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La positività e l’efficienza di Susannah non l’abbandonarono fino a quando si trovò sulla sua carrozza, diretta a Bath. Si era servita di Mr. Tyler già in precedenza e confidava nella sua onestà, ma la sua relazione sulla casa non fu incoraggiante. Aveva già portato a termine alcune delle più urgenti riparazioni, ma doveva essere pagato per i materiali che aveva utilizzato, prima di poter proseguire. Era un padre di famiglia, con debiti per conto proprio e se lei non fosse stata in grado di pagargli una parte del dovuto sarebbe stato costretto a togliere le impalcature e a trasferire i suoi uomini, e una volta lasciato il posto non avrebbe potuto farvi ritorno fino a estate inoltrata. Gli aveva promesso di inviargli del denaro, ma non sapeva dove avrebbe reperito i soldi.
«Se solo non avessimo perso tanto, l’ultima volta» mormorò, fissando il rigido paesaggio invernale senza vederlo.
Comunque, dato che non era mai stata incline allo scoraggiamento, cominciò a riflettere sui diversi modi per racimolare il capitale necessario. Le sue dita scivolarono sul filo di perle che aveva al collo. Aveva ereditato il portagioie di sua zia. Era straripante di collane, spille e anelli, per la maggior parte inadatti a una fanciulla nubile. Susannah non avrebbe voluto venderne nemmeno uno, facevano parte dell’eredità dello zio e tenerli era doveroso per la sua memoria. Florence House però era importante per lei e doveva fare qualcosa e anche alla svelta. Prima di giungere a Bath aveva già escogitato un piano e quando individuò Mr. Barnabus sul marciapiede tirò il cordone del freno e fece arrestare la carrozza.
«Gerald, buongiorno! Potrei scambiare una parola con voi?»
Giunse marzo. Spuntavano già i primi fiori primaverili e Jasper era consapevole che avrebbe dovuto trovarsi a Markham già da tempo. L’onestà lo costrinse ad ammettere che non esisteva una reale ragione perché restasse a Bath, dunque, cosa lo tratteneva lì? Poteva sostenere che si trattasse del mistero che circondava Susannah Prentess, ma con un certo disagio fu costretto ad ammettere che era proprio quella donna ad affascinarlo. Quando giunse l’alba di martedì, si ritrovò a non vedere l’ora di recarsi in Royal Crescent. Sarebbe stata l’ultima volta, promise a se stesso. Avrebbe detto addio a Mrs. Wilby e alla sua incantevole nipote e avrebbe fatto ritorno a Markham.
Uscì quindi per la consueta passeggiata mattutina e per una volta si diresse verso i Sydney Gardens, intenzionato a non far caso alla carrozza di Miss Prentess.
Fece ritorno alla York House per colazione e trascorse le ore successive a scrivere diverse lettere. Era pomeriggio inoltrato quando applicò il sigillo all’ultima lettera e guardando l’orologio si sorprese di scoprire che era già così tardi. Era divenuta abitudine di Gerald fare un salto da lui, tutti i pomeriggi. Jasper si strinse nelle spalle. Non era la balia di suo cugino. Era un uomo fatto, dopotutto. Lasciò lo scrittoio e si fece portare cappello e bastone: sarebbe passato a trovare Gerald nel suo alloggio a Westgate Buildings per invitarlo a cena.
Jasper non giunse mai da Gerald, né lo invitò. Si era fermato in Milsom Street per comprare un regalo per il bambino di Dominic e Zelah, quando venne attirato dal riflesso nella vetrina del negozio di giocattoli. Gerald era uscito dal gioielliere sull’altro lato della strada e si era fermato per infilarsi i guanti. Jasper si voltò e stava per salutare il cugino quando notò un commesso in giacca nera profuso in inchini, che faceva uscire dal negozio una fanciulla velata. Gerald attese la fanciulla, le porse il braccio e lei, prima di incamminarsi alzò il velo per mostrare il bel viso di Susannah Prentess.
Jasper raggelò. Susannah fece scivolare la mano sotto il braccio di Gerald e si avviarono. Lei ostentava un sorriso talmente radioso da fargli mozzare il fiato. Fece un passo indietro, quasi sconvolto dall’improvviso attacco di gelosia che lo colse.
Forse Gerald aveva rinnovato la sua proposta e lei aveva accettato? No, non poteva crederlo. Non l’avrebbe creduto finché non avesse parlato con suo cugino. A fatica si sforzò di proseguire. Girovagò per la città, visitando la Pump Room e la biblioteca, ma niente fu in grado di placare il suo spirito irrequieto. Fece una capatina al White Hart, ma scoprì che Charles Camerton era uscito. Mentre faceva ritorno al suo albergo vide Gerald percorrere High Street diretto verso di lui. Dopo essersi scambiati i saluti, Jasper non resistette e gli rivelò di averlo visto.
«Ti trovavi fuori dal negozio del gioielliere insieme a Miss Prentess» gli fece notare. «Vorresti spiegarmi per quale motivo?»
«In realtà, non mi è concesso di rivelarlo, al momento.» Gerald arrossì. «L’ho promesso a Susannah.»
«Capisco.» Jasper serrò la mascella, cogliendo il modo familiare con cui l’aveva chiamata e avvertì un dolore allo stomaco.
«Non è nulla di terribile» si affrettò ad aggiungere il cugino, guardandolo ansiosamente.
Lui si obbligò a sorridere. «In tal caso, perché non puoi dirmelo?»
L’altro apparve a disagio. «Perché so che mia madre non approverebbe. Potrebbe interrogarti e se non sei a conoscenza della cosa, non potrai dirle niente, ti pare?»
«Gerald...»
Il cugino tagliò corto. «Verrai al Crescent, stasera? Lo chiederò a Susannah. Se lei acconsente te lo dirò. Lo prometto. Adesso devi scusarmi, ho una commissione da sbrigare.»
«Vieni a cena con me, stasera» lo invitò Jasper. «Ci sarà anche Charles Camerton e potremo andare al Crescent insieme.»
Gerald scosse la testa. «Sono spiacente, Jasper, mi piacerebbe unirmi a voi, ma temo che non sarò di ritorno in tempo.»
«Per quale motivo? Dove stai andando?»
«Te l’ho detto, devo sbrigare una commissione» rispose il giovane, prima di scomparire, e Jasper rimase vittima di una tale rabbia furiosa che per diversi minuti rimase incollato sul posto. Fidanzamento. Doveva essere quello. Era l’unica spiegazione allo strano discorso di Gerald e alla felicità che aveva visto in entrambi i volti. Stringendo il bastone, si diresse a grandi passi verso York House. Lei lo aveva ingannato. Perché esserne sorpreso? Gli aveva detto che le sue azioni non erano affar suo, ma quelle di Gerald, sì. Accidenti, era il capofamiglia. Come osava quella donna manovrare suo cugino in modo tanto subdolo?
Quando Charles Camerton giunse per la cena, Jasper sorrise civilmente, ma dentro ribolliva ancora di rabbia. Anni di pratica gli vennero in aiuto, permettendogli di conversare con apparente normalità durante il pasto, ma non gustò nessuno dei piatti che aveva davanti e si fece riempire il bicchiere più del normale.
Solo quando vennero tolti i coperti e i camerieri si furono allontanati si concesse di ripensare alla giornata appena trascorsa.
«Ti ho cercato al White Hart, oggi, Charles, e non eri neppure alla Pump Room. Sei stato fuori città?»
«Sì. Era una giornata così bella che ho condotto Mrs. Logan a fare una gita.»
«Davvero?»
L’altro alzò le spalle. «Per pura amicizia.»
«Spero non ti stia intenerendo, Charles. Ho bisogno che tu sia in forma smagliante, stasera al Crescent.»
L’amico riempì il bicchiere di brandy.
«Sono più che lieto di accompagnarti lì, Markham, ma non sono certo che il tuo piano sia necessario. Ho osservato tuo cugino, non mi pare corra alcun pericolo di trasformarsi nel fantoccio della Prentess. Almeno, non più degli altri giovanotti che sono innamorati di lei, come pare essere in voga al momento.»
«Mi piacerebbe concordare con te» replicò Jasper spingendo indietro la sedia. «Ho in mente di lasciare Bath presto, ma prima di farlo desidero accertarmi che Gerald non si trovi in pericolo.»
«Dunque va bene.» Charles si alzò e lo seguì alla porta. «Andiamo, senza indugi.»
Jasper lo accompagnò fuori dell’albergo. Durante la cena era giunto alla conclusione che esisteva un solo modo per proteggere Gerald da quella donna astuta: avrebbe dovuto sedurla.
Susannah si guardò attorno, compiaciuta. Il salotto appariva molto accogliente con il caminetto acceso che teneva il freddo tanto lontano da non rendere necessario lo scialle sulla creazione di Odesse. La seta color albicocca era ricamata sul collo e sulle maniche con un motivo di foglie di vite argento che catturava ingegnosamente la luce delle candele. Udì il brusio distante delle voci. I primi ospiti erano in arrivo. Mrs. Wilby entrò in fretta.
«È tutto in ordine, tesoro? Tavoli sistemati, nuovi pacchetti di carte... Ho detto a Gatley di abbondare con il vino speziato per i nostri ospiti. È una serata talmente fredda!» Si guardò attorno. «Dov’è Mrs. Logan?»
«Mi ha mandato a dire che avrebbe tardato. Questo pomeriggio è uscita per una gita.»
«Oh, e con chi?»
«Non l’ha detto.» Susannah però sospettava che fosse stata in compagnia di Mr. Camerton. Li aveva visti parlare, dopo la funzione di domenica, e sebbene Kate non le avesse detto nulla, sorrideva molto soddisfatta. Si chiese se la vedova non si stesse affezionando troppo, poi scacciò rapida quel pensiero. Kate sorrideva e amoreggiava con gli uomini, ma Susannah sapeva che si trattava di un gioco. La vedova aveva spesso espresso la propria opinione riguardo al sesso maschile. Gli uomini erano perlopiù ingannatori, aveva affermato, bruti egoisti interessanti soltanto a soddisfare il proprio piacere. Era più probabile che stesse, per utilizzare le parole di Kate, tenendo buono Mr. Camerton nella speranza di vincere i suoi soldi quella sera.
«Ebbene, mi auguro non faccia troppo tardi» borbottò Mrs. Wilby. «Dobbiamo formare i tavoli.»
Non vi fu tempo per altro. Vennero annunciati il generale e Mrs. Sanstead e dopo di loro vi fu un’incessante fiumana di arrivi. Susannah sistemò quattro ospiti a un tavolo, trovò un compagno per giocare con il maggiore Crommelly, spiegandogli che lei non avrebbe potuto perché doveva intrattenere gli ospiti. Più tardi acconsentì a sedersi con un gruppo di giovani gentiluomini per giocare a un rumoroso vingt-et-un. Rise, scherzò e civettò con tutti quanti, facendo attenzione che nessuno perdesse più di cinquanta sterline. Di certo non poteva imporlo agli ospiti quando giocavano tra di loro, ma era una sua rigida regola e insisteva affinché anche sua zia e Kate vi si attenessero.
Fu lieta quando giunse Kate e poté fare il giro della stanza per assicurarsi che ogni ospite fosse impegnato. Nessuno avrebbe immaginato dal suo sorriso e dal contegno sereno che la sua mente era da tutt’altra parte e che osservava di frequente l’orologio chiedendosi a che ora sarebbe giunto Gerald Barnabus.
Sentì una certa animazione per un altro arrivo e Susannah guardò speranzosa. Fu con un miscuglio di sentimenti contrastanti che vide entrare Lord Markham e Mr. Camerton. Zia Maude era vicina alla porta per accoglierli, quindi Susannah non fece neppure il tentativo di avvicinarsi. Osservò Mr. Camerton cercare con lo sguardo Mrs. Logan e quindi unirsi al suo tavolo, mentre il visconte venne persuaso a sedersi con la padrona di casa a giocare. Susannah poté rilassarsi un po’, almeno fino a quando il gioco non terminò e vide il visconte attraversare la stanza e dirigersi verso di lei.
La fitta dell’attrazione era forte come sempre. Si spostava tra i tavoli con agile grazia, la sua alta figura atletica indossava a pennello la redingote nera da sera e i calzoni al ginocchio. Ricordava vividamente una pantera intenta a cacciare.
E lei era la preda.
Scacciando quegli assurdi pensieri lo salutò freddamente, cosa che lui sembrò non notare. Mentre si inchinava lei osservò la sua chioma scura, cercando di calmare il forte battito nel petto mentre con le labbra lui le sfiorava le dita. Fece ciò che poté per restare saldamente in piedi.
«Miss Prentess.» Lui si raddrizzò, offrendole un sorriso smagliante. Susannah colse un che di diverso nel suo sguardo, una pericolosa sconsideratezza che non riuscì a placare la sua agitazione. Doveva muoversi con naturalezza, si ammonì, trattarlo come avrebbe fatto con qualsiasi altro ospite. «Siete stanco del gioco, milord?» si informò quindi.
«Per il momento. Sono venuto a vedere se volevate giocare con me.»
Lei riuscì a emettere un risolino. «Sapete bene che non lo farò, milord.»
«Dunque per il momento mi limiterò a osservare.»
«Come desiderate.» Non accennò a volersi muovere. «Per quanto tempo avete intenzione di restare a Bath, milord?»
«Dipende.»
«Da cosa?»
Non appena pronunciò quelle parole, Susannah comprese di essere caduta in trappola. La guardò con occhi cupi. Non c’era da dubitare che quei bei tratti e quel sorriso affascinante avessero rovinato ben più di una fanciulla. Amoreggiare con gli altri giovanotti di Bath era sempre sembrato un passatempo innocente e inoffensivo ma con Lord Markham non vi era nulla di innocente o di inoffensivo. Ancora una volta trovò difficile respirare, sapeva che il colore le affluiva alle guance. Voleva avvicinarsi a quello slanciato corpo muscoloso e fu quasi una fatica fisica restargli lontano.
«Mr. Barnabus!»
L’annuncio stentoreo del maggiordomo non avrebbe potuto giungere in un momento migliore.
Batté le palpebre, quasi fosse stata risvegliata da uno stato ipnotico e con un frettoloso scusatemi!, lo superò e attraversò rapida la stanza.
«Mr. Barnabus.» Tese la mano a Gerald. «Siete il benvenuto.» Si sporse lievemente in avanti, mormorando: «Ebbene? Siete stato a Florence House?».
Lui le strinse le mani. «Sì. Potete stare tranquilla, Miss Prentess. Ho visto Tyler e gli ho consegnato il denaro. Darà inizio ai lavori la settimana ventura.»
Susannah emise un sospiro di sollievo, mentre sorrideva apertamente. «Vi ringrazio, non potrò mai dirvi quanto vi sia grata.» Gli passò la mano sotto il braccio e lo condusse dentro la stanza.
«Vedo che mio cugino è qui» commentò lui. «Potrebbe...?» Si interruppe, guardandosi attorno per essere certo di non essere udito. «Non mi piace tenerlo all’oscuro di qualcosa. Mi date il permesso di riferirgli dove sono stato, il motivo del mio ritardo?»
«Oh, santo cielo, no!» ansimò lei, inorridita al solo pensiero.
«Mio cugino Jasper è un uomo di mondo. Sono certo che comprenderà...»
«E io sono certa di no.» Susannah posò una mano sul suo braccio. «Vi prego, Gerald, per nessun motivo vorrei che il visconte fosse al corrente del nostro piccolo segreto.» Lui la guardò incerto e lei aggiunse: «Avete promesso. Quando vi ho raccontato di Florence House, mi avete dato la vostra parola che non l’avreste menzionata ad anima viva».
«Oh, va bene, Susannah, se insistete.»
Gli strinse il braccio. «Vi ringrazio, Gerald. Dunque, cosa posso fare per ricompensarvi? Vogliamo giocare insieme?»
Jasper osservò la scena dall’altro lato della stanza. Non era in dubbio che Miss Prentess fosse lieta di vedere suo cugino e il giovane pareva infatuato come sempre. Quando le aveva baciato la mano, Jasper aveva notato che non indossava anelli; perché avrebbero dovuto tenere segreto il fidanzamento? Strinse gli occhi. Quella donna custodiva dei segreti, il che la rendeva inadatta al suo giovane cugino.
Cercò Charles Camerton e lo vide seduto a un tavolinetto in compagnia di Mrs. Logan. Dalla pila di monete vicino al gomito Jasper immaginò che l’amico stesse vincendo. Il che era positivo. Adesso anche lui doveva proseguire con il suo piano.
«Come prosegue la serata, zia?»
Susannah approfittò di un’interruzione del gioco per parlare a Mrs. Wilby. La signora scosse la testa, facendo tremolare le piume di struzzo che aveva in testa. «Male» borbottò mentre raccoglieva le carte. «Lord Markham mi ha già portato via duecento sterline.»
«E Kate ne ha appena perse cinquanta con il suo amico.» Susannah si accigliò.
«Non ho mai visto una fortuna tanto sfacciata» proseguì zia Maude. «Ammetto di essere riluttante a far giocare di nuovo il visconte al mio tavolo.»
«Dunque cosa proponete che faccia?» Susannah sentì un sorriso affiorare alle labbra, malgrado la gravità della situazione.
«Non lo so, tesoro, ma ti prego di escogitare qualcosa. Mi ha resa talmente nervosa che non riesco a pensare lucidamente, il che, lo sai bene, è fatale per il nostro successo.»
Susannah ne era ben consapevole. Ci voleva la mente sgombra se si voleva vincere a carte. Sperava che avrebbe giocato con il maggiore Crommelly e gli Sansteads, almeno le perdite non sarebbero state sue, ma il visconte pareva determinato a giocare contro zia Maude. Susannah osservò mentre vinceva un’altra mano e raccoglieva le sue vincite. Poche sterline, al massimo un centinaio. Una misera somma per Lord Markham, ma lei sapeva che quella sera le perdite sarebbero aumentate. Perciò, quando il visconte chiese di poterla accompagnare al rinfresco acconsentì, ritenendo che qualsiasi cosa l’avesse tenuto lontano da sua zia le avrebbe dato un po’ di sollievo. Ma non appena gli pose la mano sul braccio, cominciò a nutrire dei dubbi circa la saggezza della propria decisione. Era pericoloso restare sola con lui.
«Forse dovremmo chiedere a Mrs. Logan e a Mr. Camerton se piacerebbe loro unirsi a noi...» suggerì.
«Mi sono già accertato che non lo desiderano.» Una lieve delusione doveva esserle comparsa in viso, perché le sorrise. «Vi assicuro, madame, che comincio a ritenere che abbiate timore di restare sola con me.»
«Sciocchezze! Perché mai dovrei?»
«Magari per la mia reputazione?»
«Non conosco la vostra reputazione, Lord Markham. È tanto brutta?»
«Assolutamente terrificante» replicò lui in tono allegro. «O almeno lo è a Londra. Sono sollevato che qui nessuno ne sia a conoscenza.»
Lei si interruppe, assalita da una fulminea preoccupazione. «E a cosa si deve la vostra cattiva fama, milord? Al gioco d’azzardo, forse?»
«No. Ai cuori che ho infranto.» Di nuovo i suoi occhi sorridenti la provocarono. Le coprì la mano con la propria e la tenne sulla manica. «Adesso desiderate forse scappar via?»
Susannah sollevò il mento. «Non sono solita fuggire di fronte ad alcuno, milord.»
Era ancora presto e la sala dei rinfreschi era vuota, a eccezione della servitù. Il visconte la condusse a un tavolo in fondo alla stanza.
Dove nessuno li avrebbe uditi, si disse Susannah.
Allontanò quel pensiero. Era a casa sua, i suoi domestici erano al lavoro. Nessuno poteva farle del male. Il visconte insistette affinché si sedesse e andò a riempirle il piatto. Susannah osservò la tavola, giocando con il tovagliolo e le posate. Non doveva guardarlo: era fin troppo consapevole del potere che sprigionava dai suoi movimenti. Doveva stare in guardia.
Tenne gli occhi bassi fino a quando lui tornò al suo posto e le mise di fronte un piatto pieno di prelibatezze.
«Mi congratulo con voi, Lord Markham. Vi ho lasciato scegliere per me e credo non vi sia nulla, qui, che non sia di mio gradimento.»
Lui scivolò sulla sedia di fronte e sollevò il tovagliolo. «Ho colto l’occasione per chiedere un consiglio al vostro inestimabile maggiordomo.»
Lei ridacchiò. «Vi rendo merito per la vostra onestà, milord.»
Si dedicò al cibo, rilassandosi a poco a poco. Lord Markham era un compagno perfetto, non poneva domande impertinenti e la divertiva con piccoli aneddoti. Mentre la tensione si allentava, l’appetito aumentava, e quando il piatto fu vuoto guardò l’unica coppetta di dessert.
«È per me o per voi?»
«Per voi.» Jasper sollevò il cucchiaio. «Anche se confidavo che avreste condiviso il piacere.»
Lei si ritrasse un po’, scandalizzata. «No, è un pensiero oltraggioso.»
Lui si guardò attorno. «Perché mai? La stanza è vuota, al momento. Perfino i domestici non stanno servendo.» Prese una piccola cucchiaiata di dolce e gliela porse.
Susannah la fissò. Non doveva. Non osava. Eppure si sporse in avanti, gli occhi fissi su quel cucchiaio tentatore.
«Suvvia» mormorò lui con voce bassa e invitante, «mentre nessuno guarda. Ditemi che sapore ha.»
Le avvicinò il cucchiaio e lei aprì le labbra. Prese il dolce boccone, assaporò il gusto che le esplose sulla lingua. Non aveva mai provato un sapore tanto delizioso.
Jasper la osservò, incantato. Vide il fremito delle palpebre, il movimento della gola mentre ingoiava. Quando lei si passò la lingua sulle labbra venne assalito da una fiammata di desiderio. Dannazione, non c’era da meravigliarsi che Gerald avesse perduto la testa! Distolse lo sguardo e si tirò indietro. Era lui che aveva intenzione di sedurla, si ammonì. Non doveva accadere il contrario.
«Ebbene, Miss Prentess, vi è piaciuto?»
Lei non lo guardò negli occhi. Meglio così, si disse Jasper. Non era certo che sarebbe rimasto tanto freddo, se l’avesse fissato.
«Sì... no.»
«Gradite forse un’altra cucchiaiata?» Affondò il cucchiaio nel dolce, ma lei sollevò una mano.
«No! Ci sono troppe persone adesso. Ci vedranno.»
«Ma vi piacerebbe rifarlo?»
Il suo rossore rispose per lei, ma Susannah si affrettò a negare. «Certo che no. Siete alquanto sfacciato, milord. Dimenticheremo l’accaduto, se non vi dispiace.»
La sua voce era perfettamente calma, ma lui notò che le tremavano le mani mentre sollevava il tovagliolo per portarselo alle labbra. Bene. Le aveva fatto perdere la padronanza di sé, era ciò che voleva. Era successo anche a lui, ma non si sarebbe più verificato.
«Come desiderate. C’è qualcos’altro che desidero da voi ed è perfettamente decoroso.»
«E sarebbe?»
«Giocare con voi.»
«Non se ne parla neppure. Avete già vinto più del dovuto con mia zia.»
«Vi sto offrendo l’opportunità di vincere ciò che lei ha perduto.»
«No.» Susannah si alzò e si lisciò le pieghe dell’abito. «Devo tornare in salotto.»
«Come desiderate.» Jasper gli porse il braccio e lei vi posò la mano tremante. Lottò contro l’impulso di prenderle e di proteggerla. Non era quello il suo scopo. Mentre lasciavano la stanza, le domandò di nuovo: «E giocherete con me?».
«Vi ho già detto di no, milord.»
Lui le lanciò uno sguardo provocatorio. «Dopo un simile pasto non merito una ricompensa?»
Susannah lo fissò, indignata. «Dopo un simile pasto meritereste che non vi rivolgessi più la parola!»
Charles Camerton e Mrs. Logan stavano scendendo le scale e attesero che passassero.
«Stavamo per unirci a voi» si rivolse loro Charles in tono allegro. «Mrs. Logan spera che la fortuna giri, dopo una pausa.»
Jasper notò lo sguardo dolente che la vedova rivolse a Susannah mentre passavano.
«Sembra che vostra zia e la vostra amica non stiano andando molto bene, stasera» commentò mentre salivano le scale.
«Ci rifaremo.»
«Potreste recuperare tutto con una singola mano.»
«O perdere assai di più.»
«Oh, non è detto, Miss Prentess.» Le sue parole catturarono l’attenzione di Susannah. «Non dobbiamo giocare soldi.» Si guardò attorno. Erano soli. «Metto in palio la mia spilla di diamanti contro...» Fece una pausa. «Una cena» pronunciò alla fine. «Se vincerò verrete a cena con me alla York House, giovedì sera.»