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Aria, acqua, terra, fuoco
I servizi più belli e più duri sono stati quelli sull’inquinamento ambientale: Taranto, Trieste, Crotone. Tutto è partito dalla Terra dei Fuochi, dall’incontro con don Patriciello e da un’idea di Marco.
Per un’intervista doppia su chi sarebbe stato il nuovo papa, Marco aveva chiamato don Gallo e don Patriciello. Quando l’ho conosciuto, in redazione, mi hanno folgorato la sua umanità e la determinazione incrollabile del suo sguardo: «Cosa ci fai qui? Sei una giornalista o no? Devi venire a vedere cosa succede a Caivano».
Caivano è devastata da decenni di sversamenti abusivi e la gente si ammala e muore in un battito di ciglia. Giovani, vecchi, bambini, tutti sono terrorizzati dall’idea di prendere il “brutto male”, come lo chiamano ancora.
Nella Terra dei Fuochi ci volevo andare, volevo vedere com’era.
E così la settimana seguente io e Marco eravamo in Campania da don Patriciello, che ci spiegava come funzionavano le cose: «Di notte le famiglie fanno un tam tam sui telefoni, con le chat, perché c’è sempre qualcosa a cui viene dato fuoco. Mettono lo straccio bagnato sotto la porta perché magari quella notte bruciano i copertoni e loro hanno in casa i bambini e mentre dormono gli viene il raspino. Io faccio le ronde per vedere cosa brucia, se volete potete venire con me».
La notte stessa siamo andati a fare un giro con lui e Raffaele, un volontario di Legambiente che viveva lì e riceveva minacce ogni giorno per le sue denunce. Non sapevo cosa aspettarmi, ma quello che ho visto è stato terrificante.
Siamo andati subito alla Resit, una discarica abusiva che fumava da sola, da tanto percolato conteneva, a tutte le ore del giorno e della notte. E lì accanto c’era un campo di pomodori, ne ho aperto uno, era tutto nero.
«Guardate là» ci ha detto Raffaele, e ha indicato l’orizzonte di fronte a noi: «Lungo l’asse mediano che collega le campagne con Napoli è un continuo salire al cielo di rigagnoli di fumo. Vedete che in alcuni punti il fumo sale a cerchi? È il copertone che brucia. Lo usano perché va avanti a lungo a tenere il fuoco e ci puoi buttare di sopra pellami, gomma, rifiuti industriali, quello che vuoi».
Ho guardato Marco, aveva la mia stessa faccia disperata e incredula. Il buio della notte, le fiamme, il fumo grigio che si levava in alto, eravamo dentro un inferno in terra.
Mentre Raffaele ancora ci stava parlando, all’improvviso abbiamo visto le fiamme salire dalla Resit, don Patriciello stava già chiamando i vigili del fuoco.
Ho cominciato a sentire un odore acre e gli occhi che bruciavano, non riuscivo più a tenerli aperti, faticavamo a respirare.
Raffaele ci ha dato una mascherina: «Proteggetevi!».
Io e Marco ci siamo guardati, nessuno di loro aveva la mascherina, non ce la siamo sentita di metterla. Gli occhi continuavano a bruciare come se ce li stessero scartavetrando, era l’effetto della diossina che l’incendio stava liberando nell’aria.
I vigili del fuoco ci hanno poi spiegato che era entrata una persona nella discarica e aveva bruciato il telo di copertura.
Se non vedi la Resit in fiamme e non ti bruciano gli occhi e ti manca il respiro, non puoi capire queste persone. Sono lì tutti i giorni, non hanno i soldi per andarsene, la loro casa non vale più niente, è disperazione pura. Per raccontarlo dovevo esserci stata, aver vissuto quelle cose sulla pelle, anche la paura di ammalarmi.
Quando siamo andati con don Patriciello a vedere le tavole di amianto buttate a terra in discarica – sarebbe bastato respirarlo una volta per rischiare il mesotelioma – non mi sono coperta la bocca e il naso. Mi sembrava offensivo, una mancanza di rispetto per chi vive lì sempre, i bambini che ti guardano con gli occhi sgranati e le loro mamme ammalate di tumore, i genitori che vorrebbero dar loro un futuro, portarli via, ma non ce la fanno.
La Terra dei Fuochi è un gruviera di sversamenti. Lo sversamento è come una pistola, stai condannando a morte una regione, l’ambiente, il futuro di un posto, perché tutto viene contaminato, pesce, uova, carne, verdura, frutta, le falde acquifere, l’intera catena alimentare.
È stata un’idea di Davide quella di far analizzare il terreno per vedere cosa c’era dentro e allargare la vicenda all’interesse collettivo. I prodotti locali sono esportati ovunque e, attraverso la grande distribuzione, finiscono sulle nostre tavole. La Terra dei Fuochi ci riguarda da vicino, la loro roba ce la mangiamo tutti. E l’intuizione è stata giusta, siamo riusciti a far scoppiare il caso e ad attirare lo sguardo di tutta Italia su Caivano.
Da lì ho fatto una serie di servizi con don Patriciello e sono tornata in Campania un sacco di volte. Ogni volta ci abbracciavamo e quando lo facevamo era un dirsi senza parlare: “Dai, non molliamo”.
E lo stesso è successo a Taranto, in Calabria, alla ferriera di Trieste, con l’acqua inquinata in Veneto.
Mi ricordo le prime volte che frequentavo queste zone, dappertutto sui muri vedevo la scritta 048 e non capivo. Poi ho scoperto che è il codice che il Servizio sanitario nazionale assegna ai malati oncologici per l’esenzione dal ticket. Adesso ce l’ho anch’io ed è come se la distanza da tutte le persone che ho incontrato si fosse accorciata ulteriormente. Ho ancora più voglia di lottare, di parlare, di far sentire la mia voce per ciascuno di loro.