19

 

 

Voleva mettersi a fare una torta. Forse era per via del ticchettio della pioggia mattutina fuori dalle finestre che trasformava la spiaggia in un acquerello perlaceo... O solo perché aveva trascorso diversi giorni trascorsi senza fare molto altro in cucina se non il caffè o un po' di pop-corn.

Laurel suppose che fosse la stessa cosa che provava Parker quando sgattaiolava per un paio d'ore al giorno a controllare il suo portatile, o Mac con la sua macchina fotografica. Ed Emma non era a caccia di un negozio di fiori per comprarne una vagonata da sistemare in giro per casa?

Dopo essere rimasta a letto per qualche giorno, a oziare in giro, dopo le lunghe camminate e i giochi serali, voleva soltanto infilare le mani in un impasto.

Aveva già controllato la dispensa, notando che Del la conosceva abbastanza bene per far scorta degli alimenti base, e con una certa sorpresa scoprì che aveva prestato attenzione a quello che lei teneva nella sua dispensa e aveva fatto incetta di ingredienti più specifici, usati dai pasticcieri professionisti.

Ma non sapeva tutto, pensò lei.

Fece una lista mentale, sapendo che sarebbe dipesa da quello che avrebbe trovato una volta al supermercato.

Lasciò un biglietto per Parker.

 

Sono andata al supermercato. Ho preso in prestito la tua

macchina.

L.

 

E prendendo le chiavi e la borsa partì per quella che ritenne una piccola avventura.

In palestra, Parker osservava la pioggia mentre completava i propri esercizi. Non aveva acceso il notiziario com'era sua abitudine... una concessione vacanziera. Qualunque cosa stesse accadendo nel mondo, doveva aspettare finché non fosse tornata a casa.

Con l'eccezione delle sue spose. Ma in realtà, pensò, non era stato così male. Una manciata di chiamate, un pugno di problemi e preoccupazioni che era stata in grado di gestire nonostante la distanza.

Anzi, era una soddisfazione sapere che poteva star lì e occuparsi lo stesso di ciò che andava fatto.

Sorrise quando vide Mac, la zazzera di capelli rossi coperta da un cappello da baseball, la giacca a vento di un bel blu acceso mentre scendeva sulla spiaggia bagnata dalla pioggia con la macchina fotografica.

Potevano anche allontanarsi da casa, pensò Parker, ma non da ciò che erano.

Indugiò ancora per un momento, poi andò ad accendere la musica scegliendo qualcosa di più tranquillo per il resto dei suoi esercizi.

Era una tale delizia prendersi tutto il tempo che voleva, non dover guardare l'orologio, non dover modificare la sua routine per assecondare un appuntamento o inserire un impegno.

Optò per la sbarra, iniziò con qualche plié.

Quando Mal entrò in palestra, Parker teneva un piede sulla sbarra e il naso attaccato al ginocchio.

«Snodata» commentò lui, poi sollevò le sopracciglia quando lei lo fissò. «È un problema per te se passo un po' di tempo qui?»

«No, certo che no.» La irritava il fatto di scoprirsi - troppo spesso - tesa e sgarbata in sua presenza. Così fece uno sforzo per dimostrarsi amichevole. «Fa' pure. Puoi cambiare la musica, se vuoi. Non mi secca.» Si rifiutava di essere seccata.

Lui fece spallucce, e si diresse verso la panca per preparare il bilanciere. «Non sapevo che qualcuno fosse in piedi finché non ho sentito la musica classica.»

«Mac è andata giù in spiaggia con la macchina fotografica.»

«Sotto la pioggia?»

«Sembra proprio che non riusciamo a farne a meno.» Si voltò per rivolgergli un sorriso... ma soprattutto perché sospettava che le avrebbe fissato il sedere se non l'avesse fatto.

«Se a voi sta bene così... Ho visto alcune delle sue foto. Dovresti appenderne qualcuna qui in casa.»

Fu sorpresa, perché aveva già pensato di farlo. «Sì, è vero. Allora... quanto sollevi?»

«Mi mantengo sui settanta chili. Hai delle buone braccia» le disse dopo uno dei suoi soliti sguardi. «E tu quanto?»

«Cinquanta, forse cinquantacinque se sono dell'umore giusto.»

«Non male.»

Lo guardò con la coda dell'occhio mentre faceva stretching. Non si poteva negare che quell'uomo avesse delle braccia notevoli. I muscoli guizzavano ma non si gonfiavano mentre sollevava e abbassava i pesi. In alto, sul bicipite destro, correva un tatuaggio a forma di nodo celtico.

Aveva googlato il disegno solo per curiosità.

Rispettava un uomo che si manteneva in forma. Quando aveva visto Mal spogliarsi per entrare in acqua - non che gli avesse prestato particolare attenzione - aveva intuito che fosse quel genere d'uomo.

Continuò con gli addominali, e lui con i piegamenti. Poi passò al pilates, e lui ai pettorali. Non era un tipo invadente, così quasi si dimenticò che fosse lì e concluse i propri esercizi con qualche minuto di yoga per allungare i muscoli.

Si voltò per prendere una bottiglia d'acqua e quasi gli finì addosso.

«Scusa.»

«Nessun problema. Sei notevolmente scolpita, signorina Brown.»

«Tonica» lo corresse lei. «Quello scolpito sei tu, signor Kavanaugh.»

Lui prese due bottiglie d'acqua dal frigo, e gliene passò una. Poi si avvicinò finché non la costrinse con la schiena contro il frigo, le mise le mani sui fianchi, e la sua bocca prese facilmente possesso di quella di lei.

Parker si disse che fu per via della sorpresa - e questo da dove diavolo veniva? - che prolungò il momento, il bacio, il lento, soffocante aumento di calore. Lo spinse indietro di mezzo passo, prese aria.

«Aspetta un minuto. Aspetta un minuto.»

«Okay.»

Lei lo squadrò dall'alto in basso, ma lui non sembrò far caso alla sua occhiata fulminante. Tuttavia, non si mosse di nuovo verso di lei, ma rimase a guardarla con quei penetranti occhi verdi.

Il gatto con il topo, pensò lei. Era questa l'impressione che aveva. E lei non era il topo di nessuno.

«Ascolta, se ti sei fatto l'idea che io... Visto che tutti sono in coppia e noi...»

«No. Quella eri tu. Il 4 luglio. Me lo ricordo davvero bene.»

«Quello non è stato... niente.»

«Mi è piaciuto. Ma no, non mi sono fatto un'idea sbagliata. È solo che mi piace la tua bocca e volevo vedere se la mia memoria è abbastanza precisa. E lo è.» «Ora che abbiamo chiarito questo...» Lo scansò con una gomitata, e uscì di corsa.

Con un suono che combinava divertimento e piacere, Mal andò a cambiare musica. Per lui era decisamente meglio il metal.

Con un forte sentimento d'affetto nei confronti del supermercato locale, Laurel scaricò le borse. Forse aveva esagerato un tantino, ma visto che la rendeva felice non vede nulla di sbagliato in questo. Aveva abbastanza ingredienti per preparare le sue torte, del pane, un dolce al caffè... e qualunque altra cosa colpisse la sua fantasia.

«Credo stia schiarendo.»

Si voltò e vide Mac, con la giacca a vento luccicante di pioggia, che tornava dalla spiaggia. «Oh sì, lo vedo.»

«No, sul serio. Vedi? Guarda laggiù.» Mac indicò il cielo a oriente. «Piccoli sprazzi blu. Sono ottimista.»

«E bagnata.»

«Ho fatto degli scatti favolosi.» Allungò una mano per prendere una delle borse. «Drammatici, sognanti, umorali. Cavoli, questa è pesante. Che ci hai messo dentro?»

«Roba.»

Mac si diresse in casa, poi lanciò a Laurel un sorriso sbieco. «Hai intenzione di fare una torta. Non riesci proprio a tenere a freno la Betty Crocker che è in te.»

«Ha parlato quella posseduta da Annie Leibovitz.»

«Emma sta blaterando di mettere su un giardino sulla spiaggia. Erba della Pampa e... be', chi lo sa. Questo non fa di noi delle fanatiche del lavoro.»

«No. Siamo solo produttive.»

«Molto meglio» convenne Mac mentre trascinavano tutte quelle borse su per i gradini. «Mi sto divertendo tantissimo, e ora non vedo l'ora di scaricare le foto digitali e vedere cosa ne ho ricavato. Ho portato anche della pellicola. Mi chiedo cosa ci vorrebbe per convincere Parker e Del a mettere su una camera oscura.»

«Parker crede che questo posto sia perfetto per dei matrimoni informali sulla spiaggia.»

Mac fece una smorfia pensandoci su. «Qui si comincia a esagerare. Però - merda - sarebbe davvero una grande idea.»

«Non incoraggiarla» le ordinò Laurel, e spostò le borse per aprire la porta.

Prima che riuscisse a farlo, Del la tenne aperta per farle entrare. «Eccoti qua.» Prese una borsa da ciascuna di loro. «Avevamo bisogno di provviste?»

«Io sì.»

Le sistemò sul bancone, si chinò su di lei per darle un rapido bacio. «Buongiorno. Ehi, Macadamia, sei tutta bagnata.»

«Sta schiarendo» insistè lei. «Prendo del caffè. Avete visto Carter?»

«Per un attimo. Aveva un libro spesso così.» Del rese l'idea allontanando pollice e indice.

«Quello lo terrà occupato.» Si versò il caffè e brindò a loro mentre usciva.

«Non ti ho trovato a letto stamattina» disse Del a Laurel. «Mi ha svegliato il rumore della pioggia e delle onde, e ho pensato: Adesso questo è il posto perfetto in cui stare. Ma tu non c'eri, quindi non lo era più.»

«Sono andata in missione.»

«Lo vedo.» Infilò la mano in una borsa, tirò fuori uno dei tanti limoni. «Limonata?»

«Torta di meringa al limone, e torta di ciliegie, credo. E voglio sfornare del pane, forse un dolce al caffè. Le mattinate piovose sono perfette per infornare dolci.»

«Cavoli, le nostre menti vanno in direzioni opposte nelle mattinate piovose.»

Lei rise mentre svuotava le borse. «Se ti fossi svegliato prima, avremmo potuto avere entrambe le cose. No, lascia che le svuoti io. So dove voglio tutto.»

Lui alzò le spalle e la lasciò fare. «Immagino che me ne andrò in palestra, visto che nel mio futuro ci sono delle torte. Se hai lo scontrino o ricordi quanto hai speso, ti rimborserò.»

Laurel si fermò. «Perché?»

«Non avresti dovuto comprare le provviste» disse lui in tono assente mentre prendeva una bottiglia di Gatorade dal frigo.

«E tu invece sì?» Non riusciva a fermare il calore che le percorreva la spina dorsale.

«Be', è...»

«Casa tua?» finì lei.

«Sì. Ma stavo dicendo che è più... corretto visto che tu fai tutto il lavoro.»

«Nessuno ha fatto nessun lavoro ieri sera, quando siamo andati tutti fuori a cena, e tu hai pagato il conto.»

«Era solo... Qual è il problema? La prossima volta offrirà qualcun altro.»

«Credi che mi importi dei tuoi soldi? Credi che stia con te perché puoi permetterti di pagare cene e avere un posto come questo?»

Del abbassò la bottiglia. «Gesù, Laurel, e questa da dove salta fuori?»

«Non voglio essere rimborsata. Non voglio che qualcuno si prenda cura di me, e puoi ficcarti la tua correttezza dove dico io, perché non accadrà mai. Ma io posso pagare da me, e posso comprare le mie dannate provviste quando voglio fare qualche torta.»

«Okay. Sono un po' confuso sul perché offrirmi di ripagarti per un mucchio di limoni ti faccia incazzare, ma visto che è così, ritiro l'offerta.»

«Tu proprio non ci arrivi» borbottò lei, mentre il commento beffardo di Linda sulla servitù riecheggiava nella sua mente. «Perché dovresti?»

«Perché non lo spieghi?»

Lei scosse la testa. «Ho intenzione di cucinare. Fare torte mi rende felice.» Allungò una mano per prendere il telecomando, inserì il comando di riproduzione casuale dei brani. «Allora, vattene in palestra.»

«Questo è il programma.» Ma posò la bottiglia per prenderle il viso tra le mani, studiarlo. «Sii felice» le disse. La baciò, prese di nuovo la bottiglia e uscì.

«Lo ero» mormorò lei. «Lo sarò di nuovo.» Determinata, iniziò a sistemare provviste e ingredienti come meglio credeva.

Mal entrò in cucina mentre lei stava mettendo del burro nella mistura di farina per l'impasto.

«Adoro vedere una donna che sa quel che fa in cucina.»

«Me ne rallegro.»

Lui andò verso la caffettiera, giudicò freddo il caffè avanzato, lo gettò. «Ne faccio un'altra caraffa. Ne vuoi?»

«No, ne ho bevuto abbastanza.»

«Allora, che c'è in menu?»

«Torte.» Sentì una nota stridula nella propria voce, fece uno sforzo per ammorbidirla. «Meringata al limone e torta di ciliegie.»

«Non resisto a un bel pezzo di torta di ciliegie.» Una volta messo su il bricco del caffè, si avvicinò al bancone, lo analizzò. «Usi dei veri limoni per la meringata al limone?»

«Be', avevano finito i mango.» Gli lanciò una breve occhiata mentre aggiungeva dell'acqua fredda. «Che altro dovrei usare?»

«Sai, quella piccola scatola con la figura di una fetta di torta.» Laurel si rilassò e cominciò a ridere. «Non nella mia cucina, amico. Succo e scorza vengono da limoni veri.»

«Che ne dici di questo?» Versò il caffè, poi guardò in una credenza. «Ehi, merendine. Ti scoccia se guardo?»

Sentendosi messa alla prova, Laurel interruppe quello che stava facendo e lo fissò. «Vuoi guardarmi mentre preparo delle torte?»

«Mi piace vedere come si fanno le cose, ma posso andarmene se ti do fastidio.»

«Solo una cosa: non toccare niente.»

«Affare fatto.» Prese posto su uno sgabello dall'altro lato del bancone.

«Sai cucinare?»

Lui aprì una merendina mentre parlava. «Quando sono andato la prima volta a Los Angeles, o imparavo a cucinare o facevo la fame. Ho imparato. Faccio una salsa di pomodoro dannatamente buona. Magari posso prepararla stasera, soprattutto se continua a piovere.»

«Mac è convinta che stia schiarendo.»

Mal diede un'occhiata fuori alla pioggia sottile e costante. «Mmm.»

«È quello che ho detto anch'io.» Prese il mattarello... uno ottimo di marmo che Del aveva comprato apposta per lei e che la fece sentire in colpa per essergli saltata alla gola.

Le sfuggì un sospiro mentre infarinava il piano di lavoro.

«È dura essere ricchi.» Lei sollevò lo sguardo, lo fissò di nuovo. «Cosa?»

«È più difficile essere poveri» disse con lo stesso tono noncurante. «Io sono stato - relativamente - entrambe le cose, ed essere poveri è più dura. Ma i ricchi hanno i loro problemi. Me la cavavo bene a Los Angeles. Un lavoro stabile. Mi sono fatto una reputazione, e un discreto gruzzolo che mi ha permesso di rimettermi in piedi quando mi sono fatto male facendo quello stunt. Quello mise fine al lavoro, ma mi hanno scaricato addosso una montagna di soldi per il mio problema.»

«Ti sei fatto molto male?»

«Mi sono rotto un paio di cose che non mi ero mai rotto prima, e altre che mi ero già rotto.» Si strinse nelle spalle mentre dava un morso alla merendina. «Il punto è, secondo il mio modo di vederla, che ci stavo nuotando dentro. Un sacco di altre persone hanno pensato la stessa cosa, e che potevano sguazzarci anche loro. I topi escono dalla tana in cerca di un bel pezzo di formaggio, poi diventano aggressivi se non lo dividi con loro, o se la loro parte non è sufficiente secondo il loro modo di pensare. Questo mi ha concesso di vedere le cose in una nuova prospettiva, di capire chi e cosa contava davvero, e chi e cosa no.»

«Già, immagino di sì.»

«Del ci ha sempre sguazzato nei soldi, quindi per lui in un certo senso è diverso.»

Laurel smise di stendere la pasta. «Stavi ascoltando?»

«Stavo passando di qui, ho sentito quella che immagino sia stata la fine della discussione. Non mi sono tappato le orecchie né mi sono messo a fischiettare. Ma forse tu non vuoi il mio parere.»

«Perché dovrei volerlo?»

Il suo tono glaciale non sembrò turbarlo minimamente. «Perché lo capisco. So cosa vuol dire avere bisogno di provare che puoi badare a te stesso, che puoi farcela da solo. Non ho passato quello che hai passato tu, ma non è poi molto diverso. Mia madre parla» aggiunse. «La lascio fare. Così ho sentito parte dei tuoi trascorsi.»

Lei fece spallucce. «Non è un segreto.»

«Dev'essere una rottura di palle, però, essere oggetto di pettegolezzi, specie quando è storia antica, e non riguarda direttamente te, ma i tuoi genitori.»

«Immagino che dovrei contraccambiare e dirti che so che hai perso tuo padre, che tua madre è tornata qui per lavorare per tuo zio. E che la cosa non ti è andata troppo a genio.»

«È un cazzone. Sempre stato.» Prese il caffè, gesticolò con la tazza. «Come fai a farlo? Lo strato esterno. Come fai a renderlo quasi perfettamente rotondo?» «Pratica.»

«Già, ci vuole più o meno per tutto.» La osservò in silenzio mentre lo piegava, posizionandolo nella prima tortiera, lo stendeva. «Applauso. Allora, dunque, la mia opinione...»

«Se devo ascoltarla, potresti renderti utile e snocciolare le ciliegie.»

«Come?»

Gli porse una forcina per capelli, ne prese un'altra. «Così.» Glielo mostrò, infilando la forcina alla base della ciliegia. Il nocciolo uscì fuori dalla parte superiore.

I suoi occhi, di un verde intenso, si accesero per l'interesse. «Cacchio, ma è geniale. Fammi provare.» Lo fece con considerevole abilità, non se lo aspettava, quindi gli mise davanti due ciotole.

«I noccioli qui, la frutta lì.»

«Capito.» Si mise al lavoro. «Del non pensa ai soldi come fanno molti di noi. Non è lo zimbello di nessuno, questo è poco ma sicuro. È generoso per natura... una cosa ereditaria, se quello che sento dei suoi genitori è vero anche solo per metà.»

«Erano persone straordinarie. Incredibili.»

«Questo è quel che si dice in giro.» Le mani di Mal lavoravano velocemente, abilmente - e questo la impressionò - con forcina e ciliegie. «È una persona sensibile e corretta. Non un pollo, ma preferisce spendere il denaro non solo per la propria tranquillità e per il proprio piacere, ma per costruire qualcosa, per lasciare un segno, per cambiare delle vite. È davvero un brav'uomo.»

«Sì, è così.»

«E poi non è uno stronzo, cosa fondamentale. Ehi. Non aprirai mica i rubinetti o che so io, vero?» Le chiese Mal con cautela.

«No. Non apro facilmente i rubinetti.»

«Bene. Quindi quello che sto dicendo è che lui compra questo posto... o lui e Gambe lo comprano.»

«Hai davvero intenzione di continuare a chiamare Parker 'Gambe'?»

«Di certo ne ha un gran bel paio. Un investimento, certo. E una via di fuga per loro. Ma lui - loro - l'hanno messo a disposizione degli altri. Mi sembra che avrebbero potuto dire: Okay, tempo di vacanza. Ci vediamo tra un paio di settimane. Ma non è quello che hanno fatto.»

«No, è vero.» L'opinione che si era fatta di lui migliorò notevolmente. Capiva, e apprezzava.

«Così ecco questa casa piena di persone. Mi sento un po' strano ad aggregarmi, ma questo è un problema mio. Per Del è 'abbiamo questo posto, usiamolo'. Niente obblighi, niente restrizioni.»

«Hai ragione. Accidenti.»

Quei penetranti occhi verdi incontrarono i suoi, con una comprensione che quasi le fece 'aprire i rubinetti'.

«Ma non si rende conto che noi ci sentiamo in obbligo, che ci creiamo le nostre restrizioni. Lui non lo percepisce né crede che debba essere così. Se lo facesse...»

«Si sentirebbe infastidito o insultato» concluse lei.

«Già. Ma a volte una ragazza ha bisogno di comprarsi i suoi limoni, quindi deve fare i conti con fastidi e insulti.»

Laurel finì di stendere un'altra sfoglia e la posizionò sul secondo tegame. «Dovrei riuscire a spiegarglielo. Suppongo tocchi a me.»

«Immagino di sì.»

«Proprio quando cominciavi a piacermi» gli disse, ma sorrise.

Quando Emma entrò in cucina, Laurel gli stava mostrando il modo corretto per fare le meringhe.

«Torneo nella sala giochi, tra un'ora.»

«Poker?» chiese Mal, illuminandosi.

«Se ne è discusso. Jack e Del stanno mettendo su insieme una qualche specie di decathlon, e il poker è un elemento.

Stanno litigando sul sistema di conteggio dei punti. Oooh, torta.»

«Devo finire questa, poi farò del pane mentre Mal prepara il sugo.»

«Tu cucini?»

«Preferirei giocare a poker.»

«Oh, be', potrei...»

Laurel puntò un dito contro Mal. «Abbiamo fatto un accordo.»

«Giusto. Ma il torneo non inizia finché non ho finito qui. E non ho lavato i piatti.»

«Ragionevole» concesse Laurel. «Ci servono novanta minuti» disse a Emma. «Se il resto delle matricole stasera vuole mangiare, dovrà aspettarci.»

Laurel portò un timer con sé, programmato per la fine della seconda lievitazione del pane. Le torte raffreddavano sulle rastrelliere e la salsa di Mal ribolliva lentamente sul fornello.

Sembrava un accordo maledettamente buono per una giornata di pioggia.

Quando entrò nella sala giochi, capì che Del e Jack avevano fatto del loro meglio per superare la noia di una giornata piovosa.

Avevano creato diverse tappe, le avevano persino numerate. Poker, Xbox, Dance Dance Revolution, biliardino.

Laurel faceva schifo al biliardino.

Chiunque era entrato e uscito dalla cucina nell'ultima ora, in cerca di snack e bevande. Il bar conteneva ciotole di patatine, salsa, formaggio, frutta, crackers.

Avevano anche preparato una lavagna con i punti, e scritto il nome di ciascuno.

«Sembra una cosa piuttosto seria.»

«La competizione non è roba per femminucce» le disse Del. «Parker ha cercato di bandire i sigari dal giro del poker.

È stata battuta ai voti. Ho sentito che Mal sta preparando la cena.»

«Sì. Abbiamo tutto sotto controllo. Ci vorranno solo un paio di timeout per controllare le cose.»

«Mi sembra giusto.»

Sì, pensò lei, lo era davvero. Generoso per natura, come aveva detto Mal. Si era dato parecchio da fare... per il suo stesso interesse, certo, gli piaceva giocare. Ma anche per assicurarsi che tutti si divertissero.

Gli fece cenno con un dito per spostarsi in un luogo un po' più appartato mentre Mac litigava con Jack sulla scelta dei videogame.

«Non ti chiederò scusa per la sostanza di quel che ho detto, ma per il modo in cui l'ho detto.»

«Va bene.»

«Non voglio che nessuno dei due, mai più, abbia l'impressione che il tuo portafoglio debba essere aperto.»

La frustrazione guizzò sul suo viso. «Io no. Tu no. Non è che...»

«Questo è quello che conta, allora.» Si sollevò in punta di piedi per sfiorarlo con un bacio. «Dimentichiamo tutto. Avrai ben altro cui pensare quando ti straccerò in questa gara.»

«Neanche per sogno. Il trofeo per il primo Torneo Annuale Vacanziero dei Brown sarà quasi certamente mio.»

«C'è un trofeo?»

«Certo che c'è un trofeo. Lo hanno fatto Jack e Parker.»

Seguì la direzione del suo dito. Sul caminetto c'era quello che doveva essere un pezzo di legno trasportato dalla corrente con delle conchiglie sistemate strategicamente per simulare un primitivo bikini. Alghe secche ricoprivano la 'testa'. Avevano disegnato sulla faccia un feroce sorriso tutto denti.

Laurel scoppiò a ridere e si avvicinò per dare un'occhiata più da vicino.

Fortunatamente, pensò Del, si era scrollata di dosso qualunque cosa la tormentasse. Ma questo non significava che non stesse acquattandosi in un angolo in attesa di colpire di nuovo.

Lui aveva avuto del tempo per pensarci, e credeva di aver capito di cosa si trattasse, almeno in parte... e quale ne fosse l'origine.

Credeva anche di sapere come scoprirlo.

Alzò lo sguardo su Emma che si occupava del bar.

Doveva solo aspettare il momento giusto, e usare l'approccio giusto.

«Che i giochi abbiano inizio» urlò Jack, e sollevò un cappello. «Tutti peschino un numero per il primo round.»

Laurel faceva davvero schifo a biliardino. Il suo fallimento era di proporzioni tali che fu battuta persino da Carter. Quella sì che era un'umiliazione, pensò.

Comunque, aveva fatto una strage a flipper con un misto di fortuna e abilità che le aveva fatto superare sia Jack che Del sul campo di gioco. Con loro grande disappunto.

E quella era una soddisfazione.

Sentiva che avrebbe detto la sua a poker. Ma in questo momento Mal e Parker li stavano decisamente stracciando a DDR. Non doveva fare neanche un errore per avere una minima possibilità di aggiudicarsi il trofeo.

Sorseggiò il vino mentre Parker e Mal raggiungevano una doppia A alla fine del secondo dei tre round.

Merda, probabilmente era spacciata.

Forse era ingiusto pensare che avere Mal lì bilanciasse le cose... Ma era così. Parker era perfettamente in grado di trovarsi un uomo da sola, se lo voleva, ma questo aggiungeva un certo interesse alla cosa.

E poi stavano davvero bene insieme.

Davvero bene.

Forse era meglio fare marcia indietro se stava per rubare il lavoro a Cupido.

Fece spallucce, prese un altro sorso di vino, poi si preparò per il suo round alla Xbox.

Entrò in finale a pari merito con Mac al quinto posto dopo aver stracciato Jack a DDR.

«Che sia dannata la Wii» borbottò lui. «Mi ha rovinato la reputazione.»

«Sei in quarta posizione.» Emma gli punzecchiò la pancia. «Io sono ultima. C'è qualcosa che non va nel flipper. E il mio controller della Xbox era difettoso.» Gli tolse di mano il sigaro. «Per scaramanzia» decise lei, e prese una boccata. «Bleah, non ne vale la pena.»

Dopo quaranta minuti di Texas Hold'Em, Laurel andò all in con un colore di cuori. Il piatto l'avrebbe portata in vetta, e avrebbe potenzialmente eliminato Emma, Mac e forse anche Carter.

Dopo che tutti attorno al tavolo ebbero fatto la loro puntata, sentì un ronzio d'eccitazione nel vedere gli avversari ripiegare tutti uno dopo l'altro. Fino a Carter.

Lui considerò, soppesò... all'infinito, pensò lei. Poi chiamò.

«Colore di cuori all'asso.» Laurel mostrò le proprie carte.

«Oh.» Carter si aggiustò gli occhiali, sembrò dispiaciuto. «Full di regine con sette. Scusa.»

«Wow!»

Al grido di gioia di Mac, Laurel si accigliò.

«Scusa, dovevo esultare. Dobbiamo sposarci.»

«Forse dovresti controllare la salsa» disse Mal.

«Sì, vado.» Si allontanò dal tavolo. «È stato quello stupido biliardino.»

Si prese il tempo necessario, girò la salsa, poi si allontanò per andare sul portico.

La previsione di Mac alla fine si avverò. Il cielo si era schiarito. Aveva aspettato tutto il giorno per farlo, ma ora era di nuovo blu. Più tardi sarebbero spuntate la luna e le stelle. Una serata splendida per una passeggiata sulla spiaggia.

Andò da Emma che stava versando una Coca Light.

«Eliminata?»

«Eliminata.»

«Evvai. Non arriverò ultima.»

«Potrei odiarti per questo, ma sarò magnanima. Jack è rimasto con le ultime fiches. Il nostro amore non ha spiccato il volo sulle ali dell'abilità e della fortuna, oggi. Cavoli, però è stato divertente. Ops, ecco il mio uomo. Immagino che dovrò consolarlo.»

Ci vollero ancora trenta minuti per le eliminazioni, e qualche altro per registrare i punteggi.

Alla fine, Del si allontanò dal tabellone per prendere il trofeo. «Signore e signori, abbiamo un pareggio. Parker Brown e Malcolm Kavanaugh hanno finito entrambi con centotrentacinque punti.»

Mal sorrise a Parker. «Sembra che ci divideremo il bottino, Gambe.»

«Potremmo fare uno spareggio, ma sono maledettamente stanca.» Gli tese una mano. «Dividiamo.»