7

Una follia.

Susannah avrebbe voluto dirgli che non avrebbe mai scommesso una tale puntata, ma aveva gli occhi fissi sul diamante. Sarebbe stato più che sufficiente per riparare Florence House. Avrebbe potuto recuperare i gioielli che aveva venduto quel giorno e sarebbe rimasto denaro a sufficienza per coprire le spese della casa fino a quando non fosse entrata in possesso dell’eredità. Rimase in silenzio mentre salivano le scale e quando raggiunsero il pianerottolo si lasciò affiancare.

«Ebbene, madame, accettate?»

Lei si passò la lingua sulle labbra. «Una cena, avete detto?»

«Sì.»

«Da soli?»

«Ovviamente.»

Non era neppure pensabile. Andare a cena con lui, senza accompagnatori, avrebbe compromesso la sua reputazione.

Soltanto se fosse stata scoperta, però.

Come se le avesse letto nel pensiero, lui proseguì. «Non dovete avere timori. L’albergo è molto tranquillo, al momento, e potrete giungervi velata. Il mio attendente ci servirà e lui è un uomo molto... discreto.»

«Siete molto previdente, milord.»

«Mi piace pensare di esserlo.»

«Se vinco mi consegnerete il diamante.»

«Sì.»

«E se perdo, cenerò con voi al vostro albergo. Nient’altro.»

«Nient’altro.»

«Giocheremo al meglio delle tre mani» affermò lei.

«Come desiderate.» Il visconte fece un inchino.

«Perfetto.» Una volta presa la decisione, avanzò in salotto per dirigersi al tavolo vuoto d’angolo, raccogliendo diversi pacchetti nuovi di carte nel tragitto.

Susannah aprì il primo pacchetto, grata di aver bevuto un solo bicchiere di vino a cena. Estrasse l’ultima carta e mescolò, porgendo le carte al visconte affinché tagliasse il mazzo. Poteva farcela. Bastava che mantenesse i nervi saldi e ricordasse ogni carta scartata. L’aveva fatto centinaia di volte. Le capitò subito una mano forte e ancor prima di scartare si trovò leggermente in vantaggio. Il suo ottimismo si incrinò nel momento in cui il visconte vinse la partita.

«Avete avuto sfortuna.» Jasper si allungò per prendere un nuovo pacchetto. «Tuttavia avete dimostrato bravura. Farete meglio questa volta.»

«Oh, senz’altro.»

Studiò le carte e scelse con attenzione quali scartare. Quando iniziarono si sentì certa di avere la mano migliore. Giocò con convinzione e vinse la seconda mano. La terza, viceversa, iniziò male e finì anche peggio. Il visconte vinse tutto.

«Cappotto!» esclamò mettendo giù le carte con calma. Lei affondò i denti nel labbro inferiore. Dovette ammettere la sconfitta con grazia. «Congratulazioni, milord. Avete vinto.»

«Avete giocato con grande abilità, Miss Prentess. Sono dell’opinione che meritiate un’ultima occasione.» Mise il diamante sul tavolo tra loro. «Cosa ne dite se giochiamo un’ultima mano e il vincitore prende tutto?»

Susannah rise. «E cosa avrei mai da perdere?» Si allungò per prendere il diamante tra le dita. La mano del visconte si chiuse sulla sua. Un improvviso tremolio di candele gli fece brillare gli occhi di una luce demoniaca.

«Apporterei una piccola modifica alle condizioni della nostra scommessa.» La sua voce era fredda come l’acciaio. «Se vincete questa mano, verrete a cena e vi fermerete. Tutta la notte.»

Con un respiro affannoso lei si tirò indietro. Senza muoversi lui proseguì: «Avete la mia parola che non tenterò di sedurvi. Non vi toccherò neppure, senza il vostro consenso. Però voi resterete nelle mie stanze fino al mattino.»

«A che scopo la vostra assicurazione?» ribatté lei. «Sarò comunque rovinata, che mi tocchiate o meno.»

«Solo se qualcuno verrà a saperlo. E io non lo dirò ad anima viva.»

Susannah si raddrizzò, fissandolo. «Perché fate questo? Perché mi obbligate a cenare con voi e a restare nelle vostre stanze se non intendete... sedurmi?»

Il suo sorriso le provocò un brivido lungo la schiena. «Oh, mi piacerebbe sedurvi, madame, ma non ho mai obbligato una donna ad accettare le mie profferte. Cosa rispondete dunque alla mia proposta, Miss Prentess? Un diamante che vale migliaia di sterline contro una notte con me?»

Susannah fissò la gemma scintillante.

L’aveva battuto una volta e aveva perso solo per sfortuna. Gli aveva preso le misure, adesso. Di certo valeva la pena rischiare. Si rese conto di essere una giocatrice d’azzardo più di quanto avesse pensato.

Con deliberata lentezza aprì un nuovo mazzo di carte.

«Mano mia, credo, Miss Prentess. E partita mia.»

Susannah mise giù le carte. Deglutì, sentendosi a un tratto inebetita. Quando riuscì ad articolare una parola, la sua voce le parve appartenere a un’altra creatura, calma e non sconvolta al pensiero di ciò che aveva concordato.

«A che ora volete che vi raggiunga giovedì?»

«Diciamo alle sette? Incontrerete il mio uomo all’entrata, non avrete bisogno di annunciarvi al banco.»

Lei sollevò il mento. «E se non venissi? Se rifiutassi di onorare la scommessa?»

I suoi occhi si posarono su di lei. Non vi era traccia di azzurro adesso. Erano grigi, scuri e implacabili.

«Verrete. Non fa parte della vostra natura rimangiarvi la parola.»

La piccola fiamma di resistenza morì. «Avete ragione.» Susannah mise le mani sul tavolo per sostenersi mentre si alzava. «Se volete scusarmi, ho trascurato i miei ospiti anche troppo a lungo.»

«È naturale.» Jasper si alzò con un inchino che era un perfetto miscuglio di deferenza e rispetto. «A giovedì, Miss Prentess.»

Quando si fu allontanata Jasper si sedette di nuovo. Prese la spilla con il diamante e con cura la sistemò tra le pieghe del fazzoletto da collo. Non aveva mai inseguito una donna tanto riluttante a cedere ai suoi approcci. Per un momento venne colto da un rimorso di coscienza. Poteva rovinare una fanciulla innocente.

No. Lui stava salvando il cugino innocente. Susannah Prentess non doveva sposare Gerald. Se avesse rifiutato di rinunciare a lui, Jasper avrebbe fatto in modo che Gerald sapesse della sua visita alla York House. Suo cugino poteva essere un ingenuo, ma non avrebbe acconsentito a sposare una donna che gli fosse stata infedele.

«La vostra ospite, milord.»

Peters fece entrare la figura velata nel salottino che fungeva da sala da pranzo e uscì, chiudendo la porta dietro di sé.

«Benvenuta, madame.»

Jasper le andò incontro. Lei restò immobile e alla fine lui le sollevò il velo. Gli permise di toglierle mantello e cappello. Notò la mussola pieghettata sulle spalle che terminava in un nodo attorno al collo di gran moda. Scelto deliberatamente per nascondere le sue grazie. L’abito era di seta verde scuro, con un cordoncino abbinato e stretto in un nodo sotto il seno. Gli estremi del cordoncino pendevano fino quasi all’orlo ed erano decorati con nappine di seta che ondeggiavano quando si muoveva, attirando gli occhi sulle scarpette e sulla fugace apparizione delle graziose caviglie. I capelli erano raccolti e alcuni ricci dorati dondolavano sulle orecchie e brillavano alla luce delle candele. Non gli era mai apparsa più bella, o più spaventata.

Le prese una mano. «Siete gelata» commentò, attirandola su un divano vicino al fuoco.

«Ho preso una portantina. Non volevo che nessuno dei miei inservienti fosse a conoscenza della mia destinazione.»

«E Mrs. Wilby?»

«Mia zia si è recata al ballo in maschera alle Upper Rooms con Mrs. Logan. Ho detto loro che non mi sentivo... bene.»

Di nuovo lui sentì rimordergli la coscienza. Lo stava facendo per Gerald, si convinse. Quella serata non avrebbe provocato alcuna conseguenza, se lei avesse accettato tutti i suoi termini.

«Nessuno sarà al corrente della vostra presenza qui, fatta eccezione per il mio cameriere, Peters, e posso rassicurarvi sulla sua discrezione.» Jasper sorrise, augurandosi di dissipare un po’ della sua apprensione. «L’ho lasciato libero per la serata, quindi nessuno verrà a disturbarci.» Indicò il tavolo in un angolo della stanza. «Ecco la nostra cena, quando volete possiamo servirci da soli.»

«Sono pronta. Procediamo.» Susannah si sfilò i guanti. «Ho delle questioni urgenti che mi porteranno fuori Bath, domattina presto.» Si avvicinò a grandi passi al tavolo. Il suo contegno denotava fretta di chiudere la faccenda il prima possibile. Non aveva intenzione di civettare, pensò Jasper mesto, mentre versava il vino nei due bicchieri.

«Miss Prentess, abbiamo una lunga serata dinnanzi a noi. Trascorrerà più facilmente se osserveremo le più basilari regole civili.» Le porse un bicchiere. «Volete rinunciare a battervi con me, almeno fino a quando avrete finito di cenare?»

Uno sguardo burrascoso si celò nei suoi occhi, ma dopo un attimo di esitazione fece un breve cenno con il capo. «Certamente, milord.»

«Bene.» Le spostò la sedia, posando gli occhi sulla liscia curva del collo tra l’orlo increspato del collarino e i capelli raccolti. Resistette alla tentazione di chinarsi e di baciarla dolcemente in quel punto, non sarebbe certo stata conquistata da una simile licenza.

Susannah restò impettita sulla sedia, i nervi tesi. Non comprendeva quell’uomo. L’atmosfera era esplosiva, ogni parola, ogni gesto sembrava carico di significato. Quando prese posto tutto quello a cui riusciva pensare era la sua mano sulla sedia dietro di lei, vicinissimo alle sue spalle. Le faceva fremere la pelle.

Dalla prima portata al dolce la servì con accortezza e cortesia, non accennando mai al fatto che lei potesse essere qualcosa di più che un’ospite d’onore, ma per tutto il tempo lei fu consapevole della sua presenza all’altro lato del tavolo.

Con sguardo furtivo vide che la osservava, un vago sorriso sul volto attraente.

Ed era attraente. In modo peccaminoso. Ripensò a quando avevano ballato, ricordando gli sguardi bramosi delle altre dame. Come l’avrebbero invidiata, sapendo che era lì da sola con lui! Doveva essere il sogno, la fantasia di molte donne. Eppure Susannah sapeva bene che sarebbe dovuta restare nient’altro che una fantasia, la realizzazione di ciò che poteva derivare da quell’incontro era troppo spaventosa, troppo devastante anche solo da prendere in considerazione. Doveva essere accorta riguardo ai sentimenti che le suscitava. Quante volte aveva sentito una povera fanciulla incauta lamentarsi di non essere riuscita a impedire... il peggio?

«Se vi sentite sazia, madame, proporrei di alzarci da tavola. Staremo meglio davanti al fuoco.»

Le parole del visconte la riportarono alla realtà. Fece il giro del tavolo e le porse una mano. Quando pose la mano su quella di lui una vampata di calore la trapassò. Susannah rifiutò di appoggiarsi, anche se le ginocchia minacciavano di cederle e il suo corpo intero fremeva ed era sensibile come mai le era successo prima. I seni erano turgidi e premevano contro la sottile seta del corpetto. Quando giunsero al divano ci volle tutto il suo impegno per sistemarsi il più lontano possibile da quella presenza inquietante.

Il visconte parve non notarlo. Susannah trattenne il fiato, pronta a scattare se si fosse seduto troppo vicino o se avesse fatto pressioni su di lei. Invece lui si sedette leggermente in disparte, osservandola.

Era intollerabile. Se lui le fosse balzato addosso, l’avesse guardata con lascivia o le avesse indirizzato allusioni maliziose, avrebbe saputo come reagire, ma non vi era traccia di comportamenti illeciti o minacciosi nelle sue azioni. Avrebbero potuto essere due amici intimi che avevano gustato una cena assieme. Solo che non erano amici. Erano due estranei, che si trovavano soli nella suite dell’albergo più lussuoso di tutta Bath. Prendendo il coraggio a due mani, Susannah si obbligò a guardarlo e a domandargli: «Perché mai fate questo?».

Lui esitò una frazione di secondo, prima di rispondere. «Voglio essere certo che non sposiate mio cugino.»

Lei batté le palpebre. Il sollievo le dipinse sul viso il primo sorriso sincero della serata. «In tal caso vi siete disturbato inutilmente, milord. Vi ho già detto che non ho alcuna intenzione di sposarlo e ho la certezza che Gerald vi abbia riferito lo stesso.»

«Vi ho visti» ribatté lui. «Uscivate dalla gioielleria in Milsom Street.»

Lei inarcò le sopracciglia. «E ciò vi ha convinto che fossimo sul punto di sposarci? Siete davvero svelto a balzare alle conclusioni.»

«Dunque ditemi cosa stavate facendo lì.»

«No.»

«Allora spiegatemi dove vi recate quasi ogni mattina quando uscite da Bath in carrozza e vi prego di non tentare di liquidarmi, vi ho vista.»

«Bene, dunque non vi dirò un bel niente.»

«Siete una donna oltremodo ostinata, Miss Prentess.»

«E voi siete uno sciocco» ritorse lei. «Vi avevo assicurato fin dall’inizio che non ho disegni riguardo a vostro cugino. Gerald se n’è fatto una ragione, perché voi non potete?»

«Vi servite di lui in modo spietato.»

«È ben felice di essermi d’aiuto.»

«L’avete mandato a sbrigare delle commissioni...»

«Sì.»

«Dove?»

«Non è cosa che vi riguardi.» Susannah agitò la mano. «Dubito che approvereste, qualora lo sapeste.»

«Di qualunque cosa si tratti, potrebbe comunque convincermi a non portare avanti queste misure straordinarie per ostacolare la vostra relazione.»

Tale replica la indusse a scuotere la testa, sorridendo. «Vi siete fatto menare per il naso, non è così, milord?»

Jasper le si avvicinò. «Sembra che sia stato proprio ben turlupinato.»

La guardò e gli angoli della bocca si incurvarono. Susannah soffocò un risolino, ma alla fine entrambi scoppiarono a ridere talmente forte che non riuscirono quasi a restare seduti, avvicinandosi l’uno all’altro, allegri. Lui la sostenne con un braccio e sempre ridendo lei si girò verso di lui.

La risata morì, ma Susannah continuò a sorridere, fissando quegli occhi scuri che non mostravano altro che calore e buonumore. Senza riflettere sollevò una mano per accarezzargli una guancia. «Che sciocco siete stato a dubitare di me!» sussurrò.

Lui volse il capo per baciarle il palmo e mentre lo faceva un braccio scivolò attorno a lei. A Susannah parve la cosa più naturale del mondo sollevare la testa e quando le loro labbra si toccarono fu come se il mondo intero tirasse un sospiro di sollievo. Gli si avvicinò, socchiudendo le labbra dietro la lieve pressione della bocca di lui.

Gli avvolse le braccia attorno al collo e rispose al bacio, premendosi contro di lui. Ogni punto della sua pelle era sensibile al tocco delle sue mani attraverso il sottile strato di tessuto dell’abito. Quando smise di baciarla e le passò una mano sotto le ginocchia sollevandola tra le braccia, lei non protestò, ma premette il viso contro il suo collo, inalando l’aroma familiare che aveva finito per associare a lui e baciandolo sulla vena pulsante.

Lui attraversò la stanza. Un fuoco bruciava nel caminetto e le candele tremolavano nei candelabri a muro, donando alla stanza un bagliore caldo e accogliente. La depose sul letto. Le braccia gli avvolgevano ancora il collo e lei lo attirò a sé, impaziente di sentire ancora le sue labbra. Lui l’assecondò, coprendole la bocca con la propria mentre si stendeva al suo fianco, suscitandole emozioni impossibili da controllare.

Susannah era sul punto di andare in estasi, trasportata dalle sensazioni che lui aveva risvegliato. Le aveva tolto lo scialle e adesso le baciava il collo, mentre con le mani le slacciava il corpetto, in modo da poterle accarezzare i seni. Erano tesi e turgidi e premevano contro le sue dita che li cercavano, facendola gemere forte con la testa all’indietro, mentre il piacere le pervadeva tutto il corpo.

Si allungò verso di lui. Si era tolto la redingote e il gilet e solo la sottile camicia di lino era di ostacolo tra lei e la sua pelle. Era tutto nuovo ed eccitante. Ansimò mentre con la bocca lui le cercava il seno e il suo corpo rispondeva. Insinuò le mani tra le gonne di seta, per accarezzarle le cosce. Lei stava annegando in un mare di piacere, aprendosi, esortandolo a proseguire l’esplorazione. Si muoveva sensualmente sulle coperte. Non sapeva che avrebbe potuto sentirsi tanto viva. Cosa le rammentava? Era così che era stato per...

Si presentarono alla mente i ricordi e il raggelante timore.

«No.» Venne colta dallo sgomento e cercò di spingerlo via. «No, vi prego. Per favore, non fatelo.»

Subito lui si fermò, scostandosi. «Susannah? Cosa succede, mia cara?»

Lei sgusciò via e si tirò su. «Non volevo... Non avrei dovuto... Oh, mi vergogno così tanto!» Si coprì il viso con le mani mentre le lacrime ardenti le rigavano il volto. Tremante, attendeva che lui imprecasse rudemente per il suo comportamento capriccioso, perfino forse che si scagliasse contro di lei.

Dopo un silenzio di tomba interrotto solo dai suoi singhiozzi smorzati, lei sentì la sua mano su una spalla. Un tocco lieve. Confortante, non intimidatorio.

«Vi domando perdono, Susannah. È stata tutta colpa mia. Non avrei mai voluto... Oh, al diavolo, è una situazione decisamente imbarazzante!»

La sua gentilezza la fece piangere ancor di più. Si spostò per sedere accanto a lei e dolcemente l’attirò a sé.

«Promisi che non avrei fatto nulla senza il vostro consenso, mia cara. Se ho male interpretato...»

Lei scosse la testa, incapace di parlare, di dirgli quanto aveva desiderato, apprezzato ogni tocco, ogni carezza.

«Devo andare...»

La strinse forte. «No, non ancora. Non è ancora mezzanotte, ci sono troppe persone in giro. Qualcuno potrebbe riconoscervi.»

«Dunque, cosa farò?»

«Resterete qui fino all’alba, vi troverò una poltrona.»

«Non posso restare qui con voi.»

«Uscire da camera mia in questo momento equivarrebbe a rischiare di essere vista. Sareste rovinata.» Jasper emise un lungo sospiro soffocato. «Temo di avervi giudicata male. Dobbiamo parlare.»

«No, non ancora.». Susannah si prese la testa tra le mani. «Mi sento tanto stanca.»

La stese sul letto senza che lei opponesse resistenza. «Dunque sdraiatevi e dormite.» Poi si affrettò ad aggiungere: «Sarete al sicuro. Vi prometto che non vi disturberò più. Il letto è abbastanza grande perché entrambi possiamo dormire senza toccarci».

Susannah si allontanò da lui e si raggomitolò su se stessa. Disturbarla? Non l’aveva affatto disturbata, anzi, l’aveva risvegliata alle delizie del proprio corpo. L’aveva sedotta e lei vi si era sottomessa alquanto volentieri. Oh, cielo, non era diversa da quelle povere fanciulle di Florence House. Anche loro si erano lasciate ingannare da belle parole e dolci carezze, prima di cedere. Come aveva potuto essere così debole? Ignorava come ci si potesse sentire, non si era resa conto di quanto imprevedibile potesse essere il suo corpo. Pensò all’uomo sdraiato al suo fianco. Non vi era dubbio che fosse gentile e cortese, ma si trattava pur sempre di un abile seduttore.

Sentì il letto che si muoveva mentre lui scivolava fuori, lo sentì camminare per la stanza. Un attimo dopo udì il lieve scatto della chiave nella serratura. I suoi peggiori timori si realizzarono. Era sua prigioniera. Lacrime calde le punsero gli occhi. Era chiaro adesso che le sue dolci rassicurazioni erano prive di significato. Non l’aveva baciata perché lo desiderava, perché era attratto da lei. Era un freddo piano ideato per proteggere il cugino. Le lacrime sgorgarono, bruciandole le guance. Che sciocca era stata!

Jasper tornò a letto e si sdraiò, restando immobile. Ascoltava il lieve singhiozzare accanto a lui. La compassione mise in fuga il desiderio. E lui l’aveva desiderata, al punto da essersi dimenticato della sua seduzione programmata, di tutto ciò che riguardava Gerald Barnabus. Quando l’aveva presa tra le braccia, aveva pensato solo a possederla, completamente, per se stesso. La sua sofferenza gli aveva fatto capire che aveva commesso un errore madornale. Qualsiasi segreto quella donna nascondesse non implicava le nozze con suo cugino, ci avrebbe scommesso la testa.

Quando si fosse calmata le avrebbe parlato, assicurandole che se ci fosse stato il minimo accenno di scandalo a seguito di quella serata lui avrebbe agito secondo l’onore e l’avrebbe sposata. Ma adesso doveva dormire, come lui. Almeno, avendo chiuso la porta, non c’era pericolo che qualche zelante domestica li sorprendesse.

Sonnecchiò, sognando immagini di Susannah. Sospirò quando lei gli fu accanto, tenendogli le mani. Le nebbie del sonno si diradarono e lui si rese conto che Susannah era accanto a lui, ma non gli teneva le mani, gliele stava legando. «Ma cosa...?»

«Vi consiglio di non dibattervi, milord, finireste per stringere ancor di più i nodi.»

Lui batté le palpebre, scacciando le ultime parvenze del sonno. Lei aveva utilizzato il cordoncino di seta del suo abito per legargli le mani e l’aveva assicurato alla testata del letto. Cercò di tirarsi su ma le mani strette glielo impedirono. «Cosa diavolo credete di fare?»

«Me ne vado e voglio essere certa che non mi fermerete.» L’osservò strattonare i nodi. «È seta e incredibilmente forte. Dubito che la spezzerete.»

«Non ve n’è alcun bisogno. Vi ho assicurato che non vi avrei trattenuta.»

«Avevate anche detto che non mi avreste toccata» replicò lei.

Le candele gocciolavano, ma c’era luce a sufficienza per vedere quanto fosse desiderabile, con le guance arrossate e quei riccioli dorati in disordine.

«Susannah...»

«Miss Prentess, per voi.»

«Non potete andarvene.»

«Oh, sì che posso.» Lei fece tintinnare le chiavi. «Avreste dovuto nasconderle, milord, se volevate tenermi prigioniera sul serio.»

«Quale prigioniera? Ho chiuso la porta per proteggere il vostro onore.»

«Ah!»

Non restò sorpreso dalla sua feroce replica, ma tentò di nuovo. «Vi prego, Susannah, riflettete. Non è ancora giorno. Non è sicuro per voi uscire da sola.»

«Non è affar vostro.»

Mentre lei si dirigeva nell’altra stanza lui tirò la corda di seta, sentendo che gli stringeva i polsi sempre più. Non c’era possibilità di liberarsi. Freneticamente cercò un modo per fermarla. «Ma avevate promesso, la scommessa...»

Susannah tornò, il mantello sulle spalle e il cappello in una mano. «Ho cenato con voi e manca un’ora all’alba, quindi sono rimasta fino al mattino. Credo converrete con me che ho onorato la mia parte della scommessa.» Si mise il cappellino e legò i lacci. «Adieu.»

«Santo cielo, donna, non potete lasciarmi legato...»

«Posso e lo farò. Non preoccupatevi, il vostro cameriere rientrerà tra un’ora. Certamente potrete chiamare aiuto, ma potrebbe risultare imbarazzante spiegare la situazione, non credete?»

«Al diavolo, Susannah...»

Si raddrizzò e malgrado i ricci scomposti risultò altezzosa come un’aristocratica. «Avete detto abbastanza, milord. La nostra amicizia è giunta al termine. Non siete più il benvenuto in casa mia e non vi saluterò, qualora dovessimo incontrarci in pubblico.»

Detto ciò, con aria di sussiego uscì dalla stanza.