5
Jasper trascorse la settimana successiva facendo di tutto per distrarre il cugino dal pensiero di Susannah. Parve funzionare; persuase addirittura Gerald ad accompagnarlo a teatro, invece che alla serata in Royal Crescent. Gerald era abbastanza contento di andare con lui e non nominò Miss Prentess neppure una volta. Viceversa lei era stranamente sempre nei pensieri di Jasper. Inviò il proprio cameriere a indagare con discrezione sul suo conto. Peters era un dipendente leale e intelligente che aveva dato prova del proprio valore negli anni investigando su segreti che altri avrebbero preferito tenere nascosti. In quel caso, però non ebbe successo.
«Nessuno ha da ridire sulla signora» gli riferì. «Gli uomini non sanno niente e le donne, le domestiche con le quali ho parlato, non hanno altro che elogi per lei.» Il cameriere scosse il capo. «Alquanto bizzarro, se posso dirlo, milord. Di solito si trova sempre qualche succulento pettegolezzo.» Diede un colpetto di tosse, poi aggiunse: «Comunque, una cosa ci sarebbe».
«Sì?»
«Venerdì mattina, milord. Mi avete chiesto di tirar fuori il vostro abito per andare a cavallo perché sareste uscito con Mr. Barnabus, ma poi avete ricevuto un messaggio da vostro cugino, che diceva quanto fosse indisposto.»
«Sì, lo ricordo» confermò Jasper. «E dunque?»
Peters fissò una macchia sul muro e rispose, asciutto: «L’ho visto passeggiare con Miss Prentess quella stessa mattina. Erano in Henrietta Street. In quel momento non ho pensato a niente e non ve l’avrei nemmeno riferito, se non mi aveste chiesto di prendere informazioni sulla giovane signora. Be’, mi è sembrato molto strano...».
Sì, molto strano davvero, pensò Jasper, e quando affrontò Gerald, il cugino parve imbarazzato e la buttò sul ridere. «Oh, ebbene, sai come vanno queste cose» si giustificò. «Pensavo che saresti stato contrariato se avessi saputo il motivo per il quale mi ero tirato indietro, ma Miss Prentess mi aveva chiesto specificamente di andare con lei.»
Gerald si scusò, ma a Jasper non piacque l’idea che suo cugino nascondesse dei segreti e ancor meno che Susannah lo incoraggiasse a farlo.
Jasper aveva perfino preso a uscire a passeggio ogni mattina per tenere d’occhio la carrozza di Miss Prentess. Fu ripagato solo una volta, in una nebbiosa mattina, quando vide il veicolo in Horse Street. Aveva accelerato il passo appena in tempo per vederla scomparire in Wells Road. In quell’occasione non riuscì a vedere se Miss Prentess fosse dentro o meno, né si fece un’idea della destinazione. Tutto ciò che sapeva era che sia lei che sua zia sarebbero state a Bath, quella stessa sera, per un concerto.
La vide non appena entrò nelle Assembly Rooms. Il suo abito azzurro cielo di satin era una scelta inusuale per una signora nubile, ma dovette ammettere che le donava, contrastando con i ricci dorati e lucidi raccolti attorno al capo. Tentò di avvicinarla nell’intervallo, ma lei si trovava al centro di un gruppo di persone e non riuscì a separarla dai suoi amici e ammiratori. Quindi si offrì di scortare Mrs. Wilby fuori della sala dei concerti in cerca del buffet.
«Non vi abbiamo visto da quel pomeriggio in Royal Crescent» osservò lei, incoraggiata a parlare dal silenzio di lui.
«No, sono stato molto impegnato.» Jasper le porse un bicchiere di vino. «Mi pare di aver visto Miss Prentess, comunque. Stamani presto, diretta fuori Bath.»
Se non avesse osservato attentamente non avrebbe notato il lieve tremore della mano della donna mentre si portava il bicchiere di vino alle labbra. La risposta che le uscì fu controllata.
«Vi state confondendo, milord. Era solo la nostra carrozza, in uscita per passare a prendere le provviste.»
«Siete solita mandare i vostri domestici nella vostra carrozza personale, madame? Non lo trovate piuttosto bizzarro? Devono recarsi tanto lontano?» Quindi aggiunse, per venirle in aiuto: «L’ho vista dirigersi verso Wells Road».
Lo sguardo da animale braccato della vedova lo convinse che era sulla via giusta per scoprire qualcosa.
«No... non lontano, ma gli ortaggi sono migliori fuori città.» Mrs. Wilby agitò nervosamente il ventaglio. «Dovremmo rientrare, milord. Il concerto dovrebbe iniziare tra poco e detesto i ritardatari...»
L’accompagnò al suo posto e non appena si fu allontanato, lei avvicinò la testa alla nipote per parlarle animatamente. Jasper restò a osservare fino a che Susannah non alzò la testa e incontrò i suoi occhi. Il suo viso era impassibile, ma lui riuscì a cogliere un po’ di preoccupazione negli occhi di lei. Le sorrise e inclinò la testa, ma lei distolse subito lo sguardo e quando il concerto terminò condusse via in fretta la zia, prima che Jasper riuscisse ad avvicinarle.
«Se fossi dotato di una natura sospettosa direi che Miss Prentess mi sta evitando» mormorò Jasper tra sé, ripensando al concerto mentre procedeva per High Street, qualche giorno dopo. Era martedì. Il cugino aveva intenzione di recarsi in Royal Crescent, quella sera, e non riuscì a trovare alcuna buona scusa per tirarsi indietro. «Ebbene, accompagnerò Gerald. Non potrà evitarmi nel proprio salotto.»
Una figura familiare dall’altra parte della strada catturò il suo sguardo. «Charles!» Nel momento in cui l’uomo si fermò, Jasper attraversò la strada per salutarlo. «Cosa diavolo ci fate, a Bath?»
«Potrei domandarvi la stessa cosa» replicò Charles Camerton stringendogli amichevolmente la mano.
«Questioni di famiglia» mormorò Jasper restando sul vago. «Dove alloggiate?»
«Al White Hart. Sono passato a trovare mia madre a Radstock. Una visita di cortesia, nella speranza che muoia alla svelta e mi lasci i suoi beni.»
Dato che Jasper sapeva quanto Charles volesse bene a sua madre, sorrise. «Dunque, cosa ci fate a Bath?» gli domandò di nuovo.
«Mia madre è convinta che un trattamento di bagni caldi gioverà alla sua salute, quindi sono qui per cercarle una sistemazione.» Guardò il cielo. «Sebbene l’abbia persuasa che non dovrà viaggiare per almeno un mese. Siamo appena usciti da febbraio e sembra che la neve sia in arrivo.»
«Dunque vi fermerete qualche giorno?» chiese Jasper, mentre un’idea si faceva strada nella sua mente. «Cenerete con me, questa sera?»
«Con piacere» acconsentì subito l’altro. «C’è ben poco da fare in una località di bagni popolata da anziani e infermi.»
Jasper sorrise. «Oh, immagino che troveremo qualche svago. Vi piace giocare a carte, suppongo...»
«Miss Prentess!»
Susannah tese la mano a Gerald, il quale con fare galante si affrettò a portarsela alle labbra.
«Benvenuto.» Guardò alle sue spalle. «Siete solo?»
«Sì. Sono spiacente di essermi perso la serata passata.»
Lei gli sorrise mentre ritirava la mano dalla sua stretta. «Non mi aspetto che veniate ogni settimana.»
«Mi piace partecipare alle vostre serate.» Si guardò attorno e abbassò la voce. «Sono lieto di essere d’aiuto, laddove posso, Susannah, che poi è il motivo per il quale sono stato felice che mi abbiate permesso di accompagnarvi a conoscere Odesse, qualche giorno fa.»
«Spero che vostra madre gradirà il merletto che avete ordinato per lei.»
«Ne sono certo e se lo dirà alle sue amiche potrebbero giungere altri ordini.»
Susannah gli sorrise. «Senza dubbio. Mi siete stato di grande aiuto, Mr. Barnabus...»
«Gerald» la corresse. «Non siamo abbastanza amici per dispensarci dalle formalità?»
«Dunque, Gerald.» Si scrollò di dosso il senso di colpa per aver permesso una simile familiarità. Dopotutto aveva messo ben in chiaro che avrebbero potuto essere soltanto amici. Poi, detestandosi mentre lo faceva, gli rivolse la domanda che le girava in testa dal suo arrivo. «Lord Markham ha forse lasciato Bath?»
«No, è ancora qui e intende fare una capatina fra poco. Ma non parliamo di questo. Siete libera? Giocherete con me?»
Lei scosse il capo. «Sapete bene che perdete sempre.»
«Stasera mi sento fortunato» affermò lui. «E sono migliorato molto da quando abbiamo giocato l’ultima volta. L’ha detto Mrs. Logan.»
Susannah rise. «Molto bene, dunque, ma non aspettatevi che mi trattenga. Non avrò alcuna pietà!»
In quell’occasione la pietà non fu necessaria. Susannah aveva scelto un tavolo dal quale poter controllare la porta e fu talmente distratta che Gerald vinse la prima e la seconda mano.
«Ve l’avevo detto che sono migliorato» commentò lui ridacchiando, mentre raccoglieva le monete dal tavolo.
«Avete proprio ragione» concordò lei, alzandosi. «Forse però vorrete farmi la cortesia di portare la vostra vincita a un altro tavolo e offrire a mia zia la possibilità di recuperare.»
Con un sorriso di scuse guardò l’orologio. Erano passate le dieci, ci sarebbero stati ancora ben pochi visitatori in arrivo. Era assorta in quei pensieri quando la porta si aprì e Lord Markham fece il proprio ingresso. La sua comparsa le risollevò colpevolmente l’umore. Susannah non poté negare che l’aveva atteso, come aveva fatto invano la settimana precedente. Relegò tali pensieri in fondo alla mente mentre gli si avvicinava per dargli il benvenuto, chiedendosi come mai non fosse ammaliato dal suo sorriso come ogni altro uomo presente nella stanza. «Lord Markham.» Gli porse la mano, ma, malgrado si fosse fatta coraggio, al solo toccarlo un fremito le corse su per il braccio e quando con le labbra lui le sfiorò le dita, l’eccitazione le attraversò il corpo trasformandosi in dolore indescrivibile.
«Al vostro servizio, Miss Prentess. Vorrei farvi conoscere una persona. Posso presentarvi Mr. Charles Camerton? È un accanito giocatore di carte.»
«Davvero?» Susannah sottopose il visitatore a una rapida valutazione. Appariva abbastanza affabile, di qualche anno più vecchio del visconte, giudicò. Aveva una figura piacevole, vestiva abiti eleganti e i capelli ricci erano corti e alla moda. «Spero che non vi deluderemo, signore. È solo una piccola riunione tra amici.»
«Sono le migliori, Miss Prentess. Sono qui con tutta l’intenzione di divertirmi.»
«Dunque a cosa giocherete? Posso trovarvi un paio di giocatori, se voi e Lord Markham desiderate giocare a whist, oppure...»
Mr. Camerton si guardò attorno finché il suo sguardo non si posò su Kate, che stava aprendo due nuovi pacchetti di carte da gioco.
«Vingt-et-un» gli propose Susannah, seguendo i suoi occhi. «È molto popolare.»
«Ed è il mio gioco favorito. Se volete scusarmi.»
Con un sorriso e un inchino da esperto si spostò verso il tavolo di Kate.
«E quindi vi lascia a me.»
Il lieve sussurro del visconte fu come una piuma sulla sua pelle. «Sono certa che possiamo trovare qualcosa...»
«Immaginavo che potessimo giocare. Voi e io» aggiunse, a scanso di equivoci.
«Vi ringrazio, milord, ma ritengo non sia il caso.»
«Avete forse paura?»
Non intendeva reagire alla sua provocazione, quindi replicò con franchezza: «Vostro cugino mi ha detto che siete pratico del gioco. Non rischierò». Si guardò attorno, nella speranza di distrarlo. «C’è posto al tavolo di mia zia...»
«Se foste una vera giocatrice d’azzardo non resistereste a una simile sfida.»
Lei sollevò il mento. «Se foste un vero gentiluomo non mi sottoporreste a tanta pressione.»
La sua reazione gli fece allargare il sorriso. «È forse il gioco che vi intimorisce o sono io?»
Le guance di lei si infiammarono a quelle parole. Poteva avvertirne il calore e il cuore le batteva all’impazzata, lasciandola senza fiato. Aveva i sensi all’erta, come di fronte a un pericolo improvviso. Era avvolta dalla sua presenza. Desiderava fuggire, ma era inchiodata sul posto. Doveva rimanere lucida. Si trovavano nel suo salotto, circondati da molte persone. Quale danno poteva mai arrecarle? Eppure tutt’attorno a loro era silenzioso. Come se fossero soli, estraniati dal mondo. Poteva sentire il suo odore penetrante di sandalo e limone e una fragranza indefinibile e lieve che adesso sapeva essere la sua.
Aveva gli occhi fissi sul suo mento, sulla bocca, su quelle labbra scolpite e quelle leggere rughe a ogni angolo che si accentuavano quando sorrideva. Non osò alzare lo sguardo, al contrario abbassò gli occhi per fissare il diamante che brillava tra le pieghe del suo fazzoletto da collo.
«Ebbene, Miss Prentess?»
Era così vicino che Susannah percepiva il suo alito sulla fronte, soffice come una carezza. Doveva mettere fine a quella situazione. Subito. Con tutta la forza di cui disponeva si raddrizzò, obbligandosi a guardarlo in faccia. «Non è paura, Lord Markham» rispose, fredda. «È buonsenso. Non si dovrebbero mai correre rischi inutili.»
Si voltò per allontanarsi e lui le toccò il braccio. «Un’ultima cosa. Siete stata vista con Gerald, venerdì mattina.»
Si girò di scatto, dominandosi con altezzosa noncuranza. «E cosa ci sarebbe di male, milord?»
«Mio cugino ha disdetto un appuntamento che aveva con me per accompagnare voi.»
Non lo sapeva e se ne dispiaceva, ma era determinata a non farlo capire al visconte. Sfoderò un sorriso sfolgorante di trionfo. «Ciò è deplorevole, certamente, ma non è cosa che mi riguardi.»
Lui serrò la mascella, manifestando così la propria rabbia. Con un leggero cenno del capo Susannah si voltò, allontanandosi, con la consapevolezza che lui stava osservando, il che le procurò un’ondata di inquietudine lungo la spina dorsale.
«Ebbene, Camerton, cosa ne pensate di quest’ultima bisca di Bath?» domandò Jasper in tono leggero.
Si stavano allontanando da Royal Crescent, tenendo un passo svelto per compensare il vento gelato che li avvolgeva. Charles Camerton rise della definizione dell’amico. «A mio parere, la serata di Mrs. Wilby non ha niente a che fare con una bisca. Le puntate sono talmente basse che risulterebbero ridicole, in città.»
«Gia. È improbabile che solleverebbero la curiosità di un giudice» convenne lui. «Non avete notato casi di mani non valide?»
«Nessuno. Mrs. Wilby e sua nipote sono giocatrici esperte. Non ho mai conosciuto donne tanto perspicaci.»
«E che mi dite di Mrs. Logan? Ho notato che avete trascorso molto tempo al suo tavolo.»
Camerton sorrise. «Con quelle misere puntate ho dovuto pur intrattenermi! Lei è diversa e la cosa mi piace. Ho il sospetto che sia stata una giocatrice professionista, tempo fa. A ogni modo...» Si batté sulla tasca. «... sono più ricco, quindi non mi lamento.»
«Né lo fanno gli altri uomini che giocano lì, ma sono convinto che vincano di rado.»
«Ah, ma non sono lì per le carte! Vanno piuttosto ad adorare Miss Prentess.»
«L’avete notato?»
«Ma certo! È un autentico diamante. E vostro cugino Barnabus è il più innamorato di tutti.»
Jasper si accigliò. Non era ciò che desiderava sentire. Riportò l’attenzione su Charles, che continuava a parlare. «E voi dite che è un’ereditiera? Interessante. Con il suo aspetto dovrebbe trovarsi a Londra. Potrebbe contrarre un magnifico matrimonio.»
«È ciò che ho pensato anch’io» dichiarò Jasper incupendosi. «Credo che la sua famiglia provenga da Londra. Accidenti, Charles, qui si cela qualche mistero!»
L’altro inarcò un sopracciglio. «E voi siete interessato alla Prentess e quindi volete scoprirlo?»
Lui fu svelto a negare. «Sono solo interessato a salvare mio cugino da una disastrosa relazione.»
«Non vedo come il matrimonio con un’ereditiera possa risultare disastroso.»
Era quello che lo stesso Jasper aveva detto a Gloriana, ma adesso era davvero importante per lui che Susannah Prentess non sposasse Gerald.
«Sapete» rifletté Charles, «potrei io stesso nutrire un interesse per lei.»
«Vi prego di no!»
L’altro rise. «No. La sua amica Mrs. Logan è più di mio gradimento. Lascerò la Prentess a voi.»
Erano giunti in fondo a Milsom Street e Jasper fu sollevato all’idea di separarsi dall’amico. La loro conversazione stava diventando alquanto sgradevole.
Una settimana di vento gelido e di nevicate tenne tutti chiusi in casa. I domestici cospargevano i passaggi pedonali di cenere per prevenire le cadute e zia Maude insistette che usassero la portantina per andare alle Assembly Rooms, il lunedì seguente, piuttosto che mettere a rischio i cavalli sull’acciottolato ghiacciato.
Susannah si aspettava che le sale fossero deserte, ma il ballo era un sufficiente incentivo per richiamare i residenti di Bath in gran numero. Quella sera indossava un altro nuovo abito di Odesse, di seta color crema finemente orlato di gale con le maniche corte a sbuffo e guanti lunghi abbinati. Indossava uno scialle di seta ricamato con piccoli boccioli di rosa contro l’aria fredda che sapeva sarebbe penetrata persino dentro l’edificio.
Gerald la stava cercando e subito la condusse a ballare. Susannah si meravigliò di trovare Kate che stava già danzando insieme a Charles Camerton.
«Voi, Kate, ballate?» la canzonò quando il flusso della danza le avvicinò.
Lo sguardo imbarazzato della vedova sorprese Susannah e quando vi fu un’interruzione nel ballo andò in cerca dell’amica.
«Non credo di aver mai saputo che abbiate ballato, qui» osservò. «E con Mr. Camerton, poi...»
L’altra si strinse nelle spalle e agitò il ventaglio. «Sembrava impaziente di danzare con me. E dopo il modo in cui mi ha spennata spietatamente martedì, ho ritenuto potesse aiutarmi a scoprire qualcosa su di lui.»
Susannah sospirò, momentaneamente distratta. «Le partite della scorsa settimana sono state davvero deludenti. Zia Maude ha perso un paio di centinaia di sterline con Lord Markham e perfino io non sono riuscita a vincere con Mr. Barnabus.»
«Sto iniziando a sospettare che si sia trattato di un piano orchestrato a bella posta da quei tre gentiluomini.»
«Forse da Mr. Camerton e dal visconte, ma non da Gerald. In quel caso è stata soltanto colpa mia. Ero... distratta.»
«Ebbene, dobbiamo stare in guardia» l’ammonì Kate. «Non potremo sopportare a lungo perdite simili.»
«Forse in futuro dovremmo rifiutare di ammettere Mr. Camerton e il visconte.»
La risposta della vedova fu immediata. «Oh, no, dobbiamo sperare che continuino a venire!» Poi aggiunse, in tono leggero: «Per lo stesso motivo ballerò ancora con Mr. Camerton. Spero di compiacerlo, di modo che quando giocheremo ancora lo coglierò impreparato».
Quindi partì alla ricerca della sua preda. Kate si stava chiaramente divertendo e Susannah non fu convinta dalle motivazioni che l’amica aveva addotto per il fatto di aver accettato di ballare con Mr. Camerton.
«Qualcosa vi diverte, Miss Prentess?»
La voce del visconte alle sue spalle era calda e seducente.
«Stavo parlando con Mrs. Logan. Ha l’invidiabile capacità di mettermi sempre di buonumore.»
«Di certo sembra in ottimi rapporti con Charles Camerton. Sta di nuovo ballando con lui.» Le porse la mano. «Vogliamo unirci a loro?»
Susannah aveva già deciso che avrebbe evitato il visconte quando possibile, ma di certo le argomentazioni di Kate avevano qualche valore. Forse, invece di allontanarsi da Lord Markham, avrebbe dovuto cercare di affascinarlo sempre di più. In quel caso, avrebbe fatto bene ad accettare il suo invito. Gli pose quindi la mano sul braccio e lo seguì sulla pista. L’orchestra aveva attaccato un pezzo vivace e Susannah si divertì moltissimo. Restò sorpresa quando la musica terminò. Lord Markham la invitò a restare sulla pista per un secondo ballo e lei si disse che sarebbe stato scortese rifiutare.
Quando terminarono di ballare, fu lieta di restare con lui in un angolo della sala a guardare gli altri ballerini. Quando lui accennò di averla vista sulla carrozza in Wells Road non si scompose.
«Di certo non è affare di nessuno se la mia servitù utilizza la mia carrozza per le nostre commissioni.»
«Vero.» La guidò verso un sedile vuoto e sedette accanto a lei. «Comunque sia è inusuale. In ogni caso, in un’ereditiera tali stravaganze non sono oggetto di critica.»
Sedere con il visconte dava adito a qualche commento. Susannah vide una o due matrone sussurrare dietro i ventagli e quando una dama particolarmente altezzosa le sorrise e inclinò la testa, le sfuggì una risatina.
Il visconte inarcò le sopracciglia.
«Essere vista in vostra compagnia si sta rivelando molto utile per me» spiegò con gli occhi scintillanti. «Stasera sono presenti diverse persone boriose e non le ho mai viste guardarmi con tale approvazione.»
«E perché mai dovrebbero disapprovarvi?»
«Oh, be’...» Lei agitò una mano. «Perché mio padre era solo un capitano. Perché mio zio era un nababbo.»
«Un nababbo incredibilmente ricco» puntualizzò lui.
«Vero.» Susannah sorseggiò il vino. «Comunque la nascita è tutto.»
«Davvero?» Jasper cambiò posizione per trovarsi di fronte a lei. «Siete la figlia di un gentiluomo ed erediterete una fortuna. Avrei pensato che una simile prospettiva vi avrebbe spalancato tutte le porte di Bath.»
«Forse, se avessi adulato servilmente quelle matrone che si ritengono tanto superiori.»
«Da ciò che ho capito di voi, non riesco a immaginarvi fare niente di simile.»
Il suo improvviso sorriso l’affascinò, mozzandole il fiato. Distolse in fretta lo sguardo.
Jasper percepì la sua improvvisa ritirata. Si era rilassata, pronta ad avere fiducia in lui, ed era riluttante a lasciare che quel momento terminasse. Ricordò ciò che gli aveva detto Gerald. «Vivere nel Crescent, in una posizione tanto di prestigio, può essere interpretato come pretenzioso.»
«Forse.»
Le sorrise. «Ma a voi non interessano davvero le opinioni di quella gente, non è così?»
«Ottenere la loro approvazione potrebbe rivelarsi molto utile» rispose Susannah con cautela.
«Per aumentare il valore delle vostre serate?»
«Certo. Immaginate quanto mi farebbe piacere avere una duchessa nel mio salotto.»
«Non dubito che non vi rifiutereste di giocare con lei.»
«Certo che no.»
«Eppure non giocherete con un semplice visconte.»
«Non con voi, milord.»
«E perché? Avete giocato con mio cugino in svariate occasioni.»
«È diverso.»
«Perché avete intenzione di sposarlo?»
«No!»
Lui imprecò dentro di sé non appena ebbe formulato la domanda, ma il tono del suo diniego e lo sguardo serio dei suoi occhi lo rassicurarono. Era sincera. «Non potete accontentarvi di aver vinto duecento sterline da mia zia, la scorsa settimana?» gli domandò.
«Appena un’inezia. Si riprenderà con due partite.»
«O raddoppierà la perdita.»
«Vero.» Jasper si sporse in avanti. «Cosa devo fare per indurvi a giocare con me, Miss Prentess?»
Vide che si ritraeva. L’aveva messa troppo alle strette. Lei rise e scosse il capo. «Ahimè, milord, non dubito che siate avvezzo a giocare nei circoli di Londra, a perdere migliaia di sterline a partita. Vi aspettate che metta a rischio la mia paghetta contro di voi?» Si alzò. «Potete venire in Royal Crescent, milord, e giocherò con voi, ma ai tavoli con più persone.»
«Mi considerate un avversario troppo pericoloso da sfidare da sola?»
Anche Jasper si alzò. Avrebbe voluto baciarla. Scacciò quel pensiero mentre sosteneva il suo sguardo. Non vi era traccia di allegria in quegli occhi nocciola. All’improvviso i suoi sensi si fecero vigili, consci che non stavano riferendosi solo alle carte.
«Penso che siate estremamente pericoloso, milord.» Le sue parole caddero dolcemente tra loro prima che lei si voltasse per andare via.
«Miss Prentess sembra piuttosto contrariata, Markham» lo apostrofò Charles Camerton, avvicinandosi. «Cosa le avete detto?»
«Le ho chiesto soltanto di giocare a carte con me.» Non distolse gli occhi dalla figura che si allontanava. «Ha rifiutato.»
L’altro ridacchiò. «Ahimè, questo significa che dovete aver perso il vostro tocco, vecchio mio.»
Il commento gli bruciò, ma Jasper cercò di ignorarlo.
«O forse» mormorò Charles, «sta giocando con voi, per accrescere il vostro interesse.»
«Può darsi.» Jasper mantenne un tono leggero, ma in cuor suo non voleva pensare che Susannah stesse giocando con lui.
«Buongiorno, Miss Prentess. Vi ho portato la cioccolata calda.»
Susannah emise un gemito. Dopo essersi rigirata tutta la notte nel letto, era appena sprofondata nel sonno quando la voce allegra di Dorcas l’aveva destata. La domestica tirò le tende e la debole luce del grigio mattino invernale riempì la stanza. Emise un altro gemito e si tirò le coperte sulla testa. La cameriera reagì spronandola. «Suvvia, signorina. Avete ordinato che la carrozza fosse qui tra un’ora. Ciò non ci lascia molto tempo per prepararvi... o dovrò forse dire a Edwards di andarsene?»
«No, no, mi alzo.»
Susannah si mise a sedere e si strofinò gli occhi. Fissò le fiamme che guizzavano vivaci nel caminetto. Non aveva udito la cameriera entrare e attizzare il fuoco, quindi doveva aver dormito, anche se era stata disturbata dai sogni. Sorseggiò la sua tazza di cioccolata mentre Dorcas si affaccendava per la stanza.
«È una mattinata fredda, signorina, volete indossare la giacchetta a collo alto?»
Le porse il corto indumento rosa con la rifinitura di pelliccia.
«Sì, sì, quello va bene.» Susannah gettò un’occhiata al rigido cielo nuvoloso fuori dalla finestra. «E fareste meglio a cercare il mio vecchio mantello da viaggio.»
L’orologio stava suonando l’ora mentre Susannah scendeva le scale. Gatley la informò che la carrozza era pronta, ma invece di aprire la porta d’ingresso l’accompagnò al piano inferiore e la fece uscire dall’uscio che dava sul giardino. Susannah era avvolta nel suo pratico mantello e, con il cappuccio tirato sui ricci, sperava di poter passare per una domestica mentre attraversava di fretta il giardino giungendo nello stretto vicolo che conduceva alle stalle che davano su Crescent Lane, dove l’attendeva la sua carrozza. Prima di sistemarsi nel suo posto tirò giù le tendine. Se quella mattina Lord Markham era fuori, non avrebbe corso il rischio di essere vista.
Soffocò uno sbadiglio. Il pensiero del visconte le aveva turbato il sonno. Era andata a dormire dopo il ballo con la testa che le girava. Quando chiuse gli occhi stava di nuovo ballando con Lord Markham, le dita che fremevano al suo tocco e il cuore che cantava per il suo sorriso carezzevole. Si strofinò le braccia, a un tratto gelate nonostante il pesante mantello. Se Lord Markham avesse lasciato Bath, lei sarebbe stata di nuovo tranquilla.
Ma che vita noiosa sarebbe, senza di lui!
Susannah si riscosse mentalmente. Quei pensieri malinconici non erano da lei. Scostò una tendina e guardò fuori, Bath era ormai distante. La carrozza procedeva rumorosamente attraverso i sentieri di campagna, quando finalmente rallentò e uscì dalla strada principale diretta al villaggio di Priston. Susannah si sporse in avanti, sapendo che ben presto avrebbe avuto una chiara visuale della sua destinazione.
La carrozza prese velocità mentre seguiva la strada che costeggiava la vallata e in alto, arroccata sulla collina, si trovava una residenza giacobiana dallo sviluppo irregolare fatta di pietra calcarea del luogo che rosseggiava calda, perfino nella pallida luce invernale. Non era imponente come le altre proprietà ereditate dallo zio Middlemass e aveva estrema necessità di un restauro, ma la reputava la più incantevole. Era impaziente di poter avere il controllo sulla propria fortuna per poterla ristrutturare. Fino a quel momento doveva farcela con il poco denaro che riusciva a mettere da parte e con i proventi delle serate a carte.
La carrozza rallentò per affrontare la curva e il suo cuore si gonfiò di orgoglio quando vide il cartello dipinto da poco e fissato al pilastro di pietra del cancello: Florence House. Procedettero a sobbalzi lungo il viale fino allo spazio rotondo per le carrozze, disseminato di erbacce, di fronte alla casa. Si fermarono davanti alla porta d’ingresso e Lucas balzò giù per estrarre la scaletta.
Mentre scendeva, una figura materna in abito nero di lana uscì in fretta per andarle incontro, i lembi bianchi della cuffia che le rimbalzavano sulle spalle.
«Miss Prentess, benvenuta, mia cara! Vi prego di entrare e di non restare qui al vento gelido.»
«Vi ringrazio, Mrs. Gifford.»
L’anziana signora le fece strada verso un piccolo salottino situato subito dopo l’ingresso, nel cui camino scoppiettava un fuoco accogliente.
«È già arrivato il nostro costruttore?»
«Non ancora, madame, ma siete giunta di buon’ora. Non credo che arriverà prima di una mezz’ora. Avete tempo per rinfrescarvi. Jane vi sta portando un bicchiere di vino aromatizzato.»
«Vi ringrazio, è proprio quello che ci vuole.»
Susannah si sciolse i lacci del mantello e si guardò attorno. Aveva sempre trovato quel salottino molto confortevole. Con il soffitto basso e le pareti con i pannelli di legno, era di certo una delle stanze più semplici da scaldare. Una poltrona e un divano erano stati sistemati davanti al caminetto, mentre sotto una finestra si trovavano un tavolo con alcune sedie che offrivano sufficiente spazio per cenare o lavorare. Al momento era ingombro di appunti scritti e di un grosso libro mastro, che indicava il lavoro svolto dalla governante. Susannah appoggiò il mantello su una delle poltrone e si avvicinò al caminetto per scaldarsi le mani. Si voltò mentre si apriva la porta e una giovane donna gravida con un vassoio in mano entrò. Camminava piano, tenendo il vassoio ben sollevato davanti a sé per evitare la sua ampia pancia. Susannah si alzò subito.
«Jane, lasciate che lo prenda io, non dovreste servirmi...»
«Vi ringrazio, ma ce la faccio benissimo. Ed è un piacere portarvi il vino.»
Susannah sedette, accorgendosi che insistere per prenderle il vassoio avrebbe urtato la sensibilità della ragazza. «Vi ringrazio, Jane, è molto gentile da parte vostra.» La osservò posare il vassoio con cautela su un tavolinetto. «Per quando è atteso il bambino?»
«La levatrice ritiene che manchino ancora una o due settimane.» Jane sorrise e si strofinò il ventre gonfio. «Non arriverà abbastanza presto per me, Miss Prentess.»
«Chiamatemi Susannah, vi prego. Vi è ben poca differenza tra le nostre posizioni sociali.»
Il sorriso della ragazza svanì. «Forse un tempo, ma adesso...» Guardò il proprio corpo. «Sono una donna dalla pessima reputazione.»
«Non voglio che qui dentro si usino certi termini» ribatté lei con rabbia. «Siete stata sfortunata. Accade lo stesso a tutte le fanciulle che portiamo qui.»
«E se non fosse per la vostra gentilezza saremmo ancor più sfortunate» osservò Jane. «Ci troveremmo a Walcot Street e laggiù non verremmo affatto chiamate fanciulle» aggiunse con freddezza.
«Non volete sedervi?» Susannah indicò una sedia, ma l’altra scosse la testa.
«Se volete scusarmi, tornerò nella mia stanza a riposare. La levatrice sostiene che questo piccolino non è ancora pronto a nascere, ma a parer mio, invece, è molto impaziente.»
«È una cara ragazza» dichiarò Mrs. Gifford quando Jane se ne fu andata. «Ricama talmente bene che Odesse ha detto che sarà felice di prenderla con sé, una volta nato il bambino.»
«Bene.» Susannah sorseggiò il vino. «Dato che abbiamo poco tempo sarebbe opportuno che mi faceste adesso i resoconti della situazione, invece di aspettare fino a quando dovrò parlare con Mr. Tyler.»
Mrs. Gifford si sedette e giunse le mani in grembo. «Ho dovuto trasferire ogni cosa dall’ala est perché il camino non è sicuro e temiamo che potrebbe crollare sul tetto al primo temporale. Poi c’è la crepa sul frontone a sud che si sta allargando. Tuttavia quella parte della casa è abbastanza sicura e sono riuscita a trovare camere da letto asciutte per ciascuna delle nostre ospiti. Miss Anstruther, Violet, si è sistemata bene, sebbene sia ancora molto abbattuta e non esca di camera.»
«C’era da aspettarselo» replicò Susannah. «Salirò da lei più tardi, se vorrà vedermi.»
«Se?» proruppe Mrs. Gifford. «Ma certo che vorrà vedervi! Siete voi che avete reso possibile che ci si occupasse di lei. Ha parecchio di cui esservi grata, come le altre...»
Susannah scosse il capo. «Non approfitto della loro gratitudine» pronunciò con calma. «Qui tutte sono ospiti e desidero trattarle con il medesimo rispetto che vorrei per me stessa. Tutto qui. Proseguite.»
«Al momento abbiamo solo tre ragazze: Lizzie Burns, Jane e Miss Anstruther.»
«E come sta Lizzie? Quando sono stata qui l’ultima volta non si sentiva bene.»
«Ritengo che la febbre sia stata scongiurata, ma il dottore dice che dovremmo tenerla a letto per un’altra settimana. Comunque, il bambino ha ormai tre settimane e gode ottima salute.»
«Dunque c’è qualche buona notizia. E voi, Mrs. Gifford? Come sta vostra sorella?»
Il viso dell’anziana donna si fece serio. «Molto male, temo.»
«Allora dovete andare da lei appena possibile. La donna alla quale abbiamo fatto il colloquio per prendere il vostro posto, Mrs. Jennings, tra quanto potrà essere qui?»
«Giungerà questo pomeriggio. Sperò di potermene andare stasera stessa.»
«Bene. E disponete di sufficiente denaro per il viaggio?»
«Sì, vi ringrazio.» L’anziana donna batté le palpebre. «Che Dio vi benedica, Miss Prentess, siete stata molto generosa. Dubito che starò via per molto, temo che la fine di mia sorella sia prossima.»
«Dovete prendervi tutto il tempo necessario» le raccomandò Susannah. «A Florence House se la caveranno. E adesso...» Guardò verso la finestra. «... se non erro il capomastro è arrivato e finalmente capiremo quali lavori sarà necessario intraprendere.»