10

 

 

Mentre gettava le chiavi nella ciotola sulla credenza e metteva il cellulare in carica, Del prese in considerazione una breve nuotata prima di andare a letto. Qualcosa di fisico, pensò, per placare la frustrazione sessuale nella speranza di riuscire a dormire. Si tolse la camicia e le scarpe, e si diresse in cucina per prendere una bottiglia d'acqua.

Era la cosa giusta da fare, questa attesa. Laurel occupava un posto troppo importante nella sua vita - aveva un ruolo troppo complesso - per affrettare questo cambiamento tra loro.

Non era soltanto una donna interessante, attraente. Era Laurel. La tosta e divertente, sfacciata e decisa Laurel McBane. Possedeva così tante delle qualità che lui ammirava in una donna... E tutte in un unico pacchetto davvero sexy.

Per tutti quegli anni, rifletté, aveva ritenuto quel pacchetto off-limits. Ora che lei - lui - loro, decise, avevano abbattuto ogni restrizione, la desiderava più di quanto si fosse aspettato.

Questo aggiungeva un altro motivo per aspettare.

L'impulso era una cosa grandiosa. Era un grande sostenitore delle azioni fatte d'impulso. Ma non quando si trattava di qualcuno così importante come lei, e su così tanti e complessi livelli. Calma e giudizio, ricordò a sé stesso. Stava funzionando, no? In un breve periodo di tempo avevano imparato cose l'uno dell'altra che nessuno dei due aveva mai approfondito in tutti quegli anni di conoscenza.

Avrebbero trascorso le vacanze insieme come avevano fatto un'infinità di altre volte... Ma sotto una luce completamente nuova, con un approccio completamente diverso. Quello era il genere di cosa che dovevano fare prima del passo successivo.

Gli stava bene, stava gestendo bene la cosa.

Si chiese se quel mese sarebbe mai finito.

Nuotare, ordinò a sé stesso un istante prima di sentire i colpi alla porta e il ronzio insistente del campanello, che lo fecero tornare indietro all'ingresso.

Gli artigli affilati del panico gli lacerarono lo stomaco nell'attimo in cui vide Laurel, senza fiato, con gli occhi spalancati, il viso arrossato.

«C'è stato un incidente? Parker.» La afferrò, in cerca di ferite mentre la sua mente era già proiettata in avanti. «Chiama il 911. Io andrò...»

«No. Nessun incidente. Va tutto bene. Stanno tutti bene.» Lo fece calmare con un cenno della mano, prese un bel respiro. «Ecco la questione. Non puoi contare oggi, e in realtà è già domani, quindi non puoi contarlo. O il primo giorno, perché è il primo.»

«Cosa? Ti senti bene? Dove sono tutti? Cos'è successo?»

«Non è successo niente. Sono tornata indietro.» Sollevò una mano come per calmarlo e si passò l'altra fra i capelli. «Si basa tutto sulla matematica, in realtà, e il fatto che oggi è già domani perché è passata la mezzanotte. Ecco tutto. E poi non devi contare i week-end. Chi li conta, i week-end? Nessuno lo fa. Cinque giorni lavorativi, è questo quello che dicono tutti.»

Il panico lasciò lentamente posto alla perplessità. «Riguardo a cosa?»

«Tutto. Fa' attenzione.» Lo punzecchiò con un dito. «Cerca di seguirmi.»

«Be' vorrei - potrei - se solo sapessi di che diavolo stai parlando.»

«Ascolta, okay?» Fece per togliersi i sandali che si era messa dopo la partita di baseball, ma si fermò. «Le cose starino così. Togli il primo giorno e oggi, e i week-end. Sono dieci giorni, che in realtà sono due settimane sotto molti punti di vista.» Mentre le parole si riversavano fuori, lei fece un gesto con una mano, poi con l'altra. «E poi, non credo che trenta giorni vadano bene quando intendi dire un mese. Quello è composto da quattro settimane. Ventotto giorni, quattro volte sette. È solo matematica elementare. Quindi se togli le due settimane che non contano per via dei week-end e tutto il resto, siamo indietro.»

«Indietro con... Oh.» La comprensione portò sollievo, divertimento e gratitudine in un colpo solo. «Mmm. Non sono sicuro di aver afferrato tutto. Potresti ripetermelo di nuovo?»

«No. Ho capito tutto. Fidati della mia parola. Così sono tornata indietro perché siamo rimasti indietro.»

«E non possiamo permetterlo, vero?»

«È semplice matematica. Ora abbiamo più opzioni tra cui scegliere. A, mi porti a casa; B, chiamo un taxi; oppure C, resto qui.»

«Fammici pensare. Fatto.» La strinse di nuovo, poggiò la bocca sulla sua.

«Risposta esatta.» Si diede una spinta e gli avvolse le gambe attorno alla vita. «Decisamente la risposta esatta. Puoi ringraziarmi dopo per aver capito tutto.» La bocca di Laurel trovò di nuovo la sua per un bacio caldo, insistente. «Ma ora sto uscendo di testa. Faresti meglio a farlo anche tu.»

«Stavo pensando a te, a quanto ti voglio.» Cominciò a salire le scale. «Non riesco a pensare ad altro. Ringrazio dio per la regola dei cinque giorni lavorativi.»

«È la prassi standard nel settore produttivo» riuscì a dire mentre il cuore prendeva a martellarle di nuovo nelle orecchie. «Abbiamo gonfiato troppo la cosa. Il sesso. Non riesco a pensare in modo lucido quando sono ossessionata da qualcosa, e non riesco a pensare a nient'altro se non a quanto desidero stare con te. Continuo a pensare a come sarà, ma non voglio pensarci. Voglio solo che accada. Sto parlando troppo. Visto? Sono fuori di testa.»

«E allora siamo in due.»

Quando finì sul letto insieme a lei, le gambe di Laurel si strinsero attorno alla sua vita, le sue mani gli sfiorarono la schiena per poi tornare di nuovo su. Laurel sentì le prime fitte di disperazione persino quando le loro labbra si incontrarono di nuovo. Un calore la pervase, traboccò in lei... così rapido, così intenso da toglierle il respiro. Troppo lunga quell'attesa, pensò, come il continuo interrogarsi e il desiderio.

Si aggrappò ai suoi fianchi, inarcandosi quando i suoi denti le sfiorarono leggermente la gola e risvegliarono decine di terminazioni nervose. Cercò di raggiungere con le mani il bottone dei suoi jeans, ma lui le afferrò i polsi, fece scorrere i pollici sulle sue vene pulsanti.

«Troppo in fretta.»

«Ma aspettiamo da una vita.»

«E allora cosa vuoi che sia qualche attimo in più?» Si sollevò e in quello scorcio di chiaro di luna cominciò a sbottonarle la camicetta. «Ho passato un sacco di tempo a cercare di non guardarti in un certo modo. Voglio godermi ogni sguardo. E ogni tocco. Ogni assaggio.» Mentre le apriva la camicia, con le dita percorse la sua pelle.

Toccarla era quasi come completare finalmente un puzzle, cogliere per la prima volta la sua bellezza e complessità. I tratti del suo viso, le curve del suo corpo, erano suoi adesso perché li esplorasse.

Quando Laurel allungò una mano verso di lui, Del la sollevò per poterle sfilare la camicetta, assaporare la pelle liscia delle spalle forti. Le slacciò il reggiseno, udì il lieve ansito di lei prima di farle scivolare le spalline lungo le braccia. Altra pelle di seta sfiorò la sua mentre lei sollevava la testa per invitarlo a baciarla.

Un bacio lento, bruciante, profondo con le lingue che si cercavano frenetiche mentre lui la faceva sdraiare di nuovo per guardare in quegli sfrontati occhi blu, mentre le sfiorava il seno con le dita. Laurel tremò, e la sua reazione gli attorcigliò lo stomaco per il desiderio, caldo e insistente.

«Lasciami fare» mormorò lui, e chiuse la bocca sul suo seno.

Il piacere bruciò sulla pelle di Laurel e le percorse in un istante tutto il corpo mentre si concedeva alle sue mani, alla sua bocca. Del prese ciò che voleva... Ma centimetro dopo centimetro, in modo tortuoso, lancinante, sfruttando le sue debolezze, i suoi bisogni, come se conoscesse ogni suo segreto nascosto.

«Volevo tutto questo. Volevo te» mormorò lei.

«Adesso è nostro. Ognuno di noi ha l'altro.»

Le sfilò i jeans, mentre la sua bocca le percorreva l'addome, le gambe. Il tempo, un'infinità di tempo si dilatò, e si fermò.

Proprio adesso, pensò lei. Questo momento.

Sembrava che tutto in lei si stesse svelando per lui, e tutto in lei era calore e desiderio. Piano, si impose Del, anche se il suo bisogno aveva cominciato a scalpitare al limite del controllo, e usò le mani per condurla all'apice del piacere.

Guardò il piacere che trasformava i suoi occhi in cristalli blu, assaporò i suoi gemiti mentre le loro bocche si incontravano.

Alla fine, quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo,

Del si liberò dei vestiti e scivolò dentro di lei, indugiò per un istante mentre entrambi fremevano.

Lei pronunciò il suo nome, un unico, secco sospiro, poi si sollevò per accoglierlo.

Niente più interrogativi ora, ma solo lo stupore di muoversi insieme. Finalmente, pensò lei, finalmente. E fu sopraffatta.

Giacque sotto di lui, debole e selvaggiamente felice, con le labbra curvate in un sorriso contro la sua spalla perché i loro cuori battevano l'uno contro l'altro.

Questa volta aveva lasciato che fosse lui a condurre il gioco, pensò, ma sembrava sfinito e soddisfatto come lei. Gli accarezzò la schiena, e quel bel sedere, visto che poteva.

«Una mia idea.»

Lui si lasciò sfuggire una debole risata. «Ottima, direi.» Si spostò per attirarla al proprio fianco. «Sì, davvero ottima.»

«Se usiamo la matematica e la mia formula, non abbiamo perso la scommessa.»

«Date le circostanze, credo che possiamo rinunciare alla scommessa. Abbiamo vinto comunque.»

Laurel decise che se fosse stata un pizzico più felice, cuoricini rosa e uccellini azzurri le sarebbero schizzati fuori dalle punte delle dita. «Immagino tu abbia ragione.» Emise un sospiro soddisfatto. «Devo svegliarmi davvero presto.»

«Okay.» Ma le sue braccia la circondarono, comunicandole che non sarebbe andata da nessuna parte.

Si girò per dargli un ultimo bacio. «Valeva la pena di aspettare?»

«Assolutamente sì.»

Chiuse gli occhi e si addormentò tra le sue braccia.

Laurel desiderò di avere con sé una torcia elettrica. E uno spazzolino da denti. Annaspare nel buio la mattina dopo non era mai diventato più facile nonostante la pratica, decise. Almeno aveva trovato il reggiseno e una scarpa. Si lasciò sfuggire un brontolio di soddisfazione quando le sue dita incerte raggiunsero l'elastico delle mutandine.

Una camicia, una scarpa e i pantaloni ancora da trovare, pensò, e la borsa era al piano di sotto dove l'aveva lasciata. Lì avrebbe trovato le mentine e il numero del taxi.

Avrebbe ucciso per un caffè. Avrebbe mutilato qualcuno anche solo per sentire l'odore del caffè.

Inginocchiata a terra, continuò a sondare il pavimento, poi si concesse un mentale ta-dà quando trovò l'altra scarpa.

«Che stai facendo lì sotto?»

«Scusa.» Si raddrizzò sedendosi sui talloni. «Sto cercando il resto dei miei vestiti. Te l'ho detto che dovevo alzarmi presto.»

«Ma che ore sono? Gesù, non sono nemmeno le cinque.»

«Benvenuto nel mondo dei pasticcieri. Ascolta, se potessi usare la luce solo per trenta secondi, riuscirei a trovare il resto e a togliermi dai piedi, così potresti tornare a dormire.»

«Non hai la macchina.»

«Chiamerò un taxi quando sarò di sotto. Ho tutto tranne...» La luce si accese di colpo, costringendola a socchiudere gli occhi prima di riuscire a ripararli con una mano. «Potevi avvertirmi. Solo un secondo.»

«Hai un aspetto... interessante.»

«Ci scommetto.» Poteva immaginare la scena abbastanza bene. Nuda, i capelli che sembravano due gatti durante un incontro di wrestling, accovacciata a terra con in mano la biancheria e le scarpe.

Perché Del non aveva il sonno pesante?

«Due secondi.» Avvistò la camicia e si chiese cosa fosse meno decoroso. Strisciare per recuperarla o alzarsi in piedi per raggiungerla. Strisciare, concluse, non è mai una cosa decorosa.

La nudità non importava. L'aveva vista nuda. Ma non l'aveva mai vista nuda la mattina quando non si avvicinava nemmeno al livello più basso di decenza.

E maledizione, desiderò che la smettesse di sorriderle a quel modo.

«Torna a dormire.»

Si alzò in piedi, fece un passo in direzione della camicia. Le sue scarpe volarono in aria quando lui la afferrò e la trascinò di nuovo sul letto.

«Del, devo andare.»

«Non ci vorrà molto.» Rotolò sopra di lei, rendendole assolutamente chiaro che il disastro dei suoi capelli non lo scoraggiava minimamente.

Quando lui le sollevò i fianchi e si spinse delicatamente dentro di lei, Laurel decise che c'erano alcune cose migliori del caffè la mattina.

«Probabilmente ho solo un paio di minuti.»

Lui rise, strofinando il viso sulla curva della sua spalla.

Laurel lasciò che il piacere crescesse in lei, lento, sommesso, dolce, di pari passo con le pulsazioni che acceleravano fino a raggiungere il culmine. Tutto in lei divenne pesante e intorpidito, con lui che ormai era parte di lei, anima e corpo.

La caduta, dolce come la salita, le fece desiderare di potersi accoccolare lì con lui e tornare a dormire.

«Buongiorno» mormorò lui.

«Mmm. Stavo per dirti che ero dispiaciuta per averti svegliato, ma non lo sono affatto.»

«Nemmeno io. Immagino che sia meglio trovare i vestiti così ti riaccompagno a casa.»

«Prenderò un taxi.»

«Nient'affatto.»

«Non essere sciocco. Non c'è ragione per cui ti debba alzare e vestire per portarmi a casa quando non devo far altro che chiamare un taxi.»

«La ragione è che hai passato la notte nel mio letto.» «Benvenuto nel XXI secolo, sir Galahad. Sono venuta qui da sola, quindi posso benissimo...»

«Sai, ti trovi davvero in una strana posizione per iniziare una discussione.» Si puntellò sui gomiti per osservarla meglio. «Se resisti ancora dieci minuti, dovrei riuscire a darti un altro motivo per non prendere un taxi.»

«Questo è un tempo di recupero piuttosto ottimista.»

«Vogliamo vedere chi ha ragione?»

«Fammi alzare. E visto che hai deciso di essere così cavalleresco, che ne dici di darmi anche uno spazzolino da denti?»

«Questo posso farlo. Posso anche mettere un po' di caffè in un paio di tazze da asporto.»

«Per un caffè, puoi portarmi dove vuoi.»

In meno di quindici minuti, e armata di un caffè grande, Laurel uscì di casa. «Piove. A dirotto» si corresse poi. Come aveva potuto non accorgersene? «Del, non...»

«Smettila di fare storie.» Le prese la mano e la trascinò di corsa verso la macchina. Completamente fradicia, salì in macchina, poi scosse la testa quando lui si sedette al volante.

«Non sto facendo delle storie.»

«Okay. Che ne dici di una chiacchierata?»

«Meglio» concesse lei. «Volevo solo evitare di creare un precedente per cui tu ti senta obbligato ad accompagnarmi a casa o quant'altro. Se seguo un impulso, poi devo saper gestire tutto ciò che comporta. Come i mezzi di trasporto.»

«Mi sono davvero goduto l'impulso, ma a dispetto di questo, quando sono con una donna, la riaccompagno a casa. Considerala la Regola del Passaggio Brown.»

Laurel vi rifletté per un po' tamburellando con le dita sulle ginocchia. «Quindi, se tu seguissi un tuo impulso, sarei obbligata a riaccompagnarti a casa.»

«No. E no, non la considero una cosa sessista, ma una cosa elementare.» La guardò di sfuggita, gli occhi ancora impastati di sonno mentre guidava in quel mattino piovoso. «Uguali diritti, uguale stipendio, scelta, opportunità e così via... li sostengo. Ma quando sono con una donna, la accompagno a casa. E quando sto con una donna, non mi piace l'idea di saperla al volante nel mezzo della notte, o da sola alle cinque e qualcosa del mattino se c'è una strada di mezzo.»

«Perché tu hai il pene.»

«Sì, ce l'ho. E me lo tengo.»

«E il pene ti protegge da incidenti, guasti e gomme a terra?»

«Sai cos'è sempre stato interessante - e all'occorrenza irritante - di te? Che riesci sempre a rendere complicato ciò che è semplice.»

Era vero, ma non cambiava la sostanza della questione. «E se fossi venuta con la mia macchina?»

«Non l'hai fatto.»

«Ma se l'avessi fatto?»

«Immagino che lo scopriremo quando succederà.» Svoltò nel viale d'accesso della villa.

«È una risposta evasiva.»

«Lo è, non è vero? E se ti facessi una piccola concessione? Non ti accompagnerò alla porta.»

Lei inclinò il capo. «Ma aspetterai qui seduto finché non sarai certo che sono entrata?»

«Proprio così.» Si sporse verso di lei, le prese il mento, la baciò. «Vai a preparare una torta.»

Fece per uscire, poi si voltò di nuovo e gli diede un bacio lungo e molto più soddisfacente. «Ciao.»

Si precipitò verso la porta, poi si voltò, gocciolante, e lo salutò con un cenno della mano mentre entrava in casa.

Poi, avvolta dal silenzio, si appoggiò con la schiena alla porta e vi indugiò per un istante. Aveva fatto l'amore con Del. Aveva dormito nel suo letto, si era svegliata accanto a lui. I sogni di una vita erano diventati realtà nell'arco di una notte, quindi aveva tutto il diritto di godersi quel momento in privato, per sorridere come una matta, stringersi da sola e sentirsi completamente, stupidamente, meravigliosamente bene.

Niente di ciò che aveva immaginato si era avvicinato a quei momenti, e lì da sola, nel silenzio, poteva goderseli. Poteva ricordarne ciascuno e assaporarlo.

Cosa sarebbe successo dopo era l'interrogativo di tutti, ma ora, proprio in quel momento, aveva ciò che aveva sempre desiderato.

Quasi volò su per le scale diretta in camera sua. Aveva una giornata piena di impegni davanti a sé, pensò, ma dio, voleva mollare tutto e buttarsi sul letto, scalciare via i sandali e crogiolarsi nell'ozio.

Non poteva farlo, ma poteva crogiolarsi sotto una lunga doccia calda. Si tolse i vestiti bagnati, li appese al portasciugamani e levò il fermaglio che si era messa tra i capelli per limitarne il disastro. Ancora sorridente, si infilò sotto il getto bollente.

Si stava crogiolando nel vapore e nel profumo quando colse un movimento fuori dalla doccia. La sorprese che l'urlo lacerante che produsse non infranse il vetro.

«Gesù, Laurel, sono io.» Mac aprì la porta della doccia di una fessura. «Ho bussato, poi ho urlato, ma tu eri troppo occupata a cantare per sentirmi.»

«Un sacco di gente canta sotto la doccia. Che diavolo vuoi?»

«Non molte persone cantano I Got Rhythm sotto la doccia.»

«Non stavo cantando quella.» O sì? E adesso le sarebbe rimasta in testa tutto il giorno. «Stai facendo uscire tutto il calore. Va' via.»

«Perché ci metti tanto?» domandò Emma entrando.

«Parker?»

«È in palestra» rispose Emma a Mac. «Ma le ho detto cosa sta succedendo.»

«Per l'amor di dio, è forse sfuggito a voi cretine che sto facendo la doccia?» «Che buon profumo» commentò Mac. «Sei pulita. Esci. Mangeremo pancake in onore dell'agognata storiella sexy a colazione.»

«Non ho tempo per preparare i pancake.»

«Li farà la signora G.»

«Abbiamo appena mangiato i waffle.»

«Oh, hai ragione. Omelette, allora. Avremo le omelette per la storiella sexy a colazione. Dieci minuti» ordinò Emma. «Gli uomini sono banditi dalla colazione.»

«Io non voglio...»

Ma Mac chiuse la porta della doccia. Laurel si scostò i capelli gocciolanti dagli occhi. Avrebbe potuto sgattaiolare nella sua cucina, ma loro sarebbero venute ad assillarla comunque. Rassegnata, uscì dalla doccia e afferrò un asciugamano.

Quando entrò in cucina venti minuti dopo, trovò Mac ed Emma già lì, e la signora Grady ai fornelli.

«Ascoltate, ho una giornata davvero impegnativa, quindi...»

«La colazione è il pasto più importante della giornata» disse Mac in tono ipocrita.

«Così parlò la Principessa delle Merendine. Devo davvero mettermi al lavoro.»

«Non puoi tirarti indietro.» Emma agitò un dito. «La signora G ha già fatto le omelette per la tua storiella sexy. Giusto, signora G?»

«Sì. Faresti meglio a sederti anche tu» disse a Laurel. «Altrimenti non faranno che punzecchiarti. E visto che mi è arrivata voce che sei rientrata solo mezz'ora fa, ho voglia di sentirla anch'io, questa storia.»

Mentre trangugiava il succo di frutta, Laurel posò lo sguardo da un viso all'altro. «Avete tutte una specie di radar?»

«Sì» disse Parker entrando. «E se vengo chiamata di sotto prima di poter fare la doccia, farà meglio a essere una buona storia.» In calzoncini felpati e maglietta sformata, andò a versarsi il caffè. «Deduco che Del non ha sprangato la porta per non farti entrare.»

«Tutto questo è semplicemente bizzarro.» Laurel prese il caffè di Parker. «Lo sapete che è bizzarro.»

«Le tradizioni sono tradizioni, anche quando sono bizzarre.» Allegramente, Parker si riempì un'altra tazza. «Allora, che è successo?»

Laurel si sedette, si strinse nelle spalle. «Ho perso la scommessa.»

«Evvai!» Emma si spostò accanto a lei. «Ho perso anch'io, ma certe cose sono più importanti del denaro.»

«Chi ha vinto, Parker?» volle sapere Mac.

Parker si sedette, si accigliò mentre beveva il caffè. «Malcolm Kavanaugh.»

«Kavanaugh?» Già che c'era, Laurel prese un pezzo di toast dal tostapane. «Come ci è entrato?»

«Qualcuno gliel'ha detto, e lui mi ha messo alle strette alla partita. Ho detto di no, che le scommesse erano chiuse, ma lui è determinato e insistente. E poi ha detto che puntava duecento dollari come pegno per il ritardo, e ha puntato sul 5 luglio.»

«Vuoi dire che l'ha azzeccata con precisione?» domandò Mac. «Che tipo fortunato.»

«Già, un tipo fortunato. Credevo che non avesse una possibilità, visto che siamo usciti tutti insieme. Non mi aspettavo che Laurel saltasse giù dal furgone e corresse da lui.»

«È stato romantico.» Emma sorrise. «Tutta rossa e arruffata e smaniosa. Che è successo quando sei arrivata?»

«Ha aperto la porta.»

«Sputa il rospo» la incalzò Mac puntandole un dito contro.

«Non puoi sentirti a disagio perché è mio fratello. Tu e io siamo amiche quasi da quando Del è mio fratello. È una

sciocchezza.»

«Mangiate» ordinò la signora Grady e servì le omelette.

Laurel obbediente ne prese un boccone. «Ho trovato la formula matematica.»

«Che formula?»

«Sui giorni che non contavano nei trenta di partenza. È complicato. È una formula, ma l'ho scovata. Una volta che ha seguito il mio ragionamento, logicamente, ha riconosciuto che aveva senso, ma ha pensato che dovevamo rinunciare alla scommessa. E così abbiamo fatto.»

«I week-end, giusto?» Mac prese una forchettata di omelette. «Ci ho pensato. I week-end non contano.»

«Esattamente. E nemmeno il primo e l'ultimo giorno. Diventa più complicato, ma il succo è questo. Però in tutta sincerità, poiché non avevamo stabilito questi termini, ci siamo tirati indietro. Poi abbiamo...»

Bizzarro o no, queste quattro donne erano le sue donne. «È stato meraviglioso. Una parte della mia mente si preoccupava che sarei stata nervosa, che ci saremmo sentiti in imbarazzo. Ma non lo ero, non lo eravamo. Non ha fatto le cose in fretta, e non lo ha permesso nemmeno a me, così è stato lento e dolce. Lui è stato...»

Quando si interruppe, Parker sospirò. «Se credi che io possa trasalire nel sentire che mio fratello è un amante premuroso, ti sbagli. Non è questione di abilità, lo sai. È anche un segno di rispetto e di affetto per la sua compagna.»

«Mi ha fatta sentire come se nient'altro importasse a parte noi due, lì e in quel momento. Ecco come sono andate le cose. E dopo ho dormito con lui, mi sono sentita assolutamente al sicuro, assolutamente me stessa. Questa è sempre la parte più difficile per me. Fidarmi abbastanza, immagino, per restare a dormire.»

Emma accarezzò la coscia di Laurel sotto il tavolo. «Questa è davvero una bella storiella sexy a colazione.»

«Abbiamo avuto una scaramuccia stamattina.»

«Una scaramuccia sexy?» «Anche, Mente Monotematica» disse a Mac. «Dovevo trovare i miei vestiti al buio per poi chiamare un taxi e tornare a casa. Ho una giornata impegnativa. Ma lui si è svegliato, il che ha portato alla scaramuccia sexy anche se avevo dei capelli orrendi appena sveglia.»

«È una cosa che odio» borbottò Emma. «Dovrebbe esserci un rimedio istantaneo per i capelli non appena ci si sveglia.»

«Poi ha insistito per accompagnarmi a casa.»

«Naturalmente.»

Laurel alzò gli occhi al cielo per il commento di Parker. «Voi due avete lo stesso incrollabile codice di comportamento. Perché ha dovuto alzarsi, vestirsi e accompagnarmi quando potevo benissimo tornare a casa da sola?»

«Perché per prima cosa eri a casa sua. Secondo, sei andata a letto con lui. Sono semplicemente buone maniere, e non intaccano la tua indipendenza.»

«Regola del Passaggio Brown?»

Parker sorrise leggermente. «Immagino si possa chiamarla così.»

«Lui lo ha fatto. Be', dovrete farvi bastare tutto questo, perché devo mettermi al lavoro.»

«Non dobbiamo farlo tutte? Ho mezzo milione di gigli in arrivo che dovranno essere scaricati. E i lavori cominciano stamattina.»

«Anche qui?» chiese Laurel.

«Anche qui, secondo Jack.» Emma controllò l'orologio. «Da un momento all'altro.»

«Adesso vivrai un periodo decisamente interessante» le disse Mac. «E rumoroso.»

«Ne sarà valsa la pena. Continuo a ripetermi che ne sarà valsa la pena. Grazie per la colazione, signora G.»

«Era una bella storia, quindi sono stata ripagata in pieno.»

«Se nella mia area di lavoro le cose diventano folli, posso venire a fare qualcosa qui?»

«Puoi. Emmaline e Mackensie, avete preteso una storia. I piatti toccano a voi. Io vado a fare una passeggiata in giardino prima che cominci il baccano.»

Parker uscì dalla cucina con Laurel. «Quel che conta è la felicità. Ricorda che mi piace vedere te e Del felici quando le cose ti sembreranno di nuovo strane.»

«Ci proverò. Dimmelo se dovessi cominciare a incasinare tutto, okay?»

«Certamente.» Il suo telefono squillò. «Ed ecco che abbiamo il segnale di partenza. Ci vediamo dopo. Buongiorno, Sarah. Come sta la nostra sposa oggi?»