16
Laurel non sapeva da dove fosse scaturito quell'impulso, ma lo seguì fino all'ufficio di Del. Sebbene lo avesse visitato raramente, per motivi personali o legali, conosceva bene l'ambiente.
La porta principale dell'antico e distinto edificio nel centro città si apriva, com'era giusto che fosse, su un atrio altrettanto distinto. L'ingresso ospitava in un angolo una graziosa zona per la reception, con piante cariche di foglie disposte in vasi di rame, tavoli d'antiquariato, ampie poltrone, colori tenui ravvivati dal diffondersi della luce.
Gli uffici tutelavano la privacy dei clienti grazie a spesse porte antiche finemente restaurate e i tappeti scoloriti dal tempo mettevano in risalto i toni scuri del parquet.
Del, lo sapeva, apprezzava quel mix di distinzione e avvolgente informalità.
Lasciò il caldo opprimente per il fresco che regnava all'interno, dove Annie, una donna che era stata una sua compagna di scuola, presidiava scrivania e computer.
Annie si voltò, e la cortese espressione professionale si trasformò in un ampio sorriso amichevole. «Laurel, ciao! Come stai? Non ci vediamo da mesi.»
«Mi tengono incatenata al forno. Ehi, un nuovo taglio di capelli. Lo adoro.»
Annie tentò di scuotere la testa. «Stiloso?»
«Assolutamente.»
«E, cosa fondamentale, la mattina per sistemarli bastano solo due minuti.»
«Per il resto, tutto bene?»
«Alla grande. Dovremmo vederci per un drink, raccontarci un po' di cose.»
«Volentieri. Ho portato qualcosa per Del.» Sollevò la scatola per dolci che aveva con sé.
«Se è qualcosa di simile alla torta che hai fatto per Dara, ho preso un chilo solo a guardare la scatola. È con una cliente. Posso...»
«Non interromperlo» disse Laurel. «La lascio a te.»
«Non so se ti conviene fidarti.»
Con una risata, Laurel posò la scatola sulla scrivania. «Ce ne sono abbastanza per tutti. Dovevo venire in città, così ho pensato di lasciare queste prima di...»
«Aspetta un secondo» la interruppe Annie quando squillò il telefono. «Buongiorno, Brown e Associati.»
Laurel si allontanò per permettere ad Annie di gestire la chiamata e cominciò a osservare distrattamente i dipinti alle pareti. Sapeva che erano originali e di artisti locali. I Brown erano sempre stati dei convinti patroni delle arti, e legati agli interessi locali.
Si rese conto che non aveva mai riflettuto su come Del fosse riuscito a mettere in piedi lo studio. Dopo la morte dei suoi genitori, ricordò adesso, e poco prima che loro fondassero Promesse. Probabilmente erano state tra i suoi primi clienti, ora che ci pensava.
Lei lavorava ai Salici, teneva a galla le sue finanze mentre Promesse organizzava i suoi primi eventi. Era stata troppo occupata, suppose, e troppo stanca per pensare a come Del si
stesse destreggiando tra lo studio alle prime armi, la gestione del patrimonio dei suoi genitori e gli aspetti legali di Promesse.
Si erano dati da fare come matti fra progetti, debiti, false partenze e lavori part time per rimpinguare i loro fondi. Eppure Del non era mai sembrato in preda alla frenesia.
Il sangue freddo dei Brown, suppose. Come pure la loro apparentemente innata sicurezza di riuscire a trasformare in un successo qualunque progetto.
Avevano sofferto insieme, ricordò. Erano stati tempi davvero difficili. Ma il dolore e le difficoltà avevano agito come una specie di collante, rendendoli sempre più uniti.
Si era trasferita da Parker, pensò Laurel, e non si era mai -almeno non seriamente - guardata indietro. E Del era sempre stato là, a occuparsi di dettagli che l'avevano a malapena sfiorata. Lo aveva capito, pensò adesso, ma gliene aveva dato atto?
Volse lo sguardo alla porta quando entrarono dei clienti. La giovane coppia si teneva per mano, sembrava felice. Avevano un'aria familiare, rifletté Laurel.
«Cassie?» Aveva preparato per loro la sua torta Pizzo Nuziale proprio quella primavera. «Ciao. E...» Merda, qual era il nome dello sposo?
«Laurel? Ciao!» Cassie le tese la mano amichevolmente. «Che bello vederti. Zack e io stavamo proprio mostrando le foto del matrimonio ad alcuni amici l'altra sera, e discutevamo di come non vediamo l'ora che arrivi il matrimonio di Fran e Michael tra un paio di mesi per tornare da voi. Sono ansiosa di scoprire cosa preparerai per loro.»
Se fosse stata Parker, si sarebbe ricordata precisamente chi fossero Fran e Michael, e tutti i dettagli del loro matrimonio confermati fino a quel momento.
Poiché non era Parker, Laurel si limitò a sorridere. «Spero che saranno felici quanto lo siete voi.»
«Non so se ci riusciranno, perché noi camminiamo a un metro da terra.»
«Stiamo per comprare la nostra prima casa» le disse Zack.
«Congratulazioni.»
«È fantastico e spaventoso allo stesso tempo, e... Oh, Dara. Sono tutti in perfetto orario.»
Laurel suppose che Annie avesse avvertito Dara del loro arrivo, e si voltò per salutarla.
«Oh, quella torta.» Con una risata, Dara strinse Laurel in un lieve abbraccio. «Era così bella... e deliziosa.»
«Come sta il bambino?»
«Splendidamente. Ho qualche centinaio di foto che potrei mostrarti se non devi fuggire via.»
«Mi piacerebbe vedere le foto del bambino» disse Cassie. «Adoro i bambini» aggiunse con un'occhiata venata di rammarico a Zack.
«Prima la casa, poi i bambini.»
«Posso aiutarvi con la prima parte. Seguitemi.» Dara fece l'occhiolino a Laurel, poi condusse i clienti nel suo ufficio.
Il telefono di Annie squillò di nuovo - c'era un gran movimento - così Laurel decise di andarsene. Ma proprio mentre prendeva quella decisione sentì la voce di Del.
«Cerchi di non preoccuparsi. Ha fatto tutte le cose per bene, e io farò quanto in mio potere per risolvere in fretta la questione.»
«Le sono davvero grata. Signor Brown, non so cos'avrei fatto senza il suo aiuto. È tutto così...» La voce della donna si ruppe.
Anche se Laurel fece un passo indietro, intravide Del e la sua cliente, e il modo in cui Del circondò con un braccio le spalle della donna mentre lei si sforzava di non piangere.
«Mi dispiace. Credevo di riuscire a controllarmi nel suo ufficio.»
«Non deve dispiacersi. Voglio che vada a casa e che cerchi di non pensarci.»
Accarezzò il braccio della donna. Laurel lo aveva visto usare quel gesto di conforto e sostegno - e ne aveva beneficiato lei stessa - un'infinità di volte.
«Si concentri sulla sua famiglia, Carolyn, e lasci che al resto pensi io. Mi farò vivo al più presto. Promesso.»
«D'accordo. E grazie, grazie ancora di tutto.»
«Ricordi quel che le ho detto.» Mentre accompagnava la cliente alla porta, vide Laurel. La sorpresa gli attraversò il viso come un lampo, poi tornò a concentrarsi sulla donna che stava accompagnando fuori. Mormorò ancora qualcosa alla cliente, che sbatté le palpebre per scacciare le lacrime e annuì, poi se ne andò.
«Be', ciao» disse a Laurel.
«Ti sto disturbando. Scusa. Ero passata per lasciare qualcosa per te, poi sono entrate un paio di persone per Dara, e io le conoscevo, così...»
«Zack e Cassie Reinquist. Vi siete occupate del loro matrimonio.»
«Dio, tu e Parker avete dei computer al posto del cervello. Fate spavento. Comunque, me ne vado così puoi...»
«Torna qui. Ho qualche minuto prima del prossimo appuntamento. Cosa mi hai portato?»
«Ho lasciato tutto di là.» Tornò alla reception per prendere la scatola.
«Scusa» mormorò Annie, allontanando il telefono dalla bocca. «Qui non ci si ferma mai.»
Laurel fece un gesto come a dire: Non ti preoccupare, e portò la scatola con sé.
«Mi hai portato una torta?»
«No.» Entrò con lui nel suo ufficio; il sole penetrava dalle alte finestre e altri oggetti antichi splendevano - tra questi la scrivania che sapeva essere stata di suo padre, e prima ancora di suo nonno - valorizzando l'ambiente.
Laurel posò la scatola, sollevò il coperchio. «Ti ho portato delle cupcakes.»
«Mi hai portato delle cupcakes.» Chiaramente perplesso, guardò nella scatola la dozzina di pasticcini glassati. «Sembrano buone.»
«Sono un cibo allegro.»
Studiò il volto di Del. Proprio come Emma aveva detto di conoscere il suo, Laurel conosceva quel viso. «Hai l'aria di qualcuno a cui serve un po' d'allegria.»
«Davvero? Bene.» Si chinò per darle un bacio leggero. «Questo mi mette allegria. Che ne dici di un po' di caffè con le cupcakes?»
Non aveva programmato di fermarsi... La sua agenda era così dannatamente fitta d'impegni. Ma lui aveva proprio l'aria di uno che andava tirato su di morale. «Certo. La tua cliente sembrava molto addolorata» iniziò lei, mentre Del andava alla macchina del caffè sistemata su una credenza Hepplewhite. «Probabilmente non puoi parlarne.»
«A grandi linee. La madre è morta di recente dopo una lunga e difficile malattia.»
«Mi dispiace.»
«È stata lei ad assisterla, e quando le condizioni della madre lo hanno reso necessario - ed era importante per entrambe che la madre morisse nella propria casa - ha prolungato l'aspettativa chiesta sul lavoro per prendersi cura di lei a tempo pieno.»
«Ci vogliono parecchio amore e dedizione per fare una cosa del genere.»
«Sì, è vero. Ha un fratello in California. È venuto un paio di volte, per darle una mano. Ha una sorella a Oyster Bay... che a quanto pare era troppo occupata per farle visita o per aiutarla più di un paio di volte al mese, a dir tanto.»
Porse a Laurel il caffè, si appoggiò alla scrivania. Prese una delle cupcakes, la studiò.
«Non tutti sono in grado di offrire amore e dedizione.»
«No, non tutti» mormorò lui. «C'era l'assicurazione, naturalmente, ma non copre tutto. Quello che era escluso la mia cliente l'ha pagato di tasca sua, finché la madre non l'ha scoperto e ha insistito per mettere il nome della figlia sul suo conto corrente personale.»
«Il che richiede amore e fiducia.»
«Sì.» Del sorrise leggermente. «È vero.»
«Nonostante l'esperienza terribile che hanno affrontato, sembra che avessero qualcosa di speciale. La tua cliente e la madre.»
«Sì, hai ragione. L'assenza dal lavoro ha pesato molto a livello finanziario, ma la mia cliente e la sua famiglia l'hanno affrontato. Il marito e i figli hanno dato una mano quando potevano. Sai come dev'essere prendersi cura di un genitore in fin di vita, che alla fine è costretto a letto, non più autosufficiente e bisognoso di un'alimentazione speciale, di cure costanti?»
Non era solo giù di morale, comprese lei. Era arrabbiato. Molto arrabbiato. «Posso solo immaginarlo. Dev'essere uno sforzo terribile, fisicamente, emotivamente.»
«Per due anni, gli ultimi sei mesi ventiquattr'ore su ventiquattro. Le faceva il bagno, la cambiava, le lavava i vestiti, la nutriva, amministrava le sue finanze, puliva la casa, sedeva accanto a lei, leggeva per lei. La madre ha cambiato le proprie volontà testamentarie, ha lasciato la casa, tutto ciò che aveva - tranne alcuni oggetti particolari - e il grosso del suo patrimonio alla figlia. Ora che se n'è andata, ora che la mia cliente e il fratello hanno pensato a tutte le spese funerarie, la sorella contesta queste volontà. Accusa la mia cliente di aver influenzato ingiustamente la madre in suo favore. Lei è furibonda, ed è stata personalmente accusata di aver sottratto denaro, gioielli, oggetti dalla casa, spingendo la madre moribonda contro la sorella.»
Quando Laurel non disse nulla, Del mise da parte il suo caffè. «All'inizio la mia cliente voleva lasciar perdere, darle tutto ciò che desiderava. Tra il dolore e lo stress, non credeva di poter sopportare altro. Ma il marito e - bisogna dargliene atto - il fratello non hanno voluto.»
«Così sono venuti da te.»
«La sorella ha ingaggiato un avvocato che le calza a pennello, come un maledetto guanto. Li prenderò a calci nel culo.»
«Scommetto che ci riuscirai.»
«La sorella aveva una possibilità. Sapeva che la madre stava morendo, che le era rimasto poco tempo. Ma non l'ha usato per stare con lei, per dirle addio, per dire tutte le cose che la maggior parte delle persone crede di avere un'infinità di tempo per dire. Adesso vuole la sua fetta, ed è determinata a distruggere il rapporto, o quel che è, con i fratelli. A procurare altro dolore alla sorella. E per cosa? Per i soldi. Non capisco come... Scusami.»
«Non scusarti. Mi rendo conto che non ho mai riflettuto granché su quello che fai. Pensavo fosse solo roba da avvocato.»
Lui riuscì a esibire un sorriso. «Faccio roba da avvocato. Questa è roba da avvocato.»
«No, cioè, la roba legale che perlopiù irrita la maggior parte delle persone. Firma questo, archivia quello... e i vari questo e quello sono così complicati e scritti in un linguaggio talmente ridicolo che sono ancora più irritanti.»
«Noi avvocati amiamo i nostri 'laddove'.»
«Con o senza quegli stupidi 'laddove' si tratta pur sempre di persone. La tua cliente soffrirà ancora, ma il suo stress è alleggerito perché sa di avere te a coprirle le spalle. È molto importante quello che fai, e io non ci avevo mai riflettuto.»
Allungò una mano per accarezzargli il viso. «Mangia una cupcake.»
Per accontentarla, immaginò lei, ne prese un morso. E questa volta il sorriso raggiunse anche il suo sguardo. «È
buona. È allegra. Questa storia mi ha coinvolto tantissimo. Non credo di aver capito quanto finché non mi sono confidato con te.»
«È quello a cui hai lavorato stanotte?»
«Principalmente sì.»
«E il motivo per cui sei stanco oggi. Tu non hai mai l'aria stanca. Potrei venire da te stasera, prepararti la cena.»
«Non avete una prova stasera, e un evento domani?»
«Stasera posso squagliarmela. Domani è un altro giorno.»
«Dovrei avere più spesso l'aria stanca. Che ne dici se vengo io da te? Sono stato rintanato qui e a casa negli ultimi due giorni. Cambiare ambiente non guasterebbe. E nemmeno stare con te. Mi sei mancata.»
Il cuore di Laurel si intenerì, e lei volò tra le sue braccia per un bacio appassionato. Quando lui posò la guancia sulla sua testa, il telefono squillò. «Il prossimo cliente» mormorò.
«Sparisco. Dividi le tue cupcakes con i colleghi.»
«Forse.»
«Se le mangi tutte ti sentirai male... E sarai troppo pieno per la mia cena. Anche se dovresti ricordare che sono meglio come pasticciera che come cuoca.»
«Posso sempre prendere una pizza» le disse, e la sentì ridere mentre usciva.
Del si concesse ancora un momento con il caffè e la sua cupcake, e il pensiero di lei. Non era sua intenzione raccontarle tutto riguardo alla sua cliente, e alla sua situazione. Non si era reso conto, davvero, di quanto fosse furioso per quel caso. E la cliente non lo pagava perché si infuriasse, ma perché rappresentasse i suoi interessi.
O meglio, lo avrebbe pagato una volta che avesse preso a calci in culo l'avvocato della sorella. Aveva rinunciato a un anticipo. Poteva permetterselo, e proprio non poteva accettarlo da una donna che aveva passato tutto ciò che aveva passato lei.
Ma la cosa fondamentale era che non aveva capito quanto
fosse utile avere qualcuno con cui sfogarsi, che capisse perché questo caso particolare lo colpiva a quel modo.
Non doveva spiegarlo a Laurel. Lei lo sapeva e basta.
Un dono incalcolabile, rifletté.
E c'era stato qualcosa nel modo in cui gli aveva accarezzato il viso... Un semplice gesto di affetto che però aveva smosso qualcosa dentro di lui. Non era sicuro di cosa fosse, cosa significasse, o cosa significasse che adesso ogni volta che la guardava vedeva qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso.
Come si fa a conoscere qualcuno da tutta la vita, e scoprire ancora qualcosa di nuovo?
Avrebbe dovuto rifletterci, si disse. Sistemata l'allegra scatola di dolci accanto alla macchina del caffè, uscì per accogliere il cliente successivo.
Avrebbe dovuto permettergli di prendere la pizza, pensò Laurel, indaffarata a preparare nella cucina principale. Aveva ancora torte e altri dessert da finire nella sua cucina, e il frastuono dei lavori aveva raggiunto il picco massimo.
Non le era possibile preparare la cena là dentro.
«Avrei potuto preparartela io» commentò la signora G.
«E sarebbe stato come barare. Riesco a sentire anche quello che lei non dice.»
«Tu stai sentendo ciò che credi io non stia dicendo, quando quello che in realtà non sto dicendo è che sarebbe come barare se tu facessi finta di aver preparato la cena.»
Laurel si fermò un istante, desiderando ardentemente di accettare l'offerta. Poteva semplicemente dire che aveva cucinato la signora G perché lei era stata troppo impegnata per farlo. Non gli sarebbe importato, ma...
«Ho detto che avrei cucinato io. E poi stasera lei esce con le amiche.» Fece un bel respiro. «Dunque, insalata mista con vinaigrette a base di aceto balsamico, linguine ai frutti di mare e pane fatto in casa. È piuttosto semplice, no?»
«Abbastanza semplice. Sei titubante sulla cena. E su di lui.»
«Si tratta di cibo. So come sono fatta, ma non posso farci niente. Deve essere perfetto, soprattutto la presentazione.» Si aggiustò distrattamente il fermaglio tra i capelli. «Sa, signora G, se avrò mai dei figli, probabilmente mi ci vorranno venti minuti per la perfetta presentazione di pane, burro e marmellata. Dovranno andare tutti in analisi.»
«Credo che te la caverai abbastanza bene invece.»
«Non ci ho mai pensato seriamente. Ad avere dei figli, intendo.» Tirò fuori l'insalata, i pomodorini, le carote che voleva tagliare a julienne, lavare, asciugare e mettere in frigo prima di preparare l'insalata. «C'è sempre così tanto da fare lì per lì, che non ho mai pensato molto al futuro.»
«E adesso ci stai pensando?» La signora G cominciò ad asciugare le verdure che Laurel lavava.
«Credo sia una cosa che mi torna in mente di tanto in tanto. Forse è una questione di orologio biologico.»
«Forse ha a che fare con il fatto di essere innamorata.»
«Forse. Ma sono due le persone che devono essere innamorate e pensare al futuro. Oggi ho incontrato una coppia che si è sposata qui questa primavera.» Guardava fuori dalla finestra mentre preparava, verso il verde e il blu dell'estate. «Erano nell'ufficio di Del per gestire gli aspetti legali dell'acquisto della loro prima casa. Se ne occupava Dara, ed è venuto fuori il discorso del bambino. La sposa - be', la moglie - era tutta sognante al pensiero di un bambino, e il marito le ha detto: Prima la casa, poi un bambino... O qualcosa del genere. Una giusta osservazione.»
«I figli non sempre arrivano quando è il momento giusto.»
«Già, la sposa di domani ha appena scoperto di essere incinta. Ma quel che voglio dire è che ha senso pianificare tutti i passaggi, percorrerli in ordine logico. Avere pazienza.»
«Prenderla con calma.» La signora G fece una carezza sbrigativa alla schiena di Laurel.
«A volte. Un pochino, comunque. Non ho bisogno di tutta quell'agitazione, di tutti i dettagli, di tutte le decorazioni. Essenzialmente, di tutto quello che facciamo qui. Emma sì, e un giorno anche Parker, e dio sa se Mac non si è lasciata travolgere.»
«E vero, e credo sia stata una sorpresa per lei.»
«Ma io no. Non ho bisogno di un anello o di un certificato di matrimonio o di uno spettacolare abito bianco. Non è tanto il matrimonio - o almeno non del tutto - che conta. È la promessa. Sapere che qualcuno vuole che io faccia parte della sua vita. Qualcuno che mi ami, che mi consideri la sua anima gemella. Questo è tutto ciò che conta.»
«Con chi credi che voglia stare Del stasera a parte te?»
Laurel scrollò le spalle. «Non lo so. So che sarà felice qui con me. Questo non sarà tutto ciò che conta, ma è abbastanza.» Il timer che aveva impostato suonò. «Merda. Devo tornare nella mia cucina. Non cucini niente.»
«Agirò come un aiuto cuoco e nulla più. Finirò di lavare queste, le asciugherò e le metterò da parte per te. Questo non è barare.»
«Ha ragione. Grazie.»
Mentre Laurel fuggiva via verso il compito successivo, la signora Grady si chiese perché la ragazza non prendesse in considerazione l'eventualità che forse anche Del volesse un po' di quel tutto che contava.
«L'amore» mormorò mentre lavava la verdura. «Nessuno che ci sia dentro fino al collo sa mai come diavolo gestirlo.»
Naturalmente, l'unica volta che Laurel aveva bisogno che una prova andasse liscia e finisse in fretta, questa si trasformò invece in un circo che presentava come attrazioni una sposa in lacrime - forse per via degli ormoni -, una madre dello sposo inebetita dal caldo, un garçon d'honneur inebetito da un po' troppi festeggiamenti pre-prova. In aggiunta a tutto questo, prima damigella e paggetto - fratello e sorella -avevano colto l'occasione dell'evento per mostrare tutto il loro disprezzo reciproco.
Con due bambini che correvano e urlavano, la sposa che si lasciava andare a una crisi di pianto tra le braccia della madre e la madre dello sposo che si sventolava all'ombra, Laurel non potè squagliarsela come aveva programmato.
Parker gestì ogni cosa... Tutte contribuirono, ma Parker sembrava possedere il dono dell'ubiquità. Suggerì alla madre dello sposo di bere dell'acqua, al garçon d'honneur del caffè ghiacciato, badò ai bambini e fece distrarre lo sposo preoccupato.
La damigella d'onore - e madre dei bellicosi fratellini -fece del suo meglio per riportare l'ordine. Ma, pensò Laurel mentre porgeva del tè freddo a qualcuno, la donna era in inferiorità numerica.
«Dov'è il padre?» chiese sottovoce a Emma.
«Viaggio d'affari. L'aereo ha subito un ritardo. È per strada. Io prenderò la bambina, vedo se riesco a invogliarla a raccogliere un mazzolino di fiori. Magari tu potresti prendere il bambino...»
«L'insegnante è Carter. Dovrebbe farlo Carter.»
«È occupato con il garçon d'honneur mezzo sbronzo. Credo che la damigella d'onore avrebbe bisogno di una pausa, e magari può aiutare a rimettere un po' in sesto la sposa. Mac e Parker possono gestire il resto.»
«Okay, bene.» Lasciando Emma a calmare la madre, Laurel posò il tè freddo e i bicchieri sul tavolo, poi si avvicinò al bambino. «Vieni con me.»
«Perché?»
«Perché sì.»
Sembrò una risposta comprensibile per lui, anche se aggrottò le sopracciglia perplesso. Trotterellò via con lei, lanciando alla sorellina degli sguardi che giuravano vendetta.
«Non voglio mettere lo smoquing.»
«Nemmeno io.»
Represse a stento una risata, con fare derisorio. «Le femmine non portano lo smoquing.»
«Se vogliono, sì.» Laurel abbassò lo sguardo su di lui. Doveva avere cinque anni, immaginò, ed era piuttosto carino. O lo sarebbe stato se non fosse stato stremato, teso e imbronciato. «Ma domani tutti i maschi del seguito nuziale dovranno indossarlo. Aspetta. Forse non sei abbastanza grande per portarlo.»
«Sì, invece!» L'offesa aveva colpito nel segno. «Ho cinque anni.»
«Meno male. Che sollievo» disse mentre lo conduceva verso il laghetto. «Perché sarebbe stato un gran pasticcio se avessimo dovuto cercare un altro paggio per domani. Non si possono sposare se non c'è il paggio a portare gli anelli.»
«Perché?»
«Non possono e basta. Così sarebbe stata dura trovare qualcun altro. Hai un compito davvero importante.»
«Più di Tissy?»
Laurel capì che Tissy era la sorellina. «Anche il suo compito è molto importante. Lei ha un compito da femmina, ma tu hai un compito da maschio. Lei non deve mettere lo smoking.»
«Nemmeno se vuole?»
«No, nemmeno se vuole. Guarda» gli disse, e indicò le ninfee. Vicino al bordo una foglia serviva da galleggiante a un grosso ranocchio verde.
Quando arrivò, Del la vide vicino al laghetto, accanto alle fronde del salice, mano nella mano con un bambino dai capelli lucenti come il sole, proprio come i suoi.
La cosa lo lasciò di stucco, con una lieve morsa allo stomaco. L'aveva vista con dei bambini prima d'allora, ricordò a sé stesso. Ai matrimoni ce n'era sempre qualcuno. Ma... c'era qualcosa di strano, forse quasi sognante, nell'immagine che creavano insieme, accanto al laghetto, troppo lontani da lui perché potesse vedere chiaramente i loro volti. Solo quei capelli color del sole, e le mani intrecciate.
Mentre li osservava, cominciarono a tornare indietro, il bambino che guardava in su verso di lei, lei con lo sguardo su di lui.
«Ehi, Del.»
Si ritrasse da quella curiosa visione sognante e si voltò verso Carter. «Ciao. Come sta andando?»
«Adesso bene, direi. Dieci minuti fa eravamo al 'si salvi chi può'. Stiamo per cominciare. Di nuovo.»
«Una di quelle.»
«Oh, sì. Credo che Laurel... Eccola lì.»
Laurel si fermò a parlare con una donna che teneva una bambina in braccio, scambiò una parola veloce, una risata rilassata con lei. Poi si chinò sul bambino e gli mormorò qualcosa all'orecchio. Lui sorrise come se gli avesse promesso una fornitura a vita di biscotti.
Del le andò incontro e la raggiunse a metà strada. «Ti sei fatta un nuovo amico?»
«Pare di sì. Siamo indietro.»
«Così mi hanno detto.»
«Parker riporterà tutto in carreggiata» disse nell'istante in cui l'amica richiamò tutti al loro posto.
Del rimase in disparte insieme a Carter mentre Parker dava istruzioni e le altre tre donne guidavano e allineavano il seguito nuziale.
A lui sembrò che andasse tutto liscio come l'olio, che tutti fossero felici. Vide Laurel e il bambino scambiarsi un sorriso mentre lui si dirigeva verso il pergolato.
Qualche attimo dopo, fece un cenno a Del ed entrò in casa.