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Il primo disordine
La descrizione dell’ordine è soltanto in funzione di quella del disordine che si genera con il primo delitto. Già nella descrizione dell’ordine ci sono delle frasi che solo apparentemente si accordano con altre, ma in seguito si adattano ugualmente bene al futuro disordine.
L’ordine si tende fino a lacerarsi. Tutti gli oggetti sono dipinti con tratti di una tale quotidianità che ci si deve chiedere quanto a lungo la quotidianità possa ancora durare. La realtà quotidiana è talmente perfetta che deve necessariamente giungere a un’esplosione.
Il delitto, quindi, si pone come rottura di questa realtà. Avviene dove e quando tutto sembrava seguire il suo corso regolare.
Perché l’effetto della rottura sia maggiore, il fatto non si maschera da avvenimento naturale ma, nel momento stesso in cui avviene, è riconoscibile come non naturale, violento, proveniente dall’esterno, premeditato.
Il delitto è riconoscibile da parte di testimoni oculari, poc’anzi ancora immersi nella realtà quotidiana.
In realtà si riconosce il fatto, ma non il suo autore.
Solo mediante il fatto la realtà descritta diviene una storia con un tempo particolare, con un luogo particolare, con personaggi particolari. La giustificazione degli oggetti già descritti in precedenza avviene soltanto in seguito, con il delitto.
Con il delitto si stabiliscono dei rapporti, oppure si tacciono deliberatamente quei rapporti che si dovranno scoprire nel seguito della storia. Manca soltanto una frase. La storia nasce per questa frase. Il caso nasce per questa frase.
Il capitolo dell’omicidio inizia di regola con la descrizione di un oggetto di secondaria importanza, che però si trova sul futuro luogo del delitto. La posizione o lo stato di quest’oggetto anticipano la futura morte.
Se nel capitolo precedente tutto appariva determinato e noto, ora ogni cosa appare indeterminata.
Il primo personaggio che compare viene descritto sommariamente e se ne tace il nome.
Se viene descritto di spalle, di regola chi descrive è il futuro assassino e il personaggio descritto di spalle è la futura vittima.
Un personaggio descritto di fronte può essere sia la futura vittima che il futuro assassino, oppure anche un testimone.
Se si descrive un componente di una compagnia, questo è la futura vittima.
Se si descrive una compagnia e all’esterno di questa compagnia qualcuno che le si avvicina, di regola questo personaggio è il futuro assassino.
Se si descrive un uomo che si allontana da una compagnia, di regola quest’uomo è la futura vittima.
Se la descrizione è condotta da un personaggio estraneo alla compagnia ma che, nei confronti di quest’ultima, si trova in una situazione tale che più tardi ciascun membro della compagnia sarebbe in grado di descriverlo, questo personaggio è il futuro testimone. Anche il personaggio che in apparenza appartiene alla compagnia, ma in realtà è solo un estraneo capitatovi per caso, è il futuro testimone.
La descrizione dell’assassino, come ogni descrizione nella storia gialla, va dal particolare al generale. La prima cosa che si descrive è, per esempio, il cambiamento di colore di uno sparato bianco o la sorpresa di uno sguardo. L’autore del fatto entra in scena soltanto nel momento in cui lo compie.
La vittima non sospetta di nulla, ma solo fino al penultimo istante. Se per caso sopravvivesse, di regola potrebbe comunicare qualcosa di utile.
I testimoni oculari, invece, si rendono conto che le è successo qualcosa sempre e soltanto un minuto troppo tardi. Che il delitto sta per avvenire, si capisce dal fatto che la descrizione, fino ad ora conforme nella sua regolarità all’uniforme realtà quotidiana, si fa improvvisamente più stringata e precisa.
L’imminenza dell’evento si riconosce anche dal fatto che alla descrizione dei personaggi subentra la descrizione delle cose.
Oppure, perché la sorpresa sia efficace, si enumerano ancora una volta, in modo affastellato, tutte le occupazioni quotidiane in corso. Prima del delitto sembra che nulla voglia finire.
A questo punto della descrizione, ogni irregolarità assume un particolare significato.
Il rumore o il suono che accompagna il fatto viene solitamente preso da un testimone per un suono o un rumore che derivano dal corso naturale delle cose: uno sparo, per esempio, per lo scoppio di un motore d’automobile; la tosse del colpito a morte, per una tosse dovuta all’aria viziata.
Nell’attimo del delitto il tempo della storia si ferma. Già la prossima frase è destinata solo al tempo fermo:
Una sottile fetta di salame pende dal panino.
Il venditore ambulante smette di guardare. L’oggetto non può essere caduto da solo. Quando l’uomo a cui dedica la frase distoglie lo sguardo, continua ad applicare la frase al più vicino, senza interromperla. Scorge un tubo di crema da barba col tappo svitato. Gli va di traverso la lingua. L’uomo si guarda il pollice. Tiene il bicchiere con la mano nuda. Il venditore ambulante guarda la bottiglia di birra ridendo.
Improvvisamente non sa dove deve andare. Si sforza ripetutamente di colpire la medesima tacca. Tutto quello che vede gli sembra un corpo estraneo. Quando il nocciolo vien strappato fuori dal frutto, si sente uno scricchiolio. Lui alza la testa, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Il tubo per terra viene tirato di colpo contro l’angolo della casa. Le sue mani pendono tra le cosce. Non desidera restare qui, ma neppure andarsene.
Il burro molle cade con uno schiocco sul pavimento di pietra.
La tosse lo soffoca.
Dietro le ginocchia della donna si disegnano le vene. L’uomo intasca la lettera senza aprirla. Il gatto non ha visto nulla. «Questo è sangue di maiale.» Un bicchiere tintinna, forse è una vetrata.
Il solo punto asciutto della strada ha la forma di un uomo in una posizione simile a quella di una rana.
La palpebra gli trema.
Dimostra la sua innocuità camminando con la giacca aperta. Il venditore ambulante ascolta un respiro che non è il suo. La camicia lascia intravvedere la pelle nuda.
Ora che non hanno più niente di cui parlare, devono parlare di sé.
Si muove perché notino che è ancora lì. Le spalle dell’uomo sono gradevolmente ampie. La vivacità si manifesta sbracciandosi. In cima allo steccato è avvolto un voluminoso panno chiaro. Lui schiaccia la sigaretta voluttuosamente. Il sedile dell’automobile è caduto in avanti, sul volante. La scarpa è sotto la scala, nell’ombra, in una posizione in cui non si trovano di solito le scarpe vuote. Si tiene fermo il copricapo mentre parla, benché non spiri un alito di vento. L’uomo non si volta mai, e così non riesce mai a vederlo in faccia. Un grosso giornale cade pesantemente sulla strada.
Quando i due, poco dopo il primo incontro, tornano a incontrarsi nello stesso posto, sorridono imbarazzati.
Fissa il ricevitore che è lì, pronto per lui. Quando il sudore freddo comincia a scorrergli sulla pelle, lo spaventa come un contatto estraneo. La molletta è troppo cedevole per tenere il giornale. È un uomo di età indefinibile. La spugna tuffata con forza torna rapidamente alla superficie. La linea si è interrotta.
Si pulisce l’abito, poi osserva la punta delle dita. La piega è ancora abbastanza fresca. Il bottone allentato penzola dal cappotto. La cassa all’interno è molto ampia. Si china un poco sul microfono, come fa chi riceve la risposta. Tutti continuano a muoversi con velocità costante. Chi si avvicina alla compagnia viene soltanto per unirsi a essa. Il venditore ambulante osserva una scarpa abbandonata.
Per un istante qualcosa ha brillato, ma lui non è riuscito a riconoscere l’oggetto che deve essersi mosso. Quando solleva la testa gli vengono le vertigini. La tenda è già rossa in partenza.
Non si vedono più bolle nell’acqua. La ruota giace sulla strada in una strana posizione obliqua. Si appoggia al muro e riflette. Parlano di lui come di un oggetto. La merce non si vende perché il suo nome è così ridicolo e sgradevole. Il giornale scivola sulla strada a scatti intermittenti. Sul collo della donna compare una vena che pulsa violentemente. Al telefono chiedono di uno sconosciuto.
La scarpa solitaria ha la punta schiacciata.
Osserva che la pozzanghera si estende sempre più. Si scambiano consigli su come togliere la macchia di unto. La tegola non è caduta, l’hanno gettata! L’uomo la indica con la sigaretta. Sono entrate nella casa più persone di quante ne siano riuscite.
Scorge un mucchio di argilla isolato e spiaccicato. La pupilla si dilata. È l’attizzatoio che manca!
La pelle di lei gli sembra incompleta senza contatti estranei. Diventa loquace per mancanza di ricordi. Non guarda negli occhi nessuno. Il fatto di tenere la testa più in alto o più in basso del normale lo rende mal certo, ma gli permette di scoprire cose nuove.
Improvvisamente una tapparella vicinissima a lui si abbassa con fragore. Lo scoppio non era destinato a nessuno. In un secondo la macchia si diffonde sulla camicia inamidata.
Il venditore ambulante si scusa di un contatto involontario. Da qualche parte qualcuno grida, e una porta sbatte rumorosamente. All’uomo cade di mano il frutto.
Fa una smorfia, come chi desidera essere provocato. Mentre ascoltava, la donna non ha nemmeno trattenuto il respiro. Vorrebbe finalmente vedere qualcosa di diverso dalla schiena. Che perdita di tempo, doversi allacciare di nuovo il cappotto da cima a fondo!
L’imbottitura è squarciata.
È sempre in moto e così nessuno riesce a guardarlo per bene. È rimasto nella stessa posizione per molto tempo e gli abiti si sono adattati a questa posizione.
Dopo che vi è stato immerso il corpo, l’acqua è già tornata quieta, di una quiete inquietante.
Il venditore ambulante non sente il rumore di passi che si allontanano in fretta. La punta di un dito guarda dal buco del guanto. Com’è minaccioso quel ferro da stiro verticale! La macchia si potrebbe già quasi chiamare pozzanghera. Pezzi di ghiaccio cadono nei bicchieri vuoti.
La tapparella si deforma quasi impercettibilmente. Dal fil di ferro un’unica, grossa goccia cade sonoramente sulla strada. L’estremità della stringa è gialla di fango. Nello scarico il tappo salta di qua e di là. Gli angoli della bocca si torcono verso l’alto. La tenda cade perpendicolare. Nella casa accanto il cane abbaia. Tutte le portiere dell’automobile sono spalancate. Il calamaio è asciutto. Il cassetto del tavolo è vuoto. La mela morsicata sta conficcata nella grata della conduttura. Il liquido cessa di muoversi. Il gatto lecca il sasso. Lo sgabello è nell’angolo. Dalla ragnatela pende una foglia. Sulla macchia di sputo scoppia una bolla. A questo punto della descrizione sembra pericoloso persino il rumore dell’acqua che si versa dal bricco nel bicchiere.
Non bisogna interpretare male lo sguardo. La donna maneggia la calza che si è allentata. L’uomo in uniforme esce dalla casa. Una mano strappa il badile dalla baracca del pietrisco.
Qualcuno si piega verso una moneta, ma si rialza subito, non appena si accorge che la moneta è un bottone. La donna appoggia il palmo delle mani sul capo. Il venditore ambulante cerca a tastoni qualcosa dietro di sé. Questa volta non può trattarsi più dello scoppio di un motore.
L’uomo si afferra il collo con tutte e due le mani. Il venditore ambulante si appoggia contro il campanello. Nessuno trilla col fischietto. Sul davanzale appare una mano inguantata. Le sfugge di bocca un breve grido di paura. Nel cinema urlano improvvisamente le sirene.
La finestra non gli fa il piacete di aprirsi. Quando spalanca l’armadio, le grucce vuote battono una contro l’altra. Le gomme dell’auto che sta frenando strisciano lungo il canale di scolo prima di arrestarsi. Dall’altra parte sente un grido soffocato. La larga schiena rappresenta un buon bersaglio. Il ricevitore dondola, batte contro qualcosa, dà un suono cupo. Nel bicchiere la crepa causata dal secondo colpo finisce nel punto in cui incontra la crepa formata dal primo. Un mozzicone di sigaretta rotola sulla strada davanti a lui. Le pinne nasali gli si riscaldano per la paura.
Si gonfia il telone sull’auto abbandonata. Poiché tutti stanno ad ascoltare, le parole vengono strascicate. L’oggetto sotto il giornale non si alza né si abbassa. Il portacenere è stato vuotato. Quando l’ambulante solleva la valigia, il suo peso gli sembra innaturale. La fronte prude. Tra le stecche della tapparella appare un foro rotondo. Lui alza la mano e divarica le dita. Tutti convengono che ogni cosa è in ordine.
Solleva il capo e annusa. Dopo molto che è entrato in questa stanza, gli viene in mente che forse si trova nel luogo sbagliato. Sono forse normali dolori di pancia la causa per cui si tiene la pancia così?
L’orifizio è rivolto al terreno. Il venditore ambulante vede una cosa da nulla. Tutto il colore abbandona il volto della donna. Le guance del bambino tremano nella corsa. «I fili sono immobili come le loro ombre.»
Nessuno si precipita fuori dalla porta. Una corrente d’aria fredda gli accarezza l’orecchio. In questo momento discutono di diritti di proprietà. Quando la mano ricompare, non è più vuota. Il rosso significa qualche cosa. Lui cerca di tenersi il cappello in testa mentre cade. Si sente odore di stoffa bruciacchiata. A questo punto la quiete è innaturale.
L’automobile forma una massa scura sulla strada. La porta oscilla ancora. Lui si ripara il volto con le mani. È un gesto inutile. Improvvisamente il telefono prende vita. Il motore si spegne.
Alla stessa stregua potrebbe aggrapparsi a una lastra di vetro. Guarda dapprima lentamente quindi in fretta. Su questo momento di ordine, il disturbo causato dal rumore non è giunto sgradito. La mano risalta intimamente dall’oscurità. «Nessuno muore di noia, qui.» Una sottile nuvoletta di fumo esce dalla porta spalancata.
Usano delle monete per valutare la grandezza della macchia. I piedi non lo sostengono più. D’un tratto la sua voce si fa del tutto incredula. «Sarà stato di nuovo un petardo.» La bottiglia è vicina alla punta del suo piede! È troppo tardi, adesso, per togliere le mani di tasca. L’ambulante tiene la merce in modo che si debba guardare in alto per vederla. L’uomo che giace sul prato potrebbe essere morto. Lui depone la matita. Gli occhi si sbarrano, ma non perché scorgano qualcosa. Il lucignolo fuma ancora. Il venditore ambulante scuote il fazzoletto. Il bicchiere cade a terra nel momento sbagliato.
Lui vede la figura attraverso i raggi della ruota. Il cavallo sbuffa. Si afferra con le mani, benché non si sia udito alcuno scoppio. Il venditore ambulante sta nell’angolo morto della porta. Il ricevitore sobbalza sulla forcella.
Si potrebbe utilizzare lo scoppio dei tappi di spumante!
Tutti fingono di non averlo sentito.
Se chiude rapidamente il libro, può riuscire ancora a prendere la mosca.
Improvvisamente tutti si tengono le mani davanti alla bocca.
Il tonfo che accompagna la sua caduta fa pensare che non debba più rialzarsi. Perché non continuano a bere? Egli intuisce il gesto, più che vederlo. Le tavole del pavimento sembrano staccate. L’aspetto della compagnia non è rivelatore. Guarda in alto anche mentre allaccia la stringa. Gli oggetti tintinnano nella mano dello spaventato. L’uomo che corre sfiora il muro con la valigia. Quando si mette a ridere, retrocede di un passo. Hanno tutti un’espressione spaurita. La donna inghiotte lo sbadiglio. Le pozzanghere tremano tra le pietre del selciato. Improvvisamente il suo pollice è asciutto. «Questo cappello è mio!»
Basta uno sguardo al volto. Nessuno parla. Il rumore non veniva dalla cantina! I due si scambiano uno sguardo. Le mani poggiano in grembo. Si accorge troppo tardi che si tratta soltanto della propria immagine riflessa. Il nuovo venuto spalanca la porta in uno stato di estrema agitazione. Le narici si dilatano sempre più.
«La sua mano si avvicina al fianco con la rapidità di una rana che scatta per acchiappare la mosca.»
Poiché non trova più parole, fa capire quello che gli succede muovendosi.
Le dita sembrano appiattirsi. Gli ultimi suoni si esauriscono in un rumore. L’uomo disteso non sa più distinguere l’alto dal basso. Per lui in questo momento ogni distanza è infinita. Gli occhi del venditore ambulante hanno il colore dell’ambra.
Parla in fretta, come se raccontasse la sua vita.
«Ma questa è un’ora inconsueta per telefonare!» Il dito bagnato cerca di cancellate la scritta. Improvvisamente l’uomo butta in aria le braccia. La vampata è troppo breve perché si possa riconoscere qualche cosa. Il morente sorride con rabbia.
Dopo tutto, per chi barcolla, anche il più piccolo dislivello rappresenta un ostacolo insormontabile.
Il venditore ambulante si puntella al piano del tavolo. L’uomo si guarda incredulo. I suoni perdono ogni senso. La donna parla solo con la parte centrale delle labbra. Lui cade lateralmente, non, come ci si sarebbe aspettati, in avanti. Andandosene il venditore ambulante si tiene il cappello davanti al viso, come se pensasse di potervisi specchiare. Il filo del telefono è tra le lame della forbice.
Il venditore ambulante non riesce a guardare altrove. I suoi gesti contraddicono le sue parole. Si trova nella traiettoria. Preme l’unghia sull’unghia dell’uomo disteso, e l’unghia resta bianca.
Che cosa significa che la corteccia dell’albero sia ridotta in schegge dalla sega?
Il venditore ambulante nota che la bottiglia è aperta. Gli occhi opachi e la bocca spalancata parlano una lingua comprensibile. Da questa zuccheriera non scorrerà mai più zucchero! Egli accosta l’orecchio alla bocca del morente. Al polso del venditore ambulante c’è una fascia di pelle nera! Improvvisamente le dita si fanno insensibili.
È una macchia d’olio questa?
Non sa con certezza da che direzione sia venuto il grido. Il bianco degli occhi della donna non è bianco. I gesti sono involontari. Perché non vuole lasciarsi fotografare in questa innocua posizione?
La guida telefonica è ancora aperta a una determinata pagina. Quando cade ruota intorno al proprio asse. Si accascia. I movimenti sono usciti dai loro binari. Poiché un venditore ambulante resta spesso disoccupato per ore, ha il tempo di osservare cose, che ad altri sfuggono. La caduta non si compie di colpo, ma gradualmente. Per il disagio egli piega verso l’alto la punta dei piedi. Improvvisamente compare un terzo occhio tra gli altri due.
Il venditore ambulante, da dietro le spalle, valuta la stoffa dell’abito. L’estremità di un manico di scopa spunta dallo spiraglio della porta. Non è un grido, è un richiamo. La bocca gli si inaridisce.
Per tranquillizzarsi l’un l’altro, cercano nelle cose la spiegazione del rumore. La tensione dei muscoli vien meno. Se adesso cercano l’oggetto, ciò non fa più parte del gioco. A un tratto deve prima immaginare ogni cosa che vede, per poterla vedere. Stranamente, il venditore ambulante si sente una chiave in tasca. È un buco grande quanto il pugno di un bimbo.
Si rialza di scatto dalla sua posizione chinata.
«Il tardo pomeriggio è il momento peggiore per un delitto.» Smette di masticare non appena suona il telefono. Qualche riga più sopra parlava ancora, e adesso viene soltanto descritto. Non è neppure caduta la cenere della sigaretta. È un rumore che non somiglia a un colpo di tosse e nemmeno a un singhiozzo, a tutt’e due insieme, piuttosto. «Non ha mai visto un morto?»
Si muove ancora.
A poco a poco capisce quello che gli è successo. Gli occhi riprendono vita. Cammina su qualcosa di molle. In questo tipo di morte il grido della morte è fatto di vocali.
Il venditore ambulante annusa le dita. Gli occhi dell’uomo disteso vedono ancora soltanto gli oggetti che si muovono. Le pagine sfogliate frusciano. Nella fessura tra le tavole si intravvede un bottone. Sul volto ha ancora la schiuma della crema da barba. Passa molto tempo prima che il pensiero generi una parola pronunciata a voce alta.
Non può indicare più nulla.
A poco a poco la mano scivola giù dal suo corpo.
«Muoio?»
Il venditore ambulante cammina su e giù. Dovunque si volga, non trova più un oggetto libero da toccare. Tossisce, l’uomo colpito a morte. Gli orli delle narici diventano sempre più chiari. La donna si gratta dappertutto. Nella porta spalancata non compare nessuno, finché gli occhi cominciano a bruciargli. Il gatto corre in cerchio tutto intorno.
Il morto, o morente, lo guarda.
Regna un silenzio irreale. Il bambino si passa la cotenna di lardo sulla guancia. Non è saltato in piedi nessuno. La matita corre sulla carta rapidamente. Per poco tempo, in preda alla paura, si danno tutti del «tu».
I gesti sono continuamente interrotti. Il cavallo dimena le orecchie. «Intorno al corpo disteso la strada è umida, come si può osservare nel caso di foglie pressate.» In un primo momento ha preso il sangue coagulato per un articolo da carnevale.
Perché la gente si ammassa di fronte all’entrata di questa casa? L’oggetto gettato a terra non rimbalza più. Ha cercato ancora di aggrapparsi alla tenda. L’uomo porta guanti talmente grossi che non gli riesce di sfogliare le pagine. A poco a poco i movimenti si fanno più deboli. Nessuno si occupa del juke-box in questo momento. Il moribondo descrive l’assassino come un uomo basso, lo descrive come un uomo alto.
Il venditore ambulante ha sentito un grido soffocato.
Il bambino monta faticosamente sullo stivale.
Il tappeto è così grosso che si inciampa, se ci si cammina in questo stato.
C’è una massa scura per terra.
Tutti vogliono aiutare.
Lui si fa sempre più silenzioso.
Lei ha i denti rossi.
«Quel grido mi risuona ancora nelle orecchie!»
Il primo che esce dalla casa viene assalito perché dica che cosa ha visto. I suoni che emette il moribondo cominciano a diradarsi. La porta non cede. Il guanto è infilato sullo steccato! Qualcuno batte sul tavolo, e il portacenere saltella. Il manico del coltello vibra ancora. Il venditore ambulante osserva che la camicia del moribondo ha gli stessi disegni della sua. Lui si ammazza a furia di parlare. Fino all’ultimo dubitava di dover morire. Non riconosce più nulla. Girando, le ruote lasciano cadere nella propria traccia dei fini residui di terra. Gli abiti appesi alle grucce impediscono di vedere nell’interno dell’automobile. Qualcuno grida contro il telefono. In un attimo la stanza si riempie di gente. Tutti i cani si svegliano.
È già morto, soltanto che non lo sa ancora.
Bisogna rivoltarlo.
Al sospiro segue un altro sospiro.
Non ha senso medicare la ferita.
Qualcuno gratta sulla porta con le unghie.
L’elastico salta via dal pacco con un tintinnio.
Dietro al morente uno ride.
Nessuno sa con esattezza cosa stia succedendo.
Lo specchio non si appanna più.
In quel preciso momento il suo corpo avrebbe dovuto essere piano.
Ora, per lo meno, più nulla può fargli del male.
I suoi occhi hanno l’espressione degli occhi di chi è appena morto, quasi come se ti guardassero ancora, non del tutto ma quasi.
Benché sia già morto, continuano a battergli sulle spalle.
Vive ancora?
Il ghiaccio si rompe.
Improvvisamente si ritraggono tutti da lui.
Lo chiamano ancora una volta con il suo nome, in tono interrogativo prima, esclamativo poi.
Accendono la luce.
Lui si stira, fino a raggiungere con le punte delle dita e con le punte delle scarpe i suoi confini definitivi.
Tutto ciò che lo tocca gli sembra freddo e caldo insieme.
Alla fine vede attorno a sé soltanto punte di scarpe.
I visi arrossiscono.
Il venditore ambulante depone la moneta sul vassoio.
L’ultima parola è ambigua.
Egli respira.
C’è un profondo silenzio.
«No!!!»
E di nuovo il venditore ambulante cammina rasente i muri.