- Metti questo - disse gettando l'abito sul letto e avvicinandosi a lei. - Stasera niente colori smorti: grigio tortora o viola pallido. La tua bandiera deve sventolare all'albero maestro. E metti molto belletto. Sono sicuro che la moglie del fariseo accusata di adulterio non era così pallida. Voltati. -

Afferrò le stringhe del busto e le tirò talmente da strapparle un gemito. Era spaventata, umiliata e confusa.

- Ti fa male, eh? -

Rise brevemente ed ella non lo vide in volto.

- Peccato che questo cordone non sia attorno al tuo collo.-

La casa di Melania brillava di luce in tutte le stanze; ed essi udirono la musica fin dalla strada. Man mano che si avvicinavano all'ingresso, giungeva il suono eccitante e piacevole delle voci degli invitati. La casa rigurgitava. Gli ospiti sciamavano sulla veranda e molti erano seduti sui banchi alla luce fioca delle lampade sospese agli alberi dello spiazzo.

"Non posso entrare, non posso" pensò Rossella seduta in carrozza, stringendo convulsamente il fazzoletto appallottolato. "Non posso. Non voglio. Salterò a terra e fuggirò, ritornerò a Tara. Perché Rhett mi ha costretta a venir qui? Che farà la gente? Che farà Melania? Non posso apparire dinanzi a lei. Voglio fuggire!"

Come se le avesse letto nel pensiero, Rhett le strinse il braccio come in una morsa.

- Non ho mai saputo che un'irlandese fosse vile. Dov'è il tuo coraggio tanto vantato? -

- Ti prego, Rhett, torniamo a casa e ti spiegherò. -

- Hai un'eternità per spiegarti e soltanto una sera per mostrarti come una martire nell'anfiteatro. Scendi, cara, e fammi vedere come i leoni ti divoreranno. Scendi. -

Percorse il viale d'accesso: il braccio a cui si appoggiava, rigido come il granito, le comunicava un certo coraggio. Sì, perdio, li affronterebbe. Che cos'erano se non un'orda di gatti malvagi urlanti e striscianti, gelosi di lei? Glie la farebbe vedere. Non le importava ciò che pensavano. Solo Melania... solo di Melania le importava.

Erano giunti sotto al porticato e Rhett si inchinava a destra e a sinistra col cappello in mano. La sua voce era fredda e gentile. La musica s'interruppe quando essi entrarono. Le sembrò che dalla moltitudine sorgesse un rumore come il muggito del mare che andò diminuendo fino a spegnersi completamente. Qualcuno eviterebbe di salutarla? Ebbene, per Giove, facessero pure! Alzò il mento e sorrise.

Prima che si fosse voltata a parlare con coloro che erano più vicini, qualcuno si fece largo fra gli invitati. Uno strano mormorio fece arrestare i battiti del suo cuore. Quindi ella vide che era Melania la quale accorreva frettolosamente per andarle incontro e salutarla prima di tutti. Le sue piccole spalle erano spinte indietro; a fronte alta ella si avvicinò a Rossella, come se questa fosse stata l'invitata più importante, e le passò un braccio attorno alla vita dicendole con la sua voce chiara:

- Che bel vestito, tesoro! Vuoi farmi un favore? Lydia non è potuta venire stasera ad aiutarmi. Vuoi avere la bontà di ricevere gli invitati insieme con me?

54

Tornata a casa sana e salva, Rossella si lasciò cadere sul letto senza preoccuparsi del suo abito, dei suoi drappeggi e delle sue rose. Rimase per un po' sdraiata; le sembrava di essere ancora fra Melania e Ashley a salutare gli invitati. Che orrore! Avrebbe preferito affrontare l'esercito di Sherman piuttosto che ripetere questa esibizione! Dopo qualche istante si alzò e camminò nervosamente su e giù. Cominciava la reazione allo sforzo compiuto; e un tremito s'impossessò di lei. Tentò di pettinarsi; le forcine le scivolarono di mano e caddero sul pavimento; il dorso della spazzola urtava contro le sue tempie dolorosamente. Si recò in punta di piedi una decina di volte sino alla porta, per ascoltare se dal basso proveniva rumore; ma tutto era silenzioso.

Rhett l'aveva mandata a casa sola in carrozza, dopo il ricevimento, e non era ancora tornato. Ella ne ringraziò Dio perché si sentiva incapace di stargli dinanzi: era vergognosa, sgomenta, tremante. Ma dov'era andato? Probabilmente a casa di quella donnaccia. Per la prima volta Rossella fu contenta che esistesse una creatura come Bella Watling. Contenta che vi fosse un luogo ove Rhett potesse rimanere finché il suo umore omicida si fosse calmato. Aveva torto di essere lieta che suo marito fosse in casa di una prostituta, ma non poteva pensare diversamente. Sarebbe stata contenta di morire, se questo era necessario per evitare di vederlo quella sera.

Domani... domani era un altro giorno. Domani troverebbe delle scuse, o troverebbe modo di mettere Rhett dalla parte del torto. Domani il ricordo di questa notte terribile non la farebbe più tremare. Domani non sarebbe più ossessionata dalla visione del volto di Ashley, della sua vergogna... vergogna che era cagionata da lei, vergogna di cui egli aveva così poca colpa. La odierebbe adesso, il suo diletto e onesto Ashley? Certo la odierebbe perché lei lo aveva trascinato nell'onta; la odierebbe ora che entrambi erano stati salvati dall'atteggiamento indignato di Melania e dalla fiducia che era nella sua voce quando ella aveva percorso il pavimento lucido per mettersi a braccetto di Rossella ed esporsi con lei alla folla curiosa, maliziosa, ostile. Come aveva affrontato lo scandalo Melania, tenendo Rossella accanto a sé tutta la sera! Gli invitati erano stati un po' freddi, un po' stupiti, ma gentili. Quale ignominia, essere riparata dalle vesti di Melania, difesa dalla sua cieca fiducia! Rossella rabbrividì a questo pensiero. Aveva bisogno di bere, prima di coricarsi con la speranza di dormire. Si gettò addosso uno scialle e scese in fretta a pianterreno; le sue pantofole ciabattavano rumorosamente nel silenzio della casa. Giunta a metà delle scale vide che sotto alla porta chiusa della stanza da pranzo filtrava un filo di luce. Il suo cuore si fermò per un attimo. Forse quando era tornata a casa vi era già quella luce e nel suo turbamento non se ne era accorta? O Rhett era rincasato? Poteva essere entrato senza far rumore dalla porta di servizio. In questo caso ella tornerebbe in punta di piedi in camera sua, senza bere, e si chiuderebbe a chiave.

Si stava chinando per togliersi le pantofole in modo da risalire senza rumore, quando l'uscio della sala da pranzo si spalancò, e Rhett apparve sulla soglia, profilato nella tenue luce della candela che ardeva dietro di lui. Le sembrò più alto e più grosso che mai; una spaventosa figura nera senza volto, che vacillava leggermente.

- Ti prego di venire qui, signora Butler - disse, e la sua voce era un po' roca.

Era ubriaco e lo si vedeva; ella non lo aveva mai visto alticcio, perché per quanto bevesse, la sua ubriachezza non era mai visibile. Rossella rimase indecisa; allora il braccio di lui si alzò con gesto di comando.

- Vieni qui, maledizione! - gridò aspramente.

"Deve essere molto ubriaco" pensò Rossella col cuore che aveva ripreso a batterle disordinatamente. Di solito, più beveva e più era gentile. Magari le sue parole erano più schernevoli e mordenti, ma i modi che le accompagnavano erano sempre impeccabili... anche troppo.

"Non devo fargli capire che ho paura di trovarmi dinanzi a lui" pensò la donna. Si strinse nello scialle, e scese le scale a testa alta.

Egli si scostò per lasciarla passare con un inchino beffardo che la fece trasalire. Vide che era senza giacca e con la cravatta slacciata che pendeva ai lati del colletto aperto. La camicia era sbottonata sul bruno petto villoso; i capelli in disordine, gli occhi impiccioliti e iniettati di sangue. Sulla tavola ardeva una candela; quella luce tenue gettava ombre mostruose attorno alla sala dall'alto soffitto e dava ai mobili massicci l'apparenza di enormi bestie appiattate.

Nel vassoio d'argento era la bottiglia di whisky coi bicchierini di vetro inciso.

- Siedi - disse brevemente Rhett seguendola nella stanza.

Ora in lei nasceva una nuova specie di paura che le faceva sembrare insignificante il timore che aveva avuto di affrontarlo. Egli parlava e agiva come un estraneo. Era un Rhett sgarbato e villano che non aveva mai conosciuto. Sempre, anche nei momenti di maggiore intimità, egli si era mostrato indolente; anche nella collera era soave e ironico; e il whisky non faceva che intensificare queste qualità. Da principio ciò le aveva dato noia ed ella aveva tentato di stuzzicare quell'incuranza; ma aveva finito col persuadersi che era meglio accettarla, perché era più conveniente. Per tanti anni, Rossella aveva sempre ritenuto che nulla avesse veramente importanza per lui; che tutta la vita - lei inclusa - fosse per Rhett un gioco ironico. Ma ora, guardandolo, comprese (con uno strano crampo allo stomaco) che vi era qualche cosa che contava, per lui, e che contava molto.

- Non c'è ragione che tu non abbia il tuo bicchierino, anche se io commetto la villania di essere in casa. Vuoi che te lo versi? -

- Non voglio bere - rispose Rossella rigida. - Avevo udito rumore e sono scesa per...-

- Non hai udito nulla. Non saresti scesa se avessi saputo che io ero in casa. Sono stato qui seduto e ti ho sentita camminare avanti e indietro... Hai molto bisogno di un bicchierino. Prendilo. -

- Non...-

Egli prese la bottiglia e riempì un bicchiere fino all'orlo.

- Tieni - disse mettendoglielo in mano. - Tremi come una foglia. Oh, non darti delle arie. So che bevi di nascosto e so quanto bevi. A volte ho pensato di dirti di smettere le finzioni e di bere apertamente, se ti fa piacere. Credi che me ne importi se ti piace l'acquavite? -

Ella prese il bicchiere, maledicendolo in cuor suo. Quell'uomo leggeva in lei come in un libro. Aveva sempre letto in lei; ed era il solo uomo al mondo al quale ella avrebbe voluto nascondere i suoi veri pensieri.

- Bevi, ti dico.-

Ella sollevò il bicchiere e vuotò il contenuto con un movimento brusco del braccio, il polso rigido, come aveva sempre fatto Geraldo; lo vuotò prima di ricordarsi che quel gesto mostrava la lunga pratica e non era molto elegante. Rhett notò il gesto e torse un angolo della bocca.

- Siedi; avremo una piacevole discussione domestica sull'elegante ricevimento a cui abbiamo assistito.-

- Tu sei ubriaco - rispose Rossella freddamente - ed io me ne vado a letto.-

- Sono ubriaco e lo sarò più ancora prima che la notte sia trascorsa. Ma tu non andrai a letto... non ancora. Siedi. -

La sua voce aveva ancora un residuo della consueta cadenza, ma sotto le parole tranquille ella sentì la violenza che voleva salire alla superficie; una violenza crudele come uno scoppio di frusta. Rimase incerta, ed egli fu immediatamente al suo fianco, afferrandole il braccio in una stretta che le fece male. Glielo torse anche, leggermente, ed ella sedette in fretta, con un piccolo grido di dolore. Adesso aveva veramente paura; più di quanta ne avesse mai avuta in vita sua. Vide che il volto di lui era cupo e che nei suoi occhi durava sempre quel lampo inquietante. Nella loro profondità era qualche cosa che ella non conosceva, qualche cosa più ardente della collera, più forte del dolore, qualche cosa che gli faceva brillare le pupille come carboni ardenti. La fissò a lungo costringendola finalmente ad abbassare lo sguardo che era rivolto a lui con atto di sfida; allora sedette di faccia a lei e si versò un altro bicchiere di liquore. Rossella cercò di riflettere rapidamente per trovare una linea di difesa. Ma ciò non le era possibile finché egli non parlava, poiché non sapeva che specie di accusa le sarebbe fatta.

Rhett beveva lentamente, guardandola da sopra al bicchiere; ella cercava di dominare i suoi nervi per non tremare. Per un po' di tempo il volto di lui non mutò espressione; finalmente scoppiò in una risata, continuando a fissarla; e quella sghignazzata la fece nuovamente tremare.

- Una commedia divertente quella di stasera, vero? - Ella non rispose, ma contorse le dita dei piedi nelle pantofole, nello sforzo di dominare il suo tremito.

- Una commedia piacevole, con tutti i suoi personaggi. Il villaggio riunito per lapidare la donna colpevole; il marito ingannato che assume la difesa di sua moglie come deve fare un gentiluomo; la donna tradita che sopporta tutto con spirito cristiano e copre i colpevoli col manto della sua immacolata reputazione. L'amante...-

- Ti prego! -

- Niente affatto. È troppo divertente. L'amante con l'aria di un maledetto imbecille che si augurava la morte. Che impressione si prova, cara, nell'avere accanto la donna che detesti e che cerca di nascondere i tuoi peccati? Stai seduta! -

Ella sedette.

- Non credo che dopo questo il tuo affetto per lei aumenterà. Senza dubbio ti domandi se ella sa tutto di te e di Ashley... ti domandi perché ha agito così, sapendo... e se lo ha fatto per salvare la propria faccia. E pensi che è stata una sciocca, anche se il suo gesto ti ha salvato la pelle; ma...-

- Non ti voglio ascoltare. -

- Sì, mi ascolterai. E ti dico questo per alleviare la tua preoccupazione. Melania è una sciocca, ma non nella maniera che credi tu. È ovvio che qualcuno le ha raccontato; ma lei non ha creduto. Non avrebbe creduto neanche se avesse visto coi suoi occhi. È troppo onesta per poter concepire la disonestà nelle persone che ama. Non so che stupidaggine le ha raccontato Ashley; ma lei avrebbe creduto qualunque cosa perché vuol bene a lui e a te. Non so perché ti voglia bene, ma ti ama. E questa sarà una delle tue croci. -

- Se tu non fossi così ubriaco e insolente, ti spiegherei tutto. - ribatté Rossella ricuperando un po' di dignità. - Ma ora...-

- Le tue spiegazioni non mi interessano. Conosco la verità meglio di te. E se ti alzi ancora una volta, giuro a Dio... Ciò che è ancor più divertente della commedia di stasera, è il fatto che mentre mi negavi così virtuosamente le gioie del tuo letto a causa dei miei molti peccati, nel fondo del tuo cuore bramavi ardentemente Ashley. "Nel fondo del tuo cuore bramavi ardentemente..." Bella frase, no? Vi sono molte belle frasi in quel Libro, vero? -

"Quale libro?" si chiese affannosamente, follemente Rossella, mentre i suoi occhi erravano frenetici per la stanza, osservando il cupo scintillare delle massicce argenterie nella debole luce, la tenebra spaventosa degli angoli.

- E io sono stato messo fuori perché i miei rozzi ardori erano troppo violenti per la tua raffinatezza... perché non volevi avere più bambini. Ed ho trovato fuori di qui il modo di consolarmi piacevolmente dei tuoi rigori. Intanto tu passavi il tempo a seguire la pesta del sofferente signor Wilkes. Ma perché soffre, che Dio lo fulmini? Perché non può esser fedele a sua moglie col cuore e infedele col corpo. Perché non si decide? Tu non avresti obiezione, vero?, ad avere dei bambini da lui... facendoli passare per miei? -

Ella balzò in piedi con un grido; e Rhett rise di quel riso sardonico che le faceva gelare il sangue. La respinse nella sua sedia con la sua grande mano bruna e si curvò sopra di lei.

- Osserva le mie mani, cara - disse aprendole e chiudendole dinanzi ai suoi occhi. - Ti potrei fare a brani senza fatica; e lo farei se questo giovasse a toglierti dalla mente Ashley per sempre. Ma sarebbe inutile. Quindi farò in altro modo. Metterò le mie mani così, ai lati della tua testa, e scrollerò il tuo cranio come una noce: così riuscirò a farne uscire quel pensiero. -

Le aveva afferrato il capo ficcando le mani tra i capelli sciolti; erano mani dure e carezzevoli e il volto verso il quale egli rivolse la faccia di lei era quello di un estraneo con una voce strascicata da ubriaco. Il coraggio materiale non aveva mai fatto difetto a Rossella; di fronte al pericolo esso le ritornò facendole irrigidire la spina dorsale e socchiudere gli occhi.

- Lasciami, pazzo ubriaco. -

Con sua sorpresa, egli la lasciò e sedendo sull'orlo della tavola versò un altro bicchierino.

- Ho sempre ammirato la tua presenza di spirito, mia cara. E mai più di adesso che sei con le spalle al muro. -

Ella si strinse maggiormente nello scialle. Se potesse tornare in camera sua, girare la chiave nella serratura e sentirsi sola! Bisognava farsi credere non impaurita da quel Rhett che non aveva mai conosciuto. Si alzò senza fretta, benché le tremassero le ginocchia, si strinse lo scialle attorno ai fianchi, rigettò i capelli dal viso.

- Non sono con le spalle al muro - profferì con voce tagliente.- Non mi metterai mai con le spalle al muro, Rhett, né mi farai paura. Non sei altro che un ubriacone il quale è stato per tanto tempo con delle donnacce, che non comprende altro se non infamia e disonestà. Non puoi capire Ashley né me. Hai vissuto troppo a lungo nel sudiciume. E sei geloso di ciò che che non puoi capire. Buona notte.-

Si volse con indifferenza e si avviò verso la porta; ma uno scoppio di risa la fece fermare. Si voltò e lo vide attraversare la stanza avvicinandosi a lei. Se almeno cessasse quella tremenda risata, in nome di Dio! Che c'era da ridere in tutto questo? Le si accostò; e Rossella volle indietreggiare verso l'uscio, ma si trovò contro al muro. Egli le posò le mani pesantemente sulle spalle e la inchiodò alla parete.

- Smetti di ridere. -

- Rido perché mi fai pena. -

- Pena? Pensa a te stesso, piuttosto! -

- Ma sì; mi fai pena, mia graziosa scioccherella. Ti offende, non è vero? Perché tu non sopporti né la beffa né la pietà; non è così? -

Smise di ridere premendole sulle spalle così forte da farle male. L'espressione del suo volto mutò; ed egli si chinò su lei così da vicino che il forte odore di whisky del suo alito la costrinse a volgere il capo.

- Geloso, io? E perché no? Sì, sono geloso di Ashley Wilkes. Perché no? Oh, puoi fare a meno delle spiegazioni. So che fisicamente mi sei stata fedele. Era questo che volevi dirmi? L'ho sempre saputo. Conosco troppo bene Ashley Wilkes e la sua razza. So che è un uomo onesto e un gentiluomo. Mentre tu ed io non siamo né onesti né gentiluomini; non è vero? Per questo prosperiamo! -

- Lasciami andare. Non voglio stare qui a farmi insultare. -

- Non ti insulto affatto. Sto lodando le tue virtù fisiche. Ma non credere con questo di avermela data a bere. Tu credi che gli uomini siano degli imbecilli, Rossella; e non apprezzi mai l'intelligenza e la forza dei tuoi avversari. Io non sono punto sciocco. Credi che non sappia che quando eri fra le mie braccia ti figuravi che io fossi Ashley Wilkes? -

Ella spalancò la bocca: sul suo volto apparvero terrore e meraviglia.

- Una cosa piacevolissima. Piuttosto fantastica. Come se si fosse stati in tre in un letto dove si sarebbe dovuto essere in due. - Le scrollò le spalle, ebbe un singulto, e sorrise beffardo. - Sicuro; mi sei stata fedele perché Ashley non ti ha voluta. Ma non gli avrei davvero rifiutato il tuo corpo, che diamine! So che cosa vale un corpicino, specialmente di donna. Ma gli invidio il tuo cuore e il tuo caro spirito caparbio e senza scrupoli. Quell'imbecille non desidera il tuo spirito, ed io non desidero il tuo corpo. Posso comprare delle donne a minor prezzo. Ma desidero il tuo cervello e il tuo cuore e non li avrò mai; come tu non avrai mai il cervello di Ashley. E perciò mi fai pena. -

Anche attraverso il suo terrore, la beffa di lui la punse.

- Ti faccio pena? -

- Sì; perché sei una bambina. Una bimba che piange perché vuole la luna. Che ne farebbe, se l'avesse? E tu che faresti di Ashley se lo avessi? Mi fa pena vederti gettar via la felicità e cercare di avere qualche cosa che non ti renderebbe mai felice. Perché sei una sciocca e non sai che si può esser felici solo coi propri simili. Se io e la signora Melly fossimo morti e tu potessi avere il tuo caro innamorato, credi che saresti felice con lui? No, perdio! Perché non lo conoscerai mai, non saprai mai ciò che pensa, non lo comprenderai mai come non comprendi musica, poesia, libri e tutto ciò che non è dollari e centesimi. Mentre noi due, cara moglie del cuor mio, avremmo potuto esser perfettamente felici, se tu avessi voluto, perché ci somigliamo. Siamo due furfanti, Rossella; e nessun ostacolo ci arresta quando desideriamo una cosa. Avremmo potuto esser felici, perché io ti amavo e perché ti conosco, Rossella, così perfettamente come Ashley non potrebbe mai... E se ti conoscesse, ti disprezzerebbe... Ma no; tu devi continuare per tutta la vita a cercar di avere un uomo che non puoi comprendere. E io, mia cara, continuerò a cercare delle prostitute. E credo che saremo una coppia migliore di molte altre. -

La lasciò bruscamente e si avviò barcollando verso la bottiglia. Per un attimo Rossella rimase inchiodata al suolo, col cervello attraversato da tanti pensieri che non riuscì a soffermarsi su nessuno per esaminarlo. Rhett aveva detto che l'amava. Era vero? O lo aveva detto perché era ubriaco? O era uno dei suoi cattivi scherzi? E Ashley... la luna.

Attraversò di corsa il vestibolo buio, come se fosse inseguita da mille demoni. Poter arrivare alla sua stanza! Si torse una caviglia e perse una pantofola. Mentre si fermava a raccoglierla, sentì di avere accanto nell'oscurità Rhett, che correva leggermente come un indiano. Sentì sul viso il suo alito ardente e le mani di lui la afferrarono violentemente sotto lo scialle, sulla pelle nuda.

- Mi hai mandato in giro per la città mentre cercavi di avere lui. Perdio, questa è la notte in cui nel mio letto saremo soltanto in due! -

La sollevò e cominciò a salire le scale. La testa di lei posava sul suo petto e Rossella udiva il martellare del suo cuore. Si sentiva soffocare; provò a gridare, sgomenta. Egli continuò a salire nelle tenebre. Era un estraneo, un pazzo; e quell'oscurità che l'atterriva era più buia della notte. Lui stesso era come la morte; e la trasportava su braccia nodose che le facevano male. Egli si fermò sul pianerottolo e voltandole improvvisamente il capo la baciò con una violenza che distrusse in lei ogni altra sensazione, eccetto il buio in cui si sentiva sprofondare e quelle labbra sulle sue. L'uomo tremava, come se fosse scosso da un vento di tempesta; e le sue labbra scendendo dalla bocca di lei; trovarono la carne morbida che lo scialle, cadendo, aveva lasciato scoperta. Mormorava parole che ella non udiva; le sue labbra suscitavano in lei sensazioni mai provate. Ella era immedesimata nella tenebra, ed egli pure era tenebra; nulla era mai esistito prima di quel momento se non l'oscurità e quelle labbra di fuoco. Cercò di parlare, ma egli le chiuse ancora la bocca con la sua. E ad un tratto ella provò un brivido che non aveva mai conosciuto: gioia, terrore, follia, eccitazione, abbandono a braccia che erano troppo forti, labbra troppo cocenti, fato troppo rapido. Per la prima volta in vita sua aveva trovato qualcuno più forte di lei, qualcuno che non poteva tiranneggiare né spezzare, qualcuno che la tiranneggiava e la spezzava. E le morbide braccia di lei si strinsero intorno al collo maschile e le sue labbra tremarono sotto quelle di lui mentre essi salivano ancora nell'oscurità, un'oscurità dolce e vorticosa che li avvolgeva completamente.

 

Quando ella si destò la mattina seguente, Rhett era andato via; e senza quei guanciali in disordine, ella avrebbe creduto che tutto fosse stato soltanto un sogno agitato. Divenne di porpora al ricordo e stringendosi le coperte intorno al collo, rimase bagnata dai raggi del sole, cercando di fare una cernita delle sue impressioni. Due cose erano evidenti. Ella aveva vissuto con Rhett per degli anni, dormito con lui, mangiato con lui, litigato con lui, aveva avuto da lui una bimba... e non lo conosceva ancora. L'uomo che l'aveva portata su per le scale buie era un estraneo di cui ella non aveva mai sospettato l'esistenza. Ed ora, quantunque cercasse di essere indignata e di odiarlo, non vi riusciva. Quell'uomo l'aveva umiliata, offesa, l'aveva posseduta brutalmente durante una notte di follia, ed ella ne aveva esultato.

Avrebbe dovuto vergognarsi, rabbrividire al ricordo di quella tenebra ardente e turbinosa! Una vera signora non avrebbe più potuto alzare gli occhi dopo una notte simile. Ma più forte della vergogna era il ricordo del rapimento, dell'estasi, dell'abbandono. Per la prima volta in vita sua si era sentita vivere, aveva sentito la passione trascinante e primitiva come la paura che aveva conosciuto la notte in cui era fuggita da Atlanta, vertiginosamente dolce come il freddo odio di quando aveva ucciso lo yankee.

Rhett la amava! Almeno lo aveva detto; e come dubitarne adesso? Com'era strano, sorprendente, incredibile che la amasse, quel violento estraneo col quale aveva vissuto in tanta freddezza! Non sapeva che effetto le faceva questa rivelazione; ma tutt'a un tratto le venne un'idea che la fece ridere forte. Egli l'amava; finalmente, dunque, era sottomesso! Rossella aveva quasi dimenticato il suo vecchio desiderio di farsi amare da lui, in modo da potere agitare il frustino sul suo nero capo insolente. Ma ora eccolo ai suoi piedi a darle tutta la soddisfazione. Per una notte l'aveva avuta completamente alla sua mercé; ma adesso ella conosceva il difetto della corazza. Da ora in poi lo avrebbe prono ai suoi desideri. Per molto tempo aveva stretto i denti sotto le sue sferzate; ma ora lo farebbe saltare attraverso al cerchio sempre che avesse voluto!

Al pensiero di ritrovarsi dinanzi a lui alla luce del giorno, provò un imbarazzo non privo di un piacere eccitante.

"Sono nervosa come una sposina" pensò ridendo. "E a causa di Rhett!”

Ma Rhett non apparve a desinare né a cena. La notte passò; una lunga notte durante la quale ella rimase desta sino all'alba, con le orecchie tese per udire il rumore della sua chiave nella serratura. Ma egli non venne. Dopo il secondo giorno di assenza, Rossella credette di impazzire di delusione e di spavento. Andò in banca, ma Rhett non c'era. Andò al negozio e fu scortese con tutti, perché ogni volta che la porta si apriva per lasciare entrare un cliente, ella alzava il capo agitata, sperando che fosse lui. Andò al deposito di legname e maltrattò Ugo finché questi si nascose dietro una catasta di legna. Ma non trovò Rhett in nessun luogo.

Non poteva umiliarsi a chiedere ai suoi amici se lo avevano visto. Né poteva chiedere ai servi se sapevano nulla di lui. Ma sentiva che essi sapevano ciò che ella ignorava. I negri sanno sempre tutto Mammy fu insolitamente taciturna durante quei due giorni. Osservava Rossella con la coda dell'occhio senza parlare. Dopo la seconda notte, Rossella pensò di rivolgersi alla polizia. Forse era accaduto un accidente: forse il suo cavallo lo aveva gettato a terra ed egli giaceva in qualche fossato senza che nessuno potesse aiutarlo; forse - orribile pensiero! - era morto.

L'indomani mattina, mentre, dopo aver fatto colazione, si stava mettendo il cappello, udì per le scale il suo passo veloce. Piombò sul letto, scossa dalla gioia; in quell'istante Rhett entrò in camera. Era raso di fresco, lavato, in ordine, e non ubriaco; ma aveva gli occhi rossi e il viso gonfio come chi ha molto bevuto. La salutò con la mano dicendo: "Hello!"

Come si poteva salutare in quel modo dopo essere stato assente due giorni senza spiegazioni? Come poteva essere così indifferente, se ricordava la notte che avevano passata insieme? Non era possibile, a meno che... a meno che... Un pensiero terribile le attraversò lo spirito. A meno che simili notti non fossero insolite per lui! Per un momento rimase ammutolita, dimenticando tutti i graziosi gesti e i sorrisi che aveva pensato di sfoggiare per adescarlo. Egli non si avvicinò nemmeno a darle il solito bacio superficiale, ma rimase a guardarla sogghignando, con un sigaro in mano.

- Dove... dove sei stato? -

- Non dirmi che non lo sai! Credevo che tutta la città ne fosse informata. E forse tutti lo sanno, meno te. Conosci il vecchio adagio: "la moglie è sempre l'ultima a sapere"...-

- Che vuoi dire? -

- Credevo che poiché la polizia era stata da Bella l'altro ieri sera...-

- Da Bella... da quella donna! Sei stato con...-

- E dove volevi che fossi? Spero che non sarai stata preoccupata sul conto mio.-

- Lasciando me, sei andato... Oh! -

- Via, Rossella! Non fare la moglie tradita. Devi conoscere da un pezzo la mia relazione con Bella.-

- Sei andato da lei dopo... dopo...-

- Ah, quello? - Fece un gesto incurante. - Sto davvero dimenticando la mia buona educazione. Ti debbo mille scuse per la mia condotta. Ero molto ubriaco, come certamente avrai visto, e avevo perso la bussola dinanzi alle tue bellezze... Debbo farne l'enumerazione? -

Improvvisamente ella provò il desiderio di piangere, di gettarsi sul letto a singhiozzare senza fine. Egli non era mutato; nulla era mutato, e lei era stata una pazza, una stupida pazza illudendosi che egli l'amasse. Era stato soltanto uno dei suoi ripugnanti gesti da ubriaco. L'aveva presa e ne aveva goduto come avrebbe fatto con una qualunque fra le donne di Bella. Ed ora eccolo tornato, insultante, sardonico, irraggiungibile. Ella ringhiottì le lacrime e raccolse le proprie forze. No: non dovrebbe mai, mai venire a sapere ciò che Rossella aveva pensato! Come riderebbe, se lo sapesse! Lo guardò di sfuggita e sorprese l'antico sguardo scrutatore che l'aveva sempre lasciata perplessa; ansioso, come se anelasse alle parole che ella stava per dire, sperando che fossero... Ma che cosa sperava? Che lei gli desse campo di schernirla? Ah no! Aggrottò la fronte guardandolo freddamente.

- Naturalmente, sospettavo quali erano i tuoi rapporti con quella femmina. -

- Lo sospettavi soltanto? Perché non mi hai chiesto nulla? Te lo avrei detto. Ho vissuto con lei dal giorno in cui tu e Ashley Wilkes avete deciso che noi dovevamo dormire in camere separate.-

- Hai la sfacciataggine di dire a tua moglie che...-

- Oh, risparmiami la tua indignazione! Non ti è mai importato di ciò che facevo, finché ho pagato i tuoi conti. Quanto all'esser mia moglie... non lo sei stata molto, da quando è nata Diletta, non è vero? Ho fatto un cattivo affare, Rossella. Quello con Bella è stato assai migliore.-

- Un affare? Vuoi dire che le hai dato...? -

- Ho impiantato il suo stabilimento facendo ogni cosa in regola. Bella è una donna abile. Volevo che avesse una posizione; e per raggiungerla, non aveva bisogno che di un po' di denaro onde mettere su una casa per proprio conto. Sai benissimo che una donna può fare dei miracoli, con un po' di denaro liquido. Guarda quello che hai fatto tu stessa...-

- Mi paragoni a...-

- Siete tutt'e due donne d'affari e siete riuscite entrambe. Soltanto, Bella ha lo svantaggio di essere un'anima buona, piena di cuore...-

- Vuoi uscire da questa stanza? -

Egli si avviò lentamente alla porta, sollevando un sopracciglio in maniera buffa. Irata e addolorata, Rossella si chiese come mai suo marito poteva offenderla così. Umiliarla e sferzarla mentre lei aveva tanto desiderato il suo ritorno! Ed era stato tutto quel tempo a ubriacarsi e disputare con la polizia in un postribolo!

- Esci da questa camera e non rientrarvi mai più. Te l'ho già detto una volta, ma non sei stato abbastanza gentiluomo da comprenderlo. Da ora in poi chiuderò a chiave la mia porta. -

- Non prenderti questa pena. -

- La chiuderò. Dopo il modo in cui ti sei comportato l'altra notte, così disgustoso...-

- Via, cara! Non mi pare di averti disgustato tanto! -

- Vattene! -

- Non ti arrabbiare. Me ne vado. E ti prometto di non disturbarti mai più. Questa è la fine. E volevo appunto dirti che se la mia infame condotta è insopportabile per te, non mi opporrò al divorzio. Basta che tu mi dia Diletta. -

- Non voglio gettare l'onta sulla mia famiglia con un divorzio. -

- Non avresti tanti scrupoli se miss Melly fosse morta, vero? Penso che non esiteresti un minuto a divorziare...-

- Te ne vai? -

- Sì, me ne vado. Sono venuto a casa per dirtelo. Vado a Charleston e a Nuova Orleans... Oh, un viaggetto abbastanza lungo. Parto oggi.-

- Oh! -

- E porto Diletta con me. Di' a quella stupida di Prissy di preparare la sua roba. Porterò anche Prissy.-

- Non permetterò che la mia bimba esca da questa casa. -

- E' anche mia, signora Butler. Certo non mi impedirai di portarla a Charleston a vedere sua nonna? -

- Me ne infischio di sua nonna! Non permetterò che tu la porti via, sapendo che sarai ubriaco tutte le sere e che probabilmente la porterai in case come quella di Bella...-

Egli gettò a terra il sigaro violentemente; questo continuò ad ardere sul tappeto e il puzzo di lana bruciata salì alle loro narici. In un attimo Rhett era accanto a lei, pallido d'ira.

- Se tu fossi un uomo, ti spaccherei la testa per quello che hai detto. Ma poiché non lo sei, ti risponderò, per chiuderti quella maledetta bocca! Credi che abbia così poco affetto per mia figlia da portarla...! Dio mio, sei proprio pazza! Quanto a te, che ti dai quelle arie materne, una gatta è miglior madre di te! Che hai mai fatto per i tuoi bambini? Wade e Ella hanno paura di te; e se non ci fosse Melania Wilkes, essi non saprebbero che cos'è affetto e dolcezza. Ma Diletta, la mia Diletta! Credi che io non sappia occuparmene più e meglio di te? Credi che ti permetterò di tiranneggiarla e intimidirla come hai fatto con gli altri due? Per l'inferno, no! Fai preparare la sua roba e che sia pronta fra un'ora; altrimenti ti avverto che ciò che è accaduto l'altra notte ti sembrerà dolce e soave a paragone di ciò che avverrà. Sono sempre stato convinto che una buona lezione a base di scudiscio ti gioverebbe immensamente. -

Prima che Rossella potesse parlare, era uscito dalla stanza. Lo udì attraversare il vestibolo ed entrare nella camera da gioco dei bambini. Vi fu un gaio cinguettio infantile; poi la vocetta di Diletta si levò sopra a quella di Ella.

- Dove sei stato, babbo? -

- A caccia di conigli per averne la pelle e fare una pelliccetta alla mia piccina. Dai un bel bacio al tuo tesoro, Diletta... e anche tu Ella. -

55

- Cara, non desidero alcuna spiegazione da te e non ti ascolterò se parli di questo - disse con fermezza Melania posando dolcemente la sua manina sulle labbra di Rossella. - Insulti te stessa, Ashley e me se credi che occorra una spiegazione fra noi abbiamo affrontato il mondo insieme, come tre soldati, per tanti anni che il solo pensiero di un pettegolezzo fra noi mi farebbe vergogna. Credi che io possa supporre che tu e il mio Ashley... Che idea! Non sai che io ti conosco meglio di quanto ti conosca chiunque al mondo? Pensi che io abbia dimenticato il tuo meraviglioso altruismo verso Ashley, verso Beau, verso me stessa, tutto ciò che hai fatto per salvarci e impedirci di morir di fame; Che io abbia dimenticato quando seguivi nei solchi il cavallo yankee, quasi scalza, con le mani piene di vesciche, perché il bimbo e io avessimo qualche cosa da mangiare... e potrei oggi credere simili orrende cose sul tuo conto? Non voglio udire una parola da te, Rossella O'Hara. Non una parola! -

- Ma... - cincischiò Rossella; e si interruppe.

Rhett aveva lasciato la città un'ora prima con Diletta e Prissy e alla vergogna e all'ira di Rossella si era aggiunta la desolazione. La sua coscienza, già gravata dal peso della sua colpa con Ashley; non poteva sopportare anche il peso della difesa di Melania. Se questa avesse creduto a Lydia e a Baldo, non le avesse rivolto la parola al ricevimento e l'avesse salutata freddamente, ella avrebbe tenuto la fronte alta e avrebbe combattuto con tutte le sue armi. Ma il ricordo di questa donna che si era posta fra lei e la sua rovina sociale come una lama sottile e lucente, con una fiamma di fede e di battaglia negli occhi, la turbava talmente che le sembrava doveroso confessare. Sì, rivelare tutto, dal principio, da quella chiara giornata di sole, sotto il porticato di Tara.

La voce della sua coscienza - una coscienza cattolica - benché soffocata per lunghi anni, si ridestava. "Confessa i tuoi peccati e fanne penitenza nel dolore e nella contrizione" le aveva detto Elena centinaia di volte; e in questa crisi, l'educazione religiosa impartitale da sua madre si faceva viva nuovamente in lei. Confesserebbe tutto, sì; ogni parola ed ogni sguardo, e le poche carezze; e allora Dio allevierebbe il suo tormento e le darebbe la spaventosa visione del volto di Melania che muta la sua espressione di affetto e di fiducia in quella di orrore e di repulsione. Oh, era una penitenza troppo atroce dover ricordare per tutta la vita il volto di Melania, sapere che Melania conosceva tutta la sua infamia, tutta la slealtà e l'ipocrisia che era in lei!

Una volta, il pensiero di gettare sarcasticamente in faccia a Melania la verità e di vedere il crollo del suo stupido paradiso, l'aveva eccitata, le era sembrato un gesto per il quale valesse la pena di perdere poi anche tutto quanto. Ma ora tutto era mutato; e non vi era nulla che ella desiderasse meno di questo. Non sapeva il perché: in lei era un conflitto di pensieri troppo confusi perché potesse sceverarli. Sapeva soltanto che come un tempo aveva desiderato che sua madre la credesse buona, modesta e pura di cuore, così oggi desiderava appassionatamente di conservare la stima di Melania. Non le importava ciò che pensava di lei il mondo, né ciò che pensavano Ashley o Rhett; ma Melania non doveva mutare l'opinione che aveva sempre avuta sul suo conto.

Paventava di dire la verità; ma uno dei suoi rari istinti onesti si era destato e non le permetteva di mascherarsi ancora dinanzi alla donna che aveva lottato per lei e l'aveva difesa. Perciò si era affrettata ad accorrere a casa di Melania quella mattina, non appena Rhett e Diletta erano partiti.

Ma alle prime parole balbettate da lei: "Melania, debbo spiegarti la storia dell'altro giorno..." Melania l'aveva imperiosamente interrotta. Rossella guardando piena di confusione quegli occhi neri fiammeggianti di amore e di collera, aveva compreso - sentendosi cadere il cuore - che la pace e la calma che seguono la confessione non potevano esserle riserbate. Melania aveva impedito che ella seguisse la linea di condotta che si era tracciata; e Rossella, con una delle poche vere emozioni profonde che avesse mai provato, comprese che il togliersi dal cuore torturato il peso che l'opprimeva sarebbe stato un gesto di schietto egoismo. Si sarebbe scaricata del suo fardello deponendolo nel cuore di una persona innocente e fiduciosa. Il debito di gratitudine verso Melania per la sua coraggiosa difesa non poteva essere pagato che col silenzio. Che crudeltà sarebbe rovinarle la vita con la rivelazione che suo marito le era infedele e che complice di quest'infedeltà era la sua amica più cara!

"Non posso dirglielo" pensò desolata. "Non potrò mai; neanche se la mia coscienza mi uccidesse." Ricordò l'osservazione fattale da Rhett ubriaco: "Ella non può concepire la disonestà nelle persone che ama... Questa sarà la tua croce".

Sì, sarebbe la sua croce, fino al giorno della morte; conservare silenziosamente questo tormento, portare il cilicio dell'onta, sentirsi pungere da esso ad ogni sguardo e ad ogni parola affettuosa di Melania, dominare continuamente l'impulso di gridarle: - Non essere così buona! Non mi difendere! Non lo merito! -

"Se non fosse così dolce, fiduciosa, semplice, sciocchina, non sarebbe tanto difficile" pensò disperata. "Ho sopportato tanti pesanti fardelli; ma questo sarà il più pesante e il più doloroso di tutti!"

Dinanzi a lei, Melania era seduta su una poltroncina bassa, coi piedi posati su un'ottomana molto più alta; atteggiamento che non avrebbe mai preso se non fosse stata così adirata da dimenticare perfino le convenienze. Aveva in mano un lavoro a maglia e spingeva i ferri lucenti con tanta furia come se fossero stati sciabole in un duello immaginario.

Se Rossella fosse stata in preda a una simile collera, avrebbe pestato i piedi a terra, avrebbe strepitato come Geraldo ai suoi bei tempi, chiamando Dio a testimone della perfidia del genere umano e pronunciando sanguinose minacce di rappresaglia. Ma in Melania solo il ferro lucente e le delicate sopracciglia aggrottate rivelavano che essa bolliva internamente. La sua voce era fredda, e le parole più taglienti del solito. Parole piene di forza, che le erano assolutamente nuove, perché Melania raramente esprimeva un'opinione propria e non pronunciava mai una frase sgarbata. Rossella si rese conto in quell'istante che i Wilkes e gli Hamilton erano capaci di collere che uguagliavano e superavano quelle degli O'Hara.

- Ero stufa di sentire la gente che ti criticava, tesoro - stava dicendo Melania; - ma questa è l'ultima goccia che fa traboccare il bicchiere; e ti assicuro che provvederò io. Tutto ciò accade perché tutti sono gelosi di te, della tua abilità e dei tuoi successi. Sei riuscita dove molti uomini avrebbero fatto fiasco. Non ti irritare, cara, se dico questo. Non intendo menomare la tua femminilità, come molti hanno fatto. Non è vero. La gente non ti comprende; e poi la maggioranza non tollera che una donna sia intelligente. Ma tutto ciò non da al pubblico il diritto di dire che tu e Ashley... Caspita! -

La lieve veemenza di quest'esclamazione assumeva, sulle sue labbra un valore specialissimo. Rossella la fissò spaventata da quell'esplosione senza precedenti.

- Quanto a quelli che vengono a raccontarmi le menzogne che hanno macchinate... Baldo, Lydia, la signora Elsing! Come hanno osato...? Veramente, la signora Elsing non è venuta qui. Ma ti ha sempre odiata, cara, perché tu eri più corteggiata di Fanny. E fu irritatissima quando tu togliesti a Ugo la direzione della segheria. Ma tu facesti benissimo, perché Ugo è un buon-a-nulla!- E così, in due parole, Melania liquidava il compagno della sua infanzia e il corteggiatore della sua adolescenza. - Per quanto concerne Baldo, il torto è mio. Non avrei dovuto ricoverare quel vecchio furfante. Me lo avevano detto tutti, ma non ho voluto dar retta. Egli non aveva simpatia per te, a causa di quella storia dei galeotti; ma chi è costui per permettersi di criticarti? Un assassino; e per di più, l'assassino di una donna. E dopo tutto quello che ho fatto per lui, mi viene a dire... Ti assicuro che se Ashley lo avesse ucciso, non mi sarebbe dispiaciuto affatto! Ma l'ho messo alla porta; e so che ha lasciato la città. E quell'ignobile Lydia! Fin dalla prima volta che vi vidi insieme, tesoro, mi accorsi che era gelosa di te e ti detestava perché eri molto più bella e avevi tanti adoratori. Ti detestava specialmente a causa di Stuart Tarleton. E ha talmente pensato al povero Stuart che... mi dispiace dirlo, trattandosi della sorella di Ashley, ma temo che abbia proprio perso il cervello! Non vi è altra spiegazione possibile per il suo modo d'agire... Le ho detto che non rimetta più piede in questa casa; e se vengo a sapere che osa diffondere le sue infami calunnie, le darò della bugiarda in pubblico! -

Melania si interruppe. Improvvisamente la collera che le accendeva il volto fu sostituita da un'espressione di dolore. L'appassionato sentimento di famiglia proprio ai georgiani le faceva considerare con vero strazio una lite nel parentado. Ebbe un attimo di esitazione. Ma Rossella era più cara; Rossella aveva il primo posto nel suo cuore, sicché ella continuò coraggiosamente.

- Era perché io ti volevo più bene, mia diletta. Ma non verrà mai più qui ed io non entrerò mai in una casa dove lei sia ricevuta. Ashley è d'accordo con me; ma è addoloratissimo che sua sorella abbia potuto inventare una simile... -

Udendo il nome di Ashley, i nervi sovreccitati di Rossella cedettero, ed ella scoppiò in pianto. Possibile che ella dovesse sempre infliggergli delle pugnalate? Non aveva avuto altro pensiero che di renderlo felice; eppure lo feriva continuamente. Aveva distrutto la sua vita, il suo orgoglio e la sua dignità, frantumato quella pace interiore, quella calma basata sull'integrità e sull'onestà... Ed ora l'aveva allontanato dalla sorella che egli amava teneramente. Per salvare la propria reputazione e la felicità di sua moglie, egli aveva dovuto sacrificare Lydia, lasciare che questa apparisse una zitellona calunniatrice, quasi folle di gelosia... Lydia che era assolutamente giustificata nei sospetti che aveva sempre nutrito, e nelle parole che aveva pronunciate. Guardando negli occhi sua sorella, Ashley vi avrebbe veduto ognora la verità e il rimprovero, insieme al freddo disprezzo nel quale i Wilkes erano maestri.

Sapendo che Ashley valutava l'onore più della vita, Rossella non dubitava che egli dovesse soffrire mille morti. Anche lui era costretto a ripararsi dietro le gonnelle di Melania. Benché Rossella riconoscesse la necessità di questo e sapesse che la maggior colpa ella falsa posizione di lui era sua, pure... Con logica tutta femminile, avrebbe trovato Ashley più degno di rispetto se avesse ucciso Baldo e confessato tutto a Melania e al mondo intero. Sapeva di essere ingiusta, ma era troppo infelice per fermarsi a considerare i particolari. Qualcuna delle parole sprezzanti di Rhett le ritornò in mente; ed ella si chiese se Ashley aveva rappresentato, in quella circostanza, la parte di un vero uomo. E per la prima volta l'aureola che lo aveva circondato da quando ella si era innamorata di lui, cominciò a oscurarsi impercettibilmente. Cercò di scacciare questo pensiero, ma non riuscì che a piangere più forte.

- No, no! - esclamò Melania lasciando cadere il suo lavoro; e gettandosi verso Rossella, l'abbracciò facendole posare il capo sulla propria spalla. - Non avrei dovuto parlare di tutto questo e darti tanto dolore. Ma non ne parleremo mai più! No; né fra noi né con nessuno. Come se non fosse mai accaduto nulla. - Ma soggiunse con tranquilla malignità - farò vedere a Lydia e alla signora Elsing chi sono io. Non debbono credere lecito spargere impunemente delle calunnie sul conto di mio marito e di mia cognata. Le metterò in condizione che non potranno più guardare in faccia nessuno ad Atlanta! E chiunque le riceverà o crederà alle loro chiacchiere sarà mio nemico. -

E Rossella, guardando dolorosamente verso la lunga serie di anni futuri, comprese che per causa sua si era scavato un abisso che avrebbe diviso la città e la famiglia per intere generazioni.

 

Melania mantenne la parola. Non parlò mai più dell'incidente né con Rossella né con Ashley. Né volle discutere la cosa con nessuno. Conservò un'aria di fredda indifferenza che diventava addirittura glaciale se qualcuno osava fare la menoma allusione. Durante le settimane che seguirono il suo ricevimento, mentre Rhett era misteriosamente assente e la città era in una frenesia di chiacchiere, di eccitazione, di partigianeria, non diede quartiere ai detrattori di Rossella, fossero pure suoi vecchi amici o parenti. Non parlò ma agì.

Non si staccava dal fianco di Rossella. Aveva preteso che questa continuasse ad andare ogni giorno al negozio e al magazzino del legname e vi si recava con lei. Insistette perché uscisse ogni pomeriggio in carrozza, per quanto Rossella non amasse esporsi agli sguardi curiosi dei suoi concittadini. E Melania era in carrozza con lei. La condusse con sé a far delle visite, costringendola dolcemente a recarsi in salotti nei quali Rossella non andava da un paio d'anni. E Melania, con l'aspetto fiero di chi dice "chi vuol bene a me deve voler bene al mio cane" faceva conversazione con l'ospite stupita.

Si recavano di buon'ora in quei salotti e vi rimanevano finché l'ultima visitatrice se n'era andata, privando così le signore della gioia di spettegolare sul loro conto. Quelle visite erano un vero tormento per Rossella, che peraltro non osava rifiutare a Melania di accompagnarla. Detestava trovarsi in mezzo a gruppi di donne che nel loro intimo si chiedevano se ella era stata veramente sorpresa in flagrante adulterio. E sapeva che nessuna di quelle donne le avrebbe rivolto la parola, se non avessero voluto bene a Melania e non avessero tenuto alla sua amicizia. E dopo averla ricevuta una volta, non potevano certo toglierle il saluto in seguito.

Era caratteristico il fatto che ben poche persone difendevano Rossella basandosi sulla sua onestà personale. Ella si era fatti troppi nemici per potere avere adesso dei difensori. A nessuno importava che lo scandalo la colpisse; ma nessuno voleva offendere Melania o Lydia; e la tempesta infuriava attorno a loro piuttosto che intorno a Rossella, accentrandosi su una domanda: "Aveva mentito Lydia?"

Quelli che sposavano il punto di vista di Melania accennavano trionfanti al fatto che la signora Wilkes era sempre con Rossella in quei giorni. Una donna che aveva i suoi saggi principi si sarebbe forse messa in vista in quel modo con una donna colpevole, specialmente colpevole col proprio marito? No davvero! Lydia era un'acida zitellona che odiava Rossella e aveva mentito, inducendo Baldo e la signora Elsing a credere alle sue menzogne.

"Ma" dicevano i partigiani di Lydia "se Rossella non è colpevole, dov'è il capitano Butler? Perché non è accanto a sua moglie a difenderla con la sua presenza?" Domanda che rimaneva senza risposta; e quando, col passar delle settimane, si sparse la voce che Rossella era incinta, i partigiani di Lydia si stropicciarono le mani soddisfatti. Non poteva essere per opera del capitano Butler dicevano. Da troppo tempo la loro separazione di letto era cosa di pubblico dominio, e la città ne era stata scandalizzata.

E i pettegolezzi corsero, dividendo la città in due campi, e dividendo anche i circoli famigliari a prendere un partito: non esisteva terreno neutro. Melania con la sua fredda dignità e Lydia con la sua acida amarezza provvedevano a questo. Ma qualunque fosse il partito tutti erano d'accordo nel riconoscere che Rossella era causa di questi dissensi. E nessuno di loro ritenevano che ella meritasse tanto. Però tutti quanti deploravano ugualmente che Lydia avesse lavato i panni sudici della famiglia in pubblico, coinvolgendo Ashley in uno scandalo così deplorevole.

La metà di Atlanta era parente o mezza parente di Melania e di Lydia. Le ramificazioni di cugini in terzo e quarto grado, di parenti d'acquisto erano così complicate che nessuno che non fosse nato in Georgia avrebbe potuto mai districarle. Era stata sempre una specie di tribù, che aveva presentato al mondo un fronte compatto nei momenti gravi, qualunque fosse stata l'opinione privata di ognuno sulla condotta dei parenti presi uno per uno. Ad eccezione della guerriglia condotta da zia Pitty contro suo fratello Enrico e che era stata soggetto di gaie risate per tutta la famiglia durante molti anni, non si aveva memoria di un'aperta rottura tra parenti. Era gente tranquilla e riservata, che non era neanche dedita alle piccole dispute amichevoli che caratterizzavano la maggior parte delle famiglie di Atlanta.

Ma ora la rottura era profonda; e la città assisteva al fatto che cugini in quinto e sesto grado si schieravano da una parte o dall'altra nello scandalo più grave che Atlanta avesse mai visto. Il tatto e la tolleranza di quelli che non erano parenti furono posti a dura prova, perché la scissura Lydia-Melania portò il disordine in quasi tutte le organizzazioni sociali. I "Figli di Talia", il "Circolo di lavoro per le Vedove e gli Orfani della Confederazione", L' "Associazione per l'Abbellimento delle Tombe dei Gloriosi Caduti", il "Circolo musicale del Sabato" la "Biblioteca dei Giovani", tutti furono coinvolti. Così pure quattro chiese delle società del Soccorso e dei Missionari. Bisognò porre la più grande attenzione per evitare di mettere negli stessi comitati membri di fazioni nemiche.

Nei giorni di ricevimento le signore erano in grave angustia dalle quattro alle sei, per il timore che Melania e Rossella giungessero mentre Lydia e i suoi fautori erano nel salotto. La povera zia Pitty fu quella che sofferse più di tutti. Pitty, la quale non desiderava se non di vivere comodamente circondata dall'affetto dei suoi parenti, sarebbe stata ben felice, in questa circostanza, di correre con le lepri e cacciare coi cani. Ma né lepri né cani lo permisero.

Lydia abitava con zia Pitty: e se Pitty avesse parteggiato per Melania, come era suo desiderio, Lydia se ne sarebbe andata. E se Lydia se ne fosse andata, che avrebbe fatto la povera Pitty? Sola non poteva certo vivere. Avrebbe dovuto prendere in casa un'estranea, oppure chiudere casa e andarsene ad abitare con Rossella. Ma zia Pitty aveva la vaga sensazione che il capitano Butler non ne sarebbe stato entusiasta. Oppure andare da Melania e dormire nella cameretta di Beau.

Pitty non aveva un particolare affetto per Lydia, perché questa la intimidiva con la sua rigidezza e con le sue convinzioni appassionate. Ma la presenza di lei le permetteva di conservare le sue comodità; e Pitty aveva sempre tenuto più ai propri comodi che alle questioni morali. Quindi Lydia rimase.

Ma la sua presenza in casa rese zia Pitty centro di un temporale, perché Melania e Rossella interpretarono questo come una adesione al partito di Lydia. Rossella rifiutò seccamente di continuare a contribuire al mantenimento di Pitty finché Lydia viveva sotto lo stesso tetto. Ashley mandò ogni settimana del denaro a Lydia, la quale fieramente e silenziosamente lo restituì, con grande spavento e rammarico della vecchia signorina. Le finanze della casa di mattoni rossi sarebbero state disastrose se non fosse intervenuto zio Enrico; ma Pitty fu molto umiliata di dovere accettare il suo aiuto.

Pitty amava Melania più di chiunque altro al mondo - eccetto sé stessa - ed ecco che Melania si comportava come un'estranea, fredda e cortese. Benché abitasse quasi nel cortile dietro la casa di Pitty, non attraversò mai più la siepe divisoria, come soleva fare una diecina di volte al giorno. Pitty si recò da lei e pianse protestando il suo affetto e la sua devozione, ma Melania rifiutò di discutere la cosa e non le restituì le sue visite.

Pitty sapeva benissimo ciò che doveva a Rossella; quasi la vita. Nei tristi giorni dell'immediato dopoguerra, quando ella si era trovata di fronte all'alternativa di morir di fame o di unirsi a suo fratello Enrico, Rossella le aveva conservato la casa, l'aveva nutrita e vestiva e le aveva permesso di rimanere a testa alta nella società di Atlanta. E da quando si era sposata ed era andata nella sua nuova casa, era stata di una generosità senza pari. E quello spaventoso e affascinante capitano Butler... ogni volta che andava a trovarla con Rossella, Pitty trovava - dopo la loro partenza una borsetta nuova stipata di banconote sulla mensola del camino, o un fazzoletto di pizzo annodato a fardelletto pieno di monete d'oro che era stato timidamente ficcato nella sua scatola da lavoro. Rhett aveva sempre sostenuto di non saperne nulla e la accusava di avere un segreto ammiratore: forse il baffuto nonno Merriwether.

Sì; Pitty doveva affetto a Melania, sicurezza a Rossella... E a Lydia che cosa doveva? Nulla; se non che la presenza di Lydia le impediva di interrompere il suo piacevole modo di vivere. Era doloroso e volgare; e Pitty che in vita sua non aveva mai preso una decisione, lasciò che le cose seguissero il loro corso. Il risultato fu che la vecchia signorina sparse molte lagrime desolate.

C'era infine qualche persona di buon cuore che credeva nell'innocenza di Rossella, non per le sue virtù personali, ma perché Melania vi credeva. Taluni facevano delle riserve mentali, ma erano gentili con lei e andavano a farle visita perché volevano bene a Melania e desideravano conservare la sua amicizia. Gli aderenti di Lydia la salutavano freddamente; qualcuno le tolse anche il saluto.

Questo era imbarazzante e antipatico; ma Rossella si rese conto che se non fosse stato per la difesa di Melania e il suo immediato atteggiamento, tutta la città sarebbe stata contro di lei ed ella sarebbe stata messa al bando.

56

Rhett rimase assente tre mesi; e durante quel tempo Rossella non ebbe alcuna notizia di lui. Non sapeva dove fosse né quanto tempo sarebbe rimasto fuori casa; non sapeva neppure se sarebbe mai tornato. Continuò peraltro ad occuparsi del suo lavoro a fronte alta e col cuore che le doleva. Non si sentiva bene fisicamente; ma, costretta da Melania, andò ogni giorno al negozio e cercò di interessarsi agli stabilimenti. Ma per la prima volta il negozio le sembrò insulso; e, benché gli affari fossero il triplo dell'anno prima e il denaro fosse abbondante, non riuscì ad interessarsene e fu aspra e sgarbata coi commessi. Lo stabilimento diretto da Johnnie Gallegher prosperava e il legname si vendeva con facilità; ma nulla di ciò che Johnnie le diceva le fece piacere. Johnnie, irlandese come lei, finì con l'irritarsi della sua indifferenza ed ebbe un'esplosione di rabbia; minacciò di licenziarsi e terminò col dirle: "La maledizione di Cromwell sarà sopra di voi!" Per calmarlo, Rossella fu costretta a fargli delle scuse.

Non andò mai allo stabilimento di Ashley. Né all'ufficio quando sapeva che egli vi si trovava. Sapeva che egli l'evitava e sapeva che la costante presenza di lei in casa sua - dovuta alle insistenze di Melania - era per lui un tormento. Non si parlavano mai da soli, ed ella era disperata perché avrebbe almeno voluto sapere se egli l'odiava adesso; e conoscere esattamente che cosa aveva detto a Melania. Ma Ashley la teneva a distanza e col suo silenzio la pregava di non parlare. La vista della sua faccia invecchiata, sparuta, piena di rimorsi, le pesava sulla coscienza; e il fatto che il suo stabilimento perdesse denaro continuamente, le cagionava un soprappiù di irritazione che non riusciva a vincere.

L'incapacità di Ashley di fronte alla situazione l'addolorava. Ignorava che cosa egli avrebbe dovuto fare per migliorare le cose; ma sentiva che doveva fare qualche cosa. Rhett avrebbe agito. Rhett agiva sempre, anche a torto, ed ella lo rispettava involontariamente per questo.

Ora che l'impeto di collera per gli insulti di Rhett s'era placato, Rossella cominciò a sentire la mancanza di suo marito; e ne sofferse sempre più a misura che i giorni passavano senza alcuna notizia di lui. Dall'ondata di collera, di delirio, di crepacuore, di orgoglio offeso in cui egli l'aveva lasciata, emergeva ora una depressione che gravava sulle sue spalle come una carogna putrefatta. Le mancava la sua presenza, le mancava la vivezza con la quale egli narrava aneddoti che la facevano ridere di cuore, il suo sogghigno sardonico che riduceva ogni guaio alle sue giuste proporzioni; le mancavano perfino gli scherni che suscitavano le sue risposte irate. Più di tutto le mancava di averlo come ascoltatore. In questo, Rhett le dava veramente ogni soddisfazione. Ella poteva narrargli senza vergogna e con orgoglio come era riuscita a strappare dei quattrini alla gente, sicura di essere approvata. Mentre se parlava di queste cose ad altri, li scandalizzava.

Si sentiva sola senza lui e senza Diletta. La bimba le mancava più di quanto avrebbe creduto possibile. Ricordando le ultime dure parole che Rhett le aveva gridato a proposito di Wade e di Ella, cercò di riempire le sue ore con essi. Ma fu inutile. Le parole di Rhett e le reazioni dei bambini le rivelarono un'amara e stupefacente verità. Durante la prima infanzia di quei suoi figliuoli ella era stata troppo occupata a guadagnar denaro, troppo facile ad essere aspra e irritata per poter conquistare la loro confidenza e la loro affezione. Ed ora era troppo tardi; o forse, Rossella non aveva la pazienza e la saggezza occorrenti per penetrare nei loro cuoricini.

Ella! Constatare che Ella era una bimba stupida irritava Rossella; ma la verità era indiscutibile. Non era possibile trattenere la sua attenzione su un oggetto più di quanto si possa trattenere un uccellino su una frasca; e anche quando Rossella tentava di narrarle delle storie, Ella interrompeva con delle domande che non c'entravano per nulla e dimenticava ciò che aveva chiesto, molto prima che Rossella le avesse risposto esaurientemente. Quanto a Wade... forse Rhett aveva ragione. Forse aveva paura di lei. Era una cosa strana e che la offendeva. Perché il suo bimbo avrebbe dovuto temerla? Quando cercava di farlo discorrere, egli la fissava coi dolci occhi bruni di Carlo, e si contorceva strisciando i piedi imbarazzato. Con Melania, invece, chiacchierava senza fatica e tirava di tasca ogni sorta di cose per mostrargliele: vermiciattoli per pescare o pezzetti di spago.

Melania sapeva trattare i bambini; inutile negarlo. Il suo piccolo Beau era il bimbo meglio educato e più simpatico di Atlanta. Rossella andava d'accordo con lui più che col proprio figlio, perché Beau non considerava ancora la differenza fra se stesso e i grandi, e si arrampicava sulle sue ginocchia, senza essere invitato, dovunque la vedesse. Era un bel bimbo biondo; proprio come Ashley! Se Wade gli avesse assomigliato... D'altronde, se Melania poteva perdere tanto tempo con lui, era perché aveva un bimbo solo e non doveva lavorare e affannarsi come Rossella. Rossella, almeno, cercava di scusarsi in questo modo; ma onestamente era costretta ad ammettere che Melania amava i bambini e sarebbe stata ben lieta di averne una dozzina. E la sovrabbondanza di tenerezza del suo cuore veniva riversata su Wade e sui figliuoletti dei vicini.

Rossella non poté mai dimenticare l'impressione che provò il giorno in cui, recatasi a casa di Melania per riprendere il bambino, udì nel giungere la voce di suo figlio - che a casa era sempre silenzioso come un topolino - squillare in un'ottima imitazione del grido dei Ribelli. E a far coro con lui era la vocetta acuta di Beau. Entrando in salotto, aveva trovato i due bimbi che assaltavano il divano con le loro sciabole di legno. Nel vederla entrare si erano ritratti sgomenti, e Melania si era alzata, ridendo e ravviandosi i capelli, da dietro al divano dov'era nascosta.

- Questo è Gettysburg - aveva spiegato. - Io rappresento gli yankees e naturalmente ho avuto la peggio. Questo è il generale Lee - e indicò Beau - e quest'altro è il generale Pickett - e pose un braccio attorno alle spalle di Wade.

Sì; Melania aveva un modo di fare coi bambini che Rossella non riusciva a comprendere.

"Meno male" pensò "che Diletta mi vuol bene e giuoca volentieri con me." Ma anche qui, doveva riconoscere che la bimba preferiva Rhett a lei. E, chi sa? forse non la vedrebbe mai più. Rhett era Dio sa dove e poteva restare lontano per sempre.

Quando il dottor Meade le disse che era incinta, ella rimase stupita, perché si era aspettata una diagnosi di malattia di fegato o di esaurimento nervoso. Quindi la sua mente tornò a quella tale notte; e a quel ricordo si sentì arrossire. Dunque da quei momenti di estasi veniva un bambino... anche se il ricordo dell'estasi era oscurato da ciò che era seguito. E per la prima volta fu contenta di essere incinta. Se fosse un maschio! Un bel maschietto, non una creatura senza spirito come Wade. Come gli vorrebbe bene! Ora che aveva il tempo di dedicarsi a un piccino, e del denaro per fargli bella la vita, come sarebbe felice! Ebbe l'impulso, di scrivere a Rhett per dirglielo, dirigendo la lettera presso sua madre a Charleston. Bisognava che tornasse a casa! Dio mio, se fosse rimasto lontano fin dopo la nascita del bambino! Non potrebbe mai spiegarglielo! Ma se gli scriveva, egli supporrebbe che lei desiderava averlo a casa e si divertirebbe di questo. No, non doveva pensare che lei avesse desiderio o bisogno di lui.

Fu lieta di aver dominato il suo impulso quando una lettera di zia Paolina da Charleston portò la notizia che Rhett si trovava colà. Che sollievo saperlo ancora negli Stati Uniti, benché la lettera di zia Paolina fosse di quelle che danno ai nervi! Rhett aveva condotto Diletta a far visita a lei e a zia Eulalia e la lettera era piena di elogi.

"Che graziosa creatura! Crescendo, diventerà certamente una bellezza. Ma senza dubbio, chiunque vorrà corteggiarla avrà da fare i conti col capitano Butler, perché non ho mai visto un padre più affezionato. Ora ti farò una confessione, cara nipote. Prima di conoscere il capitano Butler ero convinta che questo tuo matrimonio fosse una vera "mésalliance", perché a Charleston nessuno ha mai parlato bene di lui e si è sempre avuto compassione per la sua famiglia. Eulalia ed io eravamo incerte se si dovesse riceverlo o no; ma dopo tutto, la cara piccina è nostra pronipote. Quando è venuto, siamo state piacevolmente sorprese, e abbiamo pensato che non bisogna mai dar retta alle chiacchiere, dando prova di poco spirito cristiano. E' un uomo simpaticissimo. Ed è anche bello; e molto serio e cortese. E vuol tanto bene a te e alla piccina.

"Ora Debbo ora dirti, mia cara, una cosa che è giunta al nostro orecchio; una cosa che Eulalia ed io ci rifiutavamo a credere. Avevamo sentito dire che tu qualche volta ti occupavi della bottega che ti ha lasciata il signor Kennedy. Nei primi terribili tempi del dopoguerra, forse ciò era necessario, date le condizioni in cui tutti ci trovavamo. Ma ora non vi è più alcun bisogno che tu faccia nulla di simile, visto che il capitano Butler è in ottime condizioni finanziarie e per di più è capacissimo di dirigere ottimamente anche i tuoi affari. Per sapere la verità abbiamo dovuto interrogare tuo marito. Egli ci ha risposto con riluttanza che tu passi le tue mattinate al negozio e non permetti a nessuno di tenere la contabilità. Ha anche ammesso che tu hai non so che interesse in uno stabilimento - o più d'uno - che richiedeva la tua presenza; e che tu ti rechi in quel luogo sola o accompagnata da un individuo che il capitano assicura essere un assassino. Abbiamo capito che questo lo addolorava; e abbiamo pensato che è un marito indulgente; troppo indulgente. E' una cosa che deve finire, Rossella. Tua madre non è qui per ordinartelo, e debbo farlo io in sua vece. Pensa ai tuoi bambini quando saranno grandi e sapranno che tu hai fatto la commerciante! Che mortificazione per loro sapere che sei stata esposta agli insulti di uomini rozzi e ai pericoli di pettegolezzi da parte del personale degli stabilimenti! Un'occupazione così poco femminile..."

Rossella gettò la lettera senza finire di leggerla, con un'imprecazione. Le pareva di vedere le sue zie erette a giudici del suo operato nella loro casetta alla Batteria, dove sarebbero morte di fame se ella non avesse mandato loro mensilmente qualche cosa. Poco femminile? Perdio, se lei non fosse stata così, probabilmente le care zie non avrebbero un tetto per ricoverarsi, in quel momento! E quel mascalzone di Rhett che era andato a raccontare del negozio e degli stabilimenti! Con riluttanza? Certo era stato ben felice di rappresentare dinanzi alle vecchie signore la parte del bravo marito e padre, serio e cortese. Come doveva essersi divertito! Era un vero demonio. Perché quelle cattiverie gli davano tanto piacere?

Ma poco dopo la sua ira era passata dando luogo all'apatia. La vita aveva perduto molto del suo sapore in quegli ultimi tempi... Se almeno potesse ritrovare l'ardore e l'emozione che le dava Ashley... se Rhett tornasse a casa e la facesse nuovamente ridere!

 

Arrivarono senza preavviso. Ella sentì scaricare il loro bagaglio sul pavimento del vestibolo e udì la vocina di Diletta che gridava: - Mamma! -

Rossella si affrettò ad accorrere e dal pianerottolo vide la bimba che cercava di salire le scale con le sue gambette corte. Teneva stretto al petto un gattino zebrato.

- Me l'ha dato la nonna! - gridò afferrandolo alla collottola per tenderglielo.

Rossella si precipitò ad abbracciarla e baciarla, felice che la presenza della bimba le evitasse il primo incontro da sola con Rhett. Guardando al disopra del capo di Diletta, lo vide nel vestibolo che pagava il cocchiere. Egli alzò il capo, la scorse e si tolse il cappello con un ampio gesto, inchinandosi. Incontrando lo sguardo dei suoi occhi neri, ella si sentì balzare il cuore. Chiunque egli fosse, qualunque cosa avesse fatto, adesso era a casa ed ella era contenta.

- Dov'è Mammy? - chiese Diletta dimenandosi nell'abbraccio di Rossella che la depose a terra malvolentieri.

Sarebbe più difficile di quanto aveva creduto, salutare Rhett col giusto grado di disinvoltura; e anche informarlo del suo stato! Lo guardò in faccia mentre saliva le scale: quel volto bruno e impassibile, così impenetrabile e distratto! No; aspetterebbe a dirglielo. Ora era impossibile. Eppure, erano cose di cui un marito deve essere subito informato, e che sempre è felice di udire. Ma non credeva che egli ne sarebbe stato lieto.

Rimase sul pianerottolo, appoggiata alla balaustra, chiedendosi se egli la bacerebbe. Ma non la baciò. Disse soltanto:

- Sei pallida, signora Butler. Sei sprovvista di belletto? -

Non una parola sul dispiacere della lontananza, anche se non lo aveva provato. Avrebbe almeno potuto baciarla dinanzi a Mammy che, dopo un inchino, stava conducendo Diletta nella sua camera. Egli le rimase accanto sul pianerottolo, guardandola con indifferenza, come valutandola.

- Questo pallore può forse significare dispiacere per la mia assenza? - le chiese; e benché le sue labbra sorridessero, i suoi occhi rimasero seri.

Questo sarebbe dunque il suo atteggiamento. Odioso come sempre. E ad un tratto il bimbo che portava in seno divenne un peso fastidioso invece di essere un peso dolce che avrebbe portato con gioia; e l'uomo che era dinanzi a lei col largo cappello di Panama appoggiato incurantemente al fianco era il suo nemico, la causa di tutti i suoi mali. I suoi occhi verdi schizzarono veleno, in modo inequivocabile, mentre ella rispondeva; e dal volto di lui il sorriso scomparve.

- Se sono pallida è colpa tua, ma non per il dispiacere della tua assenza, presuntuoso che sei. È perché...-

No, non voleva dirglielo in quel modo, ma le parole le corsero alle labbra ed ella le lasciò sgorgare, incurante di essere udita dai servi.

- ... è perché aspetto un bambino! -

Rhett trasse il respiro e i suoi occhi corsero a lei rapidamente. Fece un passo come se avesse voluto metterle una mano sul braccio, ma ella si scansò; dinanzi all'odio che era in quegli occhi, il volto di lui si indurì.

- Davvero! - fece freddamente. - E chi è il padre felice? Ashley? -

Ella si afferrò alla balaustra di legno intagliato stringendola con tanta forza che gli intagli le penetrarono nel palmo con un dolore acuto. Pur conoscendolo così bene, non aveva previsto questo insulto. Naturalmente era uno scherzo; ma certi scherzi sono troppo mostruosi per potere essere sopportati. Avrebbe voluto ficcargli le unghie negli occhi per spegnere quella strana luce che brillava in essi. - Maledetto! - cominciò con voce tremante d'ira. - Tu... sai benissimo che è tuo. E non lo desidero più di quanto lo desideri tu! Nessuna... nessuna donna può desiderare il figlio di un mascalzone come te! Vorrei... Dio mio, vorrei che fosse di chiunque, fuorché tuo! -

Vide il suo viso bruno mutare improvvisamente; la collera e qualche altra cosa che non seppe analizzare lo fecero contorcere come sotto una puntura.

"Meno male!" pensò con ardente e rabbioso piacere. "Questa volta l'ho offeso!"

Ma la vecchia maschera di impassibilità era già tornata sul viso di Rhett, il quale si tirò i baffi.

- Stai allegra - disse voltandosi e avviandosi per salire. - Potresti anche abortire.-

In una specie di vertigine ella vide dinanzi a sé tutto quello che rappresentava una gravidanza: le nausee che la torcevano, l'interminabile attesa, la figura deformata, le ore di doglie. Cose che un uomo non può comprendere. Ed egli osava scherzare! Lo avrebbe graffiato con gioia. Solo la vista del sangue sul suo viso bruno le avrebbe dato sollievo. Lo seguì, agile come un gatto; ma con un leggero movimento egli fece un passo di lato stendendo un braccio per tenerla lontana. Rossella era sull'orlo del primo gradino della scala lucidata a cera; e quando il suo braccio, con tutto il peso del corpo, incontrò il braccio rigido di lui, ella perse l'equilibrio. Tentò di afferrarsi alla ringhiera, ma non vi riuscì. Cadde indietro sulla scala; e nel toccare il suolo provò un tremendo dolore alle costole. Troppo stordita per riuscire a trattenersi, rotolò giù per la scala sino in fondo.

 

Rossella non era mai stata ammalata; era rimasta a letto quando aveva partorito, ma quelle non potevano considerarsi malattie. E allora non si era sentita derelitta e sgomenta come adesso, debole e sconquassata, tutta dolori. Sapeva che stava peggio di quanto le dicevano; capiva di essere in pericolo di morte. La costola rotta crepitava ogni volta che traeva il respiro; il viso scorticato e la testa le dolevano e tutto il corpo sembrava in preda a demoni che l'afferravano e torcevano con tenaglie infocate, la tagliuzzavano con coltelli spuntati e poi la lasciavano, per brevi intervalli, così priva di forze che era incapace di resistere ai loro nuovi assalti. No, i parti non erano stati così. Ricordava di aver mangiato due ore dopo la nascita dei suoi bambini; mentre ora il solo pensiero di qualunque cosa che non fosse acqua fresca le dava la nausea.

Com'era facile avere un bambino, e com'era doloroso non averlo! Era strano che, anche fra i dolori che la dilaniavano, ella provasse sì gran pena nel sapere che il bimbo non sarebbe nato. Più strano ancora che questo fosse il primo che ella avesse realmente desiderato. Cercò di capire perché lo aveva desiderato, ma era troppo stanca per pensare. Troppo stanca per pensare ad altro che al terrore della morte. La morte era nella stanza ed ella si trovava senza forze per lottare contro di essa e aveva paura. Aveva bisogno che accanto a lei fosse una persona salda che la tenesse per mano e lottasse contro la morte finché a lei tornasse abbastanza forza da poter combattere da sola.

L'ira si era tramutata in dolore, ed ella desiderava Rhett. Ma questi non si faceva vedere, e Rossella non riusciva a decidersi a chiedere di lui.

L'ultimo ricordo che aveva del marito era la sua espressione quando l'aveva raccolta in fondo alle scale: pallidissimo e senza altro sul viso che un tremendo terrore, mentre con voce rauca chiamava Mammy. E poi ricordava vagamente di essere stata portata di sopra, prima che la sua mente naufragasse nell'oscurità. Poi spasimo e ancora spasimo; la camera piena di voci che ronzavano; i singhiozzi di zia Pitty e gli ordini bruschi del dottor Meade; piedi che correvano per le scale e trottavano veloci sulle punte attraverso il vestibolo. E poi, come un raggio accecante, la certezza della morte e il terrore che le faceva tentar di gridare; e invece di un urlo era un mormorio.

Ma questo mormorio desolato aveva un'immediata risposta nell'oscurità presso al letto; e la dolce voce di colei che era stata chiamata sussurrava carezzevole: - Sono qui, tesoro. Sono sempre stata qui. -

La morte e lo spavento si allontanavano quando Melania le prendeva la mano e la posava contro la propria guancia fresca. Rossella tentava di volgersi per vederla ma non poteva. Ecco: Melly sta mettendo al mondo un bimbo e gli yankees arrivano. La città è in fiamme e bisogna affrettarsi. Ma Melly sta mettendo al mondo il piccino e lei non può correre. Deve rimanerle accanto fino alla venuta del piccino ed essere forte perché Melly ha bisogno della sua forza. Melly soffre... ed ecco ancora le tenaglie roventi e i coltelli spuntati e ondate di spasimo. Bisogna tenere la mano di Melly.

Poi c'era il dottor Meade; era venuto benché i soldati del deposito avessero bisogno di lui; e lo aveva udito dire: - Delirio. Dov'è il capitano Butler? -

La notte fu tenebrosa; poi venne la luce. A volte era lei che stava avendo un bambino, altre volte era Melania che piangeva; ma in tutto questo Melly era accanto a lei e le sue mani erano fresche, ed ella non usciva in gesti sciocchi e in singhiozzi inutili come zia Pitty. Ogni volta che apriva gli occhi, Rossella mormorava: - Melly - e la dolce voce rispondeva. Poi voleva dire: - Rhett... voglio Rhett - ma si ricordava, come in sogno, che Rhett non la voleva, che il suo viso era bruno come quello di un indiano e i suoi denti biancheggiavano in una risata sardonica. - Lo desiderava, ma lui non la voleva.

Una volta disse: - Melly? - e la voce di Mammy rispose: - Sono io, bambina - e le fu posto un panno bagnato sulla fronte; ma lei continuò a chiamare stizzosamente – Melly... Melania - per molto tempo. Melania non venne perché era seduta sulla sponda del letto di Rhett; e Rhett, ubriaco e singhiozzante, piangeva accosciato sul pavimento, col capo nel grembo di lei.

Ogni volta che era uscita dalla stanza di Rossella, Melania lo aveva visto seduto sul suo letto, con la porta spalancata. La stanza era in disordine; dappertutto mozziconi di sigari e piatti di vivande intatte. Sedeva sul letto disfatto, con la barba non rasa e improvvisamente smagrito; e fumava continuamente. Melania si fermava per un attimo sulla soglia: "Mi dispiace, sta peggio"; oppure: "No, non ha ancora chiesto di voi. È in delirio"; o ancora: "Non bisogna disperare, capitano Butler. Lasciate che vi faccia portare un po' di caffè e qualche cosa da mangiare; altrimenti vi ammalerete".

Era stanchissima e aveva sonno; ma era piena di compassione per lui. Come faceva la gente a raccontare tante infamie sul suo conto: che era senza cuore, che tradiva Rossella, mentre ella lo vedeva diventare smunto da un minuto all'altro e leggeva sul suo viso un atroce tormento? Benché stanca, cercava di essere più dolce del solito quando gli portava le notizie. Le sembrava un'anima dannata in attesa del giudizio; un bambino in un mondo ostile. Ma tutti erano bambini per Melania.

Quando, finalmente, si affacciò gioiosa all'uscio per dirgli che Rossella stava meglio, era veramente impreparata a ciò che vide. Sul tavolino da notte era una bottiglia di whisky semivuota e l'odore dell'alcool riempiva la stanza. Egli levò su lei due occhi ardenti; la sua mascella inferiore tremava malgrado i suoi sforzi per non battere i denti.

- E' morta? -

- Oh no. Sta molto meglio -

- Dio mio! - esclamò Rhett e si prese la testa fra le mani. Ella vide le sue larghe spalle scosse da un brivido nervoso e lo guardò compassionevole; ma la sua pietà si mutò in sgomento quando si accorse che piangeva. Melania non aveva mai visto piangere un uomo; e non avrebbe mai pensato che Rhett così tranquillo e beffardo, così sicuro di sé, potesse abbandonarsi al pianto.

Quei singhiozzi disperati la spaventarono. Pensò che era ubriaco; e l'ubriachezza suscitava in lei un istintivo terrore. Ma quando egli levò il capo ed ella scorse il suo sguardo, entrò nella stanza, chiudendo l'uscio dietro di sé, e gli si avvicinò. Non aveva mai visto piangere un uomo, ma aveva confortato le lacrime di molti bambini. Gli posò una mano sulla spalla; e le braccia di lui la circondarono impulsivamente. Prima ancora di essersi accorta di ciò che accadeva, si trovò seduta sul letto, col capo di lui nel grembo e le sue mani e le braccia aggrappate a lei in una stretta frenetica che le faceva male.

Accarezzò dolcemente la testa nera mormorando:

- Via, via! tranquillizzatevi! Ora sta meglio! -

A queste parole la stretta si fece più convulsa ed egli cominciò a parlare in fretta, balbettando, con voce rauca, come dinanzi a una tomba che non avrebbe mai rivelato i suoi segreti mormorando per la prima volta in vita sua la verità, denudandosi spietatamente a Melania che fin dal primo momento, pur senza comprenderlo, fu soavemente materna. Parlava a frasi spezzate, nascondendo il capo nelle pieghe dell'abito della donna; a volte le sue parole erano smozzicate, soffocate, altre volte le giungevano all'orecchio anche troppo esplicite: parole aspre ed amare, di confessione e di avvilimento, che dicevano cose che ella non aveva mai udito neanche da una donna, cose che le facevano salire al volto le fiamme della verecondia, ringraziando Dio che egli tenesse la testa china.

Gli accarezzò il capo come faceva col piccolo Beau, dicendo:

- Zitto, capitano Butler! Non dovete dirmi queste cose! Non siete in voi... Zitto! -

Ma la voce di lui continuò simile a un torrente irrefrenabile, mentre egli si aggrappava alla veste di Melania come se quella fosse la sua speranza di vita.

Si accusò di azioni che Melania non comprese; mormorò il nome di Bella Watling; e la impressionò con la sua violenza quando gridò:

- Ho ucciso Rossella! L'ho uccisa io! Voi non capite. Lei non desiderava questo bambino e...-

- Tacete! Siete fuori di voi! Non desiderava un bambino? Ma tutte le donne desiderano...-

- No! No! Voi li desiderate. Ma lei no. Non un bambino mio...-

- Finitela! -

- Non capite! Lei non voleva altri bambini ed io l'ho resa madre. Questo... questa gravidanza è tutta colpa mia. Non dormivamo più insieme...-

- Ma tacete! Non è conveniente...-

- Ero ubriaco, quasi impazzito e volevo farle male... perché lei mi aveva offeso. Volevo... ma lei non mi voleva. Non mi ha mai voluto bene. Ed io feci tutto il possibile per...-

- Vi prego! -

- E non ho saputo di questa gravidanza fino all'altro giorno... quando è caduta. Non sapeva dov'ero per potermelo scrivere... ma se anche lo avesse saputo non me lo avrebbe scritto. Vi dico... che sarei tornato subito se avessi saputo... anche se lei non avesse desiderato la mia presenza...-

- Oh, sono certa che sareste tornato! -

- Sono stato come pazzo, tutte queste settimane; pazzo e ubriaco! E quando me lo disse, sulle scale, sapete che dissi? Che feci? Risi e le dissi: "Stai allegra. Potresti anche abortire". E lei...-

Melania impallidì e i suoi occhi si spalancarono inorriditi. Il sole pomeridiano entrava a fiotti dalla finestra aperta e a un tratto ella vide, per la prima volta, com'erano grandi e forti le mani di lui e com'erano villose. Involontariamente distolse lo sguardo da esse. Le sembrarono predaci, crudeli, eppure aggrappate alla sua gonna - deboli e innocenti.

Possibile che egli avesse saputo della menzogna sul conto di Ashley e di Rossella e si fosse ingelosito? Veramente, aveva lasciato la città subito dopo lo scandalo, ma... No, non poteva essere. Egli partiva sempre all'improvviso per i suoi viaggi. Non poteva aver creduto a quel pettegolezzo. Se fosse stato a causa di quello, perché non se l'era presa con Ashley? O non gli aveva, almeno, chiesto spiegazioni?

Non poteva essere. Egli era ubriaco e spezzato dalla tensione, e la sua mente galoppava, come quella di un uomo in delirio, attraverso le più strane fantasie. Gli uomini non sopportano la tensione nervosa come le donne. Rhett era sconvolto: forse aveva avuto una piccola disputa con Rossella e ora la ingrandiva. Forse qualche cosa di quanto diceva aveva un fondo di verità. Ma non certamente l'ultima frase! Nessuno può dire una cosa simile a una donna che ama con passione come Rhett amava Rossella. Melania non aveva mai conosciuto il male, mai visto la crudeltà; ed ora che la prima volta si trovava di fronte ad essi li trovava troppo inconcepibili per poterli credere. Rhett era ubriaco e malato. E coi bambini ammalati bisogna essere consenzienti ai loro capricci.

- Via, via! - gli disse dolcemente. - Tacete adesso. Ho capito. -

Egli rialzò la testa violentemente e la guardò con gli occhi iniettati di sangue respingendo con impeto le sue mani.

- No, perdio, non potete! Siete troppo buona per comprendere. Non mi credete; ma tutto quello che vi ho detto è vero ed io sono un cane. Sapete perché ho fatto questo? Perché ero pazzo di gelosia. Lei non mi ha hai voluto bene e io ho creduto di poter riuscire a farmi amare. Ma non vi sono riuscito. Non mi ama. Non mi ha mai amato. Ama...-

Il suo sguardo ubriaco, pieno di passione, incontrò quello di lei, ed egli si interruppe, rimanendo a bocca aperta, come se per la prima volta vedesse con chi stava parlando. Il volto di Melania era pallido e teso, ma i suoi occhi erano fermi e dolci, pieni di pietà e di incredulità. Vi era in essi una luminosa serenità; e l'innocenza di quelle pupille brune e profonde lo colpì come un fulmine, illuminando il suo cervello offuscato dall'alcool, trattenendo le sue parole folli, insensate. Egli balbettò qualche cosa di incoerente abbassando gli occhi, battendo rapidamente le palpebre mentre cercava di rientrare in sé.

- Sono un mascalzone - mormorò, lasciando ricadere stancamente il capo nel grembo di lei. - Ma non fino a questo punto. E se io ve lo dicessi, non mi credereste, non è vero? Siete troppo buona per credermi. Non ho mai conosciuto nessuno, prima di voi, che fosse veramente buono. Non mi credereste, non è vero? -

- No, non vi crederei - rispose Melania calmandolo e ricominciando ad accarezzargli i capelli. - State tranquillo, capitano Butler! Rossella sta meglio... Non piangete! Vedrete che guarirà. -

57

Era una donna pallida e magra quella che Rhett fece salire un mese dopo sul treno di Jonesboro. Wade e Ella, che facevano il viaggio con lei, guardavano inquieti e silenziosi il volto stanco e sbiancato della madre. Si stringevano a Prissy, perché anche per le loro menti infantili vi era qualche cosa di spaventoso nell'atmosfera fredda e indifferente che era fra la loro mamma e il loro padrigno.

Debole com'era, Rossella tornava a casa sua, a Tara. Sentiva che se fosse rimasta ancora un giorno ad Atlanta sarebbe soffocata, continuando a far girare il suo cervello stanco nel cerchio di pensieri inutili che la torturava. Ammalata nel corpo e stanca nello spirito, sembrava un bimbo sperduto in una contrada d'incubo, senza una traccia per guidarla.

Com'era fuggita da Atlanta dinanzi all'esercito invasore, così fuggiva oggi, cercando di ricacciare i suoi pensieri nel fondo della mente, con la sua vecchia formula: "Non voglio pensarci adesso. Non resisterei. Ci penserò domani, a Tara. Domani è un altro giorno". Le sembrava che una volta giunta in mezzo alla calma e al verde dei campi di cotone, tutti i suoi dolori svanirebbero ed ella potrebbe raccogliere i suoi pensieri frantumati rinsaldandoli in una forma che le consentisse di sopportarli.

Rhett rimase a guardare il treno finché fu fuori di vista; sul suo volto era un'espressione di amarezza poco piacevole. Sospirò, licenziò la carrozza e salendo a cavallo si diresse verso Via dell'Edera, a casa di Melania. Era una mattinata calda e Melania sedeva sotto al porticato ombreggiato di vite, col suo cestello da lavoro pieno di calze da rammendare. Si sentì confusa e sgomenta quando vide Rhett scendere da cavallo e gettare le redini a un ragazzotto negro che era dinanzi al cancello. Non lo aveva più visto solo da quel terribile giorno, quando Rossella stava tanto male ed egli era tanto... sicuro, tanto ubriaco. Aveva scambiato qualche parola con lui durante la convalescenza di Rossella; e in quelle occasioni, le era stato difficile incontrarne lo sguardo. Però egli aveva il suo contegno abituale; né con una parola né con un gesto aveva mai fatto allusione alla scena che aveva avuto luogo fra loro. Ashley le aveva detto una volta che spesso gli uomini non ricordano ciò che dicono e fanno in stato di ubriachezza, e Melania pregava fervidamente il Signore che la memoria del capitano Butler gli facesse difetto in questa circostanza. Meglio morire piuttosto che sapere che egli ricordava i suoi sfoghi

Vedendolo avviarsi verso di lei si sentì piena di timidezza e di imbarazzo; un vivo rossore le salì alle guance. Ma forse egli veniva soltanto per chiederle di mandare Beau a passare la giornata con Diletta. Certo non avrebbe avuto il cattivo gusto di ringraziarla di ciò che ella aveva fatto quel giorno!

Si alzò per salutarlo, notando con sorpresa, come sempre, l'elasticità del suo passo benché egli fosse grande e grosso.

- Rossella è partita? -

- Sì. Il soggiorno di Tara le farà bene - rispose sorridendo. - A volte penso che sia come il gigante Anteo che diventava più forte ogni volta che toccava la Madre Terra. A Rossella non giova rimanere troppo tempo lontana da quelle zolle rosse a cui è affezionata. La vista del cotone che cresce le farà più bene dei medicinali del dottor Meade. -

- Non volete sedere? - chiese Melania, palpitante. Egli era un tipo nettamente mascolino, e gli individui molto virili le facevano sempre una certa impressione. Le sembrava che irradiassero una forza e una vitalità che la facevano sentire più piccola e più debole del vero. I muscoli forti di lui si disegnavano sotto l'abito di tela bianca in un modo che la sgomentava. Le sembrava impossibile di aver veduto quella forza e quell'insolenza piegate a terra. E aveva tenuto quel capo bruno sulle sue ginocchia!

"Dio mio!" pensò atterrita; e arrossì di nuovo.

- Miss Melly - disse Rhett dolcemente - vi disturbo? Preferite che me ne vada? Siate sincera, vi prego.

"Oh!" pensò Melania. "Si ricorda! E sa che sono sconvolta!"

Lo guardò implorante e a un tratto il suo imbarazzo svanì. Gli occhi di lui erano così buoni e tranquilli, così pieni di comprensione che ella si stupì del suo passato sgomento. Sembrava stanco e abbastanza triste. Come aveva potuto credere che egli fosse così maleducato da parlare di cose che entrambi preferivano dimenticare?

"Poverino" pensò ancora "è stato così preoccupato per Rossella!" Quindi gli disse sorridendo:

- Sedete, capitano Butler.

Egli sedette pesantemente e la guardò mentre riprendeva in mano il lavoro.

- Miss Melly, sono venuto a domandarvi un grande favore e sorrise - a chiedere la vostra complicità per un piccolo inganno che certo vi farà inorridire. -

- Un... inganno? -

- Sì. Sono venuto per parlarvi d'affari. -

- Dio mio! Sarà meglio che vediate mio marito. Io non ne capisco nulla! Non sono intelligente come Rossella! -

- Temo che Rossella lo sia anche troppo; ed è precisamente per questo che voglio parlare con voi. Voi sapete come... è stata male. Al suo ritorno da Tara vorrà nuovamente cominciare ad occuparsi del negozio e di quegli stabilimenti che sarei ben lieto crollassero una notte o l'altra. Ho paura per la sua salute, miss Melly. -

- Sì; si affanna troppo. Dovreste farla smettere; e farla pensare a curarsi. -

- Sapete com'è ostinata. Non tento mai di discutere con lei. E' come una bimba caparbia; non vuole essere aiutata. Né da me né da nessuno. Ho tentato di persuaderla a cedere la sua parte dell'azienda, ma non vuole. Ed ora, miss Melly, eccomi al fatto. So che Rossella venderebbe la sua parte al signor Wilkes e a nessun altro; e io desidero che il signor Wilkes la compri. -

- Dio mio! Sarebbe molto bello ma... - Si interruppe e si morse le labbra. Non poteva parlare di questioni finanziarie con un estraneo. Malgrado il lavoro di Ashley, il denaro non era mai abbastanza; da parte non si poteva mettere quasi nulla e questo la preoccupava. Melania non sapeva dove andavano i quattrini. Ashley gliene dava abbastanza per il governo della casa; ma quando capitavano delle spese straordinarie, erano guai. Senza dubbio, vi erano i conti del dottore che la curava; e poi, i libri e i mobili che Ashley faceva venire da New York costavano parecchio. E vi era il vitto e il vestiario di un certo numero di orfanelli che venivano ospitati nelle cantine. Inoltre, Ashley non rifiutava mai un prestito a chiunque. fosse stato nell'esercito confederato. Poi...

- Desidero prestarvi io il denaro, miss Melly - riprese Rhett.

- Siete molto buono; ma non saremo mai in grado di restituirvelo. -

- Non me n'importa. Non vi adirate con me, miss Melly! Vi prego di ascoltarmi. Sarò più che compensato dal fatto che Rossella non si affaticherà a correre ogni giorno agli stabilimenti. Basterà il negozio a tenerla occupata e a farla contenta... Capite? -

- Veramente... sì... - fece Melania incerta.

- Voi desiderate un pony per il vostro bambino, non è vero? E volete che possa andare all'Università e a fare il viaggio d'Europa? -

- Senza dubbio! - E il volto di Melania si illuminò, come sempre quando si parlava di Beau. - Vorrei che avesse tutto, ma... siamo tutti quanti così poveri al giorno d'oggi... -

- Il signor Wilkes guadagnerà molto denaro, un giorno, con l'azienda. Ed io farò in modo che Beau abbia tutto ciò che merita. -

- Che furbacchione siete, capitano Butler! - E Melania sorrise. - Accarezzate l'orgoglio materno! Leggo in voi come in un libro! -

- Spero bene di no! - E per la prima volta gli occhi di Rhett brillarono. - Dunque: volete permettermi di prestarvi il denaro occorrente? -

- Ma dov'è l'inganno? -

- Dobbiamo cospirare per imbrogliare vostro marito e Rossella. -

- Dio mio, no! Non potrei! -

- Se Rossella sapesse che ho complottato alle sue spalle, sia pure per il suo bene... conoscete il suo carattere! E temo che il signor Wilkes rifiuterebbe di accettare un prestito da me. Quindi nessuno dei due deve sapere da dove proviene il denaro. -

- Ma sono sicura che mio marito non rifiuterebbe se sapesse il motivo. Vuol tanto bene a Rossella... -

- Non ne dubito. Ma rifiuterebbe lo stesso. So come sono orgogliosi tutti i Wilkes. -

- Povera me! - esclamò Melania desolata. - Vorrei... Ma davvero, capitano Butler, non posso ingannare mio marito. -

- Neanche per aiutare Rossella? - Rhett sembrò molto offeso. - E dire che lei vi vuol tanto bene! -

Sulle ciglia di Melania tremarono le lagrime.

- Sapete che sono pronta a qualunque cosa per lei. Non potrò mai, mai sdebitarmi di ciò che lei ha fatto per me. Lo sapete! -

- Sì - replicò Rhett brevemente. - So quello che ha fatto per voi... Non potreste dire al signor Wilkes che il denaro vi è stato lasciato per testamento da qualche parente? -

- Ma i miei parenti, Dio li benedica, sono tutti senza un quattrino! -

- E allora, se io mando il denaro a vostro marito per posta, senza il nome del mittente, farete in modo che sia impiegato per acquistare gli stabilimenti e non... insomma, non serva per mantenere degli ex confederati? -

In un primo momento Melania sembrò offesa da queste parole che implicavano una critica per Ashley; ma Rhett sorrise con tanta comprensione che ella gli ricambiò il sorriso.

- Senza dubbio. -

- Allora siamo d'accordo? Sarà un segreto fra noi? -

- Pensare che non ho mai avuto segreti per mio marito! -

- Ne sono sicuro, miss Melly. -

Melania lo guardò pensando che aveva sempre avuto ragione lei nel giudicarlo, mentre tutti gli altri avevano torto. Dicevano che era brutale, beffardo, maleducato e perfino disonesto. Ebbene! Lei aveva compreso fin dal principio che era un brav'uomo. Da lui non aveva avuto che attenzioni e cortesie, rispetto e comprensione! E come amava Rossella! Com'era buono nel pensare a questo trucco per risparmiare a Rossella una parte del lavoro a cui ella si costringeva!

Impulsivamente esclamò:

- E' ben fortunata Rossella di avere un marito che è così buono con lei! -

- Credete? Temo che essa non sia della stessa opinione. Del resto, io desidero essere buono anche con voi, miss Melly. Vi do più di quello che do a Rossella. -

- A me? - chiese perplessa. - Ah, volete dire per Beau. -

Egli si alzò e prese il cappello. Rimase per un attimo a guardare il visino triangolare col suo lungo mazzocchio di capelli e i dolci occhi neri. Un viso così poco terrestre, così privo di difese contro la vita! - No, non per Beau. Sto cercando di darvi qualche cosa di più grande di Beau; non indovinate? -

- Non posso - replicò nuovamente stupita. - Per me non vi è nulla al mondo di più prezioso di Beau, eccetto Ash... il signor Wilkes.

Rhett la fissò, calmo, senza parlare.

- Siete molto buono, capitano Butler; ma vi assicuro che sono completamente felice. Ho tutto ciò che una donna può desiderare al mondo. -

- Benissimo - ribatté Rhett improvvisamente cupo. - Ed io intendo darvi il modo di conservarlo.

 

Rossella tornò da Tara con le guance rosee e lievemente ingrassata. Gli occhi verdi avevano riacquistato la loro vivacità e il loro splendore; e per la prima volta da molto tempo ella rise forte quando vide Rhett e Diletta che l'aspettavano alla stazione; rise divertita e infastidita nel tempo stesso. Rhett aveva due penne di tacchino nel nastro del cappello e Diletta aveva sul viso due strisce diagonali d'indaco e dai suoi riccioli pendeva una penna di pavone lunga quanto lei. Evidentemente stavano giocando agli Indiani quando era giunto il momento di andare alla stazione; e Diletta doveva aver rifiutato di rimediare al disordine del suo abbigliamento, sia pure per andare incontro a sua madre.

Rossella esclamò: - Che straccionella! - baciandola; e porse la guancia al bacio di Rhett. Se non vi fosse stata tanta gente alla stazione, ne avrebbe fatto a meno. Malgrado la sua confusione nel trovare Diletta acconciata in quel modo, non poté fare a meno di notare che tutti sorridevano nel vedere il padre e la figlia così conciati; e non era un sorriso di derisione ma di bontà e di simpatia. Tutti sapevano che la piccina dominava completamente suo padre e approvavano ridendo. Il grande amore di Rhett per la sua piccina lo aveva fatto risalire di parecchi gradini nella pubblica opinione.

Nel ritorno a casa, Rossella vuotò il sacco delle novità della Contea. Il tempo caldo e asciutto faceva crescere il cotone a vista occhio; ma Will diceva che i prezzi sarebbero stati bassi, appunto per la grande abbondanza. Susele aspettava un altro bambino (lo disse sottovoce perché i bimbi non capissero) e Ella aveva mostrato di avere uno spirito bellicoso mordendo la bimba più grande di Susele. Cosa che del resto - osservò Rossella la bimba meritava, perché somigliava tutta a sua madre. Ma la madre si era arrabbiata, e fra le due sorelle era stata una lite che ricordava quelle degli antichi tempi. Wade aveva ucciso una biscia d'acqua: da solo! Randa e Camilla Tarleton facevano le insegnanti a scuola; uno scherzo, se si pensava che nessuno dei Tarleton aveva mai saputo leggere correntemente! Bettina Tarleton aveva sposato un grasso mutilato di Lovejoy; insieme con Hetty e con Jim Tarleton coltivavano con discreto successo una piantagione di cotone a Fairhill. La signora Tarleton aveva un allevamento di giumente e puledri ed era felice come se avesse avuto un milione di dollari. Nella vecchia casa dei Calvert abitavano dei negri che ne erano anche proprietari! L'avevano comprata all'asta pubblica. Il luogo era devastato; roba da piangere! Non si sapeva dov'erano andati a finire Catina e quel fannullone di suo marito. Alex stava per sposare Sally, la vedova di suo fratello! Figurarsi, dopo aver vissuto per tanti anni nella stessa casa! Tutti dicevano che era un matrimonio di convenienza perché la gente mormorava da quando vivevano soli, dopo la morte della nonna Fontaine e della nuora. E Dimity Munroe ne aveva quasi avuto il cuore spezzato. Ma le stava bene. Se fosse stata furba, si sarebbe trovato un altro marito da un pezzo, invece di aspettare che Alex avesse messo assieme abbastanza denaro da poterla sposare.

Rossella chiacchierava allegramente; ma vi erano molte cose che non raccontava; cose che preferiva dimenticare. Aveva percorso la Contea in carrozza con Will, cercando di non ricordare quando quelle migliaia di jugeri erano verdi di cotone. Ora le piantagioni erano a poco a poco riconquistate dalla foresta e folti cespugli di ginestra, arbusti di querce basse e abeti nani erano cresciuti attorno alle rovine silenziose e sugli antichi campi di cotone. Solo qualche jugero era coltivato, dove prima centinaia e centinaia venivano frugati dall'aratro. Sembrava di camminare attraverso un paese morto.

- Questa regione ha bisogno di cinquant'anni per riaversi... se mai si riavrà - aveva detto Will. - Tara è la miglior fattoria della contea, grazie a voi, Rossella, e a me; ma è una fattoria, non una piantagione. E dopo Tara viene la fattoria dei Fontaine e poi quella dei Tarleton. Non fanno molti quattrini, ma vivono. Ma il resto delle fattorie e delle persone... -

No, Rossella non ricordava volentieri l'aspetto della contea abbandonata. Sembrava ancor più triste di quanto non fosse in realtà, a paragone del movimento di Atlanta.

- E qui, c'è niente di nuovo? - chiese quando furono finalmente a casa, seduti sotto al porticato. Per tutta la strada aveva continuato a discorrere, per paura del silenzio. Non aveva scambiato una parola da sola con Rhett dal giorno della sua caduta, e non era troppo ansiosa di restare a quattr'occhi con lui.

Ignorava quali fossero i suoi sentimenti verso di lei. Era stato di una grande bontà durante la sua convalescenza; ma era la bontà di un estraneo indifferente. Aveva prevenuto i suoi desideri, impedito ai bambini di infastidirla, sorvegliato il negozio e l'azienda. Ma non aveva mai detto "Perdonami". Forse non era neanche addolorato. Forse continuava a credere che il bambino che non era nato non era suo figlio. Come poteva, Rossella, sapere ciò che si nascondeva dietro a quel viso bruno e simpatico? Però, in quel periodo aveva mostrato una certa disposizione alla cortesia, per la prima volta da quando erano sposati; e il desiderio di lasciare che la vita proseguisse come se fra loro non vi fosse mai stato nulla di spiacevole. "Come se..." pensò tristemente Rossella "fra loro non vi fosse mai stato nulla addirittura." Ebbene, se era questo che desiderava, lei si comporterebbe nello stesso modo.

- Tutto va bene - ripeté. - Hai avuto i nuovi embrici per la bottega? Hai cambiato le mule? Per carità, Rhett, togliti quelle penne dal cappello. Sembri uno scervellato, e sei capace di andare in città senza ricordarti di levarle! -

- No - fece Diletta prendendo il cappello di suo padre.

- Tutto va bene qui - rispose Rhett. - Diletta ed io ci siamo divertiti; credo che non sia mai stata pettinata dopo la tua partenza. Non rosicchiare le penne, tesoro; sono cattive. Sì, gli embrici sono a posto; per le mule ho fatto un buon affare. Veramente non c'è niente di nuovo: tutto procede regolarmente.

Poi, dopo un attimo riprese:

- L'egregio Ashley è stato qui ieri sera. Voleva sapere se tu saresti disposta a cedergli il tuo stabilimento e la parte che hai nel suo. -

Rossella che si stava cullando in una sedia a dondolo e sventolando con un ventaglio di penne di tacchino, si fermò bruscamente.

- Cedere? E dove diamine ha preso il denaro? Sai che non hanno mai un centesimo. Melania spende subito tutto quello che suo marito porta in casa. -

Rhett si strinse nelle spalle.

- Ho sempre pensato ch'ella fosse una personcina molto economa. Ma non sono informato sui particolari delle finanze dei Wilkes come sembri esserlo tu. -

Era una frase nel vecchio stile di Rhett e Rossella ne fu seccata.

- Vai, cara - ella disse a Diletta. - La mamma ha bisogno di discorrere col babbo. -

- No - rispose risolutamente Diletta arrampicandosi sulle ginocchia paterne.

Rossella aggrottò le sopracciglia e Diletta la guardò a sua volta con un cipiglio tanto rassomigliante a quello di Geraldo O'Hara che sua madre quasi rise.

- Lasciala stare - intervenne Rhett. - Quanto al denaro, pare che gli sia stato mandato da un tale a cui egli prestò assistenza a Rock Island, quando costui aveva il vaiolo. Il fatto che la riconoscenza esista ancora rinnova la mia fede nella natura umana. -

- Chi è? Una persona che conosciamo? -

- La lettera non era firmata e veniva da Washington. Ashley ha stentato a capire chi poteva averla mandata. Ma è naturale che un individuo come Ashley vada compiendo tante buone azioni nel mondo che gli è impossibile ricordarle tutte. -

Se non fosse stata enormemente stupita per la fortuna inattesa di Ashley, Rossella avrebbe raccolto il guanto, quantunque durante il suo soggiorno a Tara si fosse proposta di non lasciarsi mai più trascinare a litigare con Rhett a proposito di Ashley. I suoi rapporti coi due uomini erano troppo incerti: ed ella non aveva intenzione di eccitarsi in proposito finché non fosse sicura del fatto suo.

- E vuol comprare?, -

- Sì. Ma gli ho detto che certamente tu non pensi di vendere. -

- Ti prego di lasciare che mi occupi io dei miei affari. -

- Mah, so che non hai nessuna voglia di rinunziare all'azienda. Gli ho detto che tu non sopporteresti di non ficcare il naso negli affari altrui... -

- Hai osato dirgli questo? -

- Perché no? Non è la verità? Credo che in cuor suo fosse d'accordo con me; ma è troppo gentiluomo per convenirne. -

- Non è vero! Gli venderò l'azienda! - esclamò Rossella.

Fino a quel momento non aveva pensato affatto ad abbandonare la sua industria. Per molte ragioni desiderava conservarla; e il suo valore finanziario era il motivo meno importante. Negli ultimi anni aveva avuto più volte occasione di venderla ad ottime condizioni, ma aveva sempre rifiutato. Gli stabilimenti erano la prova evidente di ciò che aveva fatto con le sole sue forze, ed ella ne era orgogliosa. Inoltre rappresentavano il solo contatto possibile con Ashley. Se li avesse venduti, avrebbe avuto assai raramente occasione di vederlo, e probabilmente non lo avrebbe mai visto solo. E voleva vederlo; voleva sapere quali erano adesso i suoi sentimenti verso di lei, se il suo amore era morto, seppellito dalla vergogna, in quella terribile sera del ricevimento. Rimanendo in rapporti di affari, avrebbe avuto l'opportunità di parlargli, senza che nessuno potesse fare osservazioni. E col tempo, ella avrebbe certo riconquistato il terreno che forse aveva perduto nel suo cuore. Ma se vendeva gli stabilimenti...

No;. non aveva voglia di venderli; ma stimolata dall'idea che Rhett l'aveva fatta apparire ad Ashley in così cattiva luce, aveva immediatamente mutato pensiero. Ashley avrebbe l'azienda, e a prezzo così favorevole che sarebbe costretto a riconoscere la sua generosità.

- Voglio vendere!... - esclamò adirata. - Che ne pensi, adesso? -

Negli occhi di Rhett passò una lievissima luce di trionfo mentre egli si curvava ad allacciare una scarpina di Diletta.

- Credo che te ne pentirai - rispose.

Ella era già pentita delle sue parole impulsive. Se le avesse dette dinanzi a chiunque altri che Rhett, le avrebbe ritrattate senza vergogna. Perché precipitare in quel modo? Guardò suo marito con la fronte aggrondata e vide che la stava osservando col suo antico sguardo ansioso di gatto dinanzi alla tana di un topo. Quando le vide aggrottare le ciglia, rise improvvisamente, con un balenio dei suoi denti bianchi. Rossella intuì vagamente che egli l'aveva costretta in quella posizione.

- C'entri per qualche cosa in questo? - gli chiese furibonda.

- Io? - Inarcò le sopracciglia con sorpresa beffarda. Dovresti conoscermi meglio. Non compio mai delle buone azioni io... se posso farne a meno.

 

La sera stessa Rossella vendette ad Ashley gli stabilimenti e gli cedette tutti i propri interessi nell'industria. Senza perderci, perché Ashley rifiutò le sue proposte troppo vantaggiose; e le pagò il prezzo più elevato che ella avesse mai potuto sperare. Dopo aver firmato il contratto, mentre Melania offriva un bicchiere di vino a Rhett e ad Ashley per solennizzare la conclusione dell'affare, Rossella provò l'impressione di aver venduto uno dei suoi figli.

L'azienda era stata il suo tesoro, il suo orgoglio, il prodotto delle sue manine avide. Aveva cominciato con una piccola segheria, nei giorni tristi in cui Atlanta cercava di risollevarsi dalle ceneri e dalla distruzione; e il bisogno era ad ogni angolo di strada. Aveva combattuto per la sua industria nel periodo difficile delle confische yankee, quando il denaro era scarso e gli uomini intelligenti venivano passati per le armi. E ora che Atlanta stava sanando le proprie ferite, e nuovi edifici sorgevano ovunque, ella possedeva due stabilimenti, due magazzini di deposito, una dozzina di pariglie di mule e faceva lavorare un discreto numero di galeotti, in modo che la mano d'opera venisse a costare ben poco. Dare un addio a tutto ciò era come chiudere per sempre una porta su una parte della sua vita; una parte aspra e penosa, ma che pure ricordava con nostalgica soddisfazione.

Aveva impiantato quell'industria e ora l'aveva venduta; ed era oppressa dalla certezza che, senza lei al timone, Ashley perderebbe tutto ciò che ella aveva costruito con tanta fatica. Ashley era troppo fiducioso; e stentava a distinguere una somma da una moltiplicazione. E lei non potrebbe più dargli dei buoni consigli... tutto perché Rhett le aveva rinfacciato la sua smania di mettere il naso dappertutto.

"Maledizione a Rhett!" pensò; e mentre lo guardava sentì crescere dentro di sé la convinzione che egli era fra le quinte di quella faccenda; soltanto non capiva come e perché. In quel momento egli parlava con Ashley e le sue parole la colpirono.

- Immagino che licenzierete subito i forzati. -

Mandar via i galeotti? Perché mai? Rhett sapeva benissimo che il maggior profitto degli stabilimenti proveniva dal basso costo della mano d'opera. E perché parlava con tanta sicurezza delle future azioni di Ashley? Che ne sapeva di lui?

- Sì, immediatamente - rispose Ashley evitando lo sguardo stupefatto di Rossella.

- Siete impazzito? - esclamò questa. - Non vi basterà il denaro per i salari; e poi, che razza di lavoratori prenderete? -

- Prenderò dei negri liberati. -

- Storie! Sapete bene quali salari pretendono; e poi avrete continuamente gli yankees sulle spalle per controllare se date loro da mangiare pollo tre volte al giorno e se li fate dormire su materassi di piume.

E se date una scudisciata a un negro troppo pigro, sentirete gli urli degli yankees che arriveranno fino a Dalton; e andrete in prigione. I forzati sono i soli... -

Melania teneva gli occhi abbassati sulle mani incrociate nel grembo. Ashley sembrava afflitto ma inflessibile. Per un attimo rimase silenzioso. Quindi il suo sguardo si incontrò con quello di Rhett e sembrò che vi trovasse comprensione e incoraggiamento; Rossella si avvide di quell'occhiata.

- Non voglio far lavorare i forzati, Rossella - riprese Ashley con voce ferma e tranquilla.

- Davvero?! - ansimò Rossella. - E perché? Avete paura che si sparli di voi come si è sparlato di me?

Ashley alzò la testa.

- Non ho paura di quel che dice la gente, finché sono dalla parte della ragione.

E non ho mai creduto che fosse giusto far lavorare i galeotti. -

- Ma perché... -

- Non posso guadagnare sulla miseria altrui e sul loro lavoro forzato. -

- Eppure eravate proprietario di schiavi! -

- Non erano miserabili. E del resto, li avrei liberati alla morte di mio padre, anche se non li avesse liberati la guerra. Ma questa è un'altra faccenda, Rossella. E' un sistema che dà luogo a troppi abusi. Forse voi lo ignorate, ma io lo so. So che Jonnie Gallegher ha ucciso almeno un uomo nel suo accampamento. Forse anche più d'uno: chi si cura di un galeotto di più o di meno? Ha detto che l'uomo è stato ucciso mentre tentava di evadere; ma io ho sentito narrare la cosa diversamente. E so che fa lavorare gli ammalati. Chiamatela pure superstizione; ma io non credo che la felicità possa venire dal denaro guadagnato per mezzo dei patimenti altrui. -

- Per Giove! Vorreste dire... Dio santo, Ashley, non avrete preso tutte le chiacchiere del reverendo Wallace per moneta contante? -

- Non ne ho avuto bisogno. Credevo a tutto ciò molto prima che egli lo predicasse. -

- E allora secondo voi tutto il mio denaro è maledetto esclamò Rossella sentendo salire la collera. - Perché ho fatto lavorare dei forzati e sono proprietaria di uno spaccio di bevande e... - Si interruppe. I due Wilkes apparivano imbarazzati e Rhett sogghignava.

"Che il diavolo lo porti!" pensò Rossella con ira. "Sta pensando che io mi occupo degli affari degli altri; e anche Ashley lo pensa. Sbatterei insieme le teste di tutti e due!" Ringhiottì la collera e cercò di assumere un'aria dignitosa, ma con scarso successo.

- Del resto, non è affar mio! -

- Non crediate che io voglia criticarvi, Rossella! Neppur per sogno... Ma noi guardiamo le cose da diversi punti di vista; e ciò che è buono per voi non lo è per me. -

Ella provò improvvisamente il desiderio di esser sola con lui; avrebbe voluto che Rhett e Melania fossero all'altra estremità della terra per potergli gridare:

"Ma io voglio vedere le cose come le vedete voi! Spiegatemi, in modo che io possa capire ed essere come voi! -

Ma in presenza di Melania, tremante per il dispiacere della scena, e di Rhett che sogghignava, poté soltanto dire, con tutta la freddezza e l'aria di virtù offesa di cui fu capace:

- Certo è affar vostro, Ashley; e mi guarderò bene dal darvi consigli in proposito. Ma vi confesso che non capisco il vostro atteggiamento né le vostre osservazioni. -

Se fossero soli ed ella non fosse costretta a dirgli quelle parole glaciali che lo rendevano infelice!

- Vi ho offesa, Rossella; e non ne avevo l'intenzione. Dovete credermi e perdonarmi. Non vi è nulla di enigmatico in ciò che ho detto. Solamente, sono convinto che il denaro guadagnato in un certo modo non porti con sé la felicità. -

- Ma avete torto! - esclamò Rossella incapace di dominarsi più a lungo. - Guardatemi! Voi sapete come ho guadagnato il mio denaro! Sapete in che condizioni ero prima... Ricordatevi quell'inverno a Tara quando faceva tanto freddo ed eravamo costretti a tagliare i tappeti per farne delle scarpe, e non c'era abbastanza da mangiare e non sapevamo come avremmo fatto per dare un'educazione a Beau e a Wade. Vi ricor... -

- Mi ricordo - rispose Ashley con stanchezza - ma preferirei dimenticare. -

- Non potrete dire che eravamo felici allora! E guardateci adesso! Voi avete una bella casa e un bell'avvenire. E vi è nessuno che abbia una casa più sfarzosa della mia, dei vestiti più eleganti, dei cavalli migliori. Nessuno ha una tavola meglio servita né offre ricevimenti più splendidi; e i miei bambini hanno tutto ciò che desiderano. E dove ho preso il denaro per fare tutto questo? L'ho trovato sugli alberi? Nossignore! Il lavoro dei forzati e gli utili dello spaccio... -

- E non dimenticare l'assassinio dello yankee - fece Rhett soavemente. - E' stato il tuo punto di partenza. -

Rossella si volse verso di lui, pronta a ribattere aspramente.

- E il denaro ti ha reso molto molto felice, non è vero, tesoro? - proseguì egli, con velenosa dolcezza.

Rossella trattenne le parole che stavano per uscirle di bocca e i suoi occhi passarono rapidamente dall'uno all'altro dei tre interlocutori. Melania era quasi piangente per l'imbarazzo; Ashley era diventato

improvvisamente cupo e rinchiuso in sé e Rhett la osservava, fumando, con aria tranquillamente divertita. Ebbe l'impulso di gridare:

- Sicuro, mi ha resa felice! -

Ma non riuscì a pronunciar sillaba.

58

Nel periodo che seguì la sua malattia, Rossella notò in suo marito un mutamento; ma non riuscì a comprendere se questo le piaceva o no. Rhett non beveva più; era tranquillo e pensieroso. Rimaneva spesso a casa dopo cena, ed era più gentile coi servi e più affettuoso con Wade e Ella. Non accennava mai a nulla del loro passato e sembrava silenziosamente impedire che lei vi alludesse. La vita continuava dunque a scorrere quietamente, almeno alla superficie. La cortesia impersonale che egli aveva cominciato a dimostrarle durante la sua convalescenza continuò; e Rhett si astenne oramai dal lanciarle frecciate velenose e dal pungerla coi suoi sarcasmi. Rossella comprendeva ora che quantunque i suoi maliziosi commenti fossero oltremodo irritanti, pure erano dettati da un interessamento per ciò che ella faceva e diceva. Ora forse non gliene importava più nulla. Era gentile e disinteressato; ed ella sentiva la mancanza di quel suo interessamento, anche perverso, degli antichi tempi pieni di liti e di rispostacce.

Era gentile con lei, quasi come se si trovasse con un'estranea ma i suoi occhi che una volta la seguivano, ora seguivano Diletta. Era come se la corrente violenta della sua vita si fosse ridotta in uno stretto canale. A volte Rossella pensava che se Rhett le avesse accordato una metà della premura e della tenerezza che prodigava alla bambina, la vita sarebbe stata ben diversa. La gente diceva: "Come adora la sua bimba il capitano Butler!" ed ella era costretta a sorridere perché non voleva riconoscere, neanche dinanzi a se stessa, di esser gelosa di una bambina; specialmente quando questa era la sua figliuoletta favorita. Rossella aveva sempre provato il bisogno di essere la prima nel cuore di chi le stava attorno; ed ora era evidente che Rhett e Diletta sarebbero sempre i primi, uno nel cuore dell'altra e viceversa.

Rhett tornava tardi le sere in cui usciva; ma era perfettamente sobrio. Spesso lo udiva fischiettare pianamente mentre attraversava il vestibolo. A volte rientrava in compagnia di uomini e con questi rimaneva a discorrere in sala da pranzo, dinanzi alla bottiglia di acquavite. Non erano gli stessi individui coi quali beveva nel primo anno del loro matrimonio. In casa non venivano, invitati da lui, né "Carpetbaggers" né rinnegati né repubblicani. Rossella, avvicinandosi in punta di piedi alla balaustra tendeva l'orecchio e spesso riconosceva stupita le voci di Renato Picard, di Ugo Elsing, dei ragazzi Simmon, di Andy Bonnell. E lo zio Enrico e il nonno Merriwether non mancavano mai. Una volta, con sua grande meraviglia, udì la voce del dottor Meade. E dire che quella gente una volta avrebbe voluto vedere Rhett impiccato!

Il gruppo era sempre associato, nella sua mente, con la morte di Franco; e tutto l'insieme le ricordava i tempi precedenti la scorreria del Klan in cui Franco aveva perso la vita. Ricordava con spavento la frase di Rhett che "si sarebbe perfino associato al loro maledetto Klan, per diventare rispettabile" benché "sperasse che Dio gli risparmierebbe una simile penitenza." E se Rhett, come Franco...

- Una notte in cui egli tornò più tardi del solito, Rossella non riuscì a dominarsi. Sentendo infilare la chiave nella serratura, si gettò uno scialle sulle spalle e, nella luce del gas acceso nel vestibolo, lo attese in cima alla scala. L'espressione pensierosa di Rhett si mutò in sorpresa vedendola.

- Rhett, ho bisogno di sapere! Debbo sapere se tu... se è il Klan... è per questo che rientri a queste ore? Appartieni forse... -

Nella luce del gas egli la fissò senza curiosità e sorrise.

- Sei in ritardo. Non c'è più Klan ad Atlanta. E forse in tutta la Georgia. Sono i tuoi amici rinnegati che ti raccontano delle storie a proposito di immaginari oltraggi compiuti dal Klan. -

- Non esiste il Klan? Lo dici per tranquillizzarmi? -

- Quando mai ho tentato di tranquillizzarti, mia cara? No, il Klan non esiste più. Abbiamo deciso che faceva più male che bene, perché teneva gli yankees in stato di continua eccitazione e forniva troppo grano al mulino di sua eccellenza il governatore Bullock. Egli sa che rimarrà al potere soltanto finché il Governo federale e i giornali yankee saranno persuasi che la Georgia è in continua rivolta e che dietro a ogni cespuglio si nasconde un membro del Klan. Per conservare il potere, egli fabbrica una quantità di storie: yankees sospesi per i piedi, negri linciati e simili. Tutta roba inesistente. Ti ringrazio per la tua apprensione; ma non esiste più un Klan attivo, press'a poco da quando io ho cessato di essere un rinnegato per diventare un umile democratico.

Quasi tutte le parole concernenti il governatore Bullock le entrarono in un orecchio e uscirono dall'altro; la sua mente concepiva in quel momento soltanto la gioia di apprendere che il Klan non esisteva più. Rhett non sarebbe ucciso com'era stato ucciso Franco; ella non perderebbe il negozio né il denaro. Ma una parola della sua conversazione le rimase fissa nel cervello. Egli aveva detto "noi", associandosi naturalmente a coloro che una volta chiamava "La Vecchia Guardia".

- Rhett - gli chiese a un tratto - hai avuto parte, tu, nello scioglimento del Klan? -

Le lanciò una lunga occhiata e nei suoi occhi apparve la piccola luce maliziosa.

- Sì, amor mio. Ashley Wilkes ed io ne siamo i principali responsabili. -

- Ashley... e te? -

- Sicuro. La politica crea delle strane amicizie. Né Ashley né io abbiamo una grande simpatia reciproca; ma... Ashley non ha mai avuto fiducia negli effetti del Klan, perché è contrario ad ogni specie di violenza. Ed io ho sempre ritenuto che fosse una grossa sciocchezza e che in quel modo non si sarebbe mai ottenuto ciò che desideriamo. Abbiamo quindi convinto le teste calde che il lavoro e l'attesa ci avrebbero condotti più avanti che le camicie da notte e le spedizioni. -

- E quei giovanotti accettano i consigli di uno che... -

- ... che era uno speculatore e un rinnegato? Un amico degli yankees? Dimentichi, signora Butler, che ora sono un ottimo democratico, devoto fino all'ultima goccia del mio sangue al riscatto del nostro paese dagli usurpatori! Il mio consiglio era buono ed è stato accettato. Ed anche in altri argomenti politici il mio consiglio è gradito. Non abbiamo oggi una maggioranza democratica al Parlamento? E presto, amor mio, vedremo qualcuno dei nostri cari amici repubblicani dietro le sbarre. Sono diventati oltremodo rapaci, e lo fanno troppo apertamente. -

- E tu aiuterai a farli mettere in prigione? Ed erano tuoi amici! Ti hanno fatto entrare nell'amministrazione delle ferrovie dove hai guadagnato migliaia di dollari! -

Rhett sogghignò improvvisamente; era il suo vecchio sogghigno beffardo.

- Oh, non voglio loro alcun male. Ma ora sono dall'altra parte, e se posso aiutare a metterli dove meritano di stare, lo farò. E come ridonderà a mio credito una cosa simile! Conosco abbastanza i particolari di alcuni dei loro affari; e quando il Parlamento comincerà a scavare... Cosa che farà ben presto; e metterà sotto inchiesta anche il governatore, cercando di cacciare in prigione anche lui, se sarà possibile. Farai bene a dire ai tuoi cari amici Gelert e Hundon di prepararsi a lasciare la città da un momento all'altro; perché se agguantano il governatore, agguanteranno anche loro. -

Per troppi anni Rossella aveva visto i repubblicani - sostenuti dall'esercito yankee - dominare la Georgia per poter credere alle parole di Rhett dette con tanta leggerezza. Il governatore era troppo ben trincerato perché qualunque Parlamento potesse fargli del male; meno che mai imprigionarlo.

- Come corri! - osservò.

- Se non lo mettono dentro, per lo meno non lo rieleggeranno. La prossima volta avremo un governatore democratico, per cambiare. -

- E magari sarà un po' merito tuo? - chiese Rossella sarcastica.

- Senza dubbio, tesoro. Me ne sto già occupando. Perciò rincaso così tardi la sera. Sto lavorando come non ho lavorato mai, per organizzare le elezioni. E... so che questo ti dispiacerà, signora Butler, ma sto contribuendo anche con molti quattrini. Ti ricordi che alcuni anni fa, nella bottega di Franco, mi dicesti che era una disonestà conservare l'oro della Confederazione? Ho finito col darti ragione; e quel denaro sarà speso per far tornare i confederati al potere. -

- Denaro buttato! -

- Denaro buttato quello speso per la democrazia? - Il suo sguardo la schernì; poi tornò tranquillo e senza espressione. - Non m'importa nulla di chi riuscirà nelle elezioni. Ciò che mi importa è che tutti sappiano che me ne sono occupato e ho contribuito col mio denaro. In futuro se ne ricorderanno; e questo sarà tutto a favore di Diletta. -

- I tuoi discorsi mi avevano quasi fatto temere che tu fossi cambiato; ma vedo che non sei più sincero verso i democratici di quanto tu non sia stato verso chiunque altro. -

- Non sono mutato affatto. Ho solo cambiato la pelle. E' possibile togliere le macchie a un leopardo, ma rimane leopardo ugualmente. -

Diletta, svegliata dal rumore di voci nel vestibolo, chiamò con voce sonnacchiosa ma imperiosa: - Babbo! - e Rhett si avviò passando davanti a Rossella.

- Aspetta un momento, Rhett. Voglio dirti un'altra cosa. Devi smettere di portare in giro Diletta, nel pomeriggio, alle tue riunioni politiche. Non fa un bell'effetto. Una bambina in quei luoghi! E fai la figura di uno sciocco. Non avrei supposto che ve la conducevi, se non me ne avesse parlato zio Enrico, credendo che io lo sapessi e... -

Egli si volse; il suo viso era indurito.

- Che cosa vedi di male nel fatto di una bambina che siede sulle ginocchia di suo padre mentre egli parla coi suoi amici? Ti sembra una sciocchezza ma non lo è. Fra qualche anno la gente ricorderà che Diletta era con me mentre io cercavo di scacciare i repubblicani dallo Stato. Lo ricorderanno e... -

La durezza scomparve dal suo volto; negli occhi neri tornò a brillare la malizia. - Sai che quando le chiedono a chi vuol più bene, risponde: "A babbo e ai 'democati'"? E chi odia di più: "I 'innegati'". Grazie a Dio, il pubblico ricorda queste cose. -

La voce di Rossella si levò furibonda.

- E magari le avrai detto che io sono una rinnegata! -

- Babbo! - chiamò la vocina che adesso era indignata; e Rhett, ancora ridendo, attraversò il vestibolo per andare da sua figlia.

 

Nel mese di ottobre di quell'anno il governatore Bullock diede le dimissioni e abbandonò precipitosamente la Georgia. L'abuso del pubblico denaro, lo sperpero e la corruzione avevano raggiunto tali proporzioni durante la sula amministrazione, che l'edificio minacciava di crollare sotto il peso di tante brutture. Perfino il suo partito si andava disgregando, sotto l'ondata della pubblica indignazione. I democratici avevano ora la maggioranza in Parlamento; quindi, sapendo che vi sarebbe stata un'inchiesta sul suo operato, Bullock preferì non aspettare. Partì frettolosamente e segretamente, facendo in modo che le sue dimissioni fossero conosciute solo quando egli aveva raggiunto sano e salvo il Nord.

Quando, una settimana dopo, Atlanta ne ebbe l'annuncio, fu un'esplosione di gioia. I cittadini affollarono le strade: gli uomini ridevano e si stringevano la mano rallegrandosi, le donne si abbracciavano e piangevano. Tutti diedero dei ricevimenti per solennizzare l'avvenimento; e i pompieri ebbero molto da fale a spegnere le fiamme suscitate dai fuochi di gioia accesi dai ragazzini giubilanti.

Certamente, anche il facente funzione di governatore era un repubblicano; ma in dicembre vi sarebbero le elezioni e il risultato non era dubbio. E difatti, malgrado gli sforzi frenetici dei repubblicani, le elezioni diedero alla Georgia un governatore democratico.

Anche allora la città fu piena di gioia; ma era un eccitamento diverso da quello che si era diffuso quando Bullock aveva levato il tacco. Era una gioia più profondamente sentita, un senso di riconoscenza; le chiese erano piene, mentre i ministri porgevano al Signore azioni di grazie per la liberazione dello Stato. E vi era anche un senso d'orgoglio, all'idea che il paese fosse nuovamente fra le mani della sua gente, malgrado tutte le disposizioni del governo di Washington, malgrado l'esercito, i "Carpetbaggers" e i rinnegati.

Sette volte il Congresso aveva votato leggi opprimenti contro lo Stato, a fine di tenerlo nelle condizioni di terra di conquista; tre volte l'esercito aveva governato con la legge militare. I negri avevano folleggiato col Parlamento, avidi stranieri erano stati al governo, individui privati si erano arricchiti coi fondi pubblici. La Georgia era stata tormentata, ingannata, depressa. Ma ora, malgrado tutto ciò, essa risorgeva e tornava ad appartenere al suo popolo.

L'improvviso rovesciamento dei repubblicani non rallegrò in egual modo tutti quanti. Nelle file dei "Carpetbaggers" e dei rinnegati vi fu una viva costernazione. I Gelert e gli Hundon, evidentemente informati della partenza di Bullock prima che questa fosse di pubblica ragione, lasciarono la città improvvisamente, scomparendo nel nulla da cui erano venuti. Gli altri rimasero incerti, sgomenti, e si riunirono fra loro per darsi coraggio, temendo che l'inchiesta gettasse la luce anche sulle loro marachelle. Non erano più insolenti; erano sbalorditi e spaventati. E le signore che andavano a far visita a Rossella continuavano a ripetere:

- Chi avrebbe supposto che sarebbe andata così? Credevamo che il governatore fosse onnipotente. Credevamo che non sarebbe mai andato via. Credevamo... -

Rossella era ugualmente stupita dalla piega degli avvenimenti, benché fosse stata avvertita da Rhett. Non che le dispiacesse la partenza di Bullock e il ritorno dei democratici. Anzi era tristemente felice benché nessuno lo credesse - che il governo degli yankees fosse finito. Ricordava troppo vivamente le sue lotte nei primi giorni della Ricostruzione, la paura che le venisse confiscato il suo denaro e la sua proprietà. Ricordava il suo smarrimento, il suo panico, il suo odio per gli yankees; e non aveva mai cessato di odiarli. Ma cercando di mettersi al sicuro, aveva finito con lo schierarsi dalla parte dei conquistatori. Per quanto le fossero antipatici, si era circondata di quegli individui, staccandosi dai vecchi amici e dal vecchio sistema di vita. Ed ora il potere dei conquistatori era crollato. Ella aveva giocato sulla continuazione del regime di Bullock e aveva perduto.

Guardandosi attorno, in quel Natale del 1871, il Natale più lieto che lo Stato avesse conosciuto da dieci anni in qua, Rossella si sentì agitata. Non poteva fare a meno di vedere che Rhett, uno degli uomini che erano stati più odiati, era adesso uno dei più popolari, poiché aveva umilmente abiurato alle sue eresie repubblicane e dato tempo, denaro, fatiche perché la Georgia potesse risollevarsi. Quando egli attraversava le strade a cavallo, sorridendo, togliendosi il cappello, con un fagottino azzurro che era Diletta sul davanti della sua sella, tutti rispondevano al suo sorriso, parlavano con entusiasmo della piccina e la guardavano con affetto. E intanto lei, Rossella...

59

Senza dubbio, Diletta Butler era piena di capricci e avrebbe avuto bisogno di una mano ferma per educarla; ma era così simpatica a tutti che nessuno aveva il coraggio di ricorrere alla necessaria severità.

Era rimasta priva di controllo durante i mesi che aveva passato viaggiando con suo padre. Quando era stata con Rhett a Charleston e a Nuova Orleans, le era stato permesso di rimanere alzata la sera finché le faceva piacere; addormentata fra le braccia di suo padre aveva girato teatri, trattorie, circoli di gioco. Dopo di allora, nessuno riuscì a farla andare a letto quando vi andava la obbediente Ella. Rhett le aveva poi consentito di mettere i vestitini che preferiva e, da allora, la bimba faceva un putiferio quando Mammy cercava di metterle vestitini e grembiuli di cotone invece che di seta e col colletto di trina.

Sembrava ormai impossibile riacquistare il terreno perduto durante quel viaggio e durante la malattia di Rossella e il suo soggiorno a Tara. Col passare del tempo, Rossella cercò di disciplinarla, di impedirle di diventare troppo caparbia e capricciosa, ma con scarso successo. Rhett prendeva sempre le parti della bambina, per quanto i suoi desideri fossero stravaganti e il suo contegno maleducato. La incoraggiava a discorrere e la trattava come se fosse un'adulta, ascoltando con apparente serietà le sue opinioni e fingendo di seguirle. Come risultato, Diletta interrompeva i suoi genitori quando le pareva, contraddiceva suo padre e gli rispondeva a modo suo. Il padre si limitava a ridere e non permetteva a Rossella neanche un piccolo scappellotto sulla mano come reprimenda.

"Se non fosse una creatura così carina, sarebbe insopportabile" pensava Rossella inquieta, accorgendosi che la bimba aveva una volontà uguale alla propria. "Adora Rhett, ed egli, se volesse, potrebbe ottenere che si conducesse meglio."

Ma Rhett non mostrava alcuna inclinazione a far diventare Diletta più educata. Qualunque cosa ella facesse era ben fatto; e se avesse voluto la Luna, suo padre avrebbe cercato di andargliela a prendere. Era orgoglioso della sua bellezza, dei suoi riccioli, delle sue fossette, dei suoi gesti graziosi. Gli piacevano la sua vivacità, il suo spirito e le smorfiette che faceva per mostrargli il suo affetto. Benché fosse viziata, era una bimba così deliziosa che a lui mancava il cuore di tentar di correggerla. Egli era il suo dio, il centro del suo piccolo mondo; e questo era troppo prezioso per lui perché arrischiasse di perderlo con le sue reprimende.

Lo seguiva come la sua ombra. La mattina si destava prima di quel che egli avrebbe voluto; sedeva a tavola accanto a lui mangiando alternamente dal suo piatto e dal proprio, e non permetteva che a Rhett di svestirla e di metterla nel suo lettino che era accanto a quello di lui.

Rossella era divertita e turbata nel vedere la mano di ferro con cui la piccina governava suo padre.

Chi avrebbe supposto che Rhett avrebbe preso la paternità così seriamente? Ma a volte una fiamma di gelosia si accendeva nel cuore di Rossella, perché Diletta, all'età di quattro anni, comprendeva Rhett meglio di quanto lei lo avesse compreso e andava perfettamente d'accordo con lui.

Dopo che la bimba ebbe compiuto i quattro anni, Mammy cominciò a brontolare sulla sconvenienza di far "cavalcare una bimba sulla sella dinanzi a suo padre, con vestitino sollevato." Rhett tenne conto dell'osservazione, come di tutte quelle che faceva Mammy a proposito dell'educazione dei bambini, e il risultato fu un piccolo pony dello Shetland col manto bianco e bruno, una lunga coda, una folta criniera scura e una piccola sella femminile a borchie d'argento. Visibilmente il pony era per tutti e tre i bambini, e Rhett comprò una sella anche per Wade. Ma il bambino preferiva di molto il suo cane sanbernardo, ed Ella aveva paura di tutti gli animali. Quindi il pony rimase esclusiva proprietà di Diletta e si chiamò "Mister Butler". La sola ombra nella gioia di Diletta era il non poter andare a cavalcioni come suo padre; ma quando egli le spiegò che cavalcare da amazzone era molto più difficile, fu contenta e imparò rapidamente. L'orgoglio di Rhett per le sue abilità di cavalcatrice non conobbe limiti.

- Aspettate che abbia l'età di andare a caccia! - proclamava. - Non vi sarà un'altra cacciatrice come lei.

Quando si trattò di farle fare il vestitino da amazzone, Diletta ebbe, come sempre, facoltà di scegliere il colore; e, come sempre, scelse l'azzurro.

- Non quel velluto azzurro, tesoro! - rise Rossella. - Quello serve per farmi un abito da sera... Un bel panno nero è quel che ci vuole per una bambina. - E vedendo che le piccole sopracciglia si aggrottavano: - Per carità, Rhett; dille che non è adatto e che si insudicia subito! -

- Lasciala fare! - rispose Rhett. - Se si sporcherà, gliene faremo un altro. -

Così Diletta ebbe il vestito da amazzone di velluto azzurro, con la sottana che pendeva sul fianco del pony e un cappello nero con la piuma rossa, perché i racconti di zia Melly sulla piuma di Jeb Stuart avevano colpito la sua immaginazione. Nelle belle giornate si vedevano padre e figlia lungo la Via dell'Albero di Pesco; Rhett tratteneva il suo gran cavallo nero perché regolasse il suo passo su quello del pony. A volte galoppavano per le strade tranquille attorno alla città, spaventando galline cani e fanciulli; Diletta picchiava Mister Butler col suo scudiscio e Rhett frenava il suo cavallo con mano ferma, in modo da lasciar credere alla bimba che Mister Butler vincesse la corsa.

Quando fu ben sicuro della sua saldezza in sella e della fermezza delle sue manine nel tenere le redini, Rhett pensò di insegnarle a fare i piccoli salti consentiti dalle gambe corte di Mister Butler. A questo scopo costruì una barriera nel cortile posteriore della casa e pagò a un nipotino di zio Pietro venticinque centesimi al giorno perché insegnasse al pony a saltare. Cominciò con una barriera alta cinque centimetri dal suolo e la alzò gradatamente fino a trenta centimetri.

Questa combinazione incontrò la disapprovazione dei tre interessati: Wash (il piccolo negro), Diletta e Mister Butler. Wash aveva paura dei cavalli, e solo la somma principesca offertagli poteva indurlo a far passare il caparbio cavallino una dozzina di volte al giorno al disopra della sbarra; Mister Butler, il quale sopportava pazientemente che la sua padroncina gli tirasse la coda e che i suoi zoccoli fossero esaminati tutti i momenti, sentiva che il Creatore dei ponies non aveva avuto affatto l'intenzione che il suo grasso corpo passasse al disopra di quel pezzo di legno; e Diletta, che non poteva tollerare di vedere un altro sul suo pony, batteva i piedini impaziente mentre Mister Butler imparava la sua lezione.

Finalmente Rhett decise che il pony era abbastanza sicuro perché si potesse affidargli la bimba; e l'eccitazione di questa non ebbe confini. Fece il primo salto con entusiasmo; e dopo d'allora le cavalcate tranquille con suo padre non ebbero più fascino per lei. Rossella non poteva fare a meno di ridere per la fierezza e l'entusiasmo del padre e della figlia. Peraltro pensò che una volta passata la novità, Diletta avrebbe pensato ad altro e il vicinato avrebbe avuto un po' di pace. Ma il gioco continuava a divertire Diletta; e tutta la mattina il cortile risuonava di grida eccitate. Il nonno Merriwether, che aveva fatto la campagna del 1849, disse che gli sembravano le grida degli Apachi quando avevano tolto con successo la capigliatura a qualche nemico.

Dopo la prima settimana, Diletta chiese una barriera più alta: mezzo metro da terra.

- Quando avrai sei anni - rispose Rhett - allora sarai abbastanza grande da poter fare dei salti più alti, e io ti comprerò un cavallo più grande. Le gambe di Mister Butler non sono abbastanza lunghe. -

- Sì che lo sono! Ho saltato il cespuglio di rose di zia Melly; è altissimo! -

- No, devi aspettare. - E questa volta Rhett fu reciso. Ma la sua fermezza cominciò a poco a poco a indebolirsi davanti alle insistenze e ai capricci della bambina.

- Beh, va bene! - esclamò finalmente una mattina, con una risata, collocando la sbarra bianca un po' più in alto. - Ma se cadi, non piangere e non prendertela con me! -

- Mamma! - gridò Diletta volgendosi verso la camera da letto di Rossella - guardami! Il babbo ha detto che posso! -

Rossella che si stava pettinando, venne alla finestra e sorrise alla figuretta eccitata, così assurda nel suo abito azzurro tutto a macchie.

"Bisogna proprio farle un altro vestito" pensò. "Ma Dio sa come farò per farle lasciare quello sudicio!" -

- Guarda, mamma! -

- Sto guardando, tesoro.

Quando Rhett sollevò la bimba e la mise sul pony, Rossella osservò con orgoglio il portamento dritto e la testolina eretta.

- Sei veramente carina, gioia! -

- Anche tu! - rispose Diletta generosamente, e martellando col tacco le costole di Mister Butler, galoppò verso la barriera.

- Mamma, guarda come faccio questo salto! - gridò adoperando lo scudiscio.

"Guarda come faccio questo salto!"

La memoria andò a ricercare nel fondo della mente di Rossella. Vi era qualcosa di minaccioso in quelle parole. Che cosa? Perché non si ricordava? Guardò la sua figlioletta così leggera sul cavallino che galoppava e la sua fronte si increspò mentre un brivido la percorreva tutta. Diletta procedeva con impeto, i riccioli neri al vento, gli occhi azzurri splendenti.

"Somigliano agli occhi del babbo" pensò Rossella; "occhi irlandesi. E gli somiglia veramente in tutto!"

Al pensiero di Geraldo, il ricordo le tornò chiaro con la rapidità del lampo, illuminando per un istante un'intera zona di campagna di una luce innaturale. Udì una voce che cantava in irlandese, udì il veloce scalpitar di zoccoli che salivano l'altura di Tara, udì una voce simile a quella della sua bambina: - Elena! Guarda come faccio questo salto! -

- No! - urlò. - No, Diletta! Fermati! -

Mentre si curvava fuori della finestra, vi fu un pauroso scricchiolio, un grido rauco di Rhett, una confusione di velluto azzurro e di zoccoli agitati sul suolo. Quindi Mister Butler balzò in piedi e si allontanò al trotto con la sella vuota.

 

La terza sera dopo la morte di Diletta, Mammy salì lentamente i gradini che mettevano nella cucina della casa di Melania. Era vestita di nero: dalle grosse scarpe maschili, spaccate per dare agio ai suoi piedoni, al turbante che le copriva la testa. I suoi occhi cisposi erano arrossati e tutti i lineamenti del suo volto esprimevano la disperazione. Il suo sembrava il doloroso stupore di una vecchia scimmia; ma la sua mascella aveva un'espressione decisa.

Disse poche parole sottovoce a Dilcey, che annuì silenziosamente, come se nei loro antichi dissensi fosse avvenuto un armistizio inespresso. Dilcey posò i piatti della cena che aveva in mano e, attraversando la dispensa, entrò in sala da pranzo. Dopo un attimo Melania era in cucina, col tovagliolo in mano l'ansietà dipinta sul viso.

- Miss Rossella non è... -

- Miss Rossella sopportare coraggiosamente, come tutti noi - rispose Mammy penosamente. - Io non voler disturbare tua cena, miss Melly. Aspettare che tu avere finito per dirti qualche cosa. -

- La cena può aspettare. Dilcey, servi il resto. Mammy, vieni con me. -

Mammy barcollò seguendola attraverso il vestibolo, passando dinanzi alla sala da pranzo dove Ashley sedeva a capotavola, col piccolo Beau accanto e i due bimbi di Rossella di faccia, che facevano un grande strepito coi cucchiai. Le voci allegre di Wade ed Ella riempivano la stanza. Per loro era una specie di villeggiatura, lo stare tanto tempo in casa di zia Melly. Zia Melly era sempre tanto buona; ed ora lo era anche più del solito. La morte della sorellina li aveva afflitti assai poco. Diletta era caduta dal pony e Mamma aveva pianto molto; poi zia Melly li aveva condotti a casa sua a giocare con Beau e a mangiare quanti biscotti volevano.

Melania precedette Mammy nel piccolo studio pieno di libri e dopo aver chiuso la porta le accennò di sedere sul divano.

- Sarei venuta dopo cena - disse. - Ora che è arrivata la mamma del capitano Butler, immagino che il funerale si farà domani. -

- Funerale. Essere proprio questo - cominciò Mammy. - Miss Melly, noi essere molto preoccupati ed io essere venuta a chiedere tuo aiuto. Tutto andare molto male, tesoro, molto male. -

- Miss Rossella si sente poco bene? - interrogò Melania turbata.- L'ho appena vista dopo che Diletta...

Era in camera sua e il capitano Butler era uscito. -

A un tratto le lacrime inondarono il viso nero di Mammy. Melania le sedette accanto, le accarezzò il braccio e dopo un momento Mammy prese un lembo della sua gonna nera e si asciugò gli occhi.

- Tu doverci aiutare, miss Melly. Io avere fatto del mio meglio, ma non servire a nulla. -

- Miss Rossella... -

Mammy si irrigidì.

- Miss Melly, tu conoscere badroncina come io conoscere. Quando quella bambina dovere affrontare qualche cosa, il buon Dio dare a lei la forza occorrente. Questo dolore avere spezzato suo cuore, ma lei sopportarlo. Io essere venuta per mist' Rhett. -

- Avevo tanto desiderio di vederlo; ma ogni volta che sono venuta o era uscito oppure era chiuso in camera con... E Rossella sembrava uno spettro e non apriva bocca...Dimmi presto, Mammy. Se posso essere utile, sai che farò tutto il possibile. -

Mammy si pulì il naso col dorso della mano.

- Io dire che miss Rossella riuscire a sopportare perché Signore averle sempre dato forza; ma mist' Rhett... Miss Melly, lui non aver mai dovuto affrontare quello che non volere; e non potere. Perciò io essere venuta da te. -

- Ma... -

- Miss Melly, tu dover venire a casa con me stasera. -

La voce di Mammy era ansiosa. - Forse mist' Rhett ti ascoltare. Lui avere tanta stima di te e di quello che tu dire. -

- Ma che c'è, Mammy? Che vuoi dire? -

- Miss Melly, mist' Rhett... essere impazzito. Non volerci lasciar portare via biccola badroncina. -

- Impazzito?! Oh no, Mammy! -

- Io dire verità. Non voler lasciare seppellire bambina. Avere detto questo a me un'ora fa. -

- Ma non può... Non è... -

- Perciò io dire che essere impazzito. -

- Ma come... -

- Miss Melly, io dire a te tutto. Non poter dire a nessuno, ma tu essere di nostra famiglia ed essere sola persona che io poter parlare. Tu sapere come lui essere attaccato a quella bambina. Io avere mai visto un uomo, bianco o negro, così affezionato a una bambina. Sembrare pazzo quando dottor Meade avere detto che essersi rotta spina dorsale. Afferrare sua rivoltella e andare dritto ad uccidere pony e, Dio ci salvi, io temere che uccidersi anche lui. Io dover badare a miss Rossella svenuta e tutti vicini nel cortile e mist' Rhett portare su bambina e non permettermi nemmeno di lavare visino insanguinato. E quando miss Rossella entrare io pensare: "Dio benedetto! Ora loro confortare uno con l'altro". -

Le lacrime ricominciarono a cadere, ma questa volta Mammy non le asciugò.

- Ma quando lei entrare nella camera dove lui stare tenendo miss Diletta, lei dire: "Dare a me mia bambina che tu avere uccisa". -

- Oh no! Come ha potuto, Mammy...! -

- Sì; questo avere detto. Avere detto: "Tu avere uccisa". E io avere avuto tanta pena di mist' Rhett, e io cominciare a piangere, perché lui sembrare cane battuto. E io dire: "Dare bambina a sua Mammy. Io non volere che fare queste discussioni su mia piccola badroncina". E prendere bambina da braccia di lui e portare in camera e lavare visino. E sentire loro parlare e quello che dire fare venire brividi. Miss Rossella averlo chiamato assassino per avere permesso che lei fare salto così alto e lui dire che a miss Rossella non essere mai importato niente di miss Diletta né di altri bambini... -

- Basta, Mammy! Non dirmi altro. Non è giusto che tu mi dica questo! - gridò Melania inorridendo al quadro evocato dalle parole della negra.

- Io sapere che non essere giusto che dire a te; ma mio cuore essere troppo pieno per poter tacere. Allora lui essere venuto e avere ripreso bambina e messa nel suo letto. E quando miss Rossella aver detto che bisogna mettere in salotto nella bara, io credere che mist' Rhett volerla battere. E dire freddo: "Dovere stare in camera mia". E poi voltarsi a me e dire: "Tu, Mammy, badare che rimanere qui finché io tornare". E uscire di casa a cavallo e tornare al tramonto. Quando rientrare, io vedere che aver bevuto, bevuto molto, ma reggere bene come sempre. Entrare in casa e non parlare con miss Rossella né con miss Pitty e nessuna delle signore che essere venute a far visita; ma salire scale in furia, spalancare porta di camera sua e gridare chiamandomi. Io arrivare più presto che potere e lui essere vicino al letto e camera buia con imposte chiuse, e io stentare a vedere. E dire a me, con impeto: "Aprire quelle imposte". Io spalancare e lui guardarmi; e io sentirmi tremare ginocchia perché lui sembrare così strano. E dire: "Porta lumi. Molti lumi. E accendili. Io non volere imposte chiuse e oscurità. Non sai che miss Diletta avere paura del buio?" -

Gli occhi inorriditi di Melania incontrarono quelli di Mammy, la quale annuì tristemente.

- Questo avere detto. "Miss Diletta avere paura del buio."

Mammy rabbrividì.

- Io portare una dozzina di candele e lui dire: "Bene!" E poi chiudere porta e stare con piccola miss, e non aprire a miss Rossella neanche quando lei picchiare e picchiare disperatamente. E così essere stato per due giorni. Non voler dire niente del funerale; e la mattina uscire, chiudere porta a chiave e andar via a cavallo. Tornare al tramonto, ubriaco, e chiudere un'altra volta dentro e non avere mangiato né dormito. Ora essere arrivata sua madre, vecchia miss Butler, da Charleston, per funerale, ed essere arrivati mist' Will e miss Susele, ma mist' Rhett non voler parlare con nessuno. Oh miss Melly, essere terribile! E andare sempre peggio e tutti fare chiacchiere e dire cose scandalose. E stasera - Mammy fece un'altra pausa e si pulì il naso con la mano - ... miss Rossella averlo incontrato sul pianerottolo quando lui essere tornato a casa ed essere andata in camera con lui e avergli detto: "Funerale essere per domani mattina". E lui dire: "Se tu fare questo io domani mattina ti ammazzo". -

- Oh, ma deve essere davvero impazzito! -

- Sì. E poi avere ancora parlato piano e io non avere capito cosa dire, soltanto che lui ripetere che miss Diletta avere paura del buio e che nella tomba essere terribilmente buio. E dopo poco miss Rossella dire: "Tu parlare bene in questo modo, dopo che averla uccisa per compiacere tuo orgoglio" E lui rispondere: "Tu non avere pietà?" E lei: "No, e non poter sopportare tuo modo di fare dopo che Diletta essere morta. Tu dare scandalo a tutta la città. Essere sempre ubriaco e se credere che io non sapere dove passi tuo tempo, tu essere imbecille. Io sapere che tu essere sempre in casa di quella donnaccia di Bella Watling". -

- Oh, Mammy, no! -

- Sì, aver detto così. Ed essere proprio vero. Negri sapere tante cose più presto di bianchi, e io sapere che essere vero, ma non aver detto nulla. Lui non negare e dire: "Sì, essere andato proprio, lì, e tu non potere dir nulla. Un bordello essere un rifugio dopo questa casa infernale. E Bella avere uno dei cuori più buoni del mondo. Non rinfacciarmi che io avere ucciso mia bambina". -

- Oh! - gridò Melania colpita.

La sua vita era così tranquilla e così piena di bontà e di affetto che la narrazione di Mammy andava quasi al di là della sua comprensione. Pure le si presentò alla memoria un ricordo che cercò subito di allontanare come si cerca di non pensare a cose sconvenienti. Il giorno in cui Rhett aveva pianto col capo sulle sue ginocchia, aveva nominato Bella Watling. Ma egli amava Rossella; ne era sicura, e Rossella amava lui. Che c'era fra loro? Come potevano marito e moglie tormentarsi in quel modo?

Mammy riprese la sua storia:

- Dopo un poco miss Rossella essere uscita dalla stanza pallidissima, ma con aria risoluta, e avermi detto: "Funerale essere domani, Mammy". Ed essere passata davanti a me come un fantasma. E mio cuore avere cominciato a battere perché quando miss Rossella dire una cosa, essere sicura. E anche quando mist' Rhett dire una cosa, essere sicura. E lui dire che ucciderla se lei fare questo. Allora io farmi coraggio e dire: "Meglio che lui uccidere me". Andare da lui e dire: "Mist' Rhett, che cosa decidere per funerale?" Allora lui diventare furibondo e dire: "Dio benedetto, io credere che almeno tu capire! Credere che io lasciar mettere mia bambina nel buio, quando sapere che lei avere tanta paura? Mi pare ancora sentirla urlare quando svegliarsi e trovarsi nell'oscurità. Io non volere che lei avere paura". E allora miss Melly, io capire che lui non avere più testa a posto. Lui non fare altro che bere, mentre avere bisogno di dormire e di mangiare. E io aver paura che lui impazzire completamente. Avermi cacciata via ed io essere scesa e avere pensato quello che lui e miss Rossella aver detto di funerale. E tutti parenti e vicini chiacchierare come tante galline: e io pensare a te, miss Melly. Tu venire ad aiutarci. -

- Ma che potrei fare, Mammy? -

- Io non sapere, ma tu potere fare qualche cosa. Tu parlare con mist' Rhett e forse lui ascoltare. Lui avere tanto rispetto per te, miss Melly. Forse tu non sapere; ma io aver sentito lui dire che tu essere sola gran signora che lui conoscere. -

- Ma... -

Melania balzò in piedi confusa, tormentata dal pensiero di dover affrontare Rhett. L'idea di dover ragionare con un uomo impazzito dal dolore come quello che le aveva descritto Mammy, la faceva rabbrividire; e si sentiva spezzare il cuore pensando di dover entrare nella camera splendente di luce ove giaceva la bimba a cui aveva voluto tanto bene. Che potrebbe fare? Che direbbe a Rhett per ricondurlo alla ragione? Per un attimo rimase irresoluta; attraverso la porta chiusa le giunse la risata del suo bimbo. Provò come una pugnalata al cuore pensando di vederlo morto. Il suo piccolo Beau coricato sul suo lettino, freddo e immobile, col suo riso giocondo spento per sempre!

- Oh! - gridò spaventata: e dentro di sé se lo strinse al cuore. Comprese il sentimento di Rhett. Se Beau fosse morto, come potrebbe lasciarlo portar via, lasciarlo solo nel vento, nella pioggia, nell'oscurità?

- Oh, povero capitano Butler! Vado subito da lui. -

Tornò un attimo in sala da pranzo. Disse qualche parola ad Ashley e stupì il suo bimbo abbracciandolo stretto e baciandolo con passione sui riccioli biondi.

Uscì senza cappello, tenendo ancora stretto il tovagliolo, e camminando così in fretta che Mammy stentò a seguirla. Giunta nel vestibolo di Rossella, fece un breve cenno di saluto alle persone raccolte nello studio, alla spaventata Pittypat, alla rigida signora Butler, a Will e a Susele. Salì rapidamente le scale seguita da Mammy ansimante. Per un attimo si fermò dinanzi alla porta chiusa di Rossella, ma Mammy sussurrò: - No, non fare questo. -

Di faccia alla porta di Rhett rimase un momento indecisa. Poi, irrigidendosi come un soldatino che affronta la battaglia, bussò piano e disse con la sua dolce voce:

- Fatemi entrare, per favore, capitano Butler. Sono la signora Wilkes. Desidero vedere Diletta. -

La porta si aperse subito e Mammy, indietreggiando nell'ombra del pianerottolo, vide la grande e scura figura di Rhett contro la luce gialla delle candele. Vacillava ed emanava un forte odore di whisky. Guardò per un attimo Melly, poi, prendendola per un braccio, la trasse in camera e chiuse l'uscio.

Mammy si lasciò piombare su una sedia accanto alla porta. E rimase lì pregando e piangendo silenziosamente. Ogni tanto sollevava un lembo della gonna per asciugarsi gli occhi. Per quanto tendesse l'orecchio, dalla camera non le giungeva alcuna parola distinta, ma solo un mormorio interrotto.

Dopo un'attesa interminabile la porta si riaperse; apparve il volto di Melly pallido e sconvolto.

- Portami del caffè, presto, e dei sandwiches. -

In caso di bisogno Mammy sapeva ancora essere svelta, e la sua curiosità di poter dare un'occhiata alla stanza di Rhett la rese anche più sollecita. Ma la sua speranza fu delusa, perché Melly aperse soltanto uno spiraglio per prendere il vassoio. Per un pezzo Mammy tese ancora l'orecchio, ma udì soltanto l'acciottolio delle stoviglie e dell'argenteria e la voce sommessa di Melania. Poi udì scricchiolare il letto come se un corpo pesante vi fosse caduto sopra, e subito dopo il rumore di scarpe che cadevano a terra. Dopo un intervallo Melania riapparve sulla soglia, ma Mammy non riuscì a gettare un'occhiata nella stanza. Melly sembrava stanca e le sue ciglia erano bagnate di lacrime, ma il suo volto era sereno.

- Vai a dire a miss Rossella che il capitano Butler è d'accordo che il funerale abbia luogo domattina - sussurrò.

- Dio benedetto! - esclamò Mammy. - Come diamine... -

- Non parlare tanto forte. Si sta addormentando. Dirai anche a miss Rossella che io rimango qui stanotte; e portami del caffè. Portamelo qui. -

- In questa camera? -

- Sì; ho promesso al capitano Butler che se va a dormire io rimarrò qui tutta la notte a vegliare. Vai ad avvertire miss Rossella perché non sia più preoccupata. -

Mammy si avviò facendo tremare il pavimento sotto il suo peso; nell'interno del suo cuore, cantava: "Alleluja, Alleluja!" Si fermò a riflettere dinanzi all'uscio di Rossella, con lo spirito pieno di gratitudine e di curiosità.

"Chi sa come avere fatto miss Melly. Certo Angeli avere combattuto con lei. Io dire a miss Rossella che funerale essere domani, ma credo meglio non dire che miss Melly vegliare piccola badroncina. Forse a miss Rossella non fare piacere.

60

Nel mondo c'era qualche cosa d'ingiusto; un'ingiustizia cupa e spaventosa che avvolgeva tutto come una nebbia scura, impenetrabile e si insinuava furtivamente attorno a Rossella. Non era soltanto la morte di Diletta che le dava questa sensazione, ora che la prima insopportabile angoscia andava a poco a poco lasciando il posto alla rassegnazione. Ma il senso misterioso di fatalità che persisteva come se ella avesse avuto alle spalle uno spettro incappucciato di nero, come se ad ogni passo i suoi piedi stessero per affondare nella sabbia mobile.

Non aveva mai, prima d'allora, conosciuto questa specie di paura. I suoi piedi erano sempre stati saldamente piantati a terra, e le sole cose di cui aveva avuto paura, erano cose che poteva vedere: malattia, fame, povertà, perdita dell'amore di Ashley. Negata all'analisi, cercava ora di analizzare, e non riusciva. Aveva perduto il più caro dei suoi figli, ma poteva sopportare questo come aveva sopportato altre perdite crudeli. Era in buona salute, aveva denaro in abbondanza, ed aveva ancora Ashley, benché lo vedesse sempre meno. Anche l'imbarazzo che era sempre stato tra loro dal giorno del disgraziato ricevimento di Melania, non la turbava più, perché sapeva che finirebbe col dileguarsi. No, il suo timore era tutto diverso: somigliava stranamente a quello del suo vecchio incubo, quando si trovava a correre nella nebbia densa col cuore che le scoppiava, cercando un rifugio introvabile.

Ricordò che Rhett l'aveva sempre presa in giro per i suoi terrori. Ricordò il conforto che le davano il suo largo petto bruno e le sue forti braccia. E si volse verso di lui con occhi che lo videro veramente per la prima volta da parecchie settimane. Constatò un mutamento che la colpì. Quell'uomo non avrebbe potuto ridere né avrebbe potuto darle conforto.

Per un certo tempo, dopo la morte della bambina, la collera che provava verso suo marito e la preoccupazione del proprio dolore, le avevano consentito soltanto di parlargli cortesemente dinanzi alla servitù. Ricordava continuamente i rapidi passettini di Diletta e la sua risata squillante; e non pensava che egli pure ricordava, e con un dolore maggiore del suo. Durante quelle settimane si erano incontrati e avevano parlato gentilmente, come estranei che si incontrano fra le pareti di un albergo e dividono lo stesso tetto e la stessa tavola, ma non hanno gli stessi pensieri.

Sentendosi sgomenta e abbandonata, ella avrebbe voluto, se le fosse stato possibile, spezzare quella barriera; ma trovò che egli conservava la distanza, come se non avesse voluto scambiare con lei altre parole che non fossero quelle superficiali. Ora che la sua collera andava diminuendo, ella desiderava dirgli che lo riteneva innocente della morte della bimba. Provava il bisogno di piangere fra le sue braccia e di affermargli che anche lei era stata orgogliosa dell'abilità di amazzone della figliola, anche lei era stata indulgente alle sue insistenze. Avrebbe voluto umiliarsi, e riconoscere che gli aveva lanciata quell'accusa dal fondo della propria disperazione, nella speranza di alleviare il proprio dolore. Ma non trovava mai il momento opportuno. Egli la guardava con occhio così indifferente che non le dava la possibilità di parlare. E le scuse rimandate diventano sempre più difficili e finalmente impossibili.

Egli era raramente in casa. Le poche volte che cenavano insieme, Rhett era generalmente ubriaco. La sua ubriachezza non era più quella di una volta, che lo rendeva gentile, ma mordente, e gli faceva dire cose divertenti e maliziose, che la costringevano a ridere suo malgrado. Ora era un'ubriachezza cupa e silenziosa. A volte lo sentiva rientrare a cavallo all'alba nel cortile posteriore, e battere alla porta dell'abitazione dei servi, affinché Pork lo aiutasse a salire le scale e lo mettesse a letto. Metterlo a letto! Rhett che aveva sempre fatto ubriacare gli altri senza scomporsi e poi li aveva aiutati a coricarsi!

Mentre una volta era sempre impeccabile, adesso era spesso sciatto e in disordine; ci voleva tutta l'energia scandalizzata di Pork per fargli cambiare la camicia prima di andare a cena. Aveva fatto gli occhi infiammati del bevitore di whisky e la linea della sua mascella si andava deformando per il grasso malsano che la invadeva. Il suo corpo agile e muscoloso cominciava a diventare molle e rilassato. Spesso non tornava affatto a casa, o mandava un biglietto per avvertire che avrebbe passato la notte fuori. Certamente rimaneva a smaltire la sbornia in qualche camera sopra uno spaccio di bevande alcooliche; ma Rossella immaginava sempre che egli fosse in casa di Bella Watling. Una volta le era capitato di vedere Bella in una bottega; una donna grossolana e appassita, che aveva perduto gran parte della sua bellezza; ma malgrado il belletto e l'abito appariscente il suo aspetto era gentile e l'espressione quasi materna. Invece di abbassare gli occhi o di guardarla con aria di sfida come facevano le altre donne allegre quando si trovavano dinanzi alle signore, Bella aveva ricambiato il suo sguardo, fissandola con un'espressione quasi compassionevole che aveva fatto salire le fiamme al volto di Rossella.

Ma ora non poteva accusarlo; non poteva adirarsi, chiedergli fedeltà né svergognarlo, come non poteva scusarsi di averlo incolpato della morte di Diletta. Si sentiva oppressa da un'apatia stupefatta, da un'infelicità che non riusciva a comprendere, un'infelicità più profonda di qualunque cosa ella avesse mai conosciuto. Era abbandonata come non era mai stata. E aveva paura di non potersi più rivolgere a nessuno, eccettuato a Melania. Perfino Mammy, il suo principale appoggio, era tornata a Tara, tornata per rimanervi.

Non aveva dato spiegazioni della sua partenza. I suoi occhi stanchi avevano guardato con tristezza Rossella, quando le aveva chiesto i danari per il biglietto ferroviario. Alle lacrime, alle suppliche di Rossella che le chiedeva di rimanere, Mammy aveva solo risposto: "Mi pare di sentire miss Elena che dire: 'Mammy, vieni a casa; tuo compito essere finito'. Così io andare a casa". -

Rhett che aveva udito il discorso, le diede il denaro e le accarezzò un braccio. - Hai ragione, Mammy, miss Elena ha ragione. Il tuo compito qui è finito. Vai a casa. Se hai bisogno di qualche cosa fammelo sapere. - E poiché Rossella prorompeva in nuove insistenze:

- Taci, sciocca! Lasciala andare! Come vuoi che qualcuno rimanga volentieri in questa casa... adesso?-

Nei suoi occhi era una luce così strana e così viva, che Rossella indietreggiò sgomenta.

- Dottor Meade, credete che possa... che abbia perso il cervello? interrogò più tardi, trascinata a consultare il dottore dalla propria inquietudine.

- No, - disse il medico; - ma beve come un otre e se non la smette si ammazzerà. Voleva molto bene alla bimba, Rossella; e scommetto che beve per dimenticarla. Quello che vi consiglio è di dargli un altro bambino più presto che potrete. -

- Ah! - esclamò Rossella amaramente, nell'uscire dallo studio.

Era più facile a dirsi che a farsi. Sarebbe ben contenta di avere un altro bambino, molti altri bambini, se in tal modo avesse potuto togliere quell'espressione dagli occhi di Rhett e riempire gli spazi dolorosi del proprio cuore. Un bimbo che avesse la bruna bellezza di Rhett, e un'altra piccina. Sì, un'altra piccina, bella, gaia, vivace, piena di risa, non come quella scioccona di Ella! Perché Dio non aveva preso Ella, se doveva toglierle uno dei suoi figli? Ella non le dava alcun conforto ora che Diletta era scomparsa. Ma sembrava che Rhett non desiderasse un'altra creatura. Almeno, non veniva mai nella sua camera, quantunque la porta non fosse mai chiusa, ma anzi socchiusa in maniera invitante. Pareva che non vi tenesse. Che non tenesse a nulla, se non al whisky e a quella donna sciupata coi capelli rossi.

Era diventato amaro, mentre prima era piacevolmente beffardo; brutale, mentre le sue frecciate erano una volta temperate dalla celia. Dopo la morte di Diletta, molte signore del vicinato che erano state attratte dalle maniere graziose che aveva con la sua piccina, desiderarono mostrargli la loro simpatia. Lo fermavano per istrada per dirgli delle parole gentili o gli rivolgevano un saluto dai loro porticati o dai cortili. Ma ora che Diletta era scomparsa, anche le sue buone maniere scomparvero. Egli rispondeva brevemente e con asprezza ai saluti e alle condoglianze più affettuose.

Ma, cosa strana, le signore non si offesero. Comprendevano o credevano di comprendere. Quando lo vedevano passare al tramonto, tanto ubriaco che a stento si reggeva in sella, scansando quelli che volevano salutarlo, dicevano: - Povero diavolo! - e raddoppiavano i loro sforzi per essere buone e gentili. Provavano molta pena per lui che nel suo crepacuore non trovava a casa altro conforto che Rossella. Tutti sapevano quanto ella fosse fredda e senza cuore; ed erano inorriditi dell'apparente facilità con cui si era rimessa dal colpo provato per la morte della figliuola, non accorgendosi o non volendosi accorgere dello sforzo che si nascondeva dietro a quella tranquillità

Rhett aveva tutte le simpatie della città; cosa di cui non gli importava nulla. Rossella aveva le antipatie generali e, per una volta, avrebbe accolto ben volentieri la cordialità dei vecchi amici. Invece nessuno andava da lei, eccetto zia Pitty, Melania e Ashley. Solo i nuovi amici vennero, nelle loro magnifiche carrozze, ansiosi di mostrarle la loro solidarietà, di distrarla con pettegolezzi sul conto di altri amici di cui non le importava nulla. Tutti quei "nuovi venuti", tutti quegli estranei! Non la conoscevano. Non la conoscerebbero mai. Non sapevano che cos'era stata la sua vita prima di raggiungere quella salda posizione nella bella casa di Via dell'Albero di Pesco. Ed essi non le parlavano di quella che era stata la loro vita prima di avere i ricchi broccati e gli eleganti equipaggi. Ignoravano le sue lotte, le sue privazioni, tutto ciò che dava valore oggi alla grande casa, ai vestiti lussuosi, all'argenteria, ai ricevimenti. Non sapevano. Gente venuta chi sa da dove, che viveva alla superficie delle cose, che non aveva in comune con lei ricordi di guerra, di fame, di lotte, che non aveva radici che sprofondavano nella stessa terra rossa.

Nella sua solitudine, le sarebbe piaciuto passare i pomeriggi con Maribella o con Fanny, con la signora Elsing o la signora Whiting e perfino con la temibile e bellicosa signora Merriwether. O con la signora Bonnell o... con qualsiasi delle vecchie amiche e vicine. Perché esse sapevano. Avevano conosciuto la guerra, il terrore, l'incendio, avevano visto morire persone care prima del tempo; erano state affamate e stracciate, avevano vissuto col lupo dietro alla porta. E avevano ricostruito la loro fortuna dalle rovine.

Sarebbe un conforto sedere con Maribella, ricordando che anche questa aveva perduto un bimbo, morto nella pazza fuga dinanzi all'esercito di Sherman. Sarebbe un sollievo la presenza di Fanny, poiché entrambe avevano perduto il marito nei tremendi giorni della legge marziale. Sarebbe una triste gioia ridere con la signora Elsing, ricordando il viso della vecchia signora mentre spingeva a pazza corsa il suo cavallo il giorno in cui Atlanta era caduta, mentre il bottino di viveri presi al commissariato veniva disseminato per istrada. E sarebbe piacevole discorrere con la signora Merriwether, ormai sicura per la produzione della sua panetteria; piacevole dire: - Vi ricordate come andavano male le cose subito dopo la resa? Vi ricordate quando non sapevamo come avremmo fatto per procurarci un paio di scarpe? E guardate adesso come stiamo! -

Sì, sarebbe piacevole. Ora comprendeva perché, quando due ex confederati si incontravano, parlavano della guerra con sollievo, con orgoglio, con nostalgia. Erano stati giorni che avevano messo alla prova i loro cuori; ma essi li avevano superati. Erano veterani. Anche lei era una veterana, ma non aveva camerati coi quali rievocare le vecchie battaglie. Oh, essere nuovamente con la propria gente, con la gente che era passata attraverso le stesse vicende e di cui conosceva i patimenti... eppure sapeva quanta parte di se stesso ciascuno vi aveva lasciato!

Ma tutti costoro, non sapeva come, si erano allontanati. Capiva che era colpa sua. Non se ne era mai curata finora... ora che Diletta era morta ed essa era sola e spaurita; e vedeva dall'altra parte della sua lucente tavola da pranzo un estraneo bruno e ubriaco che dileguava dinanzi ai suoi occhi.

61

Rossella si trovava a Marietta quando le giunse un telegramma urgente di Rhett. Vi era un treno in partenza per Atlanta dopo dieci minuti ed ella riuscì a prenderlo, senza altro bagaglio che la borsetta, e lasciando Wade ed Ella all'albergo con Prissy.

Atlanta era lontana solo venti miglia, ma il treno procedeva con una lentezza esasperante nel pomeriggio autunnale, fermandosi ad ogni incrocio per accogliere altri viaggiatori. Spaventata dal messaggio di Rhett, folle di desiderio di velocità, Rossella aveva l'impulso di urlare ad ogni fermata. Il treno attraversava foreste debolmente dorate, colline rossicce ancora solcate da opere di fortificazione, luoghi dov'erano state batterie e crateri pieni di erbacce, lungo la strada per la quale gli uomini di Johnston si erano ritirati disputando ogni passo del loro cammino. Ogni stazione, ogni crocevia di cui il conduttore gridava il nome, era il luogo di una battaglia, di una scaramuccia. Una volta avrebbero ridestato nella memoria di Rossella ricordi spaventosi; ma ora non vi badava neppure.

Il messaggio di Rhett diceva:

"Signora Wilkes ammalata. Torna immediatamente".

Il treno giunse ad Atlanta al tramonto; una pioggerella fine che sembrava nebbia disciolta oscurava la città. I lampioni a gas delle strade apparivano come dischi gialli e opachi nella bruma. Rhett l'attendeva con la carrozza. Il suo viso la spaventò anche più del telegramma. Non lo aveva mai visto così inespressivo.

- Oh Dio, non è... - gridò.

- No, è ancora viva - Rhett l'aiutò a salire. - A casa della signora Wilkes, a gran velocità - ordinò al cocchiere.

- Ma che ha? Non sapevo che fosse ammalata. Sembrava che stesse benissimo la settimana scorsa.

E' successo qualche cosa? Dio mio, non sarà tanto grave come mi hai... -

- Sta morendo - rispose Rhett; e la sua voce era priva d'espressione come il suo viso. - Desidera vederti -

- No, è impossibile! Che le è successo? -

- Un aborto. -

- Un ab...Ma Rhett... - Non riuscì a continuare. L'informazione, con tutto l'orrore che comportava, le toglieva il respiro.

- Non sapevi che fosse incinta? -

Non fu neanche capace di crollare la testa.

- Ah be'. Forse no. Credo che non lo avesse detto a nessuno. Voleva che fosse una sorpresa. Ma io lo sapevo. -

- Lo sapevi? Come mai? -

- Lo sapevo. Senza che nessuno mi avesse detto nulla. Ma era troppo felice da un paio di mesi; quindi avevo capito che la sua gioia non poteva avere altro motivo. -

- Ma il dottore aveva detto che un altro bambino significava la morte per lei! -

- Infatti è stato così. - Quindi si volse al cocchiere: - Ma non potete andare più presto? -

- Non può essere che muoia, Rhett! lo... non sono morta e... -

- Non è forte come te. Non è mai stata forte. Non ha mai avuto altro che un gran cuore. -

La carrozza si fermò e Rhett aiutò Rossella a scendere. Tremante, atterrita, ella si afferrò al suo braccio con un subitaneo senso di abbandono.

- Entri anche tu, Rhett? -

- No. - E risalì in carrozza.

Ella salì in fretta i gradini, attraversò il porticato, spalancò la porta. Nella luce giallastra della lampada erano Ashley, zia Pitty e Lydia. Rossella pensò: "Che fa qui, Lydia? Melania le aveva proibito di rimettere piede in casa". I tre si alzarono vedendola; zia Pitty si morse le labbra per impedire che tremassero; Lydia la fissò addolorata e senza odio. Ashley sembrava inebetito come un sonnambulo e avvicinandosi a lei mettendole una mano sul braccio, parlò anche come un sonnambulo.

- Ha chiesto di voi - disse.

- Posso vederla adesso? - Si volse verso l'uscio chiuso della stanza di Melania.

- No. C'è il dottore. Sono contento che siate venuta, Rossella. -

- Sono venuta il più presto possibile. - Si tolse il cappello e il mantello. - Il treno... Ma è proprio...? Ditemi, Ashley: sta meglio, non è vero? Parlate! Non mi guardate così? E' proprio... -

- Ha chiesto di voi - ripeté Ashley e la fissò. Nei suoi occhi ella lesse la risposta alla sua domanda.

Per un attimo il suo cuore cessò di battere; quindi uno spavento più forte dell'angoscia, più forte del dolore, lo rianimò. "Non può essere vero" pensò con impeto, cercando di scacciare il pensiero atroce. "I dottori sbagliano. Non voglio crederlo. Non posso. Se lo credo mi metto a urlare. Devo pensare a un'altra cosa." -

- Non lo credo! - gridò con veemenza guardando i tre visi che avevano i tratti tirati, come per sfidarli a contraddirla. - E perché Melania non me l'ha detto? Non sarei andata a Marietta se lo avessi saputo! -

Gli occhi di Ashley si svegliarono e furono pieni di tormento.

- Non lo aveva voluto dire a nessuno, Rossella, e specialmente a voi. Temeva che se lo aveste saputo l'avreste sgridata. Voleva aspettare tre mesi... per essere sicura e certa che tutto andava bene; e allora ridere e dire a tutti quanti che i dottori avevano avuto torto. Ed era tanto felice. Sapete come è sempre stata amante dei bambini... e come desiderava una bimba. E tutto è andato bene fino... Senza nessuna ragione... -

La porta della stanza di Melania si aperse e il dottor Meade ne uscì, richiudendo l'uscio. Rimase per un attimo con la barba grigia piegata sul petto; quindi guardò i quattro allibiti. Il suo sguardo cadde per ultimo su Rossella. Le si avvicinò ed ella vide che nei suoi occhi, oltre al dolore, era antipatia e disprezzo che le riempirono il cuore di rimorso.

- Finalmente siete venuta - disse il dottore.

Prima che ella rispondesse, Ashley si era avviato verso l'uscio chiuso.

- Voi no, adesso - disse il dottore. - Vuole parlare con Rossella.

- Dottore - fece Lydia mettendogli una mano sulla manica. Benché la sua voce fosse senza tono, era più supplichevole che se avesse gridato. - Lasciatemela vedere un momento. Sono qui da stamattina aspettando, ma lei... Lasciatemela vedere un momento. Voglio dirle... debbo dirle... che ho avuto torto... per una certa cosa. -

Non guardò Ashley né Rossella; ma il dottor Meade lasciò cadere su quest'ultima un'occhiata glaciale.

- Vedrò, miss Lydia - disse brevemente. - Ma solo se mi date la vostra parola di non affaticarla dicendole questo. Ella sa che avevate torto; e le vostre scuse non potranno che turbarla. -

Pitty cominciò timidamente: - Vi prego, dottore... -

- Miss Pitty, sapete benissimo che non fareste altro che gridare e svenire. -

Pitty si raddrizzò e ricambiò al dottore la sua occhiata. Aveva gli occhi asciutti e in ogni sua linea era una fiera dignità.

- Bene, cara, vedremo più tardi - disse il dottore rabbonito. - Venite, Rossella. -

Attraversarono il vestibolo in punta di piedi; dinanzi alla porta il dottore posò duramente una mano sulla spalla di Rossella.

- Sentite, miss - sussurrò brevemente: - niente isterismi e niente confessioni al letto di morte da parte vostra; o, giuraddio, vi torco il collo! E' inutile che mi guardiate con quell'aria innocente. Sapete quello che voglio dire. Miss Melly deve morire tranquilla; e voi non dovete alleggerire la vostra coscienza dicendole qualche cosa di Ashley. Non ho mai fatto male a una donna; ma se dite qualche cosa... ve la farò pagare. -

Aperse l'uscio prima che ella potesse rispondere, la spinse nella stanza e richiuse. La stanza, modestamente arredata con mobili di noce, era nella semioscurità; un giornale era stato messo dinanzi alla lampada come schermo. Sembrava la camera di una scolaretta, col suo lettino stretto a spalliera bassa, le tendine abbassate, i tappeti chiari; così diversa dalla sontuosità della camera da letto di Rossella coi suoi mobili intagliati, le tende di broccato rosso, i tappeti di velluto.

Melania era a letto: sotto le coperte la sua figura era minuta e sottile come quella di una bimba. Due trecce nere le ricadevano ai lati del volto; sotto agli occhi chiusi si disegnavano due profondi cerchi violacei. Vedendola, Rossella rimase come radicata a terra, appoggiata allo stipite. Malgrado la semioscurità, vedeva che il volto di Melania aveva un color di cera giallognola, come se non avesse più sangue; e il naso era stranamente assottigliato. Fino a quel momento Rossella aveva sperato che il dottor Meade fosse in errore. Ma ora sapeva. Aveva visto in ospedale troppi visi che avevano quell'espressione; e sapeva che cosa presagiva.

Melania era moribonda; ma per un momento il cervello di Rossella rifiutò di arrendersi. Non poteva morire. Era impossibile che morisse. Dio non lo permetterebbe perché lei, Rossella, ne aveva troppo bisogno. Non se ne era mai resa conto prima. Ma ora la verità sorgeva dai più ascosi recessi della sua anima. Ella aveva sempre fatto assegnamento su Melania come su se stessa, senza saperlo. Ora Melania moriva e Rossella sapeva che non avrebbe potuto fare a meno di lei che era stata la sua spada e la sua difesa, la sua forza e il suo conforto. Attraversò la stanza in punta di piedi, col cuore stretto dal panico.

"Non posso lasciarla morire!" pensò; e piombò accanto al letto in un gran fruscio di vesti. Afferrò la manina che giaceva sulla coperta e fu nuovamente atterrita sentendola così fredda.

- Sono io, Melly disse.

Gli occhi di Melania si apersero un poco; poi, come se fosse stata soddisfatta nel vedere che era veramente Rossella, si richiusero. Dopo una pausa la moribonda trasse un respiro e mormorò: - Mi prometti? -

- Oh, tutto quello che vuoi! -

- Beau... ti occuperai di lui? -

Rossella poté soltanto annuire, sentendosi soffocare, e strinse lievemente la mano che era nella sua, per assentire.

- Te lo do. - Vi fu un debole tentativo di sorriso. - Te lo diedi già una volta, prima... ricordi?

Se si ricordava? Come poteva dimenticare quel periodo? Risentì precisamente come se fosse allora il calore soffocante del pomeriggio di settembre; ricordò la paura degli yankees, udì lo scalpiccio delle truppe in ritirata, riudì la voce di Melania che la pregava di tenere con sé il bambino se lei fosse morta... ricordò anche che quel giorno aveva odiato Melania e sperato che morisse.

"L'ho uccisa io" pensò con angoscia superstiziosa. "Ho desiderato così spesso la sua morte; e Dio mi ha ascoltata e mi punisce." -

- Non parlare così, Melly! Sai che supererai anche questo... -

- No. Prometti. -

Rossella deglutì.

- Certo che prometto. Lo tratterò come se fosse mio figlio. -

- Collegio? - La voce di Melania era debolissima.

- Certo! Università, Harvard, Europa e tutto ciò che sarà necessario... un pony... lezioni di musica...

Oh Melly, ti supplico! Tenta di guarire! -

Il silenzio ricadde; sul volto di Melania apparvero i segni di una lotta per raccogliere la forza di parlare ancora.

- Ashley... - disse. - Tu e Ashley... - E la voce tacque nuovamente.

Il cuore di Rossella si fermò e le pesò come un masso di granito. Melania sapeva. Rossella lasciò cadere il capo sulla coperta e un singhiozzo che non volle uscire la strinse alla gola come una morsa di ferro. Melania sapeva. E Rossella non provava più vergogna, più nulla se non un selvaggio rimorso di avere per tanti anni offeso quella soave creatura. Melania aveva sempre saputo... eppure era rimasta sua amica. Oh, poter rivivere quegli anni! Non poserebbe mai più i suoi occhi su quelli di Ashley...

- O Dio - pregò rapidamente - ti supplico, falla vivere! Sarò buona con lei. Non parlerò più con Ashley finché vivo, se la fai guarire!

- Ashley... - riprese Melania debolmente; e le sue dita cercarono di toccare il capo chino di Rossella. Il pollice e l'indice riuscirono ad afferrare una ciocca di capelli, con la stessa forza che avrebbe avuto un bambino. Rossella comprese il desiderio della morente: che ella levasse il capo. Ma come incontrare lo sguardo di Melania e leggervi la conoscenza del suo tradimento?

- Ashley... - mormorò nuovamente Melania. Rossella sentì che sarebbe assai meno tremendo per lei guardare in faccia Iddio, nel giorno del Giudizio Universale, e leggere la sentenza nei suoi occhi. La sua anima si contorse, ma ella alzò il capo. Vide gli stessi occhi neri pieni di dolcezza, infossati e resi opachi dalla morte imminente; la stessa bocca affettuosa che tentava faticosamente di trarre il respiro. In essi non era alcun rimprovero, alcuna accusa... solo l'ansia di non avere abbastanza forza per parlare.

Per un attimo Rossella fu così stupita che non provò neanche sollievo.

Poi un fiotto di calda riconoscenza verso Dio la inondò; e per la prima volta dalla sua infanzia ella levò al Cielo una preghiera priva di egoismo.

"Ti ringrazio, Dio mio. So che non ne sono degna; ma Ti ringrazio perché non glielo hai fatto sapere."

- Che vuoi dire di Ashley, Melly? -

- Ti... occuperai di lui? -

- Certo. -

- Si raffredda... così facilmente. -

Vi fu una pausa.

- Occupati... dei suoi affari... capisci? -

- Capisco. Me ne occuperò. -

Fece un altro sforzo.

- Ashley non è... un uomo pratico. -

Solo la morte poteva far riconoscere questo a Melania.

- Occupati di lui, Rossella... ma... che non se ne accorga. -

- Sorveglierò lui e i suoi affari, senza che se ne accorga. Fingerò di dargli dei suggerimenti. -

Melania cercò di sorridere; i suoi occhi ebbero un'espressione di trionfo nell'incontrare quelli di Rossella. Il loro sguardo suggellò il contratto: la protezione di Ashley Wilkes contro un mondo troppo aspro per lui, passava da una donna a un'altra, e l'orgoglio maschile di Ashley non sarebbe mai stato umiliato dalla conoscenza di questo patto.

Dopo la promessa di Rossella i lineamenti di Melania si distesero e sul suo volto apparve un'espressione di pace.

- Sei così intelligente... e coraggiosa... e sei sempre stata così buona con me... -

A queste parole il singhiozzo liberò la gola di Rossella, la quale si chiuse la bocca con una mano. Aveva l'impulso di urlare come una bambina e di prorompere:

"Non sono stata buona con te! Ti ho fatto torto! Non ho mai fatto nulla per te, ma solo per Ashley!"

Si alzò in piedi bruscamente mordendosi un dito per riacquistare il dominio di sé. Le tornarono alla mente ancora una volta le parole di Rhett. "Ti vuol bene. Questa sarà la tua croce." La croce era adesso più pesante. Non bastava aver cercato in ogni modo di toglierle Ashley! Melania, che aveva avuto per tutta la vita una fiducia cieca in lei, le conservava lo stesso affetto e la stessa fiducia anche nella morte. No, non poteva parlare. Non poteva neanche dirle nuovamente: "Fai uno sforzo per vivere". Doveva lasciarla andare così, senza sforzi, senza pena, senza lacrime.

L'uscio si aperse piano; il dottor Meade apparve sulla soglia facendole un cenno imperioso. Rossella si curvò sul letto, ricacciando indietro le lacrime e prendendo una mano di Melania se la posò contro la guancia.

- Buona notte - le disse; e la sua voce fu più ferma di quanto credeva.

- Prometti... - e il sussurro fu ancor più lieve questa volta.

- Tutto, cara.

- Il capitano Butler... sii buona con lui. Ti... ti ama tanto. -

"Rhett?" pensò Rossella stupita; ma le parole rimasero senza significato per lei.

- Sì, cara - rispose automaticamente; e dopo aver baciato leggermente la mano, la posò di nuovo sul letto.

- Dite alle signore di venire subito - le mormorò il dottore mentre ella gli passava davanti.

Con gli occhi annebbiati, Rossella vide Lydia e Pitty seguire il dottore, tenendo con le due mani le gonne accostate ai fianchi per impedire che frusciassero. L'uscio si chiuse dietro a lei e la casa fu silenziosa. Ashley non si vedeva. Rossella appoggiò il capo alla parete, come una bimba cattiva posta in un angolo, e premette una mano sulla gola che le doleva.

Dietro quella porta Melania se ne stava andando e con lei se ne andava la forza che l'aveva inconsciamente sorretta per tanti anni. Perché, perché non aveva mai compreso quanto amasse Melania, quanto bisogno avesse di lei? Ma chi avrebbe mai pensato a quella piccola donna come a una torre di sostegno? Melania così timida dinanzi agli estranei, Melania che non osava dire ad alta voce la propria opinione, che temeva la disapprovazione delle vecchie signore, Melania che non aveva il coraggio di fare "sciò" a una gallina?! Eppure...

Il pensiero di Rossella tornò attraverso gli anni a quel caldo meriggio a Tara, quando una nuvoletta di fumo grigio si levava da un corpo vestito di azzurro e Melania era al sommo della scala con la sciabola di Carlo fra le mani. Ricordò di aver pensato in quel momento: "Che sciocca! Non ha neanche la forza di alzare una spada!" Ma sapeva che se fosse stato necessario, Melania avrebbe sceso quella scala di corsa e avrebbe ucciso lo yankee... o ne sarebbe stata uccisa.

Sì, Melania, con la spada in mano, era stata pronta a combattere per lei. Ed ora, guardandosi tristemente indietro, Rossella comprendeva che Melania era sempre stata al suo fianco con una spada in mano, discreta come un'ombra, amandola e lottando per lei con appassionata fedeltà, combattendo contro yankees, fuoco, povertà, opinione pubblica e perfino contro gli amati parenti.

Rossella sentì il proprio coraggio e la propria fiducia in se stessa abbandonarla, quando si rese conto che la spada che aveva fiammeggiato tra lei e il mondo era rinchiusa per sempre nella sua guaina.

"Melly è la sola amica che ho mai avuto" pensò tristemente "la sola donna, eccetto la mamma, che mi abbia mai voluto veramente bene. Anche lei è come la mamma. Tutti quelli che la conoscevano si afferravano alle sue gonne."

E ad un tratto ebbe l'impressione che dietro quell'uscio chiuso giacesse Elena che lasciava il mondo una seconda volta. Le parve di essere nuovamente a Tara, dinanzi al mondo, nella desolazione di sapere che non poteva fronteggiare la vita senza la terribile forza di chi era dolce, gentile, tenero di cuore.

 

Era nel vestibolo, irresoluta, spaventata; la fiamma che ardeva nel camino del salotto gettava ombre cupe sulle pareti attorno a lei. La casa era completamente silenziosa e quel silenzio macerava la sua anima come una pioggia sottile e ghiacciata. Ashley! Dove era Ashley?

Andò verso il salotto, cercandolo come un animale che ha freddo cerca il fuoco; ma non c'era. Doveva trovarlo. Ashley era forte, saggio e poteva confortarla. In lui era ancora una forza che avrebbe sorretto la sua debolezza, un coraggio che avrebbe placato i suoi terrori, sollevato il suo dolore.

Doveva essere in camera sua; e attraversando il vestibolo in punta di piedi, andò a picchiare leggermente all'uscio. Nessuno rispose, ed ella aperse la porta. Ashley era dinanzi al canterano, guardando un paio di guanti rammendati da Melania. Ne sollevò prima uno e lo osservò come se non lo avesse mai visto prima. Poi lo posò dolcemente, come se fosse di vetro, e prese l'altro.

- Ashley! - mormorò Rossella con voce tremante; ed egli si volse lentamente. L'espressione sonnacchiosa era scomparsa dai suoi occhi grigi che erano spalancati e senza maschera. Ella vide in quelle pupille un terrore uguale al suo, uno smarrimento maggiore della sua debolezza, uno stupore più profondo di quanto ella avesse mai provato. Il senso di spavento che l'aveva invasa divenne più angoscioso vedendo il volto di lui. Gli si avvicinò.

- Ho paura - disse. - Oh Ashley, tenetemi con voi. Ho tanta paura! -

Egli non si mosse ma rimase a fissarla stringendo il guanto convulsamente fra le mani. Rossella gli posò una mano sul braccio e sussurrò: -

- Che cos'è? I suoi occhi frugarono quelli di lei, cercando, cercando disperatamente qualche cosa che non trovarono.

Finalmente egli parlò con una voce che non era più la sua.

- Avevo bisogno di voi. Stavo per correre a cercarvi... correre come un bambino che ha bisogno di conforto... e trovo una bambina più spaventata e più sconfortata di me. -

- Voi no... voi non potete aver paura! Nulla vi ha mai spaventato. Ma io... Voi siete sempre stato così forte... -

- Ero forte perché lei era dietro di me. - La sua voce si spezzò, ed egli guardò il guanto e lo spianò con le dita. - E... tutta la mia forza se ne va con lei. -

Nella sua voce sommessa era una nota di così violenta disperazione che ella lasciò ricadere la mano che gli aveva posato sul braccio e indietreggiò. E nel pesante silenzio che cadde fra loro, Rossella sentì che per la prima volta in vita sua lo comprendeva realmente.

- Perché... - disse lentamente - voi la amate, non è vero? -

Egli parlò con sforzo. - E' il solo dei miei sogni che abbia vissuto e respirato e non sia svanito di fronte alla realtà.

"Sogni!" disse fra sé Rossella sentendo sorgere la vecchia irritazione. "Sempre sogni! Mai un po' di buon senso!"

Col cuore pesante e un po' amaro, riprese:

- Siete stato uno sciocco, Ashley.

Perché non avete visto che valeva un milione di volte più di me? -

- Vi prego, Rossella! Se sapeste che cosa ho sofferto da quando il dottore... -

- Quello che avete sofferto? E credete che io... Ma avreste dovuto sapere, già da tanti anni, che amavate lei e non me! Perché non ve ne siete accorto? Tutto sarebbe stato diverso... Avreste dovuto capirlo, invece di infastidirmi con tutte le vostre belle parole di onore e di sacrificio! Se me lo aveste detto allora, avrei... sarebbe stato un dolore mortale, ma lo avrei sopportato. Ma aspettate ad accorgervene adesso che Melly sta morendo! E' troppo tardi per qualunque cosa. Dovevate vedere chiaramente che l'amavate e che desideravate me soltanto come... come Rhett desidera quella Watling! - Egli trasalì a quelle parole, ma la fissò ancora implorando il silenzio. Il suo volto riconosceva la verità di ciò che ella diceva. Rimaneva silenzioso dinanzi a lei, con le spalle curve, stringendo il guanto come se fosse una mano; e nel silenzio che seguì, ella senti svanire la sua indignazione, e al suo posto sorgere una pietà mista di disprezzo. Sentì la coscienza pungerla. Stava percuotendo un uomo abbattuto e senza difesa... mentre aveva promesso a Melania di vegliare sopra di lui.

"E subito dopo la mia promessa, gli dico delle cose cattive e dolorose, che non vi è alcun bisogno di dire. Egli conosce la verità, ed è una verità che lo uccide" pensò desolata. "E un bambino, come me; e il pensiero di perderla lo terrorizza. Melly sapeva che sarebbe così... Melly lo conosceva molto meglio di me. Perciò mi ha detto di aver cura di lui e di Beau, nello stesso modo. Come potrà resistere Ashley? Io posso. Io ho resistito a tante cose. Ma egli non può... non resisterà a nulla senza di lei."

- Perdonatemi, caro - gli disse dolcemente. - So quello che soffrite. Ma ricordatevi che essa non sa nulla... non ha mai neanche sospettato... Dio è stato buono con noi. -

Egli le si avvicinò rapidamente e la circondò ciecamente con le braccia. Rossella si sollevò sulla punta dei piedi per giungere a posare la sua guancia calda contro quella di lui, e con una mano gli accarezzò lievemente i capelli.

- Non piangete, caro. Lei vuole che siate coraggioso. A momenti vi vorrà vedere, e dovete farvi forza.

Non dovete farle vedere che avete pianto: la turbereste. -

Egli la teneva così stretta da toglierle il respiro; la sua voce soffocata mormorava accanto al suo orecchio.

- Come farò? Non posso... non posso vivere senza di lei! "Neanch'io" pensò Rossella rabbrividendo alla visione dei lunghi anni futuri senza Melania. Ma si fece forza. Ashley contava su lei; e Melania pure.

Nella stessa maniera in cui una volta, a Tara, ubriaca di stanchezza, aveva pensato: "I fardelli sono fatti per le spalle abbastanza forti da sopportarli", ora si disse che le sue spalle erano forti e quelle di Ashley non lo erano. Si irrigidì per sorreggere il peso e con una calma che era ben lungi dal provare, baciò la guancia umida di lui, senza febbre né desiderio né passione; soltanto con fredda dolcezza. - In qualche modo riusciremo - disse.

Nel vestibolo un uscio si aperse con subitanea violenza e la voce del dottor Meade chiamò con impeto: - Ashley! Presto! -

"Dio mio! E finita!" pensò Rossella. "E Ashley non le ha dato l'ultimo addio! Ma forse..."

- Presto! - gridò spingendolo, perché egli rimasto attonito. Presto! -

Spalancò la porta e lo fece uscire. Galvanizzato dalle sue parole, egli corse attraverso il vestibolo, col guanto ancora stretto fra le mani. Rossella udì i suoi passi e poi il chiudersi di una porta.

- Dio mio! - mormorò nuovamente; e andando lentamente verso il letto vi si lasciò cadere e si nascose il volto fra le mani. Si sentì improvvisamente stanca, come non era mai stata in vita sua. Il rumore della porta che si era chiusa fece sì che lo sforzo che l'aveva sorretta fino allora si rilasciasse. Era fisicamente esaurita e sfatta dall'emozione. Non provava più né dolore né rimorso né sgomento né stupore. Solo stanchezza; e il suo spirito si agitava appena, languidamente, meccanicamente, come il tic-tac della pendola sulla mensola del camino.

Da quel languore si levò un pensiero. Ashley non l'amava e non l'aveva mai amata veramente, e il saper questo non l'addolorava. Avrebbe dovuto soffrirne, essere desolata, sentirsi il cuore spezzato, imprecare al destino. Aveva contato sul suo amore per tanto tempo; e quella sicurezza l'aveva aiutata a superare molti tristi momenti. Eppure, la verità era indiscutibile. Egli non l'amava e lei non ne soffriva.

Non ne soffriva perché neppur lei lo amava. Non lo amava; quindi nulla di ciò che egli diceva e faceva poteva addolorarla.

Si coricò sul letto e posò il capo sul guanciale, stanchissima. Inutile cercar di combattere quell'idea; inutile cercar di dire a se stessa: "Ma io lo amo. L'ho sempre amato. L'amore non si può mutare da un momento all'altro in apatia".

Non poteva mutare, eppure si era mutato.

"Non è mai esistito veramente, se non nella mia fantasia" pensò con tristezza. "Ho amato qualche cosa costruita da me, qualche cosa che è morta come Melania. Ho fatto un bel fantoccio e me ne sono innamorata. E quando Ashley venne a cavallo, così bello, così diverso, gli misi gli abiti del fantoccio e glieli feci portare, gli andassero bene o no. E non ho mai voluto vederlo come era in realtà. Ho continuato ad amare i vestiti del fantoccio... ma non lui."

Ora si guardava indietro e si rivedeva nell'abito di mussolina verde a fiori, in atto di rispondere al saluto del giovine cavaliere coi capelli che luccicavano come chiaro argento al sole di Tara. Vedeva ora nettamente che era solo un'immaginazione infantile, non più importante del desiderio degli orecchini di acquemarine per cui aveva tanto importunato Geraldo. Una volta ottenuti, gli orecchini avevano perso ogni valore; come ogni cosa, eccettuato il denaro, una volta che era in suo possesso. Così anche lui avrebbe perso ogni valore se, in quei giorni lontani, ella avesse avuto la soddisfazione di rifiutare di sposarlo. Se lo avesse avuto in proprio dominio, vedendolo diventare a volta a volta appassionato, importuno, geloso, malinconico, supplichevole, come gli altri giovinotti, l'infatuazione che l'aveva posseduta sarebbe svanita, come nebbia del mattino ai raggi del sole, appena ella avesse incontrato un altr'uomo.

"Come sono stata sciocca" pensò amaramente. "Ed ora la sconto. Quello che ho tanto desiderato è accaduto. Ho desiderato che Melania morisse, per potere avere Ashley; ed ora che è morta e potrei averlo, non me ne importa più nulla. Il suo maledetto onore lo spingerà a chiedermi se desidero divorziare da Rhett per sposarlo. Sposarlo? Non lo vorrei neanche su un piatto d'oro! E intanto, lo avrò ugualmente sulle spalle per tutta la vita. Finché vivo dovrò occuparmi di lui, badare a che non muoia di fame, e che i suoi sentimenti non siano urtati da ciò che può dire la gente. Sarà un altro bambino attaccato alle mie sottane. Ho perduto l'innamorato ed ho acquistato un altro bimbo. E se non avessi promesso a Melly... non mi importerebbe di non vederlo mai più".

62

Udì un mormorio di voci; andando alla porta vide i negri spaventati raccolti nel vestibolo posteriore: Dilcey con Beau addormentato fra le braccia, zio Pietro piangente e la cuoca che si asciugava gli occhi col grembiule. Tutti e tre la guardarono, chiedendo stupidamente che cosa dovevano fare. Guardò verso il salotto; vide zia Pitty e Lydia che si tenevano le mani in silenzio; per una volta tanto Lydia aveva perduto la sua rigidezza. Come i negri, anch'esse la guardavano implorando, aspettando che ella desse istruzioni. Entrò nel salotto; le due donne si strinsero subito a lei.

- Rossella, che cosa... - cominciò zia Pitty con la grossa bocca infantile agitata da un tremito.

- Taci, altrimenti urlo - disse Rossella. I nervi eccessivamente tesi rendevano aspra la sua voce e le facevano stringere i pugni. Il pensiero di dover parlare di Melania, di dover dare le indispensabili disposizioni che seguono la morte, le strinse la gola. - Non dite una parola, nessuna di voi! -

Udendo l'accento imperioso della sua voce, tutte indietreggiarono, con espressione offesa e smarrita. "Non debbo piangere dinanzi a loro" disse Rossella fra sé. "Altrimenti piangeranno anche loro, i negri urleranno e sarà cosa da impazzire. Devo farmi forza. Vi sono tante cose da fare. Vedere l'impresario delle pompe funebri e disporre per il funerale, far pulire la casa e parlare con le persone che vorranno piangere fra le mie braccia. Ashley non può fare queste cose; e neanche Pitty né Lydia. Tocca a me. Che fardello pesante! Sempre! E sono sempre i fardelli degli altri!"

Guardò le facce stupite e addolorate di Lydia e Pitty e provò un senso di contrizione.

A Melania dispiacerebbe che ella fosse così aspra con coloro che le volevano bene.

- Scusatemi se sono sgarbata - disse parlando con difficoltà. Ma è perché... Scusami, zia. Vado un momento nel porticato. Voglio esser sola. Poi tornerò e allora... -

Accarezzò zia Pitty e le passò rapidamente davanti per uscire, sicura che se fosse rimasta un altro minuto, i suoi nervi avrebbero ceduto. Aveva bisogno di esser sola. Doveva piangere, altrimenti il suo cuore scoppierebbe.

Richiuse la porta dietro di sé; l'aria umida della notte fu fresca sul suo viso ardente. La pioggia era cessata; non si udiva alcun rumore, se non di qualche goccia che ogni tanto cadeva dai rami. Il mondo era avvolto in una caligine densa, una nebbia fredda che aveva l'odore dell'anno che stava per morire. Tutte le case erano oscure, eccetto una; e la luce di quella lampada lottava fiaccamente con la nebbia, in cui danzava un pulviscolo d'oro. Era come se tutto il mondo fosse avvolto in una coperta immobile di fumo grigio. E tutto il mondo era silenzioso.

Appoggiò il capo a una delle colonne del porticato, pronta a piangere; ma le lacrime non vennero. Era un dolore troppo profondo per il pianto. Il suo corpo tremò. La sua mente sentì nuovamente il crollo delle due cittadelle inespugnabili della sua vita. Tentò di ricorrere al suo vecchio incantesimo che l'aveva sempre aiutata: "Penserò a questo domani, quando sarò più resistente". Ma l'incantesimo aveva perso il suo potere.

Ora doveva pensare a due cose: a Melania, e a quanto la amava e aveva bisogno di lei; a Ashley e all'ostinata cecità che non le aveva mai fatto vedere com'egli era realmente. E comprese che questi pensieri le darebbero dolore anche domani e tutti i giorni della sua vita.

"Non posso rientrare adesso e parlare con loro. Non posso vedere Ashley stasera e confortarlo. Stasera no! Domattina verrò presto e farò tutto quello che c'è da fare, e dirò quello che debbo dire. Ma stasera no. Non posso. Vado a casa."

La casa era poco lontana. Non aspetterebbe che zio Pietro attaccasse singhiozzando il carrozzino o che il dottor Meade l'accompagnasse. Non poteva sopportare le lacrime dell'uno, la silenziosa condanna dell'altro. Scese velocemente nell'oscurità i gradini, senza pensare al cappello e al mantello, e si allontanò nella notte nebbiosa. Voltò l'angolo e si avviò per la salita verso la Via del Pesco, camminando in un mondo silenzioso e bagnato; anche i suoi passi erano silenziosi come in sogno.

Quando giunse in cima alla salita col petto gonfio di lacrime che non volevano sgorgare, provò una strana sensazione: come se fosse già stata in quel luogo, in circostanze simili; e non una volta sola, ma parecchie. "Che sciocchezza!" pensò inquieta - e affrettò il passo. I nervi le facevano dei brutti scherzi. Ma la sensazione persisteva, si impadroniva furtivamente di tutto il suo cervello. Cercò di guardarsi attorno, incerta, e la sensazione aumentò, misteriosa ma familiare; ed ella avanzò il capo come un animale che sente il pericolo. "E' la stanchezza" si disse cercando di tranquillizzarsi. "E la notte è così strana, così nebbiosa! Non ho mai visto una nebbia così densa, fuorché... fuorché...!"

Comprese e lo spavento le strinse il cuore. Ora sapeva. In centinaia di incubi aveva corso attraverso una caligine come questa, per una landa sconosciuta, in una nebbia fredda e avvolgente, popolata di fantasmi striscianti e di ombre. Sognava di nuovo o era il sogno che diventava realtà?

Per attimo ogni senso di vero l'abbandonò ed ella si sentì perduta. L'antico incubo si era impadronito di lei, più forte che mai; e il suo cuore cominciò a battere follemente. Era nuovamente circondata dal silenzio e dalla morte, come una volta a Tara. Tutto ciò che importava nel mondo era scomparso, la vita era fatta di rovine, e il terrore urlava nel suo cuore come un vento infernale. Cominciò a correre. Come aveva corso centinaia di volte in sogno, ora correva ciecamente non sapeva verso che cosa, spinta da una paura senza nome, anelando nella nebbia grigia a una salvezza che era chi sa dove.

Corse a testa bassa, col cuore che le martellava, l'aria notturna che le bagnava le labbra, gli alberi che si agitavano minacciosi sul suo capo. Doveva essere in qualche luogo, il rifugio; in mezzo a quel silenzio umido e pauroso! Corse, con le gonne che le si appiccicavano alle caviglie, i polmoni che sembravano scoppiarle, il busto che le faceva penetrare le costole nel cuore.

Poi dinanzi ai suoi occhi apparve una luce, una fila di luci, deboli e vacillanti ma reali. Nel suo incubo non vi era mai stata alcuna luce; solo nebbia. Il suo cervello si aggrappò a quelle luci, che significavano salvezza, gente, realtà. D'improvviso cessò di correre coi pugni stretti e tentò di liberarsi dal panico che la opprimeva, fissando la fila di lampioni a gas che le avevano fatto comprendere che quella era la Via dell'Albero di Pesco ad Atlanta e non il grigio mondo del sonno e dei fantasmi.

Si lasciò cadere ansimante sui gradini di una casa, tenendo saldi i propri nervi come se fossero funi che volessero sfuggirle dalle mani.

"Ho corso come una pazza!" si disse; e il tremito diminuiva, ma il cuore le martellava ancora facendole male. "Ma perché correvo?"

Ora respirava meglio; seduta con una mano premuta sul fianco guardò la strada. Ecco laggiù la sua casa. Le parve che tutte le finestre fossero illuminate; erano luci che sfidavano la nebbia ad offuscare il loro splendore. La sua casa! Era vera! La guardò a lungo con gratitudine, con desiderio; e una certa calma dominò il suo spirito.

La sua casa! Ecco dove desiderava andare. Ecco il rifugio. La sua casa dov'era Rhett!

Le parve che le cadessero di dosso pesanti catene e con esse tutto il terrore che aveva riempito i suoi sogni dalla notte in cui era giunta vacillando a Tara e aveva trovato che il mondo era finito. In fondo alla strada di Tara aveva trovato che la sicurezza era scomparsa, e tutta la forza, la saggezza, la tenerezza affettuosa, la comprensione, tutto era scomparso: tutto ciò che, personificato da Elena, era stato il baluardo della sua infanzia. E benché dopo quella notte avesse conquistato la sicurezza materiale, nei suoi sogni era rimasta la bimba spaurita che anelava alla perduta sicurezza di quel mondo perduto.

Ora sapeva qual era il rifugio che aveva sempre cercato nei suoi sogni, il luogo caldo e sicuro che le era stato sempre celato dalla caligine folta. Non era Ashley... oh no, mai Ashley! Non vi era in lui maggior calore che in un pantano, maggior sicurezza che sulle sabbie mobili. Era Rhett... Rhett che aveva delle braccia forti per sorreggerla, un petto largo per farle appoggiare la testa stanca, una gaia risata per farle vedere le cose nella loro giusta luce. E una assoluta comprensione, perché egli pure, come lei, vedeva la verità senza veli, non celata da malpratiche nozioni di onore, di sacrificio, di fede eccessiva nell'umana natura. Egli l'amava! Perché non se n'era accorta, malgrado le sue sarcastiche affermazioni in contrario? Melania lo aveva capito; e nel suo ultimo respiro aveva detto: "Sii buona con lui".

"Oh" pensò "non soltanto Ashley è uno stupido e cieco! Avrei dovuto vedere..."

Per anni e anni si era appoggiata al saldo muro di pietra rappresentato dall'amore di Rhett, come all'amore di Melania, lusingandosi di trarre la propria forza da se stessa. E come qualche ora prima aveva compreso che Melania le era stata accanto nelle sue più aspre battaglie contro la vita, così ora comprendeva che Rhett era rimasto silenziosamente nello sfondo, amandola, comprendendola, pronto ad aiutarla. Rhett alla vendita di beneficenza aveva letto nei suoi occhi la sua impazienza e aveva trovato modo di farle ballare il "reel"; Rhett l'aveva aiutata a liberarsi dalla costrizione del lutto; Rhett l'aveva accompagnata attraverso il fuoco e le esplosioni la notte in cui Atlanta era caduta; Rhett le aveva prestato il denaro per iniziare il suo lavoro; Rhett l'aveva confortata quando si svegliava di notte atterrita dal sogno... nessuno era capace di far tante cose per una donna se non l'amava fino alla disperazione! Gli alberi le scrollavano addosso la loro umidità, ma ella non se ne accorgeva. La nebbia le turbinava attorno, ma ella non se ne dava per inteso. Pensò a Rhett, al suo volto bruno, ai suoi denti smaglianti e agli occhi splendenti e penetranti, e fu presa da un tremito.

"Lo amo", disse; e come sempre, accettò la verità con poca sorpresa, come un bimbo accetta un dono. "Non so da quando lo amo; ma questa è la verità. E se non ci fosse stato Ashley, lo avrei compreso molto prima. Non sono mai riuscita a vedere il mondo chiaramente, perché c'era Ashley di mezzo."

Lo amava: furfante, canaglia, senza scrupoli né onore - almeno l'onore come lo vedeva Ashley. "Accidenti all'onore di Ashley!" pensò. "E' quello che mi ha sempre depressa. Sì; fin dal principio, quando veniva a vedermi, pur sapendo che la sua famiglia desiderava che sposasse Melania. Rhett non mi ha mai avvilita, neanche in quella terribile sera del ricevimento di Melania, quando avrebbe dovuto torcermi il collo. Perfino quando mi lasciò sulla strada, la notte della caduta di Atlanta, sapeva che mi sarei salvata. Sapeva che me la sarei cavata. Perfino quando finse di volersi far pagare, quando andai a chiedergli il denaro all'accampamento yankee. Non mi avrebbe presa. Lo disse per mettermi alla prova.

Mi ha sempre amata, ed io sono stata abietta con lui. L'ho sempre offeso, ed egli era troppo fiero per farmelo capire. E quando Diletta è morta... Oh, come ho potuto...?"

Si irrigidì e guardò verso la casa illuminata in cima alla salita. Mezz'ora prima credeva di aver perduto tutto al mondo, meno il denaro; tutto ciò che rendeva la vita desiderabile: Elena, Geraldo, Diletta, Mammy, Melania e Ashley. Aveva dovuto perder tutto per comprendere che amava Rhett... lo amava perché era forte e senza scrupoli, appassionato e realista, come lei.

"Gli dirò tutto" pensò. "Capirà. Ha sempre capito. Gli dirò che sono stata pazza e sciocca e gli dirò quanto lo amo e mi riconcilierò con lui."

Si sentì improvvisamente forte e felice. Non aveva più paura dell'oscurità e della nebbia; e col cuore pieno di gioia, comprese che non ne avrebbe avuto paura mai più. Per quanto la bruma potesse circondarla in avvenire, ormai conosceva qual era il rifugio. Riprese vivamente la strada che le sembrò molto lunga. Troppo, troppo lunga per il suo desiderio. Si rialzò le gonne al disopra delle ginocchia e cominciò a correre leggermente. Ma questa volta non correva perché aveva paura. Correva perché al termine della strada erano le braccia di Rhett.

63

La porta d'ingresso era socchiusa; ella entrò di corsa, ansimante, nel vestibolo e si fermò per un attimo sotto la luce rifrangente nelle mille faccette del lampadario. Malgrado l'illuminazione, la casa era silenziosa; non del tranquillo silenzio del sonno, ma di un silenzio stanco, vigilante, leggermente minaccioso. Con un'occhiata vide che Rhett non era in salotto né in biblioteca e si sentì cadere il cuore. Se fosse stato fuori... a casa di Bella... O chi sa dove passava la sera quando non tornava a casa? Non aveva tenuto conto di questo.

Aveva cominciato a salire per andarlo a cercare, quando vide che l'uscio della sala da pranzo era chiuso. Il suo cuore si contrasse un poco per vergogna, nel vedere quell'uscio, ricordando le molte sere della scorsa estate, quando Rhett era rimasto là dentro a bere, finché era tanto ubriaco che Pork doveva metterlo a letto. Era stata colpa sua; ma ora tutto cambierebbe. Tutto sarebbe diverso da ora in poi... "Ma, Dio mio, fa che egli non sia troppo ubriaco stasera. Se è ubriaco non mi crederà, riderà di me e mi spezzerà il cuore."

Aperse uno spiraglio della porta e guardò cautamente nella stanza. Rhett era seduto dinanzi alla tavola, sprofondato in un seggiolone; dinanzi a lui era la bottiglia intatta, il bicchiere netto. "Dio sia ringraziato, non ha bevuto!" Aperse l'uscio interamente, trattenendosi per non correre verso di lui. Ma quando egli alzò gli occhi, qualche cosa nel suo sguardo la fermò sulla soglia, le agghiacciò le parole sulle labbra.

La guardava con occhio fermo, appesantito dalla stanchezza, e senza alcuna fiamma nelle pupille. Quantunque ella avesse i capelli in disordine, l'abito bagnato e infangato e il seno le si sollevasse affannosamente, il volto di lui non espresse sorpresa, né le sue labbra si torsero beffarde. Era sprofondato nel seggiolone, col vestito spiegazzato sul petto; ogni particolare mostrava lo sfacelo di un bel corpo, l'avvizzimento di un viso dai lineamenti forti. L'ubriachezza e la dissipazione avevano compiuto l'opera loro su quel profilo di medaglia; non era più la testa di un giovine principe pagano coniata in oro, ma quella di un Cesare stanco e decadente, coniato sul rame e consumato dal lungo uso. La guardò mentre ella rimaneva immobile con la mano sul cuore; la guardò quasi con bontà e questo la spaventò.

- Vieni qui, siedi. E' morta? -

Ella annuì e si avanzò esitante, incerta, mentre osservava quella nuova espressione del suo volto. Senza alzarsi, egli spinse col piede una sedia ed ella vi piombò a sedere. Avrebbe voluto che egli non le parlasse subito di Melania. Non voleva rivivere l'agonia di quell'ultima ora. Vi era tutto il resto della vita per parlare di Melania. Mentre per il suo acuto desiderio di gridare "Ti amo" le pareva che vi fosse soltanto quella sera, quell'ora. Solo in quel momento poteva dire a Rhett il suo pensiero. Ma qualche cosa nel viso di lui la fece ammutolire; ed ella ebbe improvvisamente vergogna di parlare d'amore mentre Melania non era ancora fredda.

Dio le dia riposo - disse pesantemente Rhett. - Era la sola persona completamente buona che io abbia mai conosciuta. -

- Oh, Rhett! - esclamò disperata perché quelle parole le ricordavano troppo vivamente tutta la bontà che Melania aveva sempre avuto per lei. - Perché non sei entrato con me? E' stato tremendo... e avevo tanto bisogno di te! -

- Non avrei potuto sopportarlo - replicò Rhett con semplicità. Tacque per un momento; poi riprese con sforzo ma dolcemente: Una gran signora. -

Fissò lo sguardo scuro al di là di Rossella, ed ella vide nei suoi occhi la stessa espressione che vi aveva scorto alla luce d'incendio, nella notte in cui Atlanta era caduta, quando egli le aveva detto che andava a raggiungere l'esercito in ritirata; la sorpresa di un uomo che si conosce perfettamente, eppure scopre in se stesso inattese sorgenti d'emozione. E a questa scoperta prova un lieve senso di ridicolo.

I suoi occhi pensosi guardarono al disopra delle spalle di lei, come se vedesse Melania passare silenziosamente nella stanza. Il suo viso non esprimeva, in quella specie di addio, dolore né tormento, ma solo una meraviglia di se stesso, solo un pungente risveglio di emozioni morte fin dall'infanzia; ed egli ripeté:

- Una gran signora. -

Rossella rabbrividì; dal suo cuore scomparvero il calore e la luce che le avevano messo le ali ai piedi per tornare a casa. Intuì parzialmente ciò che passava nella mente di Rhett mentre egli diceva addio alla sola persona che rispettasse al mondo; e si sentì nuovamente desolata, con un terribile senso di smarrimento che non era più personale. Non comprendeva completamente né analizzava ciò che egli sentiva, ma le sembrava di essere stata lei pure sfiorata da una sottana frusciante, che l'aveva, toccata in un'ultima soave carezza. Attraverso gli occhi di Rhett vedeva passare non una donna ma una leggenda: le donne dolci e mansuete, ma con l'animo di acciaio temprato, a cui il Sud aveva affidato le sue case durante la guerra e alle cui braccia fiere e amanti era tornato dopo la disfatta.

Gli occhi di Rhett tornarono a lei; la sua voce era mutata. Ora era fredda e indifferente.

- Dunque è morta. Questo deve facilitare le cose per te, no? -

- Oh, come puoi dire una cosa simile?! - esclamò punta; e le lacrime le vennero agli occhi. - Sai quanto le volevo bene! -

- No, veramente non lo so. Non lo supponevo; e veramente, considerando la tua simpatia per gli "straccioni bianchi", ti fa onore il fatto di averla saputa apprezzare. -

- Come fai a parlare così? Sicuro che l'apprezzavo! Tu no. Non potevi conoscerla come la conoscevo io. Non puoi comprendere... com'era buona... -

- Davvero? Forse no. -

- Pensava a tutti fuorché a se stessa... Le sue ultime parole sono state per te. -

Vi fu una fiamma di genuino sentimento nel suoi occhi mentre li volse verso di lei.

- Che ha detto? -

- No, non adesso, Rhett! -

- Dimmelo. -

La sua voce era fredda; ma la mano che le posò sul polso le fece male. Ella non voleva parlare; non era così che aveva pensato di abbordare l'argomento del suo amore. Ma la mano di lui faceva pressione.

- Ha detto... ha detto... "Sii buona col capitano Butler. Ti ama tanto".

Egli la fissò e lasciò ricadere la mano. Abbassò le palpebre; il volto rimase indifferente. A un tratto si alzò e avvicinandosi alla finestra tirò le tendine e guardò fuori come se vi fosse qualche cosa di interessante da vedere. Non vi era che nebbia.

- Ha detto altro? - chiese poi senza voltarsi.

- Mi ha chiesto di aver cura del piccolo Beau; le ho promesso di occuparmene come se fosse mio figlio. -

- E che altro? - Ha detto...Ashley...Mi ha chiesto di occuparmi anche di Ashley. -

Egli tacque per un momento; poi rise piano.

- E' comodo avere il permesso della prima moglie, no? -

- Che vuoi dire? -

Rhett si volse; e anche nella sua confusione, Rossella fu sorpresa nel vedere che non vi era scherno sul suo viso. Né vi era maggiore interessamento che nel volto di un uomo che assiste all'ultimo atto di una commedia non troppo attraente.

- Mi pare che sia abbastanza chiaro. Miss Melly è morta. Tu hai certamente tutto il diritto di chiedere il divorzio contro di me; e non credo che alla tua reputazione un divorzio possa far danno. Né hai religione; quindi della chiesa non t'importa. Perciò... Ashley e i sogni diventano realtà, con la benedizione di miss Melly. -

- Divorzio?! No! No! - Dopo un attimo di stordimento balzò in piedi e corse ad afferrarlo per un braccio. - Ti sbagli! Terribilmente. Non voglio divorziare! Io... -

Si interruppe come se non riuscisse a trovare le parole. Egli le pose una mano sotto il mento e le volse tranquillamente il viso verso la luce; per un momento la fissò intento negli occhi. Ella sostenne lo sguardo, fissandolo col cuore nelle pupille, con le labbra tremanti come se avesse tentato di parlare. Ma non riuscì a formulare una parola. Cercava di trovare in quel volto bruno un'emozione corrispondente alla sua, una luce di speranza, di gioia. Perché egli doveva aver compreso. Ma i suoi occhi non trovarono altro se non la calma insensibilità che così spesso l'aveva respinta. Egli lasciò il suo mento e, voltandosi, tornò al seggiolone; vi si gettò di nuovo, pesantemente, col mento sul petto; I suoi occhi continuarono a guardarla da sotto alle folte sopracciglia in maniera curiosa e impersonale.

Ella lo seguì e rimase dinanzi a lui torcendosi le mani.

- Hai torto - cominciò finalmente cercando le parole. - Rhett, stasera, quando ho saputo, ho corso come una pazza per venire a casa a dirtelo. Oh mio carissimo, io... -

- Sei stanca - la interruppe Rhett continuando a scrutarla. - Farai meglio ad andare a letto. -

- Ma debbo dirtelo! -

- Non voglio... sentir nulla, Rossella! -

- Non sai quello che ti voglio dire! -

- Gioia mia, è scritto chiaramente sul tuo viso. Qualcuno o qualche cosa ti ha fatto capire che il disgraziato signor Wilkes è un boccone troppo grosso dei frutti del Mar Morto, perché perfino tu lo possa inghiottire. E perciò i miei fascini ti sono improvvisamente apparsi in una nuova luce più attraente. Emise un leggero sospiro. - Ed è inutile parlarne. -

Ella trasse un grande respiro, stupita. Sapeva che egli aveva sempre letto in lei facilmente. In altri tempi ciò l'aveva irritata; ma ora, dopo il primo attimo di risentimento contro la propria trasparenza, si sentì il cuore pieno di gratitudine e di sollievo. Egli sapeva, comprendeva; il compito diventava infinitamente più facile. Inutile parlarne! Naturalmente, egli era amareggiato per la sua lunga trascuratezza, diffidente per il suo improvviso voltafaccia. Ma lei lo colmerebbe di bontà, lo convincerebbe con ardenti effusioni d'amore; e che gioia sarebbe anche per lei!

- Tesoro, ti dirò tutto! - Posò le mani sul bracciolo del seggiolone e si chinò sopra di lui. - Ho commesso tanti errori, sono stata una pazza stupida. -

- Non continuare, Rossella. Non ti umiliare dinanzi a me. Non posso sopportarlo. Conserviamo un po' di dignità, per avere almeno questo ricordo del nostro matrimonio. Evitiamo questa fine. -

Ella si raddrizzò bruscamente. Evitare questa fine? Che voleva dire "questa fine"? Fine? Se questo era il loro principio!

- Ma voglio dirti - riprese rapidamente, quasi temendo che egli le ponesse la mano sulla bocca per farla tacere. - Ti amo tanto, Rhett! Devo averti sempre amato, da tanti anni; ma ero così sciocca che non lo sapevo. Devi credermi, Rhett! -

La guardò per un attimo, dritta dinanzi a lui; fu uno sguardo che la penetrò sino in fondo. Ella vide che in quegli occhi era persuasione, ma scarso interesse. Si mostrerebbe dunque perverso, proprio adesso? La tormenterebbe, ripagandola con la sua stessa moneta?

- Ti credo - disse finalmente. - Ma la storia di Ashley Wilkes? -

- Ashley! - E fece un gesto d'impazienza. - Non... non credo di avergli mai voluto bene. Era una specie di abitudine a cui ero attaccata fin da bambina. E credo che non me ne sarei mai interessata se lo avessi veramente conosciuto. E' una creatura così bisognosa d'assistenza, così povera di spirito, con tutte le sue ciance di verità e di onore... -

- No - la interruppe Rhett. - Devi vederlo com'è in realtà. E' un gentiluomo che si trova in un mondo che non è il suo, e cerca di fare del suo meglio applicando le regole di un mondo scomparso. -

- Oh Rhett, non parliamo di lui! Che ce ne importa ora? Non sei contento di sapere... ora che io... -

Incontrò il suo sguardo stanco e tacque imbarazzata, intimidita come una bimba col suo primo corteggiatore. Perché non le facilitava la cosa? Se l'avesse presa fra le braccia, ella si sarebbe accoccolata riconoscente sulle sue ginocchia e gli avrebbe posato il capo sul petto. Le sue labbra posate su quelle di lui si sarebbero spiegate meglio che non potessero farlo le sue parole interrotte. Ma nel guardarlo, comprese che non per cattiveria egli non l'abbracciava. Sembrava esaurito; e come se nulla di ciò che ella diceva lo interessasse.

- Contento? - disse poi. - Una volta avrei ringraziato Dio devotamente, se tu mi avessi detto questo. Ma ora non importa.

- Non importa? Che dici? Sì che importa! Non mi vuoi bene forse? Melly ha detto di sì. -

- Aveva ragione, per quel che sapeva. Ma hai mai pensato, Rossella, che anche l'amore più immortale si può esaurire? -

Lo guardò ammutolita, a bocca aperta.

- Il mio si è logorato - proseguì Rhett - contro Ashley Wilkes, contro la tua pazza ostinazione che ti fa azzannare come un bulldog quello che desideri... Si è logorato. -

- L'amore non si può logorare! -

- Il tuo per Ashley si è stancato. -

- Ma non l'ho mai amato davvero! -

- Allora ne hai dato un'ottima imitazione... fino a stasera. Non voglio rimproverarti, Rossella, accusarti, rinfacciarti nulla. E' passato il tempo di queste cose. Risparmiami quindi le tue difese e le tue spiegazioni. Se sei capace di ascoltarmi per qualche minuto senza interrompermi, ti spiegherò ciò che voglio dire. Quantunque non ne veda il bisogno. La verità è tanto semplice! -

Ella sedette, sotto la luce dura del gas che le illuminava il pallido viso attonito. Fissava gli occhi che conosceva così bene eppure così poco - e ascoltava la voce tranquilla dirle parole che da principio furono senza significato per lei. Era la prima volta che egli le parlava in quel modo, come un essere umano a un altro; che parlava come tutti quanti, senza scherno, senza enigmi, senza volubilità.

- Non hai mai pensato che ti amavo tanto quanto è possibile a un uomo amare una donna? Che ti ho amato per degli anni finché sono riuscito ad averti? Durante la guerra volli andarmene per cercare di dimenticarti; ma non potetti; e perciò ritornavo sempre. Dopo la guerra ho arrischiato di essere arrestato, per tornare indietro e trovarti. Ti amavo tanto che credo che avrei finito con l'uccidere Franco Kennedy, se non fosse morto. Ti amavo, ma non potevo fartelo sapere. Eri troppo brutale con quelli che ti amavano, Rossella. Prendevi il loro amore e lo agitavi come uno scudiscio sulle loro teste.

Di tutto ciò che diceva, una sola cosa era importante: che egli l'amava. Alla debole eco di passione che era nella sua voce, ella sentì serpeggiare nelle sue vene gioia ed eccitazione. Tratteneva il respiro, ascoltava, aspettava.

- Sapevo che non mi amavi quando ti sposai. Sapevo di Ashley. Ma, sciocco che ero, credevo di riuscire a farmi voler bene. Ridi, se vuoi; ma io provavo il bisogno di aver cura di te, di viziarti, di coccolarti, di darti tutto ciò che desideravi. Volli sposarti per proteggerti e darti piena libertà in tutto ciò che poteva farti felice... come feci più tardi con Diletta. Avrei lottato tanto: nessuno sapeva meglio di me quali pene avevi attraversato, ed io volevo farti cessar di combattere e combattere io per te. Avrei voluto vederti giocare come una bimba... perché eri una bimba, coraggiosa, spaventata, caparbia; ma una bimba. E credo che tu lo sia ancora. -

La sua voce era calma e stanca; ma vi era in essa qualche cosa che richiamò alla memoria di Rossella un fantasma scomparso. Quando, in quale crisi della sua vita aveva udito una voce come quella? La voce di un uomo che si trova di fronte a sé e al suo mondo, senza sentimento, senza titubanze, senza speranza.

Sicuro... era stato Ashley, nel freddo frutteto di Tara battuto dal vento; aveva parlato della vita e dello spettacolo delle ombre con una calma stanchezza che aveva nel suo timbro un'amarezza disperata. E come la voce di Ashley, allora, l'aveva fatta rabbrividire con la minaccia di cose che ella non poteva comprendere, così ora la voce di Rhett le faceva cadere il cuore. La sua voce, i suoi modi, più ancora che il contenuto delle sue parole, la turbavano, le facevano comprendere che la sua eccitazione di pochi istanti prima era stata intempestiva. Vi era qualche cosa che non andava bene. Non sapeva che cosa; ma ascoltava disperatamente, con gli occhi fissi sul suo viso bruno, sperando di udire parole che dissipassero i suoi terrori.

- Eravamo fatti l'uno per l'altra. Questo era così ovvio, che io ero il solo uomo fra i tuoi conoscenti che poteva amarti conoscendoti com'eri realmente... dura, avida, senza scrupoli, come me. Ti amavo e tentai la ventura. Pensai che Ashley sarebbe svanito dalla tua mente. Ma - e si strinse nelle spalle - tutti i miei tentativi non valsero a nulla. E ti amavo tanto, Rossella. Se tu me lo avessi consentito, ti avrei dato tutta la tenerezza e tutto il fervore che un uomo può dare a una donna. Ma non potevo fartelo capire, perché mi avresti creduto debole e ti saresti servita del mio amore contro di me. E poi... c'era sempre Ashley. Mi faceva impazzire. Non potevo sedere a tavola di faccia a te la sera, perché sapevo che tu desideravi che al mio posto vi fosse lui. E non potevo tenerti fra le braccia la notte sapendo che... beh, lasciamo andare, adesso. Ora mi domando perché ne ho sofferto. Fu questo che mi fece andare da Bella. Vi è una certa consolazione grossolana nello stare con una donna che vi ama senza restrizione e vi rispetta come un gentiluomo... anche se è una prostituta analfabeta. Questo lusingava la mia vanità. -

- Oh Rhett... - cominciò disperata solo nell'udire menzionare il nome di Bella. Ma egli le fece cenno di tacere e proseguì.

- La notte che ti portai sopra... credetti... sperai... sperai tanto che non ebbi il coraggio di guardarti in faccia l'indomani mattina, per paura di essermi ingannato e che tu non mi amassi. Avevo paura che tu ridessi di me; perciò uscii e andai ad ubriacarmi. Quando tornai tremavo come una foglia; e se tu mi fossi venuta incontro, se mi avessi fatto il più piccolo cenno, credo che ti avrei baciato i piedi. Ma tu rimanesti impassibile.

- Eppure ti desideravo, Rhett; ma tu fosti così villano! Come ti desideravo! Credo... sì, deve essere stata allora la prima volta che ho capito che ti volevo bene. Ashley... dopo di allora il suo pensiero non mi diede più alcuna gioia; ma tu eri stato così villano che io... -

- Insomma, pare che eravamo in contrasto, non è vero? Ma ora non importa. Te lo dico soltanto perché tu non ti stupisca di nulla. Quando sei stata male per colpa mia, sono stato fuori della tua porta, sperando che tu mi chiamassi; ma tu non mi chiamasti mai; e allora compresi che ero stato un imbecille e che tutto era finito. -

Si fermò e guardò attraverso lei e al di là, come aveva fatto tante volte Ashley, vedendo qualche cosa che ella non poteva vedere. E Rossella continuò a fissare senza parlare il suo volto tetro.

- Ma c'era Diletta; ed io mi dissi che, dopo tutto, qualche cosa rimaneva. Mi piaceva pensare che Diletta eri tu, nuovamente bambina, prima che la guerra e la povertà ti avessero indurita. Ti somigliava tanto, era così volitiva, così gaia e coraggiosa e piena di spirito; e potevo accarezzarla e viziarla... come desideravo accarezzare e viziare te. Ma lei non era come te... lei mi voleva bene. Era una fortuna che io potessi prendere tutto l'amore che tu non desideravi e darlo a lei... E quando se ne andò, portò via tutto con sé. -

Improvvisamente ella provò un'immensa pena per lui, una pena che cancellò il suo dolore e lo sgomento che le sue parole le avevano fatto provare. Era la prima volta in vita sua che sentiva compassione per qualcuno senza provare contemporaneamente un senso di disprezzo, perché era la prima volta che si avvicinava con comprensione ad un altro essere umano. E comprendeva l'orgoglio ostinato simile al suo che gli aveva impedito di rivelare il suo amore per timore di una ripulsa.

- Amore mio - esclamò avvicinandosi di nuovo, sperando che egli stendesse le braccia e la traesse sulle sue ginocchia - tesoro, ho tanta pena, ma ti farò felice... Ora che sappiamo la verità... Guardami, Rhett! Avremo altri bambini... non come Diletta, ma... -

- Grazie, no - fece Rhett come se rifiutasse un pezzo di pane. Non voglio arrischiare il mio cuore per la terza volta. -

- Non parlare così, Rhett! Che cosa posso dire per farti comprendere? Ti ho detto che sono così addolorata... -

- Mia cara, sei proprio una bambina. Credi che col dire "mi dispiace" si possa rimediare a tutti gli errori e le offese degli anni passati, cancellarli dalla mente, togliere tutto il veleno dalle vecchie ferite... Prendi il mio fazzoletto, Rossella. In nessuna crisi della tua vita ti ho mai vista con un fazzoletto. -

Prese il fazzoletto, si soffiò il naso e sedette. Era evidente che egli non l'avrebbe presa fra le braccia. E cominciava ad essere evidente che tutto quel discorso sull'amore che aveva avuto per lei non significava nulla. Era un racconto del tempo passato; e pareva che non fosse neanche accaduto a lui. E questo era spaventoso. Egli la guardava in modo affettuoso, con occhi riflessivi.

- Quanti anni hai, cara? Non hai voluto dirmelo. -

- Ventotto - rispose triste, soffocando la voce nel fazzoletto.

- Non sono molti. Anzi son pochi per avere conquistato tutto il mondo e perduto la propria anima, non è vero? Non aver paura; non alludo alle fiamme dell'inferno per la tua storia con Ashley. Parlo metaforicamente. Da quando ti conosco, tu hai sempre desiderato due cose: Ashley, ed essere abbastanza ricca per poter mandare tutti quanti all'inferno. Ora sei abbastanza ricca; hai mostrato i denti al mondo; e se vuoi avere Ashley, è a tua disposizione. Ma pare che tutto questo non ti basti più.

Era sgomenta, ma non al pensiero delle fiamme dell'inferno. Pensava: "La mia anima è Rhett, e lo sto perdendo. E se lo perdo, non c'è più nulla che mi interessi! Né amici né denaro né... nulla.. Se avessi lui, non m'importerebbe di essere nuovamente povera. Non m'importerebbe di aver di nuovo freddo e fame. Ma non può essere che egli voglia... No, non può essere!"

Si asciugò gli occhi e parlò con disperazione.

- Rhett, se una volta mi hai amata tanto, deve pur essere rimasto qualche cosa nel tuo cuore per me! - Trovo soltanto due cose, e sono quelle che tu detesti di più: pietà e uno strano senso di bontà.

"Pietà! Bontà! Dio mio" pensò disperata "solo pietà e bontà..." Ogni volta che ella aveva provato per qualcuno questi sentimenti, erano stati accompagnati da disprezzo. Possibile che egli la disprezzasse? Tutto sarebbe preferibile a questo. Anche la cinica freddezza dei giorni della guerra, la folle ubriachezza che lo possedeva la notte in cui la portò su per le scale, le parole ironiche e pungenti che nascondevano - ora lo sapeva - un disperato amore. Tutto, piuttosto che quella bontà indifferente che era scritta così chiaramente sul suo volto.

- Allora... vuol dire che io ho sciupato tutto... e che non mi ami più? -

- Precisamente. -

Ostinata come una bambina che crede ancora che la manifestazione di un desiderio basti per ottenerne l'adempimento, esclamò: Ma io ti amo! -

- Questa è la tua disgrazia. -

Lo guardò per vedere se dietro a quelle parole si nascondeva lo scherzo; ma non vide nulla. Egli si limitava a constatare un fatto. Ma era un fatto che ella non poteva, non voleva credere. Lo fissò con occhi in cui ardeva una disperata ostinazione; e la linea della mascella che improvvisamente si disegnò sotto la sua guancia morbida era quella di Geraldo.

- Non essere sciocco, Rhett! Io posso fare... -

Egli tese in avanti la mano aperta con orrore beffardo; le sue sopracciglia nere si inarcarono con la vecchia espressione sardonica.

- Non avere quell'aria così risoluta, Rossella! Mi spaventi. Vedo che stai pensando di trasferire la tua tempestosa passione da Ashley a me; ed io temo per la mia libertà e per la pace del mio spirito. No, Rossella, non voglio essere perseguitato come quell'infelice Ashley. Del resto, sto, per partire. -

Ella sentì che la sua mascella tremava; e strinse i denti per fermarla. Partire? No! Tutto, ma non questo! Come poteva vivere senza di lui? Tutti l'avevano lasciata, tutti coloro a cui aveva voluto bene; era rimasto solo lui. Non poteva andarsene. Come trattenerlo? Si sentiva impotente contro la sua freddezza.

- Parto. Avevo l'intenzione di dirtelo al tuo ritorno da Marietta. -

- Mi lasci? -

- Non fare la moglie abbandonata, Rossella. La parte drammatica non è adatta per te. Mi par di capire che non desideri un divorzio e neanche una separazione. Va bene; vuol dire che tornerò abbastanza spesso per impedire i pettegolezzi. -

- Che me ne importa delle chiacchiere! - esclamò con impeto. - Voglio te. Portami con te. -

- No. - E nella sua voce era una nota decisiva. Per un attimo stette per scoppiare in lacrime come una bambina. Ebbe voglia di gettarsi a terra, di imprecare, di urlare, di battere i piedi. Ma un rimasuglio di orgoglio la trattenne. Pensò che se lo avesse fatto egli avrebbe riso. "Non devo urlare; non debbo piangere. Non debbo far nulla che possa suscitare il suo disprezzo. Deve rispettarmi anche... anche se non mi ama." Levò il capo e cercò di chiedere con calma.

- Dove vuoi andare? -

- Forse in Inghilterra... o a Parigi. Forse a Charleston a cercare di far la pace coi miei. -

- Ma li detesti! Ti ho sentito ridere tante volte quando... -

Egli alzò le spalle. - Rido ancora, Rossella; ma ho finito di vagabondare. Ho quarantacinque anni; l'età in cui un uomo comincia a valutare quello che ha gettato via leggermente in gioventù; l'unione familiare, l'onore, la solidarietà, tutte cose che hanno radici profonde... Oh, non mi pento, non rimpiango nulla di ciò che ho fatto. Mi sono divertito; tanto che ora comincio ad averne abbastanza e a desiderare qualche cosa di diverso. Desidero la parvenza della rispettabilità da parte degli altri, cara, non mia - la calma dignità che la vita può avere tra persone perbene, la grazia gentile dei giorni passati. Allora, non ne realizzavo il fascino dolce e lento...

Nuovamente Rossella ebbe l'impressione di trovarsi nel frutteto di Tara; negli occhi di Rhett era la stessa espressione che aveva visto quel giorno in quelli di Ashley. Erano le stesse parole; come se fossero pronunciate da Ashley e non da Rhett. Frammenti di frasi le ritornarono, ed ella citò, pappagallescamente:

- Un fascino... una perfezione, una simmetria, come nell'arte greca. -

Rhett chiese bruscamente:

- Perché dici questo? E' proprio il mio pensiero. -

- Lo ha detto Ashley una volta... a proposito degli antichi tempi.

Egli si strinse nelle spalle e la fiamma scomparve dai suoi occhi.

- Sempre Ashley - disse; e per un attimo rimase in silenzio.

- Quando avrai quarantacinque anni, Rossella - riprese - forse capirai quello che ti dico adesso; e forse allora sarai stanca anche tu di falsa aristocrazia, di maniere pretenziose e di emozioni a buon mercato. Ma ne dubito. Credo che sarai sempre più attratta dall'orpello che dall'oro. Ad ogni modo, non posso aspettare fino allora per vedere. E non lo desidero neppure. Non mi interessa. Andrò in cerca di vecchie città e di vecchie campagne dove sia rimasto qualche cosa degli antichi tempi. Sono un sentimentale. Atlanta è troppo rude per me, troppo nuova.

- Basta - disse ella improvvisamente. Aveva appena ascoltato ciò che egli veniva dicendo. Certo non lo aveva compreso. Ma sentiva che non poteva più sopportare con forza d'animo il suono della sua voce, se non vi era amore in essa.

Egli fece una pausa e la guardò in modo strano.

- Insomma, hai capito le mie intenzioni? - chiese alzandosi in piedi.

Ella gettò le mani in avanti, col vecchio gesto supplichevole; e il suo cuore fu di nuovo sul suo viso.

- No! - gridò. - So soltanto che non mi ami e che te ne vai! Amore mio, che farò se tu te ne vai? -

Per un momento egli esitò come chiedendosi se una dolce menzogna fosse migliore della verità. Poi si strinse nelle spalle.

- Rossella, non ho mai avuto la pazienza di raccogliere i frammenti di un oggetto rotto per incollarli insieme e dire a me stesso che l'oggetto riappiccicato vale quanto l'oggetto nuovo. Quello che è rotto è rotto... e preferisco ricordarmelo quando era in buono stato piuttosto che aggiustarlo e vedere le tracce della rottura finché vivo. Forse se fossi più giovane... - sospirò. - Ma sono troppo vecchio per credere in questi sentimentalismi e per ricominciare. Troppo vecchio per portare quel peso di continue menzogne che accompagna la vita fatta di cortesi disillusioni. Non potrei vivere con te e mentirti; e non potrei certo mentire a me stesso. Non posso mentire neanche adesso. Vorrei potermi interessare di ciò che fai e di dove vai, ma non posso. -

Respirò brevemente e soggiunse: - Non è il caso, mia cara. -

Rossella lo guardò mentre saliva le scale ed ebbe l'impressione che il dolore la soffocasse. Il rumore dei suoi passi sul pianerottolo si allontanò; e con esso si allontanò l'ultima cosa al mondo che la interessava. Ella sapeva che nessun appello alla ragione o all'emozione avrebbe potuto mutare quel gelido verdetto. Sapeva che tutto ciò che egli aveva detto era il suo pensiero, anche se in certi momenti aveva parlato leggermente. Lo sapeva perché sentiva in lui qualche cosa di forte, di inflessibile, di implacabile... tutte le qualità che ella aveva cercato in Ashley senza trovarle.

Non aveva compreso nessuno degli uomini che aveva amato; e li aveva perduti entrambi. Ora si rendeva conto vagamente che se avesse compreso Ashley non lo avrebbe mai amato; e che se avesse compreso Rhett, non lo avrebbe mai perduto. E si chiese tristemente se aveva mai compreso nessuno al mondo.

Vi era adesso nella sua mente un'inerzia che si sarebbe potuta dire misericordiosa; un'inerzia che per lunga esperienza ella sapeva che avrebbe dato luogo fra breve a una sofferenza acuta, come i tessuti che, separati violentemente dal ferro del chirurgo, hanno un breve istante di insensibilità prima che cominci il loro tormento.

"Non voglio pensarci adesso" si disse cupamente, ricorrendo all'antico incantesimo. "Se penso che debbo perderlo, diventerò pazza. Ci penserò domani." Ma il suo cuore, scacciando l'incantesimo, cominciò a dolere. "Non posso lasciarlo andar via! Deve esserci un mezzo!"

- Non voglio pensarci adesso - ripeté ad alta voce, tentando di respingere la sua disperazione nel fondo della mente, cercando di trovare un riparo al fiotto crescente di patimento. - Voglio... Andrò a casa, a Tara, domani. -

E il suo spirito si risollevò impercettibilmente.

Era già tornata a Tara una volta, cacciata dallo spavento e dalla sconfitta; e dalle sue mura riparatrici era tornata forte e armata per la vittoria. Potrebbe - se Dio l'aiutasse! rifare ciò che aveva fatto una volta. Non sapeva come. Ora non voleva pensarci. Tutto ciò che desiderava adesso era un luogo di riposo dove poter soffrire, dove poter sanare le sue ferite; un rifugio dove potere studiare un piano di battaglia. Pensò a Tara; e fu come se una mano dolce e fresca si posasse furtivamente sul suo cuore. Le apparve la bianca casa che le dava il benvenuto tra le rosse foglie autunnali, sentì il tranquillo sussurro del crepuscolo che scendeva sopra di lei come una benedizione, udì la rugiada cadere sui verdi cespi ornati di un candore fioccoso, vide il colore rugginoso delle zolle e la tetra bellezza dei pini sulle colline ondulate.

Si sentì vagamente riconfortata da questo quadro; e la sua sofferenza e il suo frenetico rimpianto furono un poco attenuati. Per un attimo rimase a ricordare tante piccole cose: il viale di cedri che conduceva alla piantagione, i cespugli di gelsomini del Capo, di un verde vivido sul muro bianco, il fluttuare delle tendine candide. E vi sarebbe Mammy. Improvvisamente desiderò disperatamente Mammy, come l'aveva desiderata quando era una bambina, desiderò l'ampio seno su cui posare il capo, la mano nera e nodosa sui suoi capelli. Mammy, l'ultimo legame con gli antichi tempi.

Con lo spirito del suo popolo che non riconosce la sconfitta anche quando se la trova di fronte, rialzò il mento. Riconquisterebbe Rhett. Sapeva di poterlo fare. Non era mai esistito un uomo che ella non potesse avere, se lo voleva.

"Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarò più forte, allora. Domani penserò al modo di riconquistarlo. Dopo tutto, domani è un altro giorno."

 

FINE