CAPITOLO XI.
IL VALOROSO SALVATORE.

Avrei potuto desiderare, durante gli ultimi pochi giorni, che l’atteggiamento di Enrico Hawk verso di me non si fosse mostrato così untuosamente confidenziale e misterioso. Non era necessario, secondo me, che mi sorridesse espressivamente incontrandomi per via. La sua ammiccatina maliziosa quando c’imbattevamo sul Cob mi dava un’impressione di cattivo gusto. La cosa era stata definitivamente stabilita (dieci scellini prima e dieci scellini dopo il fatto) e non v’era affatto necessità di cercar degli effetti da cospiratori imbacuccati e muniti di lanterne. Io ero semplicemente un uomo comune, di buone intenzioni, costretto dalle circostanze a sostituire l’ufficio della provvidenza. La condotta di Enrico Hawk sembrava dicesse: «Noi siamo due tristi bricconi; ma, Dio ti benedica, non rivelerò i tuoi colpevoli segreti». Si giunse all’apice una mattina che percorrevo la strada verso la spiaggia. Passavo innanzi a un androne buio, quando, come se fosse stato uno spettro, invece dell’uomo più concreto in un raggio di dieci miglia, m’apparve Enrico Hawk.

— Sst! — egli bisbigliò.

— Senti, Hawk, — dissi risolutamente, perché la scossa datami m’aveva fatto mordere la lingua, — codesto contegno ha da cessare. Rifiuto d’essere ossessionato in simil modo. Che c’è ora?

— Il signor Derrick, signore, esce questa mattina.

— Grazie al cielo, — dissi. — Allora mi raccomando, questa mattina, senza fallo. Non potrei resistere un altro giorno.

Mi recai sul Cob, dove mi sedetti. Ero eccitato. Fatti di grande importanza dovevano avvenire tra breve. Mi sentivo un po’ nervoso. La cosa si doveva far bene. Se, per un’ipotesi, avessi dovuto far annegare il professore? E se poi si fosse contentato con una semplice formale espressione di grazie e avesse rifiutato di considerar passato il passato? Non ci potevo pensare.

Mi levai, e cominciai a passeggiare irrequieto, su e giù.

Tosto dall’estremità del porto ecco apparire la barca di Enrico Hawk col suo prezioso carico. Dall’eccitazione la gola mi s’inaridì.

Molto lentamente Hawk remò intorno all’estremità del Cob e si fermò a una diecina di passi, dal punto dove facevo la mia ronda. Era evidente che il teatro del valoroso salvataggio era stato designato.

I miei occhi erano fissati sulla larga schiena di Hawk. Soltanto quando giocavo al cricket, provavo un simile sentimento d’apprensione. La barca giaceva quasi immobile sull’acqua. Non avevo mai veduto un mare più liscio. Delle lievi increspature scherzavano contro il fianco del Cob.

Sembrava che quella perfettissima calma potesse durare in eterno. Enrico Hawk non faceva alcun movimento. Poi a un tratto la scena si trasformò in un’altra vasta attività. Sentiti Enrico Hawk cacciare un rauco grido, per vederlo poi piombare violentemente sul sedile della barca. Il professore si voltò a mezzo, ed ebbi lo spettacolo della sua faccia indignata, rossa dalla commozione. Poi la scena mutò di nuovo, con la rapidità di quelle vedute che si dissolvono. Scorsi Enrico Hawk fare un nuovo tonfo e un momento dopo la barca capovolgersi mentre io mi buttavo a capo in giù fino in fondo all’acqua, oppresso dalla sensazione indescrivibilmente vischiosa del vestito addosso completamente inzuppato.

Mi levai alla superficie accanto alla barca capovolta. Il primo spettacolo che mi si presentò fu la faccia d’Enrico Hawk, che sputava e sbuffava.

Non gli badai, e nuotai verso il punto dove si vedeva oscillare la testa del professore.

Egli nuotava energicamente, ma con poca destrezza. Sembrava uno di quegli uomini che possono stare nell’acqua senza pericolo soltanto in costume da bagno. Con gli abiti addosso gli ci sarebbe voluta una settimana per lottare col mare fino alla spiaggia, se mai avesse potuto arrivarci, il che era improbabile.

Io so come si fa per salvare quelli in pericolo di morire annegati. Lo avevo appreso con un manichino alla scuola di nuoto. Mi slanciai sul professore per di dietro e lo afferrai ben stretto alle spalle. Poi nuotai sul dorso in direzione della riva e lo deposi sulla spiaggia, con molto slancio, ai piedi d’una folla ammirata. Avevo pensato di tuffarlo sott’acqua un paio di volte appunto per fargli sentir bene che veniva salvato; ma risolsi di non compiere questo atto, giudicandolo inutilmente realistico. Così, come tutto s’era svolto, immagino ch’egli si fosse fatte due o tre buone bevute d’acqua di mare.

La folla era entusiasta.

— Un giovane valoroso, — disse qualcuno.

Io arrossii. Questa era la fama.

— È saltato in mare, sì, e ha salvato il signore.

— Ma che, il vecchio annegava?

— Quel briccone d’Enrico Hawk!

Mi dispiaceva, per Enrico Hawk, che l’opinione popolare fosse contro di lui. Non posso ripetere ciò che di lui disse il professore, quando riprese a respirare — non perché non lo ricordi, ma perché c’è un limite che ciascuno deve imporsi. Basti dire che, riguardo a Enrico Hawk, aveva la stessa opinione di quel cittadino che lo aveva chiamato briccone. Non potei fare a meno dal pensare che il mio compagno di congiura facesse bene a tenersi lontano. Ora Hawk se ne stava seduto nella barca, rimessa nella posizione normale, e la vuotava meditativamente dall’acqua con una vecchia scatola di latta. Ai motteggi che partivano dalla sponda, egli non prestava affatto orecchio.

Il professore si rimise in piedi, si levò e mi stese la mano. Io l’afferrai.

— Signor Garnet, — egli disse proprio, come se fosse stato il padre dell’eroina dell’«Eroe di Hilda» — noi recentemente ci dividemmo incolleriti. Lasciate che vi ringrazi per la vostra condotta valorosa, augurandomi che non si pensi più al passato.

Mi comportai con fortezza. Continuai a tener gli la mano. La folla levò un simpatico evviva. Dissi:

— Professore, la colpa fu mia. Mostratemi che mi avete perdonato col venire in casa nostra a mettervi indosso qualche cosa di asciutto.

— Una bella idea, mio caro. Un po’ bagnato sono...

— Un po’... — acconsentii.

Ci dirigemmo rapidamente su per il colle a casa.

Ukridge ci venne incontro al cancello.

Egli fece rapidamente la diagnosi della situazione.

— Siete tutti bagnati, — disse.

Lo ammisi.

— Il professor Derrick ha avuto un disgraziato incidente di barca, — spiegai.

— E il signor Garnet eroicamente s’è gettato in mare bell’e vestito salvandomi la vita, — interruppe il professore. — Un eroe, signore. Eccì... cì!

— Vi state beccando un raffreddore, vecchio volpone, — disse Ukridge con amichevolezza e riguardo. Il suo piccolo dissidio col professore era già svanito come neve sciolta. — Così non va. Venite di sopra a vestirvi con qualche indumento di Garnet. I miei panni non vi vanno bene. Che? Avanti, avanti. Potrò darvi un po’ d’acqua calda. Moglie di Beale... moglie di Beale! Ci occorre una grossa brocca d’acqua calda. Subito. Che? Sì, immediatamente. Che? Benissimo. Allora, appena puoi... Ora, mio caro Garnet, via quei tuoi stracci. Che ve ne sembra di questo, ora, professore? Una bella roba di flanella grigia. Ecco una camicia. Liberatevi di quei panni bagnati, e la moglie di Beale li asciugherà. Non tentate di dirmi nulla finché non vi sarete cambiato. Calzettini? Avanti i calzettini. Portate i calzettini. Eccoli qui. Una giacca? Provate questa giubba da tennis. Così va bene... così va bene.

Si diede da fare in giro finché il professore non fu vestito. Poi corse da basso e gli portò un sigaro.

— Ora che cos’è stato? Ch’è successo?

Il professore spiegò. Nella sua narrazione si mostrò severo per il disgraziato Enrico Hawk.

— Stavo pescando, signor Ukridge, e avevo la schiena voltata, quando ho sentito la barca dondolare violentemente da un lato e l’altro con tanta forza da farmi perdere l’equilibrio. Poi la barca si è capovolta. Quel barcaiuolo è uno stupido. Non potevo vedere ciò che accadeva perché avevo le spalle voltate, come ho detto.

— Garnet deve aver veduto tutto. Ch’è accaduto, vecchio volpone?

— Una cosa all’improvviso, — dissi. — Mi è parso come se quell’uomo avesse a un tratto un crampo. Questo giustificherebbe tutto. Egli ha fama d’essere una persona molto sobria e degna di fiducia.

— Non vi fidate di quella specie di persone, — disse Ukridge. — Sono sempre le peggiori. Nessuno mi leva di testa che il barcaiuolo sia stato bestialmente ubriaco e che abbia rovesciato la barca mentre faceva qualche passo di ballo.

— Una gran maledizione, l’alcoolismo, — disse il professore. — Bene sì, signor Ukridge. Grazie. Grazie, grazie. Ora basta. Non tutt’acqua di soda, se non vi dispiace. Ah, questo ha un sapore più gradevole dell’acqua di mare, signor Garnet. Eh? Eh? Ah... ah!

Egli era nella migliore disposizione di spirito, e io mi facevo in quattro per mantenergliela. Il mio disegno aveva avuto tanto successo che la sua iniquità non mi angustiava. Ho osservato che accade proprio così in faccende simili. È il delitto fatto male che cagiona il rimorso.

— Noi, signor Garnet, dobbiamo giocare a golf insieme uno di questi giorni, — disse il professore. — Vi ho visto parecchie volte giocare assai bene. Recentemente ho cominciato a usare una mazza di legno. C’è una gran differenza. Il golf è un gran tratto d’unione...

Camminammo intorno ai prati discutendo del giuoco e l’intesa cordiale si fece di momento in momento sempre più salda.

— Dobbiamo fissare una gara, — disse il professore. — Sono curioso di vedere come stiamo l’uno di fronte all’altro. Da quando son venuto quaggiù, ho notevolmente migliorato il mio giuoco. Notevolmente!

— La mia sola impresa degna di nota da quando cominciai a giocare, — dissi, — è stata con Angus M’Lurkin, a Sant’Andrea.

— Il M’Lurkin? — domandò il professore assai stupito.

— Sì. Ma immagino che non si trovasse in uno dei suoi giorni migliori. Doveva avere la gotta o qualche cosa di simile, e io certo non avevo mai giocato così bene.

— Bene, — disse il professore, — sì, dobbiamo veramente fissare l’incontro.

Con Ukridge, che non si mostrava come sempre di poco tatto, egli diventò cordialissimo. Con questo ebbe molto da fare il pronto assenso di Ukridge ai biasimi sul delinquente Enrico Hawk. Quando un uomo ha una doglianza si sente attirato verso quelli che lo ascoltano pazientemente e con simpatia. Ukridge era tutto simpatia.

— Quell’uomo è un briccone malnato, — disse, — e dovrebbe essere fatto a pezzi. Sentite il mio consiglio: non andate più in mare con lui. Mostrategli che non siete un uomo con cui si possa scherzare. Chi è caduto nel fuoco teme l’acqua, no? La vita umana non è sicura quando vanno in giro dei tipi come Enrico Hawk.

— Avete perfettamente ragione, signore. Quell’uomo non si può scusare. Non mi servirò più di lui.

Io mi sentivo più che colpevole, mentre ascoltavo questo duetto sull’argomento dell’uomo che avevo trascinato fuori del retto e angusto sentiero della virtù: ma il professore non volle ascoltare difese di sorta. I miei tentativi di scusare Hawk furono male accolti. Veramente il professore mostrava tali segni di calorosa indignazione che abbandonai con molta prontezza il mio collega di cospirazione al suo destino. Dopo tutto, un’aggiunta al premio fissato — uno di quei giorni — lo avrebbe compensato di qualunque perdita cagionatagli dalla mancanza della clientela del professore. Enrico Hawk era in ogni caso abbastanza buono. Avrei pensato io a non farlo soffrire.

Pieno di questi sentimenti filantropici, mi diedi una volta di più a ciarlare col professore di mazze da golf, di colpi, di approcci e di buche fatte in terra senza la mazza con base di rame.

A colazione fummo molto allegri, una colazione — fortunatamente preparata nella miglior vena e lena dalla moglie di Beale, — consistente di polli arrosto e dolci. I polli figuravano da qualche tempo un po’ di frequente nella nostra lista quotidiana.

Accompagnammo il professore coi suoi panni bene asciutti fuori di casa, e io ritornai a mettere i polli a letto nella più felice disposizione di spirito che avessi mai avuta da lungo tempo. Fischiettavo delle ariette allegre, mentre m’affaccendavo.

Un bel tipo, — disse Ukridge, meditabondo, versandosi un altro bicchiere di whisky con acqua di soda. — Santo cielo, mi sarebbe piaciuto di vederlo nell’acqua. Perché non mi trovo mai presente a queste belle cose?...