Bibliografia
EDIZIONI
La prima e autorevole edizione del romanzo è quella in tre volumi pubblicata dall’editore londinese Henry Colburn nel febbraio 1826. Un’edizione non autorizzata dall’autrice uscì a Parigi ad opera dell’editore Galignani nel marzo dello stesso anno e nel 1833 un’altra edizione pirata fu stampata a Filadelfia da Carey, Lea and Blanchard. Sull’edizione londinese si è basata la prima ristampa novecentesca del testo, uscita a cura di Hugh J. Luke jr per i tipi della Nebraska University Press nel 1965 (e successivamente, con una nuova introduzione di Anne K. Mellor, nel 1993). Nel 1985 è stata pubblicata dalla Hogarth Press di Londra un’ulteriore ristampa del testo, preceduta da un saggio introduttivo di Brian Aldiss. L’edizione più recente è quella pubblicata nel 1994 dalla Oxford University Press nella collana «The World’s Classics», a cura di Morton D. Paley. Recentemente il romanzo è stato ripubblicato nella pregevole raccolta in 8 volumi, The Novels and Selected Works of Mary Shelley, a cura di Nora Crook, London, Pickering and Chatto, 1996.
Per informazioni dettagliate sull’intera opera di Mary Shelley si rinvia allo studio di W. H. Lyles, Mary Shelley; An Annotated Bibliography, New York, Garland, 1975.
STUDI
La prima biografia ufficiale, chiaramente elogiativa, è quella commissionata dal figlio della scrittrice: Florence A. Marshall, The Life and Letters of Mary Wollstonecraft Shelley, London, Bentley, 1889; tra gli altri lavori di carattere biografico si ricordano lo studio di Slynn R. Glynn Grylls (pseudonimo di Lady Mander), Mary Shelley: A Biography, Oxford, Oxford University Press, 1938 (ristampato nel 1982), e la più recente monografia attraverso la quale Muriel Spark ha voluto riscattare la scrittrice da un’immeritata dimenticanza: Child of Light; A Reassessment of Mary Wollstonecraft Shelley, Hadleigh (Sussex), Tower Bridge, 1951, la cui edizione riveduta è apparsa con il titolo Mary Shelley: A Biography, New York, Dutton, 1987, e successivamente, London, Constable, 1988; Jean de Palacio esamina minuziosamente la formazione culturale e l’attività letteraria della scrittrice in Mary Shelley dans son oeuvre: contribution aux études shelleyennes, Paris, Klincksieck, 1969; di grande utilità risulta lo studio di Jane Dunn, Moon in Eclipse: A Life of Mary Wollstonecraft Shelley, London, Weidenfeld and Nicolson, 1978.
Moltissimi sono gli studi critici di carattere generale sull’opera di Mary Shelley; i più recenti tendono a sottolineare l’autonomia della sua ricerca artistica rispetto all’influenza del padre William Godwin e del marito Percy Bysshe Shelley, spesso soffermandosi sulle modalità dell’espressione della sua esperienza di donna artista: William Walling, Mary Shelley, New York, Twayne, 1972; Ellen Moers, Literary Women: The Great Writers, London, The Women’s Press, 1977; Mary Poovey, The Proper Lady and the Woman Writer. Ideology as Style in the Works of Mary Wollstonecraft, Mary Shelley and Jane Austen, Chicago, Chicago University Press, 1984, pp. 114-71; Nadia Fusini, Mary Shelley, il dolore, in Nomi, Milano, Feltrinelli, 1986, pp. 169-201; Anne K. Mellor, Mary Shelley: Her Life, Her Fiction, Her Monsters, London, Methuen, 1988; Emily W. Sustein, Mary Shelley: Romance and Reality, Boston, Little Brown & Co, 1989; Jane Blumberg, Mary Shelley’s Early Novels, London, Macmillan, 1993; AA.W., The Other Mary Shelley: Beyond Frankenstein, a cura di Audrey Fisch, Anne K. Mellor, Esther H. Shor, Oxford, Oxford University Press, 1993.
Alcuni studi si sono occupati in particolare del rapporto dell’opera di Mary Shelley con la cultura romantica e tra questi si ricordano: Mary Poovey, My Hideous Progeny: Mary Shelley and the Feminization of Romanticism, in «PMLA», 1980, pp. 332-45; Meena Alexander, Women in Romanticism, London, Macmillan, 1989, pp. 127-66; Anne K. Mellor, Family Politics, in Romanticism and Gender, London, Routledge, 1993, pp. 65-84.
I rapporti con la tradizione del gotico sono stati analizzati da vari studiosi tra i quali ricordiamo: Sandra Gilbert, Susan Gubar, The Madwoman in the Attic: The Woman Writer and the Nineteenth- Century Literary Imagination, New Haven, Yale University Press,1979, pp. 213-47; Romolo Runcini, La paura e l’immaginario sociale nella letteratura, Napoli, Liguori, 1984; Mirella Billi, Ilgotico inglese; Il romanzo del terrore(1764-182o), Bologna, Il Mulino, 1986,pp. 120-32; Susan Wolstenholme, Gothic (Re)Visions; Writing Women As Readers, Albany, State University of New York Press, 1993, pp. 37-56.
Per quanto riguarda in particolare The Last Man, molto interessante si è rivelata la lettura fatta, a partire dagli anni Sessanta, dalla critica femminista, che spesso ha usato anche gli strumenti della critica psicoanalitica; si vedano a riguardo le parti relative al romanzo nei già citati studi di Gilbert e Gubar, Moers, Poovey, Fusini, Mellor e Blumberg, e l’articolo dedicato specificatamente al romanzo, di Jane Aaron, The Return of the Repressed, Reading Mary Shelley’s «The Last Man», in Feminist Criticism; Theory and Practice, a cura di Susan Sellers, Toronto, Toronto University Press, 1991, pp. 9-21.
Nell’innovativo articolo «The Last Man»: Anatomy of Failed Revolutions, in «Nineteenth-Century Fiction», 33 (1978), pp. 335-47, Lee Sterremburg rintraccia nel testo una critica all’ideologia politica e culturale di Percy Shelley, iniziando un percorso interpretativo che verrà ripreso in molti degli studi successivi che si sono ac- cupati dei rapporti tra il romanzo e la cultura romantica. Fino ad allora la critica che si era concentrata sull’appartenenza del testo alla cultura romantica si era piuttosto dedicata all’analisi del tema dell’ultimo uomo quale motivo ricorrente nella letteratura del tempo, come testimoniano in particolare i lavori di Hugh J. Luke jr, The Last Man: Mary Shelley ‘s Myth of the Solitary, «Prairie Schooner», 39 (1965-66), pp. 316-27, di A.J. Sambrook, A Romantic Theme: The Last Man, «Forum for Modern Languages Studies», 2 (1966), pp. 25-33 e di Jean de Palacio, Mary Shelley and the Last Man: A Minor Romantic Theme, «Revue de Littérature Comparée», 42 (1968), pp. 37-49-
In anni più recenti la critica si è particolarmente interessata alla trattazione fatta dalla scrittrice del tema dell’Apocalisse, dibattendo se e come il suo romanzo rientri nella tradizione escatologica occidentale; per questo aspetto si vedano: Robert Lance Snyder, Apocalypse and Indeterminacy in Mary Shelley’s «The Last Man», «Studies in Romanticism», 17 (1978), pp. 435-52, che collega il testo a quello che Geögy Lukács ha definito il «romanzo della disillusione romantica»; Giovanna Franci, Lo specchio del futuro: Visione e Apocalisse in «The Last Man» di Mary Shelley, «Quaderni di Filologia germanica», 1980,1, pp. 75-84; Warren W. Wagar, Terminal Visions; The Literature of Last Things, Bloomington, Indiana University Press, 1982,pp. 13-17; Anna Paschetto, Un primo e un ultimo uomo: il problema Mary Shelley da «Frankenstein» a «L’ultimo uomo», in Sheherazade in Inghilterra, a cura di Patrizia Nerozzi Bellmann, Milano, Cisalpino- Goliardica, 1983, pp. 143-81; Steven Goldsmith, Of Gender, Plague and Apocalypse: Mary Shelley’s «Last man», in «Yale Journal of Criticism», 4 (1990), pp. 129-73; Morton D. Paley, «The Last Man»: Apocalypse Without Millennium, in AA.W., The Other Mary Shelley; Beyond Frankenstein, a cura di Audrey A. Fisch, Anne K. Mellor, Esther H. Schor, Oxford, Oxford University Press, 1993, pp. 107-23; Barbara Johnson, «The Last Man», ivi, pp. 258-66; Audrey A. Fisch, Plaguing Politics: AIDS, Deconstruction and «The Last Man», ivi, pp. 267-86; Fiona Stafford, The Last of the Race. The Growth of a Myth from Milton to Darwin, Oxford, Clarendon Press, 1994, pp. 197-231.
O. De Z.