A PASSO DI DANZA
Edgar Degas, La classe di danza, particolare 1873-1876, olio su tela, cm 85x75, Parigi, Musée d’Orsay
DAL TACCO ALLA PUNTA E RITORNO
Le arti visive sono molto più vaste e complesse di quanto non si pensi: non sono solo i quadri, bensì tutto ciò che tocca il nostro occhio. Il mondo delle arti è carico di significati semantici intrecciati: lo si vede bene, per esempio, nella danza, che possiamo prendere come esempio per un’indagine poco ortodossa su un tema del Novecento che nasce in seno alla Belle Époque: la joie de vivre.
La prima riflessione che va fatta è relativa al rapporto fra tacco e punta: normalmente si cammina sulla punta dei piedi, il tacco lo si usa pochissimo. Ma pestare il tallone fa crescere di statura e aumentare il ritorno venoso e genera, inoltre, una sorta di euforia. È una curiosa particolarità che ben conoscono i cavalli i quali non danzano sul tacco, ma addirittura sulla punta dell’unghia, la quale contiene una parte morbida che serve da pompa per accelerare la circolazione sanguigna. La stessa pompa gli esseri umani, ormai abituati alla posizione eretta, ce l’hanno nel tacco. Pompar sangue nel tacco porta a una ebbrezza analoga a quella dei cavalli quando corrono. Si è più pompati. Questa faccenda del tallone pestato che eccita l’hanno capita bene anche i soldati, che infatti hanno inventato il passo dell’oca.
La danza sulle punte esalta la muscolatura dei glutei, il che piaceva enormemente a quegli sporcaccioni di uomini in tuba che rincorrevano le ballerine dopo lo spettacolo nei quadri di Degas; un erotismo crudele e voyeuristico raccontato alla perfezione anche da Henri de Toulouse-Lautrec. Piaceva meno alle fanciulle che vedevano i loro piedini insanguinarsi. La danza sulla pianta dei piedi, secondo la tradizione dello stornello romano, porta in una ben altra direzione: “daje de tacco, daje de punta, quant’è bbona la sora Assunta”. Il popolo romano, inconsapevolmente, si ricorda la sedimentazione della propria storia antica; ha quindi in fondo alla coscienza ancora la fascinazione delle danzatrici che accompagnavano Bacco nella tradizione della sua ebbrezza. I romani avevano tradotto Bacco da Dioniso, rendendo il giovanotto che proveniva dall’Asia un simpatico ciccione etrusco. In questo stava la mutazione. Ma nella sostanza la questione non era cambiata perché Dioniso nei suoi riti si portava appresso le danzatrici. E il suo era un rito iniziatico che innalzava alla divinità attraverso non il ballo ma lo sballo, da un lato quello del vino, dall’altro quello della danza sul tacco. Sono le famose menadi, a piedi nudi ovviamente. All’alba cominciano a correre verso i monti e si scatenano come furie.
George Barbier, Shéhérazade, 1910, litografia, cm 30x22, Collezione privata
Vittorio Zecchin, Le principesse, particolare 1914-1915, olio su tela, cm 140x254, Collezione privata
Léon Bakst, Il pellegrino, costume per il balletto Le Dieu Bleu, 1922, guazzo e matita su carta, cm 67x49, Filadelfia, Philadelphia Museum of Art
Ecco perché il vino e alcune altre curiose droghe che abbiamo ormai dimenticato, ma che Omero ci ricorda come fumabili nelle parti bizzarre del Mediterraneo del Sud, si accompagnavano facilmente con la danza antica che portava gli esseri umani verso un’altra dimensione, verso la divinità, en Theos, da dove proviene la parola entusiasmo. Il ballo sul tacco genera entusiasmo. Brava la sora Assunta!
In realtà la fascinazione della danza coinvolge tutti i popoli dell’antichità, dagli etruschi – o meglio, dalle etrusche seguaci di Cibele, che ballano suonando i cembali o i crotali ed esibiscono un sedere muscolato tipico di quegli anni – ai greci, che corrono e danzano costantemente, si librano nell’aria: sono quelli che fanno la danza rituale del kòmos. Gesti che non esitano a essere equivoci come nella seconda versione della Danza di Henri Matisse, quel quadro epocale che andrà, curioso destino della storia, o forse profondo intuito dell’acquirente Sergej Ščukin, a finire a Mosca, da dove verrà in seguito sequestrato nel 1917 per approdare all’Ermitage di San Pietroburgo, la città dove Djagilev si formò e dove Bakst, pseudonimo di Lev Schmule Rosenberg, trovò i primi successi. Il kòmos greco, i Balletti russi di Djagilev, i costumi di Bakst, La danza di Matisse: arte e immaginario continuano costantemente la loro danza di contaminazione nel corso dei secoli.
Danzatrice con crotali, bronzo, altezza cm 32, Ferrara, Museo Archeologico Nazionale
Pittore di Dokimasia, Kylix attica a figure rosse con scena di komos, particolare, V secolo a.C., terracotta, diametro cm 32, Berlino, Altes Museum, Antikensammlung
Menadi danzanti, I secolo d.C., marmo, cm 70x145, Firenze, Galleria degli Uffizi
Antonio Canova, La danza dei figli di Alcinoo, 1790-1792, gesso, cm 141x281, Milano, Gallerie d’Italia, Piazza della Scala
William-Adolphe Bouguereau, La giovinezza di Bacco, 1884, olio su tela, cm 331x610, Collezione privata
El Greco, Laocoonte, 1610-1614, olio su tela, cm 137x172, Washington, National Gallery of Art
Henri Matisse, La danza, 1910, olio su tela, cm 259x390, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
Il tallone rimane a terra ancora a lungo: la basse danse era praticata dai re di Francia durante il Rinascimento. È solo dopo che si scopre che bisogna ballare in punta di piedi, perché si è più ordinati, meno eccitati. Il minuetto e il valzer si ballano in punta di piedi, e sono a tre tempi. I tempi binari, due o quattro, sono i tempi del tacco basso. Il Rinascimento è innegabilmente dionisiaco. La Controriforma ci porterà, con il Barocco avanzato, sulla punta dei piedi. È bravissimo Canova a riproporre nei suoi bassorilievi, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, quel modo di danzare che generava entusiasmo fin nella corte di Joséphine Bonaparte.
La questione dei piedi è fondamentale, perché si passa dai piedini di prima, che erano en dehors, come quelli delle ballerine di Edgar Degas, al piede nuovo en dedans, che poggia sul tacco. Con il XX secolo e la rivoluzione delle avanguardie, si torna giù.
A PIEDI NUDI
La liberazione della donna in scena avviene in realtà nel teatro, non nella danza, grazie ad alcuni personaggi straordinari, come Sarah Bernhardt o come Eleonora Duse. O forse già Sarah Bernhardt compie i primi passi perché, dopo aver recitato, finisce al ristorante e balla la giava sui tavoli.
Jules Chéret, Folies-Bergére/La Loïe Fuller, 1893, litografia a colori, cm 100x70, Collezione privata
Raoul-François Larche, Loïe Fuller, 1900, bronzo, altezza cm 35, Collezione privata
Isaiah West Taber, Loïe Fuller, 1897, fotografia ai sali d’argento, cm 10x14,5, Parigi, Musée d’Orsay
Harry Ellis, Loïe Fuller, 1900 ca., fotografia ai sali d’argento, cm 10x14,5, Parigi, Musée d’Orsay
La Sylphe, 1918, fotografia ai sali d’argento, cm 14,5x10, Collezione privata
Questo sapore di libertà attira allora, forse come oggi, alcune americane che arrivano in Europa. Mi riferisco, in particolare, alla geniale creatività di quattro danzatrici formidabili. La prima rivoluzionaria è sicuramente Loïe Fuller. Si formò nell’ambiente equivoco fra teatro di varietà e burlesque circense, proprio il mondo che tanto piaceva a Toulouse-Lautrec e ai suoi amici alternativi. E lì compì due gesti di spoliazione fondamentale: si tolse le scarpe e ciò che allora era il reggiseno, vale a dire quella macchina diabolica fatta da stecche di balena che rendeva la vita strettissima, la digestione difficile e il seno esplosivo.
Ruth St. Denis come Cleopatra, 1916, fotografia ai sali d’argento, cm 10x14,5, Collezione privata
Lawrence Ira Hill, Ruth St. Denis e Ted Shawn in una danza egizia, 1917, fotografia ai sali d’argento, cm 14,5x10, New York, New York Public Library
Lawrence Ira Hill, Ruth St. Denis e Ted Shawn in una danza egizia, 1916, fotografia ai sali d’argento, cm 14,5x10, New York, New York Public Library
Lawrence Ira Hill, Ruth St. Denis in una danza egizia, 1916 ca., fotografia ai sali d’argento, cm 10x14,5, New York, New York Public Library
Lawrence Ira Hill, Ruth St. Denis e Ted Shawn in una danza egizia, 1916, fotografia ai sali d’argento, cm 14,5x10, New York, New York Public Library
Ruth St. Denis come danzatrice greca, 1916-1917, fotografia ai sali d’argento, cm 14,5x10, Collezione privata
La danza fu in quegli anni il laboratorio di un’estetica nuova e di un’etica rinnovata. Come lo fu per la Fuller, che viaggiava e si esibiva profetica fra Londra e le Americhe, lo sarà quasi in contemporanea per Ruth St. Denis, nata nel New Jersey e protagonista fra New York e Los Angeles, la quale avrà l’idea provocatoria di far arrivare, in ciò che oggi chiamiamo avanspettacolo con un ingiustificato disprezzo, la libertà gestuale egizia che scopre sulla pubblicità dei pacchetti di sigarette. E anche per l’americana La Sylphe, in grado di portare scompiglio tanto in Francia quanto negli Stati Uniti con la sensualità muscolare ed esotica delle sue interpretazioni.
Isadora Duncan darà, infine, allo stile nuovo del togliersi le scarpette e i costumi la gloria fatale della morte assurda, quando la sua lunga sciarpa andrà ad avvolgersi nella ruota della Bugatti e la strangolerà nel 1927. Per lei, ovviamente più intellettuale, gli unici maestri potevano essere Jean-Jacques Rousseau per le sue teorie di ritorno alla libertà della natura, Walt Whitman ancora con più insistenza in quanto la natura da lui predicata era quella infinita e incontaminata di un’America vissuta nella casetta del bosco di David Thoreau, nella quale però veniva esaltata ogni libertà sessuale, esattamente come negli stessi anni veniva predicata sul Monte Verità sopra Ascona. E infine, sempre per la Duncan, Friedrich Nietzsche che aveva con acume distinto l’apollineo, il bello canonico, dal dionisiaco, il bello esistenziale, crudele e vissuto, e che avrebbe negli stessi anni, ma questo ella non lo poteva sapere, ispirato la prima Metafisica di Giorgio de Chirico, il quale, anche lui, non disdegnava affatto le muse scalze viste in Baviera.
Antonio Canova, Danzatrice con cembali, 1809-1812, marmo, altezza cm 187, Berlino, Nationalgalerie
Isadora Duncan mentre balla, 1904, fotografia ai sali d’argento, cm 14,5x10, Collezione privata
Léon Bakst, Costume per il balletto Cléopâtre, 1909, acquerello, matita, guazzo su carta, cm 25,5x18, Collezione privata
Isadora Duncan mentre balla, fotografia ai sali d’argento, cm 14,5x12, Collezione privata
LA RUSSIA CONQUISTA PARIGI
Questa formidabile mutazione del gusto viene ripresa con straordinario acume teatrale nelle coreografie che i Ballets russes di Sergej Djagilev propongono a Parigi a partire dal 1909. Genialmente intuisce che la vecchia danza, che tanto piaceva agli uomini della Belle Époque, è definitivamente in crisi. Egli porta con sé un immaginario fiabesco russo infinito, quello abissale di Nikolaj Roerich e di Aleksandr Benois. Ma la sua mutazione stilistica avviene con il gusto parigino in mutazione, quello di Loïe Fuller e dello stilista Paul Poiret, i due liberatori della donna. E così il dialogo fra le arti che in Germania aveva portato alla nascita di “Der Sturm” e del Blaue Reiter diventa effettivo.
Sergej Djagilev e Vaslav Nijinskij in una fotografia del 1919
I Ballets russes sono la vera macchina diabolica dell’innovazione inventata da Djagilev. Perché portano a Parigi un incontro di sperimentazioni, dove i ballerini russi si mescolano ai musicisti francesi e degli artisti spagnoli come Picasso, appena giunti in città. Scrittori francesi, favole russe, muscoli d’Oriente e pensieri d’Occidente. Con Djagilev lavoreranno Léon Bakst, per tutta la stagione iniziale, ma nel 1917 approda Picasso con Parade, poi Natalja Gončarova e Michail Larionov (così creativi da dare sapore d’avanguardia anche all’immaginario rubato a Chagall) fino a Derain e Matisse. La congiunzione delle arti avviene e si fa gioco pubblico. Il gioco pubblico si fa moda, e i grandi illustratori della moda, da Barbier a Lepape, trovano lì la fonte d’ispirazione per migliaia di immagini che plasmeranno il gusto Art Déco.
Pablo Picasso, Sergej Djagilev e Alfred Seligsberg, 1919, matita su carta, cm 65x50, Parigi, Musée National Picasso
Pablo Picasso, Léon Bakst, 1919, matita su carta, cm 64x49, Parigi, Musée National Picasso
Léon Bakst, Costume per Anna Pavlova come Farfalla, 1916-1917, acquerello e grafite su carta, cm 45x28, Boston, Museum of Fine Arts
Léon Bakst, Costumi per due baccanti per il balletto Narcisse, 1911, acquerello, matita, guazzo su carta, cm 45x28, Collezione privata
Léon Bakst, Costume per Natasha Trouhanova come Peri nel balletto La Peri, 1911, acquerello, cm 45x28, Collezione privata
Léon Bakst, Costume per Tamara Karsavina per il balletto L’uccello di fuoco, 1910, acquerello, matita, guazzo su carta, cm 45x28, Collezione privata
Nijinskij come schiavo negro nel balletto Shéhérazade, 1910
Anno chiave della vicenda è il 1911, quando Igor Stravinskij porta una nota nuova, nel vero senso della parola, con Petruška. Non si era più decadenti e simbolisti come i francesi. Stava nascendo un’idea nuova della musica.
Michail Larionov, Bozzetti per scene e costumi del balletto Le buffon, in Comoedia illustré, 1921, litografia a colori, cm 42x69, Parigi, Bibliothèque nationale de France
Vaslav Nijinskij è il protagonista della storia epica di quegli anni: animalesco, vitale, chiuso, seducente. Nel 1912 trasforma il Prélude à l’après-midi d’un faune, con musica di Claude Debussy su un testo letterario precedente di Stéphane Mallarmé, in una formidabile esibizione vitale ed erotica nella quale il fauno copula con la terra. La grande Ida Rubinštejn s’era, forse per questo motivo, rifiutata di danzare. Il giovane Jean Cocteau, ch’era in sala entusiasta nel senso più greco del termine e con le medesime inclinazioni sessuali altrettanto greche del protagonista, chiese di incontrarlo. Aveva lo scrittore esordiente appena pubblicato un piccolo testo su Marcel Proust che era passato assai inosservato. Cocteau, ch’era nato banlieusard a Maisons-Laffitte, chiese, incontrando in quell’occasione Djagilev, che cosa avrebbe dovuto fare per diventare realmente famoso. L’impresario gli rispose con la frase che fonda allora il pensiero nuovo sulla modernità contemporanea: Monsieur, étonnez-moi! Qui sta tutto il segreto del secolo brevissimo. L’arte deve étonner, sorprendere cioè come il tuono. Il che serve anche a capire la fine di questo ciclo artistico, quando l’arte si metterà a épater, cioè solo a stupire, il che notoriamente rischia di rendere stupidi. Per i francesi non v’è dubbio che si possa solo épater le bourgeois, laddove il termine bourgeois ha tutta l’accezione negativa che gli daranno Jean-Paul Sartre, Georges Brassens e Jacques Brel. E tutto il secolo breve sarà all’insegna dell’étonnement fino alla catastrofe finale.
George Barbier, Nijinskij come fauno nel balletto L’après-midi d’un faune, 1912, litografia a colori, cm 35x28, Londra, The British Library
Nijinskij nel balletto L’après-midi d’un faune, 1916 ca., fotografia ai sali d’argento, cm 15x13, Parigi, Musée d’Orsay
Léon Bakst, Costume per Vaslav Nijinskij come fauno in L’après-midi d’un faune, 1912, acquerello e grafite su carta, cm 38x22, Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art
Jacques-Émile Blanche, Vaslav Nijinskij nel balletto Les Orientales, 1910, olio su tela, cm 219,7x120, Collezione privata
George Barbier, Vaslav Nijinskij nel balletto L’oiseau d’or, 1912, acquerello su carta, cm 29x21, Collezione privata
Léon Bakst, Costume per Vaslav Nijinskij come danzatore siamese in Les Orientales, 1917, acquerello e grafite su carta, cm 45,7x64,5, San Antonio, McNay Art Museum
Nijinskij come danzatore siamese nel balletto Les Orientales, 1910
Léon Bakst, Costume per un diavolo per il balletto Narcisse, 1911, litografia a colori, cm 24x19, Collezione privata
In realtà negli anni Dieci del XX secolo si forma una koinè d’epoca che se ne infischia del dramma che sta per scatenarsi e usa quegli anni come crogiolo per mescolare le carte dell’estetica e della musica. Parade, Parigi 1917: le musiche sono di Erik Satie, l’idea è di Cocteau, le scene e i costumi di Pablo Picasso. Ci si diverte da matti nel 1917 a Parigi, mentre i compagni stanno morendo in fondo alle trincee della Marna e Céline sta scrivendo le prime righe di Viaggio al termine della notte. E Parigi continua nella sua allegria leggermente irresponsabile anche nel primo dopoguerra. Si balla fino alla fine, fino all’esempio fenomenale di Giorgio de Chirico in Le Bal, 1929. Domani tutto cambia: inizierà la crisi di Wall Street; l’Occidente cade nella disperazione vera, quella economica.
Pablo Picasso, Costume da cinese per il balletto Parade, 1917, litografia a colori, cm 28x20, Collezione privata
Pablo Picasso, Progetto per un costume da acrobata, 1916-1917, acquerello, matita di piombo, cm 28x20,5, Parigi, Musée National Picasso
Pablo Picasso, Costume per il balletto Parade, ricostruzione, 1917, tecniche miste, altezza cm 199, New York, The Museum of Modern Art
Pablo Picasso, Sipario per il balletto Parade, 1917, pittura a colla su tela, cm 1060x1724, Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou
Pablo Picasso, Studio per la scenografia del balletto Parade, 1917, matita di piombo, cm 27,5x22,5, Parigi, Musée National Picasso
Allestimento del balletto Le bal con scene e costumi di Giorgio de Chirico, Roma, Teatro dell’Opera
Giorgio de Chirico, Copertina del programma di sala dei Ballets russes, 1929, litografia a colori, cm 20x14, Collezione privata
Giorgio de Chirico, Costume per il balletto Le bal, 1929, tessuti e panno, altezza cm 156, Collezione privata
DANZA E AVANGUARDIE
In realtà ogni tipo di avanguardia riesce a trovare un proprio spazio di colloquio con il mondo del ballo. Tra gli artisti di avanguardia, forse, il più particolare di tutti sarà Fernand Léger. In quegli anni, infatti, arriva a Parigi una nuova compagnia, quella dei Balletti svedesi, e Léger, chiamato a lavorarci, ci mette dentro il suo modo di vedere, quello cubista-tubista. Musica di Darius Milhaud, personaggi curiosamente africani, 1923.
Fernand Léger, Bozzetto per la scenografia del balletto La création du monde, 1922, matita su carta, cm 21x27, New York, The Museum of Modern Art
Fernand Léger, Maquette per il balletto La création du monde, 1922, Biot, Museé Fernand Léger
Fernand Léger, Bozzetto per un costume per il balletto La création du monde, 1922, acquerello e grafite su carta, cm 36x25, Collezione privata
E in Italia, nel frattempo, cosa succede? Per i futuristi il balletto diventa un tentativo per ricostruire, da futuristi, l’universo intero. Non ci sarà più bisogno della presenza umana: la musica si deve accordare con lo spazio e con i colori. I futuristi, in realtà, sono autentici megalomani. In Francia il gioco serve a essere allegri, per gli italiani diventa un impegno politico: reinventare il mondo intero. E ci riesce alla perfezione Fortunato Depero, il suo mondo è totale, topolini compresi.
Una cosa sembra curiosa ma accertabile: la danza liberatrice di energie, capace di mescolare in un’opera d’arte complessiva i vari linguaggi, ha il suo momento di massimo sfogo nei paesi che stanno correndo verso il totalitarismo: l’Italia, la Germania, la Russia.
Fortunato Depero, I miei balli plastici, 1918, olio su tela, cm 158x175, Collezione privata
Giacomo Balla, Feu d’artifice, 1917-1997, tecnica mista, luce e sonoro, misure ambientali, Rivoli, Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea
Giacomo Balla, Bozzetto di scena plastica per Feu d’artifice, 1915, olio su carta, cm 16x19, Milano, Museo Teatrale alla Scala
Per L’usignolo (1914) di Stravinskij, il giovane Oskar Schlemmer impara quasi tutto dai suprematisti russi alla Lissitzky e mette in piedi una scena incredibile. Mescola avanguardia russa e avanguardia tedesca e trasforma le serie ricerche dei suprematisti in un trono per l’imperatore di Cina. Schlemmer evolve rapidamente verso una fantasia totale che porta nel Bauhaus una sua visione del mondo, un suo gioco polimorfo in ogni direzione, ma con una grande attenzione al gesto del balletto. Attenzione: non senza una certa ansia premonitrice, perché indovina già il manganello che sta per colpirlo. La magia si trasforma in una piattitudine totale.
È in Russia che la questione si complica in modo particolare, perché dalla Russia era venuta l’innovazione, in Russia avverrà l’evoluzione di questa innovazione per sposare le cause della Rivoluzione. E in Russia ci sarà la morte dell’Avanguardia. Nel 1930 Majakovskij si suicida. Quattro anni dopo, esplode il Realismo socialista.
E poi, esattamente come Arshile Gorky, André Breton e George Balanchine finiscono a New York, anche la grande innovazione della danza diventa di casa in America, perfettamente sintetizzata dalla danza moderna espressa da Martha Graham.
UNA NUOVA FEMMINILITÀ
Furono quindi le stelle del balletto a fare i primi, piccoli passi verso un tentativo di liberazione femminile. Anni dopo la loro eredità fu raccolta da un uomo: Paul Poiret, o del chic totale, grande sarto innovativo parigino che tolse ogni costrizione ai busti delle signore e inventò l’abito che cascava con leggerezza ed eleganza, come ben testimoniano i dipinti di van Dongen e le illustrazioni di Lepape e Barbier. Poiret compie un gesto sostanzialmente neoclassico, riportando le belle nell’ambiente liberatorio del Direttorio, quando una generazione di nuove protagoniste s’affacciavano alla storia liberandosi dagli orpelli costrittivi dell’Ancien Régime, anche quelli del vestire, ovviamente. Ed è questa donna rinnovata che celebrano i migliori illustratori assieme al grande espressionista parallelo e alternativo all’espressionismo tedesco, Kees van Dongen. E, naturalmente, le fotografie, che ritraggono attrici dell’epoca oppure seducenti signore: quella che avete visto qualche pagina fa è niente meno che la moglie dello stesso Poiret, che per l’occasione sfoggia tanto gli abiti del marito quanto un’appena acquistata scultura di Brancusi. Questo la dice lunga sulla commistione delle arti, tanto più che l’illustre stilista fu anche collezionista eccellente dei dipinti metafisici di de Chirico.
Paul Poiret in una fotografia del 1924
Madame Poiret con la scultura Majastra di Constantin Brancusi, 1919
Alexander Bassano, Daisy Irving indossa un abito di Paul Poiret, 1911
Georges Lepape, Copertina di “Les Modes” con abiti di Paul Poiret, 1912, litografia a colori, cm 43x28, Collezione privata
George Barbier, Illustrazione per “La Parisienne”, 1922, litografia a colori, cm 40x26, Londra, The British Library
François Pascal Simon Gérard, Ritratto di Juliette Récamier, 1805, olio su tela, cm 222,5x148, Parigi, Musée Carnavalet
Georges Lepape, “Les choses de Paul Poiret vues par Georges Lepape”, 1911, litografia a colori, cm 32x57, Collezione privata
Georges Lepape, “Les choses de Paul Poiret vues par Georges Lepape”, 1911, litografia a colori, cm 41x27, Collezione privata
Kees van Dongen, La sfinge, o La signora con i crisantemi, 1925, olio su tela, cm 146x113, Parigi, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris
Kees van Dongen, Divertimento, 1914, olio su tela, cm 100x81, Grenoble, Musée de Grenoble
Atto due della mutazione del gusto: entra in scena Coco Chanel. Non che prenda invero il posto di Poiret. I protagonisti in quegli anni sono vari, da Worth alla sottile Madeleine Vionnet. Ma Chanel ne inventa una vincente: avendo una simpatica amante creola, convince le belle del mondo che, oltre a liberare il corpo dalle costrizioni vestimentarie, è utile andare oltre e svestirsi del tutto per iniziare a prendere il sole in Costa Azzurra. Tutti abbronzati per la felicità della nascente industria cosmetica, tutti a ballare e a divertirsi come se l’appena trascorsa Prima guerra mondiale fosse solo un lontano ricordo. La scuola anche per lei saranno i Ballets russes, a partire da Le train bleu (1924), con i fondali di Picasso, e ben si capisce la scelta: Le train bleu era quello che partiva dalla Gare de Lyon e portava gli snob parigini in Costa Azzurra, laddove Pablo Picasso faceva correre in spiaggia le sue eroine neoclassiche scoperte a Roma, quando andò nel 1917 a visitare le collezioni archeologiche di Villa Giulia. Coreografia della sorella di Nijinski (la Nijinska), testo di Jean Cocteau, musica di Darius Milhaud. La cosa fondamentale: tutti a piedi nudi, tutti che pestano sul tacco, sul tallone. Erotomani. Poi, nel 1928 ancora, Coco fece i costumi per Stravinskij nell’Apollo musagete. Continuava il dialogo delle varie forme creative. E Picasso incominciava a regnare.
Kees van Dongen, L’Ecuyère, 1920, olio su tela, cm 100x81, Collezione privata
Sonia Delaunay, Ragazze in costume da bagno, 1928, acquerello su carta, cm 20,3x27, Collezione privata
George Barbier, Au Lido, 1920, litografia a colori, cm 34x62, Londra, The British Library
Coco Chanel e Misia Godebska Natanson Sert al Lido di Venezia negli anni Trenta, in una fotografia di Henri de Beaumont
Marcel Duchamp, Semisfera rotante, 1925, assemblaggi di materiali, altezza cm 45, New York, The Museum of Modern Art