dell’altro. L’aiuto arriva troppo presto.

Non può perdere tempo a pulirsi le scarpe. Il gatto lecca la pozzanghera. Si farà in modo che più tardi il suo assassinio sembri una morte soltanto avvenuta, senza intervento esterno. Questo oggetto immerso nel buio può essere molte cose! Sul suo fazzoletto non ci sono lettere ricamate! Si conoscono, ma non sanno di conoscersi già. Ogni sua parola è una scusa.

È contento che nessuno degli oggetti visibili gli ricordi qualcosa. Perlomeno si muove all’aria fresca. La scala di sicurezza è libera.

Fa un gesto di sorpresa, poi deve ripeterlo abbastanza a lungo finché l’osservatore lo reinterpreti come un gesto naturale. Ha l’impressione che tutti gli oggetti siano divenuti improvvisamente autonomi. Mentre cammina sulla strada piana si chiede se non soffra di vertigini. Gli occhi dell’uomo di fronte erano talmente distanti l’uno dall’altro, che non riusciva a guardarli contemporaneamente.

Si guarda bene dal salire gradini. Fissa una macchia. Nasce un nuovo gesto. Lo seguono a lungo, fino a che si senta sicuro. Se si mette di traverso offre un bersaglio più sottile. L’ombra del fil di ferro trema ancora.

Vorrebbe essere molto lontano, ma non seriamente.

Si osserva ancora una volta, con attenzione.

Gira le palme delle mani verso l’alto. Le pupille si sono già abituate a restare ferme in mezzo agli occhi. Ora dovrebbe fare uno sforzo di volontà per smettere di camminare. Si aggrappa veramente alla pagliuzza. La necessità di sorpassare qualcuno lo mette a disagio. Osserva come, nella nebbia, da contorni incerti si formino figure ben delineate. Nel momento in cui vuole chiudere la porta dietro di sé, l’uomo che viene dopo di lui e che a sua volta vuole uscire tira con tutte le sue forze la porta nella direzione opposta. Cenci pendono dagli alberi!

Cerca di stabilire il momento in cui l’oggetto inizia a muoversi, ma poi coglie di nuovo quel moto un attimo troppo tardi.

Cammina prima adagio, poi in fretta, per stancare chi lo osserva. Ragnatele gli sfiorano la pelle del volto. Quando la situazione si fa pericolosa, improvvisamente gli oggetti gli appaiono velati. Alcune persone, lo sguardo fisso davanti a sé, siedono immobili nell’auto mentre lui passa. Che cosa deve fare innanzitutto? È scoperto da tutte le parti.

Si difende dai pensieri muovendosi più vivacemente. La mela addentata ha già mutato colore. Improvvisamente ha dimenticato quello che aveva fatto un momento prima. I suoi pensieri sono pensieri di fuga. Di che si tratta propriamente? Muove ogni passo nel vuoto. Dopo aver lasciato cadere il fagotto, aspetta inutilmente il rumore provocato dall’urto. Mentre cerca qualcosa in tasca, fissa davanti a sé uno sguardo assente. I suoi gesti sono i gesti dell’impazienza, che si accavallano. Lei era là, con un ginocchio puntellato nella cavità dell’altro.

Si fa largo tra persone che vogliono conservare il loro posto. Perché finalmente l’altro non lo sorpassa? I sensi gli si ottundono a poco a poco. Non basta chiamare aiuto una volta.

Tutti lasciano aperta la porta perché credono che la porta debba restare aperta.

Parla senza esserne richiesto. Scappa via davanti al sasso su cui inciampa. Ogni volta pensa subito al caso estremo. Non può sfuggire alla parola. La sua risata trasforma l’ambiente che lo circonda. L’oggetto cade proprio a causa del movimento brusco con cui vorrebbe trattenerlo. Aspettano il primo segno di debolezza.

Quando cerca con la mano l’interruttore, invece del bottone trova una mano. Il significato del silenzio cambia.

Ora dovrebbe sapere a quale nome risponde il cane. L’ombra non lo protegge. Nessuna corda è tesa attraverso la via. La parola è troppo lunga perché possa gridarla. Nella sua paura cerca di rendere mobili oggetti fissi.

Continua a sperare che possa trattarsi di un altro. Non vi è nulla di tangibile nelle vicinanze. Esiste una posizione caratteristica dei morti?

Fa vedere che è capace di sputare. Non trova altre parole per quell’unica parola. Non è ancora abbastanza vicino. Può usare come arma le cose che riesce a muovere. Gli sembra di essere molto leggero. Tutti i punti sono ugualmente distanti da lui. Dei pesci verrebbero messi in guardia dall’ombra dell’uccello. Trascorre ancora un attimo senza che succeda nulla.

Gli prude tutto il corpo. Quando vede qualcuno venirgli incontro, estrae lentamente le mani dalle tasche. I vestiti gli impediscono di muoversi liberamente. Anche una pistola caricata a palla è una pistola scacciacani. Un bottone della giacca è slacciato!

Non vede colori. Calze di donna strappate traversano la strada davanti a lui.

Inciampa nell’ombra del palo della luce.

Cammina soltanto dove lascia tracce.

Tutto è terribilmente liscio.

Ogni gesto diventa l’ultimo.

Se si voltasse sprecherebbe del tempo.

Non riesce a nascondere che si sta preparando a correre.

Forse non sente i passi perché l’uomo che gli sta alle spalle cammina sulla punta dei piedi.

Cerca di distribuire i suoi movimenti in modo che ci sia sempre qualcuno che gli viene incontro o che lo sente.

Chiude il pollice tra le dita.

Non può mettersi a correre vicino al cane. Pugni chiusi lo guardano venire.

L’attimo che deve passare prima che sia al sicuro non finisce. Se congiunge gli inseguitori con tante linee, ottiene quasi un cerchio.

Deve voltarsi.

Ogni pensiero colpisce un punto dolente.

La forma meno appariscente di accerchiamento è la spirale. Lui lascia cadere tutto.

Qualsiasi tentativo faccia di muoversi, viene immediatamente imitato da loro in vario modo.

Il circondato muove passi ballonzolanti.

È riuscito ancora a girare la chiave.

Un oggetto freddo gli tocca la nuca.

Minacciato di morte, rimane istupidito.

Niente movimenti falsi!

Si vergogna del pericolo di morte.

Mostra le mani.

Respira.

«Potrebbero essere nuvole di neve!»

Si siede sulla baracca del pietrisco.

Aspetta.

Si finge morto.

«Lì! E lì! E lì!»