Prefazione

di Werner Rothengatter*

I grandi progetti (o megaprogetti) sono caratterizzati, secondo Bent Flyvbjerg1 della Saïd Business School dell’Università di Oxford, da quattro aspetti eccezionali (sublimes) che possono avere natura tecnologica, politica, economica o estetica. Le tecnologie innovative o le prestazioni tecnologiche estreme sono affascinanti per gli ingegneri, che si sentono sfidati a dimostrare capacità fuori dal comune. I policy makers e i loro sostenitori si aspettano che la regione interessata ottenga una maggiore visibilità e i politici responsabili a vario titolo una reputazione migliore. Uomini e donne d’affari sognano di creare occasioni importanti per fra crescere i profitti delle loro imprese. Per finire, l’estetica di un progetto può contribuire a rinnovare l’immagine di una regione o di una città, assegnando loro un segno di riconoscimento visibile, da piazzare su foto e magliette.

Tali aspetti eccezionali sono spesso accampati dai promotori per giustificare i costi estremamente alti dei megaprogetti, costi che possono raggiungere svariati miliardi di euro. Ci si aspetterebbe che gli sforzi investiti in un’attenta pianificazione progettuale e nella stima dei costi aumentassero almeno in modo direttamente proporzionale al volume finanziario di un’iniziativa. Sorprendentemente, però, le analisi dei megaprogetti rivelano un risultato contrario alle aspettative, ovvero che quelli di dimensione maggiore sono più soggetti a fallimenti gravi in materia di pianificazione, acquisti e costruzione rispetto a quelli più piccoli. In alcune di queste circostanze, i processi di pianificazione arrivano a somigliare alla costruzione di una casa il cui inesperto proprietario, dirigendone i lavori, inizia con molto entusiasmo per finire poi in preda alla disperazione assoluta. È quello che succede per esempio quando un’iniziativa è gestita da un’amministrazione locale o regionale per la quale il megaprogetto rappresenta una sfida eccezionale: gli sforamenti sui costi o sui tempi possono allora essere giustificati proprio dall’eccezionalità. Casi di fallimento involontario di questo tipo, in materia di pianificazione, sono però una minoranza rispetto ai fallimenti legati in modo più sostanziale ai processi di pianificazione e di finanziamento, e previsti in piena consapevolezza da parte dei soggetti promotori.

Le cause dei fallimenti citate con maggior frequenza sulle riviste e negli studi scientifici sono2:

un’insufficiente cura nella fase di pianificazione preliminare, non sufficientemente supportata da promotori pubblici e privati;

decisioni di (iper)progettazione in una fase iniziale di pianificazione, che costringono ad apportare successivamente cambiamenti significativi ai piani;

competenze tecniche insufficienti da parte dei manager degli enti pubblici che gestiscono il progetto, o una struttura inappropriata delle società di progetto e delle organizzazioni di controllo, studiate in modo da dare privilegi ad alleati politici;

valutazioni economiche approssimative e a volte palesemente falsate;

la ricerca di rendite da parte di imprese private inclini a lanciare offerte minime per appalti di fornitura e a gonfiare al massimo in tempi successivi le pretese supplementari;

la mancata cooperazione tra progettisti, società di costruzione e autorità pubbliche, che conduce spesso a contese legali e interruzioni dei lavori;

diffuse incapacità di gestire cambiamenti del contesto e rischi.

Fallimenti di questo tipo sono addirittura favoriti se il progetto è finanziato da soggetti esterni, come per esempio il progetto del tunnel stradale di Boston (il «Boston Big Dig»), finanziato dal governo federale degli Stati Uniti. Molti grandi progetti locali relativi ai trasporti pubblici (tram, metropolitane) hanno questa caratteristica e introducono incentivi che spingono l’amministrazione locale e gli stakeholder che li promuovono a manipolare le cifre relative a costi e benefici per ottenere l’approvazione del cofinanziamento federale.

Nel caso degli aspetti di natura estetica (l’esempio può essere quello di progetti culturali come l’Opera House di Sydney o la Elbphilharmonie di Amburgo) è fenomeno più o meno naturale che politici, artisti e mezzi di comunicazione intervengano continuamente a incrementarne la complessità, nonché le deviazioni dai piani iniziali. Malgrado tutti i disastri di pianificazione e costruzione, alcuni di tali progetti culturali alla fine possono arrivare a simboleggiare l’attrattività delle città, tanto che gli sforamenti sui costi e sui tempi possono essere compensati dal maggior numero di visitatori.

Anche nel caso delle innovazioni straordinarie di natura tecnologica non ci si può aspettare che le idee originarie possano essere realizzate esattamente come pianificato, di conseguenza le deviazioni dalle stime iniziali dei costi rappresentano la norma e non l’eccezione. Alcuni esempi sono il MagLev, il treno a levitazione magnetica che collegherà Tokyo e Ōsaka attraverso Nagoya, in cui la stima dei costi per la tratta iniziale da Tokyo a Nagoya è stata incrementata di circa 100 miliardi di dollari; o il progetto Hyperloop, considerato un’alternativa ai treni ad alta velocità sulla West Coast degli Stati Uniti, rispetto al quale i promotori al momento dichiarano pubblicamente solo i costi medi stimati per la costruzione di un chilometro di linea in aree non urbane, escludendo le ben più costose tratte in pieno centro, e le stazioni e gli impianti di emergenza.

Tuttavia, quando si tratta di pianificare aeroporti, ponti, autostrade o tratte ferroviarie ad alta velocità, gli argomenti basati sull’eccezionalità degli aspetti estetici o tecnologici non valgono. Le componenti innovative infatti sono limitate, e quindi la maggior parte del progetto può essere pianificata e ingegnerizzata sulla base di conoscenze già esistenti e collaudate. Malgrado in genere un megaprogetto non abbia precedenti in una determinata zona, esistono infatti diversi progetti simili nel mondo, da cui a posteriori trarre esperienze per stimare costi, rischi e potenziali benefici in modo più affidabile. Nel caso delle ferrovie ad alta velocità, gli economisti esprimono dubbi su un numero sempre più grande di progetti, circa il fatto che l’enorme investimento sia giustificato da benefici economici3. In particolare, i rapidi sviluppi di queste reti in Cina4 o in Spagna5 sono oggetto di analisi critica: il risultato è che una parte considerevole di tali investimenti può essere giustificata solo da argomenti politici, a volte basati sull’equità regionale o sulla tutela dell’ambiente (dal punto di vista climatico). Ciò solleva tuttavia rilevanti interrogativi circa il fatto che gli impatti auspicati in termini di equità regionale e tutela dell’ambiente possano essere ottenuti in modo più economico mediante altre misure.

Detto ciò, sarebbe tuttavia fuorviante classificare tutti i megaprogetti, e in particolare i piani per le ferrovie ad alta velocità, come «disastri annunciati». Se si prende la decisione, come collettività, di ridurre gli impatti ambientali dei trasporti e si identifica un trasferimento modale verso le ferrovie come passo efficace in tale direzione, occorrerà promuovere un profondo cambiamento in termini di attrattiva del trasporto ferroviario. Sarebbe quindi necessario sottoporre le reti ferroviarie ad attività che richiederanno altri investimenti straordinari, dato che, nei decenni di disponibilità a buon mercato dei terreni e di altre risorse, i policy makers responsabili dei trasporti hanno preferito costruire autostrade, meno onerose per le casse pubbliche. Una ristrutturazione delle ferrovie è comunque estremamente costosa e può essere giustificata dal punto di vista economico solo se tali investimenti saranno accompagnati da politiche ancora più severe in materia di traffico stradale, come nel caso degli investimenti sui tunnel AlpTransit in Svizzera e delle misure politiche associate. Un altro esempio di questo tipo di interventi è il modo in cui è stata creata artificialmente una domanda relativa al progetto MagLev in Giappone, attraverso l’imposizione di limiti al trasporto aereo domestico mediante il congelamento della capacità dell’aeroporto Haneda di Tokyo.

In Italia diversi megaprogetti sono al centro di accesi dibattiti, e potrebbe essere utile ricorrere al paradigma degli aspetti eccezionali per descriverli. Nel caso del ponte sullo stretto di Messina, per esempio, l’argomento politico prevalente è basato sullo sviluppo regionale di Calabria e Sicilia, regioni meno sviluppate rispetto al resto del paese. In queste circostanze, tuttavia, quel progetto non sembra eliminare un collo di bottiglia, come invece nei casi dei ponti sul Bosforo, sul fiume Tago o sull’Øresund; è difficile aspettarsi una crescita automatica delle economie regionali indotta unicamente da un ponte. Un investimento di questo tipo dovrebbe dunque essere inserito in un contesto di misure politiche volte a promuovere la competitività economica regionale nel suo complesso, così da generare benefici maggiori dei costi dell’investimento. Nel caso del progetto relativo alla ferrovia Torino-Lione sembra prevalere l’argomento di tipo ambientale, ma resta da verificare se sia possibile adottare misure aggiuntive, insieme a parametri di progettazione ridotti, per raggiungere gli stessi obiettivi ambientali contenendo i costi pubblici entro limiti accettabili. Il progetto della ferrovia Milano-Genova sembra motivato principalmente dagli impatti economici, perché la tratta fa parte del corridoio tra Rotterdam e Genova, in particolare per il trasporto merci. Progetti di questo tipo richiedono tuttavia un’attenta analisi degli eventuali impatti economici più ampi («wider economic benefits»), al di là delle stime sui risparmi diretti in termini di tempo e di costi operativi. Ciò significa che la tradizionale analisi costi-benefici, che pur ha il vantaggio di numerose applicazioni e un alto livello di standardizzazione, dovrebbe essere estesa a uno studio dei citati impatti economici più ampi, sotto la supervisione di un comitato scientifico indipendente, in assenza di standard nazionali o internazionali per questi aspetti dell’analisi.

Il libro di Marco Ponti inizia citando l’opera dell’ingegnere francese Jules Dupuit alla metà del XIX secolo. Riguardo al dibattito sui megaprogetti, due intuizioni di Dupuit sembrano degne di nota: prima di tutto suggerì di considerare il valore aggiunto che un progetto relativo ai trasporti può generare in tutti i mercati interessati. Ciò implica che il tradizionale approccio costi-benefici, se limitato al valore generato all’interno del mercato dei trasporti, potrebbe essere eccessivamente circoscritto e che bisognerebbe tener conto degli impatti economici più ampi. Tuttavia Dupuit si oppose fermamente alla visione di Léon Walras, secondo cui occorre considerare le infrastrutture di trasporto come un «bene pubblico», il che comporterebbe imporre tariffe basate sui soli costi marginali, e finanziare il deficit che ne risulta mediante risorse pubbliche: la presenza di costi fissi elevati e rendimenti di scala crescenti non è infatti per Dupuit un argomento sufficiente a giustificare le sovvenzioni pubbliche. Bisognerebbe invece adottare modalità di progettazione molto attente e, una volta approvato il progetto, ogni sorta di politica fiscale e di pricing efficace per ridurre al minimo il cofinanziamento pubblico.

Seguendo questa logica, anche i megaprogetti motivati principalmente in base ad argomenti di equità e di tutela dell’ambiente dovrebbero essere sottoposti a verifiche più attente dal punto di vista della configurazione economica ottimale per contenerne l’onere per lo Stato. Ciò è in linea con le visioni critiche di Marco Ponti, presentate in questo libro, sui fondamenti razionali delle politiche di investimento nei trasporti in Italia. Sua intenzione è quella di incrementare la trasparenza dei futuri processi di pianificazione e di finanziamento e di dare a tutti i soggetti coinvolti informazioni imparziali su tutti gli impatti, evitare errori di valutazione ed accrescere la fiducia della collettività nelle politiche di investimento nei trasporti.


* Professore emerito di Economia dei trasporti presso l’Istituto di Economia politica del Karlsruher Institut für Technologie.

1. Bent Flyvbjerg, «What You Should Know about Megaprojects and Why: An Overview», Project Management Journal, aprile-maggio 2014, 45(2), pp. 6-19.

2. Werner Rothengatter, «Risk Management for Megaprojects», in Kai Wegrich, Genia Kostka, Gerhard Hammerschmid (eds), The Governance of Infrastructure, Hertie Governance Report, Oxford, Oxford University Press, 2017.

3. Claus Doll, Werner Rothengatter, Wolfgang Schade, «Results and Efficiency of Railway Infrastructure Financing in the EU», Study for the European Parliament, Brussels, 2015.

4. Atif Ansar, Bent Flyvbjerg, Alexander Budzier, Daniel Lunn, «Does Infrastructure Investment Lead to Economic Growth or Economic Fragility? Evidence from China», Oxford Review of Economic Policy, 2016, 32(3), pp. 360-390.

5. Daniel Albalate, Germá Bel, «La experiencia internacional en alta velocidad ferroviaria», Documentos de Trabajo, 02, FEDEA, Madrid, 2015.