- Oh no! Non farete questo! Mi farete morire! Siate buono, Rhett! Datemelo! -

- Per farlo diventare uno spauracchio come gli altri vostri cappelli? No, no!-

Ella afferrò la scatola. Quel delizioso cappellino che la faceva apparire così giovine e bella, darlo a un'altra? Mai! Per un attimo pensò all'orrore di Pitty e di Melania. Pensò ad Elena e rabbrividì. Ma la vanità fu più forte.

- Non lo cambierò. Prometto. Ora datemelo.-

Egli le diede la scatola con un sorrisetto sardonico e la osservò mentre si rimetteva il cappello e tornava ad ammirarsi.

- Quanto costa? - chiese a un tratto diventando seria. - Ho soltanto cinquanta dollari adesso; ma il mese venturo...-

- Costerebbe circa duemila dollari in denaro della Confederazione -rispose egli sorridendo della sua espressione desolata.

- Dio mio! Beh, posso darvi cinquanta adesso e poi...-

- Non voglio niente. È un regalo.-

Rossella spalancò la bocca. Il suo concetto, per quanto concerneva il ricevere regali dagli uomini, era molto preciso.

- Dolci e fiori, mia cara - aveva detto più volte Elena - e magari un libro di versi o un album o una boccetta di acqua di Florida sono le sole cose che una signora può accettare da un uomo. Mai, un dono dispendioso, neanche dal fidanzato. E mai un gioiello né un oggetto da mettere addosso: neanche guanti o fazzoletti. Accettare doni di questo genere autorizza un uomo a credere di non aver dinanzi una signora e a prendersi delle libertà.-

"Dio mio" pensò guardandosi prima nello specchio e poi volgendo lo sguardo sul volto impassibile di Rhett "non posso dirgli che non lo accetto. È troppo carino. Preferirei piuttosto che si prendesse qualche libertà... se si trattasse di una cosa da poco." Inorridì per aver avuto un simile pensiero e arrossì.

- Vi darò... vi darò cinquanta dollari...-

- Se lo fate, li getterò nel rigagnolo. O meglio, farò dire delle messe per la vostra anima. Sono sicuro che ne ha bisogno.-

Ella rise involontariamente, e il suo sorriso sotto quei riflessi verdi la decise istantaneamente.

- Ma che intenzioni avete? -

- Di tentarvi con dei bei regali finché avrò distrutto i vostri ideali fanciulleschi e sarete alla mia mercé. - Quindi soggiunse con aria di scherno: - Bisogna accettare soltanto dolci e fiori dagli uomini, cara! - ed ella scoppiò in una risata.

- Siete un furbacchione di tre cotte, Rhett Butler, e sapete che questo cappello è troppo carino perché io possa rifiutarlo.-

Gli occhi di lui la canzonavano, anche mentre la complimentavano per la sua bellezza.

- Potete dire a miss Pitty che mi avete dato un campione di taffetà verde, che mi avete fatto il disegno del cappello e che me lo avete pagato cinquanta dollari.-

- No. Dirò cento dollari e lei lo racconterà a tutta la città e tutte saranno verdi d'invidia e parleranno della mia stravaganza. Ma non dovete più portarmi oggetti così costosi, Rhett. Siete infinitamente gentile, ma io non posso accettare nient'altro.-

- Davvero? Invece vi porterò dei regali finché mi farà piacere e ogni volta che vedrò qualche cosa che ritengo adatto a mettere in valore la vostra bellezza. Vi porterò della seta verde per fare un vestito analogo al cappello. E vi avverto che non è gentilezza la mia. Ricordatevi che non faccio mai nulla senza ragione, e non dono mai una cosa senza calcolare che mi sarà ricambiata. E sono sempre ripagato.- I suoi occhi neri la fissarono e poi fissarono le sue labbra. Rossella abbassò i suoi, piena di eccitazione. Ecco, ora stava per prendersi qualche libertà, come aveva predetto Elena. La bacerebbe o cercherebbe di baciarla; e lei non sapeva che fare. Se rifiutava, egli le toglierebbe il cappello e lo darebbe a un'altra. D'altra parte, se gli permetteva un casto bacino, con la speranza di averne un altro egli le porterebbe ancora qualche bel regalo. Chi sa perché facevano tante storie per un bacio. Spesso, dopo un bacio si innamoravano ciecamente e diventavano estremamente divertenti, purché la ragazza avesse la prudenza di fare la sostenuta dopo il primo bacio. Sarebbe piacevolissimo vedere Rhett Butler innamorato e implorare un bacio o un sorriso. Sì, si lascerebbe baciare. Ma egli non fece alcun gesto.

Ella gli lanciò uno sguardo obliquo, di sotto in su, mormorando:

- Ah sì, siete sempre ripagato? E che cosa mi chiedete? -

- Questo rimane a vedersi.-

- Se credete che in cambio del cappello io sia disposta a sposarvi, vi sbagliate - ella riprese audacemente; e scosse la testa per agitare la piuma.

I denti bianchi di lui brillarono sotto ai baffetti.

- Vi lusingate, signora. Io non desidero sposare né voi né nessun'altra. Non sono un tipo matrimoniabile.-

- Davvero! - esclamò Rossella sbalordita; e convinta ormai che egli si sarebbe preso qualche libertà riprese: - Ma non sono neanche disposta a darvi un bacio.-

- E allora perché increspate la bocca in quel modo ridicolo? -

- Oh! - Lanciò un'occhiata allo specchio e scorse che veramente la sua rosea boccuccia era disposta come per un bacio. - Oh!- gridò ancora perdendo ogni controllo e pestando i piedi. - Siete l'uomo più detestabile che io abbia mai conosciuto e non voglio vedervi mai più! -

- Se aveste davvero quest'idea, calpestereste piuttosto il cappello. Però, come siete violenta e come vi si addice quest'espressione! Ma probabilmente lo sapete. Via, Rossella, pestate sotto i vostri piedini quel cappello per mostrarmi ciò che pensate di me e dei miei doni.-

- Non vi azzardate a toccarlo! - esclamò la giovine afferrando la tesa della cuffia e ritraendosi.

Egli la inseguì ridendo dolcemente e le prese le mani fra le sue.

- Siete così bambina, Rossella, che mi sento stringere il cuore. E giacché a quanto pare, vi aspettate di esser baciata, non vi deluderò.- Si curvò indolentemente e le sfiorò la guancia coi baffetti. - Ecco. E ora non vi pare che, per salvare le convenienze, dovreste darmi uno schiaffo?-

Con la bocca imbronciata, essa lo guardò e vide nei suoi occhi una tale espressione di divertimento che non poté fare a meno di scoppiare essa pure in una risata. Che tormento era, quell'uomo, e com'era esasperante! Ma se non aveva desiderio di sposarla e neanche di baciarla, che cosa voleva? E se non era innamorato di lei, perché veniva così spesso e perché le faceva dei regali?

- Così è meglio - riprese Butler. - Ma io ho una pessima influenza sopra di voi, Rossella; e se aveste una briciola di buon senso mi mandereste fuori dai piedi... sempre che ne foste capace. È difficile liberarsi di me. Ma sono un danno per voi.-

- Davvero? -

- Non ve ne accorgete? Da quando vi ho vista alla vendita di beneficenza, il vostro contegno è stato veramente scandaloso; e in massima parte la colpa è mia. Chi vi ha incoraggiata a ballare? Chi vi ha costretta ad ammettere che pensavate che la nostra gloriosa Causa non è né gloriosa né sacra? Chi vi ha aiutata a dare alle vecchie signore una buona quantità di materiale per spettegolare? Chi vi fa togliere il lutto troppo tempo prima di quello che vogliono le convenienze? E chi, infine, vi ha costretta ad accettare un dono che nessuna signora accetterebbe? -

- Vi lusingate, capitano Butler. Non ho fatto nulla di scandaloso; e se ho fatto qualche cosa di ciò che avete detto, è stato senza il vostro aiuto.-

- Ne dubito - e il suo volto divenne improvvisamente cupo. - Senza di me sareste ancora la vedova desolata di Carlo Hamilton, famosa per il bene che fa ai feriti. A meno che...-

Ma lei non lo ascoltava, perché si stava guardando di nuovo nello specchio, compiaciuta e pensando che il giorno stesso metterebbe quel cappello per andare all'ospedale a portar dei fiori agli ufficiali convalescenti.

Non si accorse della verità contenuta nelle ultime parole di lui. Non si rendeva conto che era stato lui ad aprirle la prigione della vedovanza; né che gli insegnamenti di Elena erano ormai molto lontani. Il mutamento era stato così graduale, che l'abbandono di una piccola convenzione sembrava non avesse alcun rapporto con l'abbandono di un'altra; e nessuna delle due cose con Rhett. Incoraggiata da lui, ella aveva dimenticato le più severe ingiunzioni di sua madre sulle convenienze, dimenticato le lezioni concernenti il contegno di una signora.

Vedeva soltanto che il cappello era il più grazioso del mondo, che non le costava un penny e che Rhett doveva essere innamorato di lei, lo ammettesse o no. E certo troverebbe modo di farglielo confessare.

 

L'indomani Rossella era dinanzi allo specchio col pettine in mano e la bocca piena di forcine cercando di acconciarsi i capelli in una nuova foggia che Maribella, di ritorno da una visita a suo marito a Richmond, aveva riferito che faceva furore nella capitale. Si chiamava "Gatto, topo e topolino"; i capelli erano divisi da una scriminatura centrale e disposti ai lati in tre boccoli digradanti. Il primo, il "gatto", e il secondo, il "topo", si fissavano con una certa facilità; ma il "topolino" sfuggiva dalle forcine in modo irritante. Ed ella era decisa a riuscire, perché Rhett doveva venire a cena; egli notava e commentava sempre qualsiasi innovazione nel suo abbigliamento.

Mentre lottava coi suoi riccioli ribelli, udì un passo precipitato nel vestibolo e riconobbe che era Melania di ritorno dall'ospedale. La udì fare i gradini a due per volta e si fermò pensando che doveva essere accaduto qualche cosa, perché Melania si muoveva sempre con decoro come una vera signora. Andò ad aprire la porta; Melania entrò a precipizio, rossa e affannata, come una bambina colpevole.

Aveva le lacrime agli occhi, il cappello sulla nuca, sospeso al collo dai nastri, e i cerchi delle gonne che si agitavano violentemente. Stringeva in mano qualche cosa; e un profumo violento e volgare invase la stanza al suo entrare.

- Oh, Rossella! - esclamò chiudendo l'uscio e piombando sul letto. -E' tornata la zia? No? Meno male! Sono così mortificata, Rossella, che vorrei morire! Sono quasi svenuta, e zio Pietro minaccia di dirlo a zia Pitty! -

- Dire che cosa? -

- Che ho parlato con quella... miss... - Melania si sventolò il viso accaldato col fazzoletto. - Quella donna coi capelli rossi, quella tale Bella Watling! -

- Ma come, Melania! - esclamò Rossella talmente scandalizzata da non saper dire altro.

Bella Watling era la donna che ella aveva visto per istrada il primo giorno del suo arrivo; ed era ormai la meretrice più nota ad Atlanta. Molte prostitute erano affluite nella città, seguendo soldati; ma Bella rimaneva alquanto al disopra delle altre, sia per i suoi capelli rossi, sia perché portava sempre delle belle vesti, benché molto vistose. La si vedeva raramente in Via dell'Albero di Pesco o altre strade eleganti; ma se per caso vi appariva, le signore si affrettavano ad attraversare la strada per evitare quel contatto. E Melania le aveva parlato! Non era da stupire che zio Pietro fosse indignato.

- Morirò se zia Pitty viene a saperlo! Lo direbbe a tutti quanti e io sarei disonorata... - singhiozzò Melania. - E non è stata colpa mia. Non ho potuto... non ho potuto piantarla in mezzo alla strada: non posso essere così sgarbata! Mi faceva tanta pena! Credi che faccio male a pensare così?-

Ma Rossella non si preoccupava della morale della faccenda. Come molte donne innocenti e bennate, aveva una curiosità divorante sul conto delle prostitute.

- Ma che voleva? Come parla? -

- Oh, è sgrammaticata; ma poveretta, ho visto che cercava di parlare il meglio possibile. Uscivo dall'ospedale e siccome non ho visto zio Pietro con la carrozza, ho pensato di tornarmene a piedi. E quando sono arrivata davanti alla casa degli Emerson, lei era nascosta dietro alla siepe. Ringraziamo Dio che gli Emerson sono a Macon! e mi ha detto: "Scusate, Signora Wilkes, ascoltate una parola." Non so come sapesse il mio nome. So che dovevo sottrarmi affrettando il passo ma... oh, Rossella, aveva l'aria così triste... come se pregasse. Era vestita di nero e non era dipinta, se non fosse stato per i capelli rossi, sembrava assolutamente come si deve. Prima che io potessi risponderle, ha continuato: "So che non dovrei rivolgervi parola, ma ho cercato di parlare con quella vecchia pavonessa della signora Elsing, che mi ha messa alla porta dell'ospedale." -

- L'ha proprio chiamata pavonessa? - fece Rossella contenta; e rise.

- Oh, non ridere! Non è una cosa divertente. Pare che miss... insomma, quella donna voglia fare qualche cosa per l'ospedale; capisci? Ha offerto di venire a fare l'infermiera e la signora Elsing dev'essersi sentita morire solo all'idea, e l'ha messa alla porta. E ha ripreso: "Eppure voglio fare qualche cosa. Non sono anch'io una Confederata come voi?" E ti assicuro che questo suo desiderio di rendersi utile mi ha commossa. Ho torto? -

- Per carità, Melania, chi vuoi che pensi se hai torto o ragione? Che altro ha detto? -

- Ha detto che è stata ad osservare le signore che andavano all'ospedale e... le è sembrato... che io avessi il viso dolce e così mi ha fermata. Aveva un po' di denaro e ha voluto darmelo perché io lo offrissi all'ospedale senza dirne la provenienza. Ha anche detto che la signora Elsing non permetterebbe di servirsene se sapesse che specie di denaro è. Che specie di denaro! E' stato allora che ho creduto di svenire. Ed ero così sconvolta e desiderosa di andarmene che le ho detto: "Ma sì, siete molto gentile" o qualche altra sciocchezza del genere; e allora lei ha sorriso dicendo: "Avete dei sentimenti veramente cristiani" e mi ha ficcato in mano questo fazzoletto. Puah, senti che razza di profumo?-

Tese a Rossella un fazzoletto da uomo sgualcito e fortemente profumato; alcune monete erano racchiuse in un nodo.

- Mi stava ringraziando e dicendo che mi porterà del denaro ogni settimana, quando è apparso zio Pietro con la carrozza e mi ha vista! - Melly scoppiò in lagrime e nascose la testa nel guanciale. - E quando ha visto con chi ero ferma... figurati, Rossella, ha arricciato il naso... e poi ha detto: "Tu salire subito in carrozza!" Naturalmente ho obbedito; e per tutta la strada Zio Pietro non ha fatto che rimproverarmi, senza lasciarmi parlare, minacciandomi di dirlo a zia Pitty. Vai da lui, Rossella, e pregalo di tacere. Forse ti darà retta. Zia Pitty morrebbe se venisse a sapere che ho guardato in faccia quella donna. Mi fai questo piacere? -

- Sì, vado. Ma guardiamo quanto denaro c'è qui dentro. Mi sembra pesante.-

Sciolsero il nodo e un gruppo di monete d'oro cadde sul letto.

- Cinquanta dollari! - esclamò Melania dopo averle contate. - E in oro! Credi, Rossella, che si possa adoperare questa specie... voglio dire, il denaro guadagnato... in questo modo per i nostri soldati? Non credi che Dio comprenderà il suo desiderio di far del bene e non darà importanza al fatto che questo denaro è insudiciato? Pensa a quanti bisogni ha l'ospedale...-

Rossella non l'ascoltava. Stava guardando il fazzoletto sgualcito e si sentiva invadere dalla collera e dall'umiliazione. Nell'angolo era ricamato un monogramma: "R. K. B." E nel suo cassetto era un fazzoletto identico a quello; un fazzoletto che Rhett Butler le aveva prestato il giorno prima per avvolgerlo intorno ai gambi dei fiori di campo che avevano raccolti. Pensava di restituirglielo stasera, quando veniva a cena.

Dunque Rhett aveva rapporti con quell'abbietta creatura e le dava del denaro. Ecco donde veniva il contributo per l'ospedale. E Rhett aveva la spudoratezza di guardare in faccia le signore perbene dopo essere stato con quella creatura! E lei aveva creduto che fosse innamorato di lei! Questo provava che la cosa era impossibile.

Le donne di malaffare e tutto quanto le concerneva erano per lei cose misteriose e ripugnanti. Sapeva che gli uomini proteggevano quelle donne per motivi che una signora non può neanche nominare... o se ne parlava, doveva essere bisbigliando, o indirettamente o con eufemismi. Ella aveva sempre creduto che solo uomini volgari andassero a visitare quelle donne. Non aveva mai pensato che uomini eleganti, sì, uomini come quelli che lei conosceva e coi quali ballava, facessero cose simili. Era un nuovo orizzonte che le si apriva dinanzi; e com'era orrendo! Forse tutti gli uomini facevano così! Non bastava che costringessero le mogli a compiere cose indecenti: andavano anche da donne di quel genere e le pagavano per quello! Oh, gli uomini erano abbietti e volgari; e Rhett Butler era il peggiore di tutti.

Gli sbatterebbe in faccia quel fazzoletto e poi lo metterebbe alla porta e non gli rivolgerebbe mai più la parola. Ma no; non poteva. Non poteva fargli sapere che conosceva l'esistenza di donne di malaffare e che gli uomini andavano a trovarle. Una signora non poteva far questo.

"Oh" pensò furibonda "se non fossi una signora, che cosa non direi a quel rettile!”

E appallottolando in mano il fazzoletto, scese in cucina a cercare zio Pietro. Nel passare dinanzi al fornello gettò il fazzoletto tra le fiamme e, con ira impotente, lo guardò bruciare.

14

Tutti i cuori meridionali erano pieni di speranza all'inizio dell'estate del 1863. Nonostante le privazioni e i disagi, nonostante gli speculatori e la penuria di cibo, nonostante le malattie e le sofferenze che avevano ormai segnato quasi ogni famiglia, gli Stati del Sud avevano ricominciato a dire: "Ancora una vittoria, e la guerra è finita"; e lo dicevano con maggior sicurezza che nell'estate precedente. Gli yankees avevano trovato una noce molto dura da schiacciare; ma finalmente riuscirebbero a infrangerla.

Il Natale del 1862 era stato lieto per Atlanta e per tutti gli Stati del Sud. La Confederazione aveva ottenuto una brillante vittoria a Fredericksburg e i morti e feriti yankee si contavano a migliaia. Le feste furono dunque gioiose per tutti; il popolo era pieno di gratitudine per il mutamento degli eventi. L'esercito confederato veniva ora chiamato "dei vincitori"; i generali avevano dato prova della loro abilità e tutti erano convinti che alla ripresa delle ostilità in primavera, gli yankees sarebbero stati battuti definitivamente.

La primavera giunse e la battaglia ricominciò. Nel mese di maggio la Confederazione ebbe un'altra grande vittoria, a Chancellorsville, e il paese esultò.

Una incursione della cavalleria dell'Unione era stata trasformata in un trionfo dei georgiani. Più tardi, in aprile, una nuova sorpresa della cavalleria yankee fu compiuta dal colonnello Streight con ottocento uomini, a circa sessanta miglia a nord di Atlanta. Avevano per scopo di tagliare la ferrovia di vitale importanza fra Atlanta e Tennessee, e quindi di procedere verso il Sud allo scopo di distruggere le fabbriche e i rifornimenti concentrati in Atlanta.

Era un colpo ardito e sarebbe stato assai duro per il Sud se non vi fosse stato il generale Forrest. Con una forza numerica tre volte inferiore, ma che uomini e che cavalieri!, era andato ad incontrarli, li aveva impegnati in una battaglia non lasciando loro requie né notte né giorno, e finalmente aveva catturato l'intero nucleo.

La notizia giunse ad Atlanta quasi contemporaneamente a quella della vittoria di Chancellorsville; e la città fu ancora piena di esultanza e di allegria. La vittoria di Chancellorsville poteva essere più importante della cattura della cavalleria di Streight; ma questa rendeva gli yankees assolutamente ridicoli.

- E' meglio non scherzare col vecchio Forrest - si diceva in giro allegramente.

La fortuna della Confederazione sembrava aver messo nuove ali. Veramente gli yankees, guidati da Grant, avevano assediato Vickshurg fin dalla metà di maggio. Veramente il Sud aveva sofferto una grave perdita, quando Stonewall Jackson era stato mortalmente ferito a Chancellorsville. Veramente la Georgia aveva perduto uno dei suoi più coraggiosi e brillanti condottieri, quando il generale Cobb era stato ucciso a Fredericksburg. Ma gli yankees non potevano sopportare altre sconfitte come queste ultime due. Dovevano cedere, e allora la guerra crudele finirebbe.

Nei primi giorni di luglio giunse la voce, più tardi confermata da telegrammi, che Lee marciava nel territorio di Pennsylvania. Lee in territorio nemico! Questa era veramente l'ultima battaglia!

Atlanta era piena di eccitazione, di gioia e di ardente sete di vendetta. Ora gli yankees vedrebbero che cosa significava aver la guerra nel proprio paese! Saprebbero che cos'era vedere i fertili campi sconvolti, il bestiame rubato, le case incendiate, gli uomini trascinati in prigione, le donne e i bambini affamati!

Tutti sapevano ciò che gli yankees avevano fatto nel Missouri, nel Kentucky, nel Tennessee e nella Virginia. Perfino i bimbi potevano narrare con odio e con paura gli orrori compiuti dagli yankees nel territorio conquistato. Atlanta era piena di rifugiati del Tennessee, i quali avevano raccontato i loro patimenti. Costoro gridavano affinché la Pennsylvania fosse messa a ferro e fuoco e perfino le donne più dolci e gentili avevano espressioni di feroce violenza.

Ma quando giunse la notizia che Lee aveva dato ordine che nessuna delle proprietà private in Pennsylvania doveva essere toccata sotto pena di morte, e che l'esercito avrebbe pagato tutto ciò che requisiva... oh, allora solo il rispetto che si aveva per lui poté conservargli la popolarità. Non bisognava toccar nulla nei ricchi magazzini di quel prospero Stato? Ma che pensava il generale Lee? E i nostri soldati che hanno tanta fame e che hanno bisogno di scarpe, di abiti e di cavalli?

Un biglietto frettoloso di Darcy Meade al dottore, la prima informazione diretta ricevuta in Atlanta in quel principio di luglio, passò di mano in mano con indignazione sempre crescente.

"Potresti cercare, babbo, di procurarmi un paio di scarpe? Sono scalzo da due settimane e non vedo possibilità di procurarmele. Se non avessi i piedi grandi, potrei, come i miei camerati, rifornirmi con quelle degli yankees morti; ma non ho ancora trovato nessuno coi piedi così grandi. Se riesci a procurarle non me le spedire. Qualcheduno le ruberebbe e non potrei dargli torto. Piuttosto metti Phill sul treno e mandamelo. Ti scriverò dove saremo. Per adesso non lo so; so soltanto che andiamo verso il nord. Siamo nel Maryland e tutti dicono che andiamo in Pennsylvania.

"Credevo che avremmo fatto assaggiare agli yankees la loro stessa medicina; ma il generale ha detto "no", e per conto mio non desidero affatto farmi fucilare per il piacere d'incendiare una casa yankee. Oggi abbiamo marciato attraverso i più grandi campi di grano che io abbia mai visto. È di una qualità diversa dal nostro. Debbo confessare che abbiamo fatto un po' di bottino di questo grano perché abbiamo molta fame e quello che si fa senza che il generale veda, non può meritar punizione. Ma il grano verde ci ha fatto male. Tutti i miei compagni avevano la dissenteria e quel grano l'ha aggravata. È più facile camminare con una gamba ferita che con la dissenteria. Ti raccomando, papà; cerca di procurarmi le scarpe.

"Ora sono capitano e un capitano dovrebbe essere calzato, anche se non ha un'uniforme nuova e le spalline."

Ma l'esercito era in Pennsylvania, e questo era l'importante. Ancora una vittoria e la guerra sarebbe finita; e allora Darcy Meade potrebbe avere tutte le scarpe che voleva e i ragazzi tornerebbero a casa e tutti sarebbero felici. Gli occhi della signora Meade si riempivano di lagrime quando ella si raffigurava il figliolo soldato, finalmente di ritorno per rimanere a casa.

Il tre di luglio il telegrafo tacque improvvisamente. Fu un silenzio che durò sino al mezzogiorno del quattro, quando notizie frammentarie cominciarono a giungere al quartier generale di Atlanta. Vi era stata una violenta battaglia in Pennsylvania, presso una piccola città chiamata Gettysburg; una grande battaglia a cui aveva preso parte tutto l'esercito di Lee. La notizia era incerta perché la battaglia era stata combattuta in territorio nemico; e l'informazione era venuta attraverso Maryland, poi era giunta a Richmond e da qui ad Atlanta.

L'attesa divenne ansiosa e un certo spavento cominciò a serpeggiare per la città. Le famiglie che avevano dei figlioli al fronte pregavano ardentemente che essi non si trovassero in Pennsylvania, ma coloro che li sapevano nello stesso reggimento di Darcy Meade, stringevano i denti e dicevano che era un onore per essi trovarsi alla grande battaglia che avrebbe sconfitto gli yankees per sempre.

Nella casa della zia Pitty le tre donne si guardavano negli occhi con un terrore che non riuscivano a nascondere. Ashley era nel reggimento di Darcy.

Il giorno cinque giunsero cattive informazioni, non dal nord, ma dall'ovest. Vicksburg era caduta, dopo lungo e amaro assedio; e praticamente tutto il Mississippi, da Saint-Louis a Nuova Orleans, era nelle mani degli yankees. La Confederazione era tagliata in due. In qualsiasi altro momento la notizia di questo disastro avrebbe dato luogo a paura e lamentazioni. Ma ora non si poteva troppo pensare a Vicksburg; vi era la preoccupazione di Lee in Pennsylvania. La perdita di Vicksburg non sarebbe stata una catastrofe se Lee avesse vinto. Da quella parte, ad est, erano Filadelfia, Nuova York, Washington. La loro cattura paralizzerebbe il nord e neutralizzerebbe la disfatta sul Mississippi.

Le ore passavano e l'ombra cupa della calamità si addensava sulla città. Dovunque capannelli di donne si formavano dinanzi ai porticati, sui marciapiedi, perfino in mezzo alla strada, dicendosi che nessuna nuova è buona nuova, tentando di confortarsi a vicenda, cercando di darsi coraggio. Ma la voce spaventosa che Lee era ucciso, la battaglia perduta, e che vi era un'enorme quantità di morti e feriti si diffuse nelle strade tranquille della città come un stormo veloce di pipistrelli.

Benché increduli, tutti, agitati dal panico, si precipitarono ai giornali, al Quartier Generale, chiedendo notizie, qualsiasi notizia, anche cattiva.

Al deposito si formò una vera folla che sperava avere informazioni dai treni in arrivo; all'ufficio telegrafico, dinanzi al Quartier Generale, erano strane folle silenziose e che diventavano sempre più dense. Nessuno parlava. A quando a quando la voce tremante di un vecchio chiedeva se si sapeva nulla; ma l'inesorabile risposta era sempre uguale: - Nessun telegramma ancora dal nord, se non la conferma che stanno combattendo. - Le donne che giungevano a piedi e in carrozza erano sempre più numerose, e il calore che emanava quella moltitudine e la polvere sollevata dai piedi irrequieti erano soffocanti. Nessuna parlava, ma i volti pallidi avevano una muta eloquenza più efficace di ogni lamento.

Ben poche erano le famiglie in città che non avevano al fronte un figlio, un fratello, un padre, un amante, un marito. Tutti attendevano di udire che la morte aveva bussato alla loro casa. Attendevano la morte, non la sconfitta. Questo era un pensiero che non entrava nelle loro menti. Potevano morire a migliaia; ma, come i denti del dragone, altre migliaia di uomini, col grido dei ribelli sulle labbra, scaturirebbero dalla terra a prendere il loro posto. Nessuno sapeva da dove questi uomini sarebbero venuti Ma erano certi, come erano certi che in Cielo regnava un Dio giusto e vigilante, che Lee era miracoloso, e l'esercito della Virginia invincibile.

 

Rossella, Melania e Pittypat erano sedute nella loro carrozza dinanzi all'ufficio del "Daily Examiner". Le mani di Rossella erano così malferme che il suo ombrellino le tentennava sopra la testa. Pitty era tanto eccitata che il suo naso tremava come quello di un coniglio; ma Melania sedeva come una statua di pietra con gli occhi neri che si dilatavano sempre più. Fece una sola osservazione in due ore, tirando fuori dalla sua reticella una boccetta di sali e porgendola alla zia; e fu la sola volta, in tutta la sua vita, che le parlò in modo non garbato.

- Tieni, zia e servitene se ti senti svenire. Ti avverto che se svieni ti farai portare a casa da zio Pietro, perché io non intendo muovermi da qui finché non so qualche cosa di... finché non so. E non lascerò andar via Rossella.-

Rossella non aveva alcuna intenzione di andarsene. No, neanche se Pitty fosse morta, ella avrebbe lasciato il luogo dove poteva avere notizie di Ashley. Egli era in battaglia, forse stava morendo; e la redazione del giornale era l'unico luogo dove si poteva sapere la verità.

Diede un'occhiata alla folla, riconoscendo amici e vicini. La signora Meade col cappello di traverso e il braccio in quello del figliolo quindicenne; le signorine McLure che cercavano di mordersi le labbra tremanti; la signora Elsing, dritta come una madre spartana, che rivelava l'interna agitazione soltanto tirandosi i cernecchi grigi che pendevano fuori dal cappello; e Fanny Elsing, pallida come uno spettro. (Certamente Fanny non poteva essere così turbata per suo fratello Ugo. Aveva forse al fronte uno spasimante che nessuno sospettava?) La signora Merriwether sedeva nella sua carrozza accarezzando la mano di Maribella. Questa si drappeggiava alla meglio nel suo scialle per cercar di nascondere l'imminente maternità. Ma perché era così preoccupata? Nessuno aveva udito che le truppe della Luisiana fossero in Pennsylvania; sicché probabilmente il suo piccolo zuavo era sano e salvo a Richmond.

Vi fu un movimento tra la folla, la quale si scansò per dar passaggio a Rhett Butler che spingeva il suo cavallo verso la carrozza di zia Pitty. Rossella pensò: "Ci vuole un bel coraggio a venir qui in questo momento, in cui basterebbe un nonnulla perché questa folla lo facesse a pezzi, unicamente perché non è in uniforme".

Mentre egli si avvicinava, ella pensò che volentieri si sarebbe scagliata per la prima contro di lui. Come osava mostrarsi su quel bel cavallo, con le scarpe lucide e uno splendido vestito di lino bianco, elegante e ben nutrito e con un magnifico sigaro in bocca, mentre Ashley e tutti gli altri combattevano gli yankees a piedi nudi, affamati, stremati dal caldo e rovinati dalla dissenteria.

Mentre egli si avvicinava lentamente attraverso la calca, alcuni gli lanciarono sguardi indignati. La signora Merriwether, che non temeva nulla, si sollevò leggermente nella sua carrozza e disse ad alta voce: - Speculatore! - con un tono pieno di veleno. Egli non badò a nessuno, ma sollevò il cappello per salutare Melly e zia Pitty. Quindi, avvicinandosi a Rossella, si curvò e le bisbigliò: - Non credete che sarebbe questo il buon momento per il dottor Meade, per pronunciare il suo solito discorso sulla vittoria che si posa come un'aquila ad ali spiegate sulle nostre bandiere?-

Coi nervi tesi dall'angoscia, ella si volse come un gatto infuriato, con le parole che le si affollavano sulle labbra. Ma egli la trattenne col gesto.

- Sono venuto per dirvi, signore - disse ad alta voce, - che sono stato al Quartier Generale e che stanno giungendo le prime liste dei feriti e dei caduti.-

A queste parole un mormorio si levò fra quelli abbastanza vicini per udire e la folla si agitò, pronta ad accorrere verso il Quartiere Generale.

- Non andate - gridò egli drizzandosi sulla sella e agitando una mano. - Le liste sono state mandate a tutti e due i giornali e si stanno stampando. Rimanete dove siete.-

- Oh, capitano Butler - esclamò Melly volgendosi a lui con gli occhi pieni di lacrime. - Come siete stato buono a venircelo a dire! Quando saranno pronte? -

- Fra pochi minuti, signora. È già mezz'ora che le hanno ricevute. Il maggiore non ha voluto che si sapesse, finché non erano stampate, per timore che la folla facesse troppa ressa negli uffici. Oh, guardate!-

Una finestra della redazione si era aperta e una mano che reggeva un fascio di bozze di stampa umide d'inchiostro e con lunghe file di nomi, si sporse. La folla lottò per averle, strappandosele; quelli avanti cercando di leggere e quelli dietro spingendosi in avanti.

- Tenete le redini - disse Rhett brevemente a zio Pietro, balzando a terra. Videro le sue larghe spalle emergere dalla folla mentre egli si spingeva innanzi facendosi largo brutalmente. In un attimo fu di ritorno tenendo fra le mani una mezza dozzina di bozze. Ne diede una a Melania e distribuì le altre fra le signore più vicine: le signorine McLure e le signore Merriwether, Meade, Elsing.

- Presto, Melly - gridò Rossella col cuore in gola, esasperata nel veder che le mani di Melly tremavano talmente che le era impossibile leggere.

- Prendila tu - sussurrò Melania; e Rossella le strappò il foglio. Il W. Dov'era il W? Oh, proprio in fondo e tutto imbrattato. - White... -lesse; e la sua voce tremò. - Wilkins... Zebulon... Non c'è, Melly!... Non c'è!... Per carità, zia! Melly, i sali! Sorreggila!-

Melly, piangente di felicità, sorresse il capo di Pitty tenendole i sali sotto al naso. Rossella l'abbracciò dall'altra parte, col cuore che le danzava di gioia. Ashley era vivo. Neanche ferito. Com'era stato misericordioso il buon Dio! Come...

Udì un gemito e volgendosi vide Fanny Elsing col capo sul seno di sua madre; la lista dei colpiti era caduta sul pavimento della carrozza; vide le labbra della signora Elsing tremare mentre stringeva la figlia tra le braccia e diceva piano al cocchiere: - A casa. Presto.- Rossella diede una rapida occhiata alla lista. Ugo non era tra i feriti. Fanny doveva avere avuto un innamorato che era morto. La folla si aperse con simpatia per lasciar passare la carrozza degli Elsing, seguita dal legnetto delle ragazze McLure. La signorina Fede guidava, col viso impietrito; e sua sorella, seduta accanto a lei, era rigida e si teneva attaccata alla sua gonna. Sembravano due vecchie. Il loro giovine fratello Dallas era il loro tesoro e l'unico parente maschio che avessero al mondo. E Dallas era morto.

- Melly! Melly! - gridò Maribella con voce gioiosa. - Renato è salvo! E anche Ashley! Oh, ringraziamo Dio! - Lo scialle le era scivolato giù dalle spalle, sicché la sua gravidanza era visibilissima; ma questa volta né lei né sua madre vi fecero caso. - Mrs. Meade! Renato...- Ma la sua voce mutò istantaneamente. - Guarda, Melly, Oh, Mrs. Meade, per carità! Forse Darcy...-

La signora Meade aveva il capo chino e non lo risollevò udendo pronunciare il proprio nome; ma il volto del piccolo Phil accanto a lei era un libro aperto in cui ognuno poteva leggere.

- Mamma, mamma, ti supplico... - continuava a ripetere smarrito.

La signora Meade alzò gli occhi e incontrò lo sguardo di Melania.

- Ora non avrà più bisogno delle scarpe - disse piano.

- Dio, Dio! - singhiozzò Melania appoggiando zia Pitty sulla spalla di Rossella e balzando dalla sua carrozza per accorrere verso quella in cui si trovava la moglie del dottore.

- Mamma, ti rimango io - mormorò Phil in un disperato sforzo di confortare la donna dal volto pallido e impietrito. - E se mi lasci andare, ucciderò tutti gli yank...-

La signora Meade gli afferrò il braccio come per trattenerlo: - No! - disse con voce strozzata come se stesse soffocando.

- Taci, Phil! - impose Melania salendo e abbracciando la povera madre. - Credi che sia consolante per lei il pensiero che anche tu possa cadere? A casa, presto! - ordinò poi; e mentre Phil raccoglieva le redini si volse a Rossella. - Appena avrai riaccompagnato a casa la zia, vieni da Mrs. Meade. Capitano Butler, potete andare ad avvertire il dottore? È all'ospedale.-

La carrozza si mosse attraverso la folla che si andava diradando. Alcune donne piangevano di gioia; ma le altre sembravano troppo sbalordite per rendersi completamente conto della sventura che le colpiva. Rossella chinò la testa a guardare la lista, scorrendola velocemente per trovarvi i nomi di conoscenti. Ora che Ashley era salvo, poteva pensare agli altri. Dio, com'era lunga quella lista! E quante persone di Atlanta, della Georgia!

Dio benedetto! - Calvert...Roberto, luogotenente. Roby! - A un tratto ricordò il giorno, così lontano, in cui erano scappati di casa, ma al cader della notte erano tornati perché avevano fame e il buio li spaventava.

- Fontaine...Giuseppe, soldato semplice. - Il piccolo Joe, così irritabile! E Sally che aveva appena avuto il bambino!

- Munroe...Lafayette, capitano. - Il fidanzato di Catina Calvert. Povera Catina! Doppia perdita: il fratello e il futuro sposo.. Ma la perdita di Sally era anche maggiore: il fratello e il marito.

Aveva quasi paura di continuare a leggere.

Certo... certo doveva esservi errore. Non potevano esservi tre "Tarleton" nella lista. Forse lo stampatore frettoloso...Ma no. Ecco. - Tarleton... Brenton, luogotenente. Tarleton...Stuart, caporale. Tarleton... Tommaso, soldato. - E Boyd, morto nel primo anno di guerra, era sepolto Dio sa dove, nella Virginia. Tutti i ragazzi Tarleton. Tom e i due indolenti gemelli che amavano tanto chiacchierare e giocare; e Boyd che aveva la grazia di un maestro di danza e la lingua di una vespa.

Non poté leggere oltre. Impossibile vedere se qualche altro di quei ragazzi coi quali era cresciuta e aveva ballato, civettato, scambiato qualche bacio, era nella lista. Avrebbe voluto piangere, liberarsi dalle dita d'acciaio che le stringevano la gola.

- Mi dispiace, Rossella. - Era la voce di Rhett. Ella alzò gli occhi. Aveva dimenticato la sua presenza. - Molti dei vostri amici?-

Ella annuì e tentò di parlare. - Quasi tutte le famiglie della Contea e... tutti e tre i ragazzi Tarleton.-

Il volto di lui era tranquillo, quasi cupo; nei suoi occhi non vi era ombra di scherno.

- E non è ancora finita - disse. - Queste sono le prime liste e sono incomplete. Domani ve ne sarà una più lunga. - Abbassò la voce per non farsi udire dalle carrozze vicine. - Rossella, il generale Lee deve aver perduto la battaglia. Ho sentito dire al Quartier Generale che si è ritirato nel Maryland.-

Ella alzò gli occhi sgomenta; ma il suo spavento non dipendeva dalla notizia della disfatta di Lee. Un'altra lista domani! Domani. Non aveva pensato a questo, felice soltanto che il nome di Ashley non fosse fra quelli che aveva dinanzi agli occhi. Domani. Forse in questo momento poteva esser morto, e lei non lo saprebbe che domani. O forse, fra una settimana.

- Ma perché, Rhett, si fanno le guerre? Sarebbe stato meglio che gli yankees avessero pagato per i negri... o che noi li avessimo liberati, piuttosto che far succedere questo! -

- Non si tratta dei negri, Rossella. Quello non è che un pretesto. Le guerre vi sono state sempre perché gli uomini amano la guerra. Le donne no, ma gli uomini... sì, più di quanto non amino le donne.-

La sua bocca si piegò al sorriso consueto. Egli sollevò il largo cappello di panama.

- Arrivederci. Vado a cercare il dottor Meade. È un'ironia della sorte che proprio io vada a dargli la notizia della morte di suo figlio; ma forse non se ne accorgerà neppure. Più tardi, probabilmente troverà orribile pensare che uno speculatore abbia recato la notizia della morte di un eroe.-

Rossella mise zia Pitty a letto e dopo averle dato una bevanda a base di alcool, zucchero e acqua, la lasciò in custodia di Prissy e della cuoca e discese in istrada affrettandosi alla casa dei Meade. La signora era nella sua camera, al primo piano, insieme con Phil, attendendo il ritorno del marito; Melania, nel salotto a pianterreno, parlava a bassa voce in un gruppo di vicini. Si affaccendava con aghi e forbici a modificare una veste di lutto che la signora Elsing aveva prestato alla sua disgraziata amica. Tutta la casa era piena dell'odore acre della tintura nera che bolliva in un'enorme caldaia, dove la cuoca rimestava singhiozzando tutti gli abiti della sua padrona.

- Come sta? - chiese dolcemente Rossella.

- Neanche una lacrima - rispose Melania. - E' terribile quando una donna non può piangere. Dice che andrà in Pennsylvania per riportare a casa la salma. Il dottore non può lasciare l'ospedale.-

- Ma sarà terribile! Perché non mandare Phil? -

- Perché teme che vada a raggiungere l'esercito. Sai che è alto per la sua età; e ora li prendono anche di sedici anni.-

Ad uno ad uno i vicini uscirono alla chetichella; nessuno teneva ad esser presente quando il dottore sarebbe rientrato. Melania e Rossella rimasero sole nel salotto a cucire. Melania era triste ma tranquilla; ogni tanto una lacrima cadeva sulla stoffa che aveva tra le mani. Ma evidentemente non aveva pensato che forse la battaglia stava continuando e che Ashley poteva anche esser morto. Col cuore angosciato, Rossella non sapeva se era meglio riferire a Melania le parole di Rhett, per avere il conforto di condividere il suo nuovo turbamento, o conservarlo per sé. Finalmente si attenne a quest'ultimo partito.

Dopo un intervallo di silenzio, udirono rumore in istrada e, guardando attraverso le tende, scorsero il dottore che scendeva da cavallo. Aveva le spalle curve e il capo chino. Entrò lentamente e dopo aver deposto il cappello e la borsa, baciò le giovani donne senza parlare. Quindi salì le scale con passo stanco. Dopo un momento esse videro scendere Phil; tutto braccia, tutto gambe e tutto goffaggine. Gli accennarono di sedersi accanto a loro, ma il ragazzo andò a sedere sui gradini sotto il porticato, nascondendo il capo tra le mani.

Melly sospirò.

- E' furibondo perché non vogliono lasciarlo andare a combattere. A quindici anni! Che gioia dev'essere, Rossella, avere un figlio così! -

- E mandarlo a farsi ammazzare? - replicò Rossella brevemente, pensando a Darcy.

- Meglio avere un figlio, anche se dovesse essere ucciso, che non averne - ribatté Melania ingoiando un singhiozzo. - Tu non puoi capire, perché hai il piccolo Wade, ma io... Oh, Rossella, come desidero un bimbo! Forse ho torto a dirlo, proprio adesso; ma questo è ciò che ogni donna desidera... E nessuno lo sa meglio di te.-

Rossella fece uno sforzo per non sogghignare.

- Se Dio permettesse che Ashley... credo che non potrei sopportarlo; se egli morisse morrei anch'io. Se invece avessi un figlio suo per consolarmi della sua scomparsa... Oh, Rossella, come sei fortunata! Ti è rimasto un bambino di Carlo... Ed io, se Ashley morisse.. . io non ho nulla, nulla! Perdonami, Rossella, ma a volte sono tanto gelosa di te...-

- Gelosa... di me? - esclamò Rossella spaventata.

- Sì, perché tu hai un bambino e io no. A volte mi illudo perfino che Wade sia mio, perché è terribile non averne!-

"Quante storie!" pensò Rossella con sollievo. Lanciò un'occhiata rapida alla figuretta sottile che chinava sul cucito il volto invaso da rossore. Melania poteva desiderare un bimbo, ma certo non aveva la figura adatta per la maternità. Era poco più alta di una fanciulletta di dodici anni; aveva i fianchi stretti e il seno piatto. Il solo pensiero che ella potesse mai avere un bimbo da Ashley era insopportabile per Rossella; le sarebbe quasi sembrato di esser defraudata di qualche cosa di suo.

- Perdonami quello che ti ho detto a proposito di Wade. Sai che gli voglio tanto bene... Non sei in collera con me? -

- Non far la sciocca - replicò Rossella brevemente. - Piuttosto vai nel porticato a dire qualche cosa a Phil. Sta piangendo.-

15

L'esercito, ricacciato nella Virginia, si ritrasse per i quartieri d'inverno sul Rapidan: un esercito stanco e demoralizzato dopo la sconfitta di Gettysburg; e poiché il Natale si avvicinava, Ashley venne a casa in licenza. Rossella, rivedendolo per la prima volta dopo due anni, ebbe paura della violenza dei propri sentimenti. Allora, quando lo aveva visto nel salotto delle Dodici Querce, sposo di Melania, aveva creduto che non potrebbe mai amarlo con più intensità; ma ora si rendeva conto che i sentimenti di quella sera lontana assomigliavano a quelli di una bimba a cui vien tolto un giocattolo, mentre ora la sua emozione era acutizzata dal lungo pensare, dal lungo sognare e dal ritegno che era stata costretta ad imporsi.

Questo Ashley Wilkes, nella sua uniforme scolorita, coi capelli biondi arsi dal sole di due estati, era assai diverso dal giovinotto distratto e trasognato che ella aveva amato disperatamente prima della guerra. Era magro e abbronzato, mentre prima era chiaro di carnagione è ben proporzionato di membra; i lunghi baffi biondi che gli ricadevano sulla bocca erano l'ultima pennellata occorrente a farne il quadro di un perfetto soldato.

Si teneva dritto militarmente nella sua logora uniforme, con la pistola nella fondina consumata e il fodero della sciabola deformato che batteva elegantemente sugli stivaloni dagli sproni opachi: il maggiore Ashley Wilkes, C. S. A. (Confederate States of America). In lui si scorgeva ora l'abitudine del comando, un'aria di autorità e di sicurezza di sé; ai lati della sua bocca cominciava a disegnarsi qualche ruga. Vi era un non so che di nuovo e di strano nella forma quadrata delle sue spalle, nella lucentezza fredda dei suoi occhi. Mentre una volta appariva pigro e indolente, ora era svelto come un gatto, con la continua tensione di chi ha i nervi sempre tesi come corde di violino. I suoi occhi avevano un'espressione di stanchezza e di tormento; e la sua pelle arsa dal sole era tesa sulle ossa sottili del volto... Era sempre il suo bell'Ashley, ma tanto diverso.

Rossella aveva progettato di passare il Natale a Tara; ma dopo il telegramma di Ashley nessuna forza al mondo, neanche un ordine di Elena, avrebbe potuto strapparla da Atlanta. Se Ashley avesse pensato di andare alle Dodici Querce, si sarebbe affrettata ad accorrere a Tara per essergli accanto; ma egli aveva scritto ai suoi che lo raggiungessero ad Atlanta; e il signor Wilkes, insieme a Lydia e Gioia, erano già arrivati. Andare a Tara e privarsi di vederlo, dopo due anni? Privarsi del suono della sua voce, privarsi di leggere nei suoi occhi che egli non l'aveva dimenticata? Mai! Per nulla al mondo!

Ashley giunse quattro giorni prima di Natale, con un gruppo di giovani della Contea essi pure in licenza; un gruppo dolorosamente diminuito dopo Gettysburg. Fra essi era Cade Calvert; un Cade sparuto che tossiva continuamente; due dei Munroe, eccitatissimi perché era la loro prima licenza, dal 1861, e Alex e Toni Fontaine, tutti e due magnificamente ubriachi, impetuosi e attaccabrighe. Il gruppo aveva una sosta di due ore fra un treno e l'altro; per impedire ai Fontaine di litigare fra loro o con gli addetti al deposito, Ashley li condusse tutti quanti a casa di zia Pitty.

- Come se non bastasse quello che hanno fatto in Virginia - osservò amaramente Calvert guardandoli che disputavano già come due galletti su chi sarebbe il primo a baciare zia Pitty, commossa e lusingata. - Ma non hanno fatto altro che bere e questionare da quando siamo arrivati a Richmond. Sono anche stati messi agli arresti e avrebbero passato il Natale in prigione, se non si fosse intromesso Ashley.-

Ma Rossella non lo ascoltava neppure, troppo felice di trovarsi nuovamente nella stessa stanza in cui si trovava Ashley. Come poteva in quei due anni aver pensato che altri uomini erano belli o simpatici? Come aveva sopportato che le facessero la corte mentre c'era Ashley al mondo? Eccolo nuovamente a casa, separato da lei soltanto dalla larghezza di un tappeto; ed ella aveva bisogno di tutte le sue forze per non sciogliersi in lagrime di felicità ogni volta che lo guardava, seduto sul divano con Melly da una parte e Lydia dall'altra e Gioia appoggiata alla spalliera. Se avesse anche lei il diritto di sedergli accanto con un braccio passato sotto al suo! Se potesse almeno accarezzare un momento la sua manica, per essere ben certa della sua presenza... o tenergli una mano o servirsi del suo fazzoletto per asciugare le proprie lagrime di gioia! Melania faceva tutte queste cose senza vergognarsi. Troppo felice per essere timida e riservata, era in adorazione dinanzi a suo marito, con gli occhi, col sorriso, con le lacrime. E Rossella era troppo felice per esser gelosa!

Ogni tanto si portava la mano sulla guancia che egli aveva baciata e risentiva l'emozione di quel momento. Certo non l'aveva salutata subito. Melania si era gettata fra le sue braccia, gridando incoerentemente, stringendolo come se non volesse più staccarsi da lui. E poi, Lydia e Gioia lo avevano abbracciato, strappandolo dolcemente alla moglie. Quindi Ashley aveva abbracciato suo padre; un abbraccio dignitoso che dimostrava la serenità del profondo sentimento che li legava. Poi zia Pitty che saltellava qua e là, tutta eccitata. E finalmente si era volto verso di lei che era circondata dai giovinotti che reclamavano un bacio, ed aveva esclamato: - Oh Rossella! Come siete sempre carina! - E l'aveva baciata sulla guancia. Quel bacio le fece dimenticare tutte le frasi di benvenuto che aveva pensato di dirgli. Solo dopo molte ore ricordò che egli non l'aveva baciata sulle labbra. E allora pensò come sarebbe stato il loro incontro se fossero stati soli: egli avrebbe curvato la sua alta statura e lei si sarebbe rizzata in punta di piedi per sentirsi stringere a lungo. E poiché tale pensiero la rendeva felice, ella si convinse che questo potrebbe veramente accadere. Ma c'era tempo per tutto: una settimana intera! Senza dubbio ella riuscirebbe a trovarsi sola con lui e gli direbbe: “Vi ricordate le nostre cavalcate per i sentieri solitari? Vi ricordate come splendeva la luna quella notte in cui voi sedeste sui gradini di Tara e recitaste una poesia? (Dio mio! Che poesia era?) Vi ricordate quel giorno che mi feci male alla caviglia e voi mi riportaste a Tara fra le vostre braccia?”

Quante cose avrebbe potuto dirgli cominciando con le parole "vi ricordate"! Tanti episodi che lo riporterebbero ai bei giorni, quando andavano in giro per la Contea come i ragazzi spensierati; l'epoca in cui Melania Hamilton non era ancora entrata in scena. E forse ella leggerebbe nei suoi occhi una rapida emozione che le farebbe comprendere che, nonostante l'affetto coniugale per Melania, egli le voleva ancora bene, come quel giorno del banchetto, quando la verità gli era uscita di bocca suo malgrado. Non si fermava a pensare che cosa farebbe se Ashley le rivelasse il suo amore in parole inequivocabili... Le basterebbe sapere che le voleva ancora bene... Lo accarezzasse pure, Melania; ella saprebbe aspettare. Del resto, che cosa sapeva dell'amore quella candida creatura?

- Amor mio, sembri un pezzente - disse Melania dopo che la prima eccitazione fu calmata. - Chi ti ha rattoppato l'uniforme e perché hanno adoperato dei pezzi di un altro colore? -

- Mi illudevo di essere elegantissimo - rispose Ashley. - Confronta la mia tunica con quelle degli altri e saprai apprezzare lo splendore di questi rattoppi. È stato Mosè che li ha fatti; e pensa che prima della guerra non aveva mai tenuto in mano un ago. Quanto ai rattoppi turchini... bisognava scegliere fra avere i buchi o chiuderli con pezzi di uniformi dei prigionieri yankee... Non c'era altro da fare. Quanto al sembrare un pezzente, ringrazia Dio che tuo marito non sia tornato a casa scalzo. La settimana scorsa ho dovuto dare addio alle mie vecchie scarpe, e sarei tornato a casa coi piedi avvolti in pezze di tela, se non avessimo avuto la fortuna di far la pelle a due "esploratori" yankee. Le scarpe di uno di loro mi andavano alla perfezione.-

Stese le lunghe gambe per fare ammirare le calzature.

- Invece quelle dell'altro per me non vanno affatto - fece Calvert. - Troppo piccole e mi stanno facendo soffrire il martirio! Ma arriverò a casa in perfetto stile! -

- E quell'egoistaccio non ha voluto darle a uno di noi - interloquì Toni - mentre sarebbero andate benissimo al nostro aristocratico piedino. Mi vergogno di arrivare dalla mamma con queste ciabatte. Prima della guerra ella non avrebbe permesso neanche a uno dei nostri schiavi di portarle! -

- Non ci badare - esclamò Alex guardando le scarpe di Cade. -Gliele toglieremo quando saremo in treno. Della mamma non m'importa, ma... non voglio che Dimity Munroe mi veda con le dita che escono dai calzini! -

- Sicuro, sono mie - riprese Toni venendo in soccorso di suo fratello. - Sono stato io il primo a reclamarle.-

Ma Melania, prevedendo una delle famose liti dei Fontaine, intervenne a metter pace.

- Avevo una magnifica barba - riprese Ashley. - Una delle più belle dell'esercito. Ma quando siamo arrivati a Richmond, quelle due canaglie - e indicò i Fontaine - hanno deciso che siccome loro si facevano radere, io dovevo fare altrettanto.-

A Rossella sembrò che egli parlasse febbrilmente, per impedire che gli fossero rivolte delle domande a cui non voleva rispondere. Vide i suoi occhi abbassarsi e rialzarsi sotto lo sguardo turbato di suo padre; e allora, un po' perplessa, si chiese che cosa poteva nascondersi nel cuore di Ashley. Ma questo pensiero svanì subito, perché nella sua mente non poteva esservi altro se non un senso di delirante felicità e la speranza di potersi trovare sola con lui.

Quella felicità durò finché tutti quanti intorno al caminetto cominciarono a sbadigliare, e il signor Wilkes e le figlie si accomiatarono per tornare all'albergo. Allora, quando Ashley, Melania, Pittypat e Rossella salirono le scale illuminate da zio Pietro, un brivido ghiaccio le attraversò il cuore. Fino a quel momento Ashley era stato suo, soltanto suo, anche se in tutto il pomeriggio ella non aveva potuto scambiare una parola con lui. Ma ora, augurando la buona notte, vide che le guance di Melania erano di porpora e che essa tremava. Vide pure che la sua espressione era timida ma felice e che quando Ashley aperse l'uscio della loro camera, essa scivolò dentro senza alzare gli occhi. Ashley disse "buona notte" bruscamente e richiuse l'uscio senza più guardarla. Rossella rimase a bocca aperta, improvvisamente desolata. Ashley non era più suo. Era di Melania. E finché Melania viveva, poteva andare in una camera con suo marito e richiudere l'uscio... chiuderlo a tutto il resto del mondo.

 

Ashley stava per ripartire; tornava nella Virginia, tornava alle lunghe marce sotto la pioggia, ai bivacchi fra la neve, ai disagi e ai rischi a cui doveva esporre la sua testa bionda e il suo corpo fiero, col pericolo di essere da un istante all'altro abbattuto, come una formica sotto un piede incurante. La settimana, con la sua agitazione febbrile e luminosa, era trascorsa.

Veloce come un sogno, un sogno fragrante del profumo d'abete degli alberi di Natale, brillante di candele e di ornamenti luccicanti, un sogno i cui minuti fuggivano rapidi come i battiti del cuore. Una settimana affannosa, nella quale Rossella aveva cercato con un misto di dolore e di gioia di far provvista di piccoli incidenti da ricordare dopo la sua partenza, avvenimenti a cui ella riandrebbe comodamente in seguito, traendone briciole di consolazione: danzare, cantare, ridere, correre a prendere quello che Ashley desiderava, sorridere quando egli sorrideva, tacere quando egli parlava, seguirlo con gli occhi in ogni suo gesto, accorgersi di ogni movimento delle sue sopracciglia, di ogni fremito della sua bocca... Tutto questo restava impresso indelebilmente nella sua mente; perché una settimana passa presto e la guerra continua per sempre...

Era seduta sul divano del salotto, tenendo in grembo il suo dono di commiato, aspettando che egli avesse salutato Melania e pregando Dio che scendesse solo, che il cielo le accordasse qualche minuto con lui. Aveva le orecchie tese ad ascoltare i rumori del piano superiore, ma la casa era stranamente silenziosa, sicché perfino il suo respiro le sembrava troppo percettibile. Zia Pitty piangeva fra i guanciali in camera sua, perché Ashley l'aveva salutata mezz'ora prima. Dalla stanza di Melania non giungeva mormorio di voci né suono di pianto. Parve a Rossella che egli fosse là dentro da un secolo; ed ella calcolò amaramente che il giovine maggiore prolungava gli addii a sua moglie: i momenti passavano veloci e il suo tempo era misurato.

Ricordò tutto ciò che aveva avuto desiderio di dirgli in quella settimana. Ma non ne aveva avuto la possibilità; ed ora pensava che forse non l'avrebbe mai.

Tante cose, e non vi era più il tempo! Anche i pochi minuti che rimanevano le sarebbero carpiti da Melania, se questa lo accompagnava giù e poi al cancello. Perché non era riuscita a parlargli in tutta la settimana? C'era sempre Melania accanto a lui, coi suoi occhi adoranti; e poi vicini, amici, parenti, dalla mattina alla sera. E dopo, la porta della camera da letto si chiudeva ed egli era solo con Melania. Non una volta il suo sguardo aveva detto a Rossella qualche cosa di più di un affetto fraterno. Eppure ella non poteva lasciarlo partire senza sapere se l'amava ancora. In questo caso, se egli morisse, le rimarrebbe il conforto del suo segreto amore sino alla fine dei suoi giorni.

Dopo un'eternità, sentì lo scricchiolio delle sue scarpe e poi l'uscio che si apriva e si richiudeva. Lo udì scendere. Solo! Dio sia lodato!

Discese lentamente, facendo tintinnare gli sproni; la sciabola gli batteva sugli stivaloni ad ogni gradino. Entrando in salotto, aveva gli occhi cupi e il viso pallido come se il sangue fosse affluito ad una ferita interna. Ella si alzò scorgendolo, e pensò con orgoglio di proprietaria che era il più bel soldato che si potesse vedere. La cintura e la fondina erano lustre; gli sproni d'argento e il fodero della sciabola scintillavano dopo l'industriosa opera di pulizia compiuta da zio Pietro. L'uniforme nuova, dono di Melania, non andava alla perfezione, perché il sarto aveva lavorato troppo in fretta; ma se anche avesse indossato un'armatura d'argento, non le sarebbe sembrato più "bel cavaliere" di come le appariva.

- Ashley - cominciò ella bruscamente - posso accompagnarvi al treno? -

- No, vi prego. Vi saranno il babbo e le sorelle. E comunque, preferisco ricordarvi mentre mi salutate qui, piuttosto che nel freddo della stazione.-

Rinunciò immediatamente al suo progetto. La presenza di Lydia e di Gioia che avevano tanta antipatia per lei avrebbe reso impossibile una sola parola con lui.

- Allora non vengo - aderì subito. - Guardate, Ashley, ho un regalino per voi.-

Un po' intimidita, ora che era venuto il momento di darglielo, aperse il pacchetto. Era una lunga sciarpa gialla, di seta cinese, con una frangia pesante. Rhett Butler le aveva portato dall'Avana uno scialle alcuni mesi prima, uno scialle giallo gaiamente ricamato di fiori e uccelli in turchino e magenta. Durante la settimana ella aveva pazientemente disfatto tutto il ricamo, e aveva tagliato una striscia in tralice per fare la sciarpa.

- Che bellezza, Rossella! L'avete fatta voi? Allora l'apprezzo anche di più. Mettetemela addosso, cara. I camerati diventeranno verdi d'invidia quando mi vedranno in tutta la gloria della mia nuova uniforme con questa sciarpa! -

Ella gliela passò attorno alla vita sottile, al disopra della cintura e annodò le due estremità in un bel fiocco. Melania gli aveva regalato l'abito nuovo; ma questa sciarpa era il suo dono, il segreto guiderdone che egli porterebbe in battaglia, qualcosa che lo costringerebbe a ricordarsi di lei ogni volta che lo vedeva. Indietreggiò di un passo e lo guardò con orgoglio, pensando che neanche il generale Stuart, con la sua sciarpa fluttuante e la piuma sul cappello, era bello come il suo cavaliere.

- Bellissima - ripeté Ashley giocherellando con la frangia. - Ma so che per farla avete dovuto tagliare un vestito o uno scialle. Non dovevate farlo, Rossella. È troppo difficile, di questi tempi, aver delle belle cose.-

- Oh, Ashley, io...-

Stava per dire: "avrei tagliato il mio cuore per darvelo", ma invece finì la frase così: - ...farei qualunque cosa per voi! -

- Davvero? - E nel chiedere questo i suoi occhi si rischiararono alquanto. - Allora vi è una cosa che potete fare per me, Rossella, e che mi farà essere più tranquillo quando sarò lontano.-

- Che cos'è? - chiese ella felice, pronta a promettere dei prodigi.

- Rossella, volete aver cura di Melania per me? -

- Cura di Melly?-

Si sentì riempire l'animo di amara delusione. Questa era dunque la sua ultima domanda, quando lei era pronta a promettergli qualche cosa di bello, di grandioso! Fu presa dall'ira. Quel momento era il suo momento con Ashley, suo soltanto. E benché Melania fosse assente, la sua ombra pallida era fra loro. Perché nominarla nel momento del loro addio? Come poteva chiederle ciò che le chiedeva?

Egli non si accorse della delusione espressa dal suo volto. Come una volta, i suoi occhi guardavano attraverso lei, al di là, verso qualche altra cosa, come se non la vedessero affatto.

- Sì, abbiate cura di lei, fate attenzione. È fragile e non se ne rende conto. Si strapazza a cucire e a fare l'infermiera. Ed è così buona e così timida! Eccettuato zia Pitty, zio Enrico e voi, non ha parenti stretti; soltanto i Burr di Macon, e sono dei cugini in terzo grado. E zia Pitty... è come una bambina; lo sapete anche voi. Melania vi vuole molto bene, e non perché eravate la moglie di Carlo ma perché... sì, perché siete voi e vi vuol bene come a una sorella. Rossella, è un tormento per me il pensiero che se io fossi ucciso, Melly non avrebbe nessuno a cui rivolgersi. Volete promettermi...?-

Ella non udì neanche la sua preghiera, terrorizzata com'era dalle parole "se io fossi ucciso".

Aveva letto tutti i giorni le liste dei morti e feriti, col cuore in gola perché sapeva che se gli fosse accaduto qualche cosa, il mondo sarebbe finito. Ma sempre aveva avuto il presentimento che, anche se l'esercito confederato fosse spazzato via, Ashley sarebbe salvo. Ed ora... ora sentiva il cuore batterle violentemente e si sentiva presa da un terrore superstizioso che non riusciva a vincere col ragionamento. Era abbastanza irlandese da credere alla chiaroveggenza, specialmente quando si trattava di morte; e vide nei suoi occhi grigi una tristezza sconfinata che interpretò come quella di un uomo che sente sulla sua spalla il tocco della mano gelida.

- Non dovete dir questo! Neanche pensarlo! Porta disgrazia, parlare della morte! Dite una preghiera, presto! -

- Ditela voi per me e accendete qualche cero - rispose egli sorridendo del terrore che era nella voce di lei.

Ma ella non poté replicare: dinanzi ai suoi occhi si dipingevano i quadri più spaventosi: Ashley morto tra le nevi della Virginia, lontano da lei. Egli continuò a parlare e nella sua voce era una malinconia e una rassegnazione che aumentarono il suo terrore e la sua delusione.

- Non so che cosa sarà di me, Rossella, o di noi. Ma quando giungerà la fine, io sarò troppo lontano da qui, anche se sarò vivo, per potere aver cura di Melania.-

- La... la fine? -

- La fine della guerra... e la fine del mondo.-

- Ma non penserete, Ashley, che gli yankees possano batterci?! In questa settimana non avete parlato d'altro che della forza e dell'abilità del generale Lee...-

- Ho mentito, come tutti quanti quando sono in licenza. Perché spaventare Melania e zia Pitty senza bisogno? Sì, Rossella, credo che gli yankees ci batteranno. Gettysburg è stato il principio della fine. Molti ignorano... Ma sono tanti gli uomini scalzi Rossella; e c'è tanta neve adesso in Virginia. E quando vedo quei poveri piedi congelati avvolti in vecchi stracci o in pezzi di sacco, e vedo le impronte sanguinose che lasciano nella neve... e so che io ho delle scarpe... ebbene, mi pare che dovrei gettarle via e andare anch'io scalzo.-

- Oh, Ashley, promettetemi di non darle via! -

- Quando vedo queste cose... vedo la fine di tutto. Gli yankees stanno reclutando soldati in Europa a migliaia! La maggior parte dei prigionieri che abbiamo preso ultimamente non sanno neanche una parola d'inglese. Sono tedeschi, polacchi irlandesi che parlano gaelico. Ma quando noi perdiamo un uomo, non si può sostituirlo. E quando le nostre scarpe sono consumate, non ve ne sono altre. Siamo imbottigliati, Rossella. E non possiamo lottare contro tutto il mondo.-

Ella pensò: "crolli la Confederazione, finisca il mondo, ché tu non muoia! Non potrei vivere se tu morissi!

- Spero che non ripeterete ciò che vi ho detto, Rossella. Non voglio allarmare gli altri. E non avrei voluto spaventare neanche voi; ma ho dovuto spiegarvi perché vi chiedevo di aver cura di Melania. È debole mentre voi siete così forte, Rossella! Sarà un conforto per me pensare che qualunque cosa possa accadere voi due siete insieme. Me lo promettete? -

- Oh sì! - ella esclamò, perché in quel momento, vedendogli la morte accanto, avrebbe promesso qualunque cosa. - Ashley, Ashley, non posso lasciarvi partire! Non posso aver tanto coraggio! -

- Dovete averlo - replicò egli; e la sua voce mutò. Era sonora, più profonda, e le sue parole sgorgarono rapide. - Dovete essere coraggiosa. Altrimenti, come potrei resistere?-

Gli occhi di lei cercarono il suo volto con gioia, perché credeva di comprendere che la separazione da lei gli spezzava cuore. Il volto di lui era cupo come quando era sceso dalla camera di Melania, ma nei suoi occhi ella non riuscì a decifrare nulla. Egli si chinò un poco, le prese il volto fra le mani, la baciò lievemente in fronte.

- Rossella, Rossella! Siete così bella, forte e buona. E non per il vostro visino così dolce, ma per tutta voi stessa, per il vostro spirito e la vostra anima.-

- Oh Ashley - bisbigliò Rossella felice delle sue parole e commossa nel sentirsi le sue mani sul volto - nessun altro mi ha mai...-

- Mi piace credere che forse vi conosco meglio degli altri e vedo le belle cose nascoste entro di voi e che altri, troppo frettolosi osservatori, non sanno scorgere.-

Si interruppe lasciando ricadere le mani, ma continuando a fissarla. Ella rimase un istante, col respiro affannoso, attendendo le due parole magiche. Ma queste non vennero.

Questo secondo crollo delle sue speranze fu più di quanto il suo cuore potesse sopportare. Ella sedette, con un "oh!" di disperazione infantile sentendo le lacrime che le pungevano gli occhi. E in quella udì nel viale d'accesso un rumore che la riempì di terrore. Era la carrozza che zio Pietro conduceva dinanzi alla porta per accompagnare Ashley al treno.

- Addio - mormorò piano Ashley. Prese dalla tavola il feltro a larghe tese che essa si era procurato facendo delle moine a Rhett e si avviò per il vestibolo semibuio. Con la mano sulla maniglia della porta si volse, e la fissò con uno sguardo lungo, disperato, come se avesse voluto portar via con sé tutti i particolari del suo volto e della sua figura. Attraverso una nebbia di lacrime ella scorse il suo viso e, con uno strazio che la soffocava, sentì che egli se ne andava, lontano da lei, lontano dal rifugio sicuro della sua casa, fuori dalla sua vita, forse per sempre, senza aver detto le parole che ella anelava di udire. Il tempo era passato ed ora era troppo tardi. Ella corse attraverso il salotto ed afferrò i lembi della sua sciarpa. - Baciatemi - gli disse in un soffio. - Baciatemi per dirmi addio.-

Le sue braccia la circondarono dolcemente ed egli si curvò sul suo visino. Al primo contatto delle loro labbra, le braccia di lei si avvolsero freneticamente al suo collo. Per un attimo incommensurabile, egli strinse al suo il corpicino di lei. Quindi ella sentì i suoi muscoli irrigidirsi; e, lasciando cadere a terra il cappello, egli staccò vivamente le morbide braccia dal suo collo.

- No, Rossella, no - disse a bassa voce serrandole i polsi in una stretta che le fece male.

- Vi amo - bisbigliò lei soffocando. - Vi ho sempre amato. Non ho mai amato nessun altro. Sposai Carlo per... farvi dispetto. Oh, Ashley, vi amo tanto che verrei nella Virginia... a pulirvi le scarpe e cucinare per voi e strigliare il vostro cavallo... Ashley, dite che mi amate! Vivrò di queste parole fino al mio ultimo giorno!-

Egli si chinò rapidamente a raccogliere il suo cappello, ed ella scorse di sfuggita il suo viso: il più infelice che ella avesse mai visto, ma da cui era scomparso ogni senso di distanza. La sua espressione rivelava il suo amore per lei, e la sua gioia che anche lei lo amasse, ma tutto ciò in un misto di vergogna e di disperazione.

- Addio - disse con voce rauca.

La porta si aperse e un soffio di vento freddo entrò in casa, agitando le cortine. Rossella rabbrividì vedendolo correre verso la carrozza, con la sciabola che brillava al pallido sole invernale e la sciarpa che ballonzolava gaiamente sul suo fianco.

16

Il gennaio ed il febbraio del 1864 passarono, piovosi e percorsi da venti freddi, col cielo fosco e pieno di nuvole. In conseguenza delle disfatte di Gettysburg e di Vicksburg, il centro del fronte meridionale aveva ceduto. Dopo scontri sanguinosi, quasi tutto il Tennessee era adesso tenuto dalle truppe dell'Unione. Ma anche questa nuova perdita non aveva abbattuto gli spiriti degli Stati del Sud. Una profonda risolutezza aveva sostituito le speranze; ma il popolo riusciva ancora a scorgere fra le nuvole un barlume d'argento. Intanto gli yankees erano stati fieramente respinti in settembre quando avevano tentato di far seguire alla loro vittoria nel Tennessee un'avanzata in Georgia.

Nel punto più nord-occidentale dello Stato, a Chickamauga, seri combattimenti si erano svolti sul suolo della Georgia per la prima volta dal principio della guerra. Gli yankees, dopo essersi impadroniti di Chattanooga, erano penetrati nella regione attraverso i passi montagnosi, ma erano stati respinti con gravi perdite.

Atlanta e le sue ferrovie avevano avuto una gran parte nel fare di Chickamauga una grande vittoria per gli Stati del Sud. Per mezzo della linea ferroviaria, le truppe del generale Longstreet avevano potuto raggiungere il campo di battaglia. Tutto il materiale utilizzabile era stato raccolto sulla linea lunga settecento miglia per il movimento occorrente.

Atlanta aveva vegliato mentre i treni si succedevano ad ogni ora e la città era attraversata da diligenze, carri e furgoni pieni di uomini che gridavano.

Arrivavano senza aver mangiato né dormito, senza cavalli, senza ambulanze né treni di rifornimento, e senza indugio balzavano direttamente dai convogli precipitandosi nella battaglia. E gli yankees erano stati scacciati dalla Georgia.

Era il più grande episodio della guerra, e Atlanta era orgogliosa al pensiero che le sue ferrovie avessero reso possibile la vittoria.

Ma il Sud aveva avuto bisogno della buona notizia di Chickamauga per sostenere il proprio morale durante l'inverno. Ora nessuno più negava che gli yankees fossero buoni soldati e avessero dei bravi generali. Grant era un carnefice a cui non importava di sacrificare molte vite per una vittoria, purché la vittoria vi fosse. Sheridan era un nome che portava lo sgomento nei cuori meridionali. E poi, vi era un certo Sherman che veniva nominato sempre più spesso, e la cui reputazione di grande combattente andava sempre aumentando.

Nessuno di questi, naturalmente, si poteva paragonare al generale Lee. La fede in lui e nell'esercito era ancora forte, ma la guerra durava troppo a lungo; vi erano tanti morti, tanti feriti, tanti mutilati, tante vedove e tanti orfani. E vi era ancora da sostenere una lunga lotta che porterebbe con sé altri morti, altri feriti, altre vedove e altri orfani. A peggiorare la situazione cominciava a serpeggiare nella popolazione una vaga sfiducia in coloro che occupavano posizioni elevate.

Molti giornali parlavano chiaramente contro il Presidente Davis e contro il suo modo di condurre la guerra. Le scarpe e gli abiti per l'esercito mancavano; i medicinali e i rifornimenti erano ancora più scarsi; le ferrovie necessitavano di nuovi vagoni per sostituire i vecchi e di nuovi binari in luogo di quelli che erano stati distrutti dagli yankees. I generali chiedevano truppe fresche; ed era sempre più difficile procurarle. Inoltre alcuni dei governatori degli Stati, e fra questi il governatore Brown della Georgia, rifiutavano di mandare armi e milizie fuori dai loro confini.

Col nuovo ribasso della valuta, i prezzi tornarono a salire. Il bue, il maiale, e il burro costavano 35 dollari la libbra; la farina 400 dollari al sacco; la soda 100 dollari la libbra, il tè 500 dollari.

Gli abiti invernali, quando era possibile averne, erano arrivati a prezzi così proibitivi, che le signore di Atlanta foderavano i loro vestiti vecchi di stracci, rinforzandoli con carta di giornali. Le scarpe costavano da 200 a 800 dollari il paio, secondo che erano fatte di carta pesta o di vero cuoio. Le signore portavano adesso uose fatte con pezzi di vecchi scialli di lana o di tappeti. Le suole erano di legno.

La verità si era che il Nord teneva il Sud in un virtuale stato d'assedio. Le navi da guerra avevano ristretto il blocco, e ben pochi erano i bastimenti che riuscivano a passare attraverso di questo.

Gli Stati del Sud avevano sempre vissuto vendendo il loro cotone e comperando ciò che non producevano; ma ora non potevano né vendere né comprare. Geraldo aveva immagazzinato sotto le tettoie, presso la dispensa di Tara il raccolto di cotone di tre anni; ma non ne traeva alcun giovamento. A Liverpool ne avrebbe avuto 150.000 dollari, ma non vi era alcuna speranza di potervelo portare. Da uomo ricco, Geraldo si era trasformato in un individuo che non sapeva come avrebbe potuto nutrire la sua famiglia e i suoi negri nell'inverno.

La maggior parte dei piantatori di cotone erano nelle stesse condizioni. Impossibile far giungere la produzione meridionale in Inghilterra e impossibile importare i generi di assoluta necessità. Il Mezzogiorno agricolo, muovendo guerra al Settentrione industriale, aveva ora bisogno di un'infinità di cose della cui necessità non si rendeva conto in tempo di pace.

Era una situazione creata da speculatori e profittatori, i quali ne traevano tutto il vantaggio possibile. Poiché cibi e vestiario divenivano sempre più scarsi e i prezzi sempre più alti, le accuse pubbliche contro gli speculatori si inasprirono. Nei primi giorni del 1864 non si poteva aprire un giornale che non contenesse denunce editoriali contro gli avvoltoi e i vampiri, e appelli al Governo perché li richiamasse al dovere con mano energica. Il Governo fece del suo meglio, ma senza alcun risultato efficace.

Più che contro chiunque, l'opinione pubblica era violenta contro Rhett Butler. Egli aveva venduto le sue navi quando l'attraversare il blocco era diventato troppo pericoloso; ed ora speculava apertamente sui generi alimentari. Ciò che si raccontava di lui a Richmond e Wilmington faceva arrossire di vergogna coloro che in altri tempi lo avevano ricevuto nella loro casa ad Atlanta .

Malgrado tutte queste tribolazioni, la popolazione di Atlanta era raddoppiata durante la guerra. Perfino il blocco aveva aumentato il prestigio di Atlanta; perché coi porti chiusi e la maggior parte delle città costiere occupate o assediate, la salvezza del Sud dipendeva dalle città interne. Il popolo di Atlanta soffriva disagi, privazioni, malattie, e morti come il resto della Confederazione; ma la città aveva guadagnato, piuttosto che perduto, in seguito alla guerra. Il cuore della Confederazione batteva ancora fortemente; le ferrovie che erano le sue arterie la rifornivano, con un afflusso continuo, di uomini, munizioni e provviste.

 

In altri tempi Rossella sarebbe stata molto addolorata per i suoi abiti logori e le sue scarpe rattoppate, ma ora non gliene importava, perché la sola persona che contasse per lei non poteva vederla. Fu felice in quei due mesi, più che non lo fosse stata da anni. Non aveva forse sentito il battito del cuore di Ashley quando ella lo aveva abbracciato? E non aveva visto quell'espressione disperata, più eloquente di qualsiasi confessione? Egli la amava. Ora ne era sicura, e questa convinzione la faceva perfino essere più gentile con Melania.

"Quando la guerra sarà finita!" pensava. "Quando..." A volte con un lieve senso di timore si domandava: "E poi?" ma subito scacciava il pensiero. Finita la guerra tutto si aggiusterebbe. Se Ashley l'amava non avrebbe potuto continuare a vivere con Melania.

Ma non era possibile pensare a un divorzio; Elena e Geraldo, cattolici rigorosi, non le avrebbero mai permesso di sposare un uomo divorziato. Sarebbe stato un allontanarsi dalla Chiesa! Però, dopo aver riflettuto, Rossella decise che se avesse dovuto scegliere fra la Chiesa e Ashley, avrebbe scelto quest'ultimo. Che scandalo sarebbe stato! Le persone divorziate erano messe al bando non solo dalla Chiesa, ma dalla società. Ma ella era pronta a sacrificare tutto per Ashley.

Fu al tempo degli acquazzoni di marzo, mentre tutti quanti erano costretti a rimanere in casa, che ella ricevette il colpo doloroso. Melania, con gli occhi brillanti di gioia e con un certo pudico imbarazzo, le disse che aspettava un bambino.

- Il dottor Meade ha detto che sarà per la fine di agosto o i primi di settembre. Lo avevo immaginato... ma fino ad oggi non ero sicura. Non è una cosa magnifica, Rossella? Avevo tanta paura di non averne, io che ne desidererei una dozzina! -

Rossella, che si stava pettinando prima di andare a letto, si fermò col pettine a mezz'aria.

"Dio mio!" pensò, senza rendersi immediatamente conto di ciò che aveva udito. E a un tratto le venne in mente la porta chiusa della camera di Melania; e un dolore acuto come una coltellata le trafisse il cuore. Un dolore così violento come se Ashley fosse suo marito e le fosse stato infedele. Un bambino. Un bambino di Ashley. Com'era possibile, se egli amava lei e non Melania?

- So che sei sorpresa - continuò Melania un po' ansimante. - Ma come farò, Rossella, a dirlo ad Ashley? Non sarebbe imbarazzante se potessi dirglielo in un orecchio... oppure... forse non dirgli nulla e lasciarglielo indovinare a poco a poco.-

- Dio mio! - esclamò Rossella quasi singhiozzando, lasciando cadere il pettine e appoggiandosi al marmo della toletta per sorreggersi.

- Non fare così, cara! Sai che non è poi tanto terribile. L'hai detto tu stessa, e non è il caso di essere così preoccupata. È vero che il dottor Meade ha detto che io sono... sono...- Melania arrossì - molto stretta di bacino, ma ha detto anche che forse tutto andrà bene e... Rossella, lo scrivesti tu a Carlo o glie lo scrisse tua madre? O forse tuo padre? Dio mio, se almeno avessi la mamma! Non so proprio...-

- Taci! - fece Rossella violentemente. - Taci! -

- Oh, come sono stupida, Rossella! Perdonami. È vero che tutta la gente felice è egoista. In questo momento dimenticavo Carlo.-

- Ma taci! - esclamò di nuovo Rossella, cercando di controllare il proprio volto e dominare l'emozione.

Melania, la donna più piena di tatto che esistesse, aveva le lacrime agli occhi per la propria crudeltà. Come aveva potuto richiamare a Rossella il terribile ricordo di Wade nato alcuni mesi dopo la morte del povero Carlo?

- Ti aiuto a svestirti, cara, - disse umilmente. - E ti pettinerò io.-

- Lasciami sola - ordinò Rossella col viso contratto. E Melania, scoppiando in lacrime di pentimento, uscì, lasciando la cognata con l'orgoglio ferito, la delusione e la gelosia come compagni del suo letto solitario.

La giovane pensò che le sarebbe impossibile vivere ancora sotto lo stesso tetto con una donna che aveva in seno un bimbo di Ashley; e pensò di tornare a Tara, a casa sua. Si alzò l'indomani mattina con l'idea di preparare il suo baule subito dopo colazione. Ma appena furono sedute a tavola, Rossella cupa e silenziosa, Pitty stupita, e Melania felice, giunse un telegramma per quest'ultima; era dell'attendente di Ashley, Mosè.

"Cercato ovunque senza ritrovarlo. Debbo tornare a casa?"

Nessuno comprese il significato di quelle parole; ma gli occhi delle tre donne si volsero dall'una all'altra dilatati dal terrore, e Rossella dimenticò il suo proposito di andarsene. Interrompendo la loro colazione si recarono subito in città per telegrafare al colonnello di Ashley; ma appena giunte all'ufficio, fu consegnato loro un telegramma di questi.

 

"Dolente informarvi Maggiore Wilkes mancante dopo ricognizione compiuta tre giorni fa. Vi terrò informata."

 

Fu uno spaventoso ritorno a casa: zia Pitty piangeva nel suo fazzoletto, Melania sedeva rigida e pallidissima e Rossella era istupidita, rannicchiata in un angolo della carrozza. Giunte a casa, Rossella salì barcollando nella sua camera, afferrò il Rosario che teneva sul tavolino e, piombando in ginocchio, tentò di pregare. Ma la preghiera non venne alle sue labbra, ed ella fu presa da un folle terrore che Dio avesse distolto il Suo volto da lei a causa del suo peccato. Ella aveva amato un uomo sposato e aveva tentato di toglierlo alla moglie; e Dio l'aveva punita uccidendolo. Voleva pregare ma non poté levare al cielo lo sguardo. Avrebbe voluto piangere, ma le lacrime non venivano. Le ardevano nel seno ma non sgorgavano dai suoi occhi.

La porta si aperse e Melania entrò. Il suo volto era pallidissimo, incorniciato dai capelli neri; gli occhi spalancati come quelli di un bimbo impaurito sperduto nel buio.

- Rossella - disse tendendo le mani. - Devi perdonarmi quello che ti ho detto ieri perché.. non ho più altri che te. Oh, Rossella, so che il mio amore è morto! -

Un attimo dopo era fra le braccia di Rossella ed entrambe sedevano sul letto, strettamente abbracciate, con le lagrime dell'una che bagnavano le guance dell'altra. Anche Rossella piangeva adesso di un pianto doloroso. Ma quanto era peggio non piangere! "Ashley è morto" pensava "e sono io che l'ho ucciso perché lo amavo!" I singhiozzi la sopraffecero; e Melania, trovando un certo conforto in quel pianto, si strinse maggiormente a lei.

- Almeno - bisbigliò - almeno... ho il suo piccino.-

"Ed io" pensò Rossella, troppo colpita adesso per poter essere gelosa "non ho nulla... nulla... nulla... eccetto l'espressione del suo volto quando mi disse addio."

 

Le prime informazioni dicevano "disperso - forse morto" e il nome apparve in questo modo sulla lista. Melania telegrafò una decina di volte al colonnello Sloan, e finalmente giunse una lettera di questi, piena di simpatia, nella quale era spiegato come Ashley, uscito in ricognizione con una pattuglia, non fosse tornato più. Si era parlato di una lieve scaramuccia avvenuta presso le linee yankee e Mosè, pazzo di dolore, aveva arrischiato la vita per ricercare il corpo del suo maggiore, ma non aveva trovato nulla. Melania, stranamente calma adesso, mandò telegraficamente all'attendente il denaro e l'ordine di ritornare subito a casa.

Quando sulla nuova lista apparvero le parole "disperso - forse prigioniero", gioia e speranza rianimarono la casa. Melania non riusciva staccarsi dall'ufficio telegrafico se non per recarsi all'arrivo di tutti i treni, sperando di ricever lettere. Era molto sofferente; la gravidanza le dava parecchi disturbi, ma essa rifiutava di obbedire alle prescrizioni del dottor Meade che le ordinava di rimanere in letto. Era piena di una febbrile energia; la sera, Rossella la udiva per molto tempo passeggiare in camera sua dopo che tutti erano andati a dormire.

Un pomeriggio tornò a casa nella carrozza che zio Pietro guidava col viso spaventato, sorretta da Rhett Butler. Era svenuta all'ufficio telegrafico e Rhett, che si trovava a passare e aveva visto la folla che si andava agglomerando, l'aveva riaccompagnata a casa. La portò su per le scale e la depose sul letto, sistemando i cuscini dietro il suo capo mentre tutte le donne di casa, sgomente, si affrettavano a prendere mattoni caldi, a cercare coperte e whisky.

- Mrs. Wilkes - le disse Rhett bruscamente - voi aspettate un bimbo, non è vero?-

Se Melania non fosse stata così debole e sofferente, questa domanda l'avrebbe sbalordita. Anche con le amiche provava imbarazzo a parlare delle sue condizioni, e le visite del dottore erano un angoscioso tormento per lei. Ma che un uomo, e particolarmente Rhett Butler, le rivolgesse una domanda simile, era incredibile. Nel suo stato attuale, non fece che accennare di sì. E dopo, la cosa non le parve più tanto tremenda perché Rhett sembrava preoccupato e molto affettuoso.

- Allora bisogna che abbiate più cura di voi stessa. Tutto questo correre su e giù non può farvi bene; e certamente danneggia il bambino. Se mi permettete, Mrs. Wilkes, cercherò, attraverso le relazioni che ho a Washington, di sapere qualche cosa di vostro marito. Se è prigioniero, sarà sulle liste dei Federali; e se non lo è... beh, tutto è preferibile all'incertezza. Ma ho bisogno della vostra promessa. Se non avete cura della vostra salute, giuro a Dio che non muoverò dito.-

- Come siete buono! - esclamò Melania. - Come fanno a dir tanto male di voi? - Quindi, sopraffatta dalla coscienza della spudoratezza dimostrata parlando del proprio stato con un uomo, cominciò a piangere debolmente. E Rossella, che saliva a precipizio le scale con un mattone caldo avvolto in un pezzo di flanella, la trovò con Rhett che le accarezzava una mano.

Rhett mantenne la parola. Nessuno seppe mai quali fili egli riuscì a fare agire. Non osarono chiederglielo, per timore che ciò significasse un riconoscimento dei suoi stretti rapporti con gli yankees. Ci volle un mese prima di sapere qualche cosa; e le notizie che dapprima le sollevarono ai sette cieli, crearono nei loro cuori, in un secondo tempo, un'angoscia lacerante.

Ashley non era morto! Era stato ferito e preso prigioniero; le informazioni dicevano che si trovava a Rock Island, un campo di prigionieri nell'Illinois. Nel primo impeto di gioia, pensarono solo ai fatto che egli era vivo. Ma quando cominciarono a calmarsi, si guardarono sgomente, esclamando: - Rock Island!- come se avessero detto: “All'inferno!” Perché Aldersonville era un nome che spaventava quelli del Nord, così Rock Island terrorizzava gli abitanti del Sud che avevano che parente internato laggiù.

Quando Lincoln rifiutò lo scambio dei prigionieri, credendo che il lasciare alla Confederazione il peso di nutrire e vestire i prigionieri dell'Unione avrebbe affrettato la fine della guerra migliaia di uomini vestiti d'azzurro furono raccolti ad Aldersonville, in Georgia. I Confederati avevano scarsità di cibo e mancavano di medicinali e di articoli sanitari per i loro ammalati e feriti; avevano perciò ben poco da dividere coi prigionieri. Diedero loro da mangiare quello che davano ai soldati: grasso di porco e piselli secchi; e a questa dieta gli yankees morivano come le mosche; a volte più di cento in un giorno. Inferocito da queste notizie, il Nord rese più aspro il trattamento usato ai prigionieri confederati; e il luogo dove tale trattamento era peggiore era Rock Island. Il cibo era insufficiente; vi era una coperta ogni tre uomini; e le stragi prodotte dal vaiolo, dalla polmonite e dal tifo fecero ritenere quel luogo come un lazzaretto. Tre quarti di coloro che vi erano mandati non ne uscivano vivi.

E Ashley stava in quel luogo orrendo! Vivo, ma ferito; e a Rock Island la neve cadeva ininterrottamente. Era morto per le ferite, dopo che Rhett aveva avuto le informazioni? Era stato colpito dal vaiolo o delirava per la polmonite senza coperta che lo riparasse?

- Oh capitano Butler, non v'è modo... Non potete fare uso della vostra influenza per ottenere che venga scambiato? - esclamò Melania.

- Mister Lincoln, l'uomo giusto e pietoso che piange dirottamente sui cinque figliuoli della signora Bixby, non ha lacrime per le migliaia di uomini che muoiono a Aldersonville. - rispose torcendo la bocca. - Non gl'importa nulla della loro morte. L'ordine è perentorio. Niente scambi. Non... non ve lo avevo detto prima, Signora Wilkes, ma a vostro marito è stata offerta la possibilità di uscirne e l'ha rifiutata.-

- No! - gridò Melania desolata.

- Vi dico di sì. Gli yankees stanno reclutando uomini per il servizio di frontiera onde combattere contro gli Indiani; e li reclutano tra i prigionieri. Chiunque vuol prestare giuramento di fedeltà e arruolarsi nel reggimento che va contro gli indiani, vien liberato ed inviato in Occidente. Mister Wilkes ha rifiutato.-

- Ma perché? - esclamò Rossella. - Perché non ha prestato giuramento per poi disertare e tornare a casa appena libero?-

Melania si volse a lei come una piccola furia.

- Come puoi supporre che egli avrebbe fatto una cosa simile? Tradire la propria Confederazione prestando un abietto giuramento e poi mancare al giuramento stesso! Preferirei saperlo morto a Rock Island piuttosto che saperlo traditore. Sarei fiera di lui se morisse in prigione. Ma se facesse quello... non potrei più guardarlo in faccia. Mai! È naturale che abbia rifiutato. -

Quando Rossella accompagnò Rhett alla porta, gli chiese, indignata:

- Se foste stato voi, non vi sareste arruolato con loro, per evitare di morire in quel luogo, e non avreste poi disertato? -

- Senza dubbio - rispose Rhett, facendo brillare i suoi denti bianchi sotto ai baffetti neri.

- E allora perché Ashley non l'ha fatto? -

- Perché è un gentiluomo.-

E Rossella si chiese come fosse possibile mettere in quella parola rispettosa tanto cinismo e tanto disprezzo.

 

PARTE TERZA

17

Giunse il maggio del 1864 - un maggio caldo che faceva appassire i fiori in boccio - e gli yankees, condotti dal generale Sherman, furono nuovamente in Georgia, sopra Dalton, a cento miglia a nord-ovest di Atlanta. Dagli informatori si sapeva che vi sarebbe un'aspra battaglia presso il confine fra la Georgia e il Tennessee. Gli yankees si ammassavano per un attacco contro la ferrovia "Occidentale e Atlantica", la linea che collegava Atlanta col Tennessee e con l'Ovest; la stessa linea che era stata affollata dalle truppe del Sud quando erano accorse per prender parte alla vittoria di Chickamauga.

Ma in massima, Atlanta non si sentiva turbata dalla prospettiva di una battaglia nei pressi di Dalton. Il luogo ove gli yankees si stavano concentrando era soltanto a poche miglia a sud-est dal campo di battaglia di Chickamauga. Erano stati respinti quando avevano tentato di penetrare nella regione attraverso quei passi montagnosi; sarebbero respinti nuovamente.

Atlanta - e tutta la Georgia con essa - sapeva che quella zona era troppo importante per la Confederazione, perché il generale Joe Johnston potesse permettere che gli yankees rimanessero troppo a lungo nei suoi confini. La Georgia doveva rimanere indisturbata, perché essa era il vasto granaio della Confederazione, oltre ad esserne il deposito e la fabbrica d'armi. Fra Dalton e Atlanta era la città di Roma con le sue fabbriche di cannoni e altre industrie, e Etowah e Allatoona con le grandi fonderie a sud di Richmond. Inoltre, Atlanta ospitava, insieme con le fabbriche di pistole, di selle, di tende e di munizioni, i più grandi laminatoi del Sud, i depositi delle Ferrovie e gli enormi ospedali. E per di più era il nodo ferroviario da cui dipendeva tutta la vita della Confederazione.

Nessuno quindi, era molto turbato. Dalton era abbastanza lontana, e da tre anni si era ormai abituati al fatto che ci si battesse nel Tennessee; il campo di battaglia era quasi tanto lontano come la Virginia o il Mississippi. Si aggiunga che fra Atlanta e gli yankees vi era il generale Johnston, il più grande di tutti - dopo il generale Lee - ora che Stonewall Jackson era morto.

Il dottor Meade espose questo punto di vista una sera, sulla veranda della casa di zia Pitty, e fu ascoltato con emozione diversa, perché tutti coloro che sedevano nelle poltrone di vimini osservando, alla luce del crepuscolo, le prime lucciole della stagione che volavano come magici focherelli tra le piante, avevano un peso sul cuore. La signora Meade, con una mano sul braccio di Phil, sperava che suo marito avesse ragione, perché se la guerra si avvicinava, il suo Phil dovrebbe andare. Aveva sedici anni, oramai, ed era nella Guardia Nazionale. Fanny Elsing, pallida e con gli occhi cerchiati dopo la sconfitta di Gettysburg, cercava di distogliere la mente dal quadro che la torturava da allora: il luogotenente McLure morente in un carro traballante, trainato da buoi, durante la lunga, terribile ritirata nel Maryland.

Il braccio ferito del capitano Carey Ashburn aveva ricominciato a dolere; inoltre il capitano era depresso al pensiero che la corte che egli faceva a Rossella fosse arrivata a un punto morto. La situazione era immutata da quando era giunta la notizia della cattura di Ashley, benché egli non si accorgesse del rapporto fra i due avvenimenti. Rossella e Melania pensavano tutt'e due ad Ashley, come sempre quando un lavoro urgente o la necessità della conversazione non le distoglieva da quel pensiero. Rossella diceva fra sé: "Dev'essere morto, altrimenti avrebbe fatto sapere qualche cosa." E Melania, cercando di far tacere il terrore che la tormentava continuamente, pensava: "Non può esser morto. Ne sono certa. Se fosse morto, lo sentirei." Rhett Butler sedeva nell'ombra, con le gambe accavallate, il volto imperscrutabile. Fra le sue braccia dormiva tranquillamente Wade, con un ossicino accuratamente pulito uno di quegli ossicini curvi che portano fortuna stretto nella piccola mano; Rossella permetteva sempre al piccolo di rimanere alzato quando veniva Rhett, perché il timido bimbo aveva molta simpatia per lui e anche Rhett, per quanto la cosa fosse strana, sembrava gli volesse bene. Quanto a zia Pitty, essa cercava nervosamente di reprimere le manifestazioni del suo stomaco, avendo mangiato a cena un indigesto arrosto di gallo.

Era stato deciso il sacrificio del vecchio volatile e Pitty aveva voluto invitare un certo numero di amici, che certamente non mangiavano pollo da un pezzo. Melania, che era nel quinto mese e non usciva né riceveva, fu sgomenta all'idea di avere degli invitati. Ma Pitty, che riteneva un atto di egoismo mangiare il pollo da sola, fu, per una volta tanto, irremovibile. Melania non dovrebbe fare altro che mettere la crinolina un po' più in alto; nessuno vedrebbe nulla.

- Ma zia, non ho voglia di veder gente quando Ashley...-

- Non è come se Ashley... fosse scomparso per sempre. - E la voce di Pitty tremò, perché in cuor suo ella era convinta che Ashley fosse morto. - E' vivo come te; e un po' di distrazione ti farà bene. Inviterò anche Fanny Elsing; sua madre mi ha pregato di fare qualche cosa per cercar di distrarla...-

- Ma è una crudeltà, zia, costringerla...-

- Basta, Melly; se discuti ancora mi metto a piangere. Sono tua zia e so quello che faccio. E voglio aver degli amici a cena.-

Così zia Pitty invitò i suoi amici; e, all'ultimo momento, un ospite non atteso e non desiderato si presentò. Proprio mentre l'odore dell'arrosto riempiva tutta la casa, Rhett Butler, di ritorno da uno dei suoi misteriosi viaggi, bussò alla porta, portando sotto al braccio una scatola di dolci e fornito dei suoi soliti complimenti a doppio taglio. Non si poteva fare a meno di pregarlo di rimanere, benché Pitty sapesse come la pensavano il dottore e sua moglie sul suo conto, e come era aspra Fanny verso chiunque non fosse in uniforme. Né i Meade né gli Elsing lo avrebbero salutato per istrada; ma in casa d'altri, naturalmente, dovevano esser cortesi con lui. D'altronde egli era adesso, più che mai, sotto la protezione della fragile Melania. Dopo che era riuscito a procurarle notizie di Ashley, ella aveva dichiarato pubblicamente che la sua casa gli era aperta finché viveva, checché gli altri dicessero contro di lui.

Le apprensioni di Pitty si calmarono quando essa vide che Rhett si comportava benissimo. Egli si dedicò a Fanny con tale deferenza che riuscì perfino a ottenerne un sorriso, e la cena si svolse regolarmente. Fu una specie di festino: il capitano Ashburn aveva portato un po' di tè che aveva trovato nella borsa da tabacco di un prigioniero yankee, e ognuno ne ebbe una tazza che sapeva lievemente di tabacco. A ciascuno spettò anche un pezzetto del vecchio volatile arrostito, con un discreto contorno di meliga cotta con le cipolle; una scodella di piselli secchi, e un bel piatto di riso al sugo, quest'ultimo un po' acquoso per mancanza di farina. Per finire, una torta di patate dolci, e i dolci di Rhett; e quando questi tirò fuori dei veri sigari d'Avana per gli uomini, costoro dichiararono, mentre bevevano un bicchierino di liquore di more, che era stato veramente un banchetto luculliano.

Quando gli uomini raggiunsero le signore sotto al porticato, la conversazione volse sulla guerra. Del resto, era ciò che accadeva sempre: qualsiasi discorso, gaio o triste, finiva a cadere sulla guerra. Romanzi di guerra, matrimoni di guerra, morti all'ospedale o al campo, incidenti di battaglie e di marcia, temerità, vigliaccheria, allegria, tristezza, privazioni, speranze. Sempre, sempre speranze; speranze inesauste, nonostante le batoste dell'estate precedente.

Quando il capitano Ashburn annunciò che aveva chiesto ed ottenuto il trasferimento da Atlanta al reggimento che era a Dalton, le signore baciarono con gli occhi il suo braccio rigido e, nascondendo la loro fiera emozione, dichiararono che non poteva andare, perché non avrebbero altrimenti avuto più nessuno per far loro la corte.

Il giovine Carey fu divertito e confuso da queste dichiarazioni da parte di signore anziane come la signora Meade e zia Pitty e sperò che, fra le giovani, Rossella fosse sincera.

- Oh, tornerà presto - affermò il dottore mettendogli un braccio sulla spalla. - Vi sarà solo qualche scaramuccia e gli yankees indietreggeranno nel Tennessee. E allora, ci sarà il generale Forrest che ci penserà! Voialtre signore, non dovete aver paura, perché il generale Johnston ha stabilito fra le montagne un baluardo di ferro. Sì, un baluardo di ferro. Sherman non riuscirà mai a passare. Non potrà sloggiare il vecchio Joe. -

Le signore sorrisero approvando. Solo Rhett parlò. Non aveva più detto una parola, dopo la cena, ed era rimasto ad ascoltare i discorsi degli altri, con la testa del bimbo appoggiata alla sua spalla.

- Ho sentito dire che Sherman ha più di centomila uomini, ora che gli sono giunti i rinforzi.-

- Ebbene? - replicò brevemente il dottore a cui solo il rispetto dovuto alla casa di Pitty vietava di mostrare apertamente i suoi sentimenti di antipatia.

- Mi pare che il capitano Ashburn abbia affermato recentemente che il generale Johnston ne ha solo quarantamila, contando fra questi anche i disertori incoraggiati a tornare dall'ultima vittoria.-

- Signore - fece indignata la signora Meade - nell'esercito confederato non vi sono disertori.-

- Domando scusa - replicò Butler inchinandosi beffardamente. - Intendevo parlare di quelle migliaia che erano in licenza e dimenticarono di raggiungere i loro reggimenti e di quelli che sono guariti delle loro ferite da sei mesi ma rimangono a casa ad occuparsi dei loro affari.-

La signora Meade si morse le labbra. Rossella avrebbe riso volentieri della sua sconfitta, perché Rhett aveva colpito il bersaglio. Vi erano in realtà centinaia di uomini appiattati nelle montagne e nelle paludi e che sfidavano la Guardia Nazionale a costringerli a tornare in servizio. Alcuni dichiaravano che la guerra era uguale "per i ricchi e per i poveri" e che loro avevano fatto abbastanza. E vi erano coloro che, pur essendo portati sui ruoli come disertori, non avevano intenzione di disertare permanentemente; gente che da tre anni non aveva mai avuto una licenza, mentre ricevevano da casa lettere che dicevano: "Abbiamo fame. Non c'è raccolto perché non c'è nessuno per arare i campi e seminare".

E il coro era sempre lo stesso: "abbiamo fame, fame, fame". Quando a costoro fu rifiutata la licenza, essi andarono a casa facendone a meno, per arare i loro campi e seminarli, per riparare le loro case e riattare le siepi. Gli ufficiali, comprendendo la situazione, scrissero allora a quegli uomini che se avessero raggiunto le loro compagnie, nessuno avrebbe detto loro nulla. E generalmente i soldati tornavano, dopo aver fatto sì che per qualche mese le loro donne e i loro bambini avessero da sfamarsi. Queste licenze "per arare" non erano considerate come "diserzione di fronte al nemico", ma indebolivano ugualmente l'esercito.

Il dottor Meade si affrettò a interrompere la pausa di disagio che aveva seguito le parole di Butler.

- La differenza numerica fra i due eserciti non ha mai avuto importanza, capitano Butler. Un confederato vale una dozzina di yankees. -

- Questo era vero prima della guerra - ribatté Butler. - E forse è ancora vero, purché il soldato confederato abbia munizioni per il suo fucile, scarpe ai piedi e cibo nello stomaco. Non è così, capitano Ashburn? -

La sua voce era dolce e piena di speciosa umiltà. Carey Ashburn si sentì a disagio. Egli pure aveva antipatia per Rhett e si sarebbe schierato volentieri col dottore; ma non poteva mentire. La ragione per cui aveva chiesto di tornare al fronte, malgrado il suo braccio invalido, era perché, a differenza dei borghesi, si rendeva conto della difficoltà della situazione. Altri uomini con una gamba di legno, ciechi da un occhio, senza un braccio o mutilati di una mano, avevano chiesto di lasciare i commissariati, i servizi ospedalieri, postali o ferroviari per raggiungere le loro unità combattenti. Sapevano che il Vecchio Joe aveva bisogno di tutti gli uomini, anche poco validi.

Non rispose; e il dottor Meade, perdendo il controllo, tuonò: - I nostri uomini hanno combattuto senza scarpe e senza cibo e hanno vinto! E combatteranno e vinceranno ancora! Vi ho detto che Johnston non può essere sloggiato! I passi delle montagne sono sempre stati la difesa più sicura di un paese. Ricordatevi... le Termopili! -

Rossella cercò di ricordarsi che cosa volesse dire quella parola, ma non vi riuscì.

- Morirono tutti, fino all'ultimo, non è vero? - chiese Rhett, con le labbra impercettibilmente stirate da un riso represso.

- Mi state insultando, giovinotto? -

- Dio me ne guardi, dottore! Mi fraintendete! Ho chiesto solo per informazione. Non ho molta memoria per la storia antica.-

- Se sarà necessario, il nostro esercito morirà fino all'ultimo uomo prima di permettere agli yankees di entrare in Georgia - ribatté il dottore con aria di sfida. - Ma non sarà necessario. Li scacceranno dalla regione con qualche scaramuccia. -

Vedendo che la conversazione rischiava di degenerare, zia Pitty si alzò in fretta e pregò Rossella di suonare e cantare qualche cosa. Aveva preveduto che invitando Rhett a cena avrebbe avuto qualche noia. Succedeva sempre così, quando egli era presente. Dio, Dio, ma che cosa trovava Rossella in quell'uomo? E Melania perché lo difendeva sempre?

Rossella rientrò in salotto e nel porticato fu un silenzio denso di risentimento contro Rhett. Credere nell'invincibilità del generale Johnston era un dovere; ma chi era tanto traditore da non credere, doveva almeno avere il buon senso di tacere. Rossella trasse qualche accordo, quindi la sua voce si levò, dolce e triste, nelle parole di una canzone popolare.

 

"In una corsia dalle pareti imbiancate

ove giacciono morti e moribondi...

- feriti di baionetta, di proiettili, di schegge -

in un giorno lontano nacque una creatura.

Una creatura cara a qualcuno giovine e coraggioso,

che aveva ancora sul volto pallido e dolce

- fra poco celato nella polvere della tomba -

la luce languida della sua grazia adolescente."

 

- "I riccioli d'oro sono opachi e impolverati..." - continuò malinconicamente Rossella con la sua voce di soprano un po' tremula; ma Fanny si levò a metà esclamando con voce debole e soffocata: - Canta un'altra cosa! -

Il piano tacque a un tratto; Rossella era rimasta stupita e confusa. Quindi si affrettò ad accennare alle battute d'introduzione di "Tunica grigia", ma si fermò all'improvviso, ricordando che anche questa canzone era troppo descrittiva. Inutile: tutte le canzoni parlavano di morte, di separazione, di dolore.

Rhett si alzò in fretta, depose Wade nel grembo di Fanny ed entrò rapidamente nel salotto.

- Suonate "La mia vecchia casa nel Kentucky" - suggerì piano; e Rossella ubbidì, riconoscente. Alla sua voce si unì l'ottimo basso di Rhett, e quando essi cominciarono la seconda strofa, quelli che erano rimasti nel portico respirarono più liberamente, benché anche quella non fosse una canzone eccessivamente gaia.

 

"Ancora pochi giorni, per trasportare il pesante fardello!

Impossibile renderlo più leggero!

Ancora pochi giorni, finché vacilleremo sulla strada...

e poi, mia vecchia casa del Kentucky, buona notte!"

 

La predizione del dottor Meade fu giusta... fino a un certo punto. Johnston costituiva veramente un baluardo di ferro; e la sua resistenza fu così salda che gli yankees si ritirarono e tennero consiglio di guerra. Non potendo spezzare la linea dei con federati con un assalto diretto, pensarono di attraversare di nottetempo altri passi a semicerchio, sperando di giungere alle spalle dell'esercito di Johnston, tagliando la ferrovia dietro di esso, a Resaca; a quindici miglia al sud di Dalton.

Visto il pericolo della preziosa linea ferroviaria, i confederati abbandonarono le trincee difese fino allora disperatamente e, alla luce delle stelle, fecero una marcia forzata sino a Resaca, per la via più breve e diretta. Quando gli yankees, sciamando dalle alture, giunsero loro addosso, trovarono le truppe meridionali che li attendevano, trincerate dietro a parapetti improvvisati, con le batterie pronte e le baionette inastate.

I primi feriti evacuati ad Atlanta portarono la notizia della ritirata del Vecchio Joe a Resaca; e la città fu sorpresa e un po' turbata. Era come se fosse apparsa una piccola nube a nord-ovest, la prima nube foriera di un temporale. Che diamine faceva il generale, permettendo che gli yankees penetrassero ancora per diciotto miglia nella Georgia? Le montagne erano una fortezza naturale, come aveva sempre detto il dottor Meade. Perché il Vecchio Joe non vi aveva trattenuto gli yankees?

Johnston combatté disperatamente a Resaca e respinse di nuovo gli yankees; ma Sherman, con lo stesso movimento aggirante, formò col suo esercito un secondo semicerchio, attraversò il fiume Oostanaula e si lanciò ancora una volta sulla ferrovia alle spalle dei confederati. Le linee di questi furono nuovamente ritirate in gran fretta dai loro fossati rossi, per difendere la strada ferrata; e, indebolite dal sonno, esaurite dalla marcia e dalla battaglia e affamate, sempre affamate, esse fecero un'altra rapida ritirata a valle. Raggiunsero la cittadina di Calhoun, a sei miglia a sud di Resaca, con vantaggio sugli yankees, e si trovarono nuovamente pronti all'attacco quando quelli giunsero. Fu un attacco violento, in cui gli yankees furono respinti. Stanchi, i confederati chiesero adesso un po' di respiro e di riposo. Ma Sherman continuò ad avanzare inesorabilmente, allargando il suo esercito in una vasta curva, costringendo gli avversari a un'altra ritirata per difendere la ferrovia alle loro spalle.

Marciavano dormendo, troppo stanchi per pensare; ma quando pensavano erano sempre pieni di fiducia nel Vecchio Joe. Sapevano che si ritiravano ma che non erano battuti. Soltanto, non avevano abbastanza uomini per poter contemporaneamente difendere le trincee e fronteggiare gli attacchi di fianco di Sherman. La ritirata era condotta con maestria; vi erano state poche perdite di uomini, mentre gli yankees lamentavano numerosissimi morti e feriti. I soldati grigi non avevano perduto un solo carriaggio e soltanto quattro cannoni; e Sherman non aveva potuto toccare la ferrovia alle loro spalle, malgrado i suoi attacchi frontali, lo spiegamento di cavalleria e gli attacchi di fianco.

La ferrovia. Era ancora loro, quella piccola strada ferrata che attraverso la valle soleggiata giungeva ad Atlanta. I soldati si sdraiavano a dormire quando vedevano i binari scintillare debolmente alla luce delle stelle. Si sdraiavano a morire, e l'ultima cosa che i loro occhi scorgevano erano le rotaie metalliche che brillavano al sole spietato, nella calura soffocante.

Mentre essi ripiegavano sulla vallata, un esercito di profughi ripiegava avanti a loro: piantatori e indiani crackers, ricchi e poveri, bianchi e negri, donne e bambini, vecchi, moribondi, paralitici, feriti, donne incinte affollavano la strada che conduceva ad Atlanta su treni, a piedi, a cavallo, in carrozze, carretti, furgoni su cui si accatastavano bauli e masserizie. I profughi precedevano di cinque miglia l'esercito in ritirata, fermandosi a Resaca, a Calhoun, a Kingston, sperando ad ogni tappa di sapere che gli yankees erano stati ricacciati sicché essi potessero tornare alle loro case. Ma non ritornavano sui loro passi per la strada piena di sole. Le truppe grige passavano dinanzi a case vuote, fattorie deserte, capanne solitarie con le porte spalancate. Qua e là qualche donna sola era rimasta con pochi schiavi spaventati; questi si recavano sulla strada a salutare le truppe, portando secchi d'acqua di pozzo per gli assetati; fasciavano i feriti e seppellivano i morti nelle loro tombe di famiglia. Ma in massima parte la valle era abbandonata e desolata e i raccolti si disseccavano sui campi lasciati nella più assoluta incuria.

Da Calhoun, Johnston indietreggiò a Adairsville, poi a Cassville e a Cartersville. Oramai il nemico aveva percorso cinquantacinque miglia dopo Dalton. A Chiesa della Nuova Speranza i grigi si fermarono per una tappa decisiva. E gli azzurri si avanzarono, senza tregua, come un serpente mostruoso che si snodava, colpiva velenosamente, ritraeva le sue spire ferite, ma colpiva di nuovo. Vi furono undici giorni di battaglia continua, disperata, a Chiesa della Nuova Speranza; gli assalti yankee vennero sanguinosamente respinti. Finché Johnston, investito ancora una volta di fianco, dové di nuovo ritirar di qualche miglio le sue linee assottigliate.

I morti e feriti a Chiesa della Nuova Speranza furono numerosissimi. I feriti affluirono ad Atlanta nei treni rigurgitanti e la città fu atterrita. Mai, neanche dopo la battaglia di Chickamauga, ve n'erano stati tanti. Gli ospedali erano gremiti; si collocavano i feriti sul pavimento di magazzini vuoti, sopra balle di cotone. Negli alberghi, nelle pensioni, nelle case private i sofferenti si accalcavano. Zia Pitty ebbe la sua parte, benché protestasse contro la scorrettezza di avere degli estranei in casa quando Melania era in condizioni speciali, e certe visioni raccapriccianti potevano provocare un parto prematuro. Ma Melania tirò un po' più su la sua crinolina per nascondere la vita ingrossata e i feriti invasero la casa di mattoni. Bisognò cucinare in continuazione, servire, far vento agli ammalati, lavare e arrotolare bende, e infinite furono le notti insonni, turbate dal parlare sconnesso di uomini in delirio. Finalmente la città fu satura, sicché i nuovi feriti furono incanalati verso Macon e Augusta.

La nuvoletta all'orizzonte si era allargata rapidamente, e il temporale era ormai sulla città, con un vento pauroso e gelido.

Nessuno aveva perduto la fede nell'invincibilità delle truppe; ma tutti - almeno i borghesi - avevano perso la fede nel generale. La Chiesa della Nuova Speranza era soltanto a trentacinque miglia da Atlanta! Il generale si era ritirato di sessantacinque miglia in tre settimane! Perché non resisteva, invece di ritirarsi? Era un pazzo, e peggio che un pazzo. Membri della Guardia Nazionale e della Milizia sostenevano che essi avrebbero condotto la campagna molto meglio e stendevano sulle tavole carte topografiche per dimostrare la verità di quanto asserivano. Quando le linee si assottigliarono ancora, il generale chiese disperatamente al Governatore Brown i suoi uomini; ma le truppe dello Stato erano in salvo e non vi era ragione di mandarle al macello.

Combattere e ritirarsi! Per settanta miglia e venticinque giorni, i confederati avevano combattuto quasi quotidianamente. La Chiesa della Nuova Speranza era ormai un ricordo in mezzo ad altri tremendi ricordi del genere: caldo, polvere, fame, debolezza, marciare sulla strada rossa, sfangare nella mota rossastra, ritirarsi, trincerarsi, combattere... ritirarsi, trincerarsi, combattere. La Chiesa della Nuova Speranza era un incubo di vita trascorsa, e così Big Shanty, ove essi si rivoltarono a combattere come demoni.. Ma anche dopo che i campi furono tutti turchini di morti yankee, sempre dei nuovi ne arrivavano, sempre di più; sempre vi era quella sinistra curva delle linee azzurre, laggiù a sud-est, verso le retroguardie dei confederati, verso la ferrovia... verso Atlanta!

Da Big Shanty le linee indebolite si ritirarono sulla strada della Montagna Kennesaw, presso la cittadina di Marietta, e quivi esse si allargarono in una curva di dieci miglia. Sui pendii delle montagne scavarono le loro trincee e stabilirono le feritoie, mentre sulle alture collocarono le loro batterie. Imprecando e sudando, gli uomini trascinarono i pesanti cannoni su per i versanti troppo ripidi perché i muli potessero arrampicarvisi. Messaggeri e feriti che giungevano ad Atlanta rassicurarono il popolo spaventato. Le alture di Kennesaw erano inespugnabili. Atlanta respirò di sollievo...

Ma le montagne Kennesaw distavano solo ventidue miglia!

Il giorno in cui i primi feriti giunsero da Kennesaw, la carrozza della signora Merriwether fu dinanzi alla casa della zia Pitty alle sette di mattina; un'ora inverosimile! Il negro Zio Levi era latore di un biglietto che ingiungeva a Rossella di vestirsi immediatamente e recarsi all'ospedale. Fanny Elsing e le ragazze Bonnell, chiamate anche loro, sbadigliavano sul sedile in fondo, e la Mammy degli Elsing sedeva malinconicamente a cassetta con in grembo un cestino di materiale di medicazione appena lavato. Rossella si alzò malvolentieri, perché aveva ballato fino all'alba alla festa della Guardia Nazionale, e i piedi le dolevano. Maledisse silenziosamente l'instancabile e premurosa signora Merriwether, i feriti e tutta la Confederazione degli Stati del Sud, mentre Prissy le abbottonava il più vecchio e sciupato dei suoi abiti di cotone, che usava per il servizio ospedaliero. Inghiottì l'amaro beveraggio di orzo e patate dolci disseccate che passava per caffè e scese a raggiungere le ragazze.

Era stufa di tutto quel lavoro. Proprio quel giorno, direbbe alla signora Merriwether che Elena le aveva scritto di andare a Tara per un po' di tempo. Ma non le servì a nulla, perché la degna matrona, con le maniche rimboccate e il corpo robusto coperto da un ampio grembiale, le lanciò un'occhiata dura dicendole: - Non dite sciocchezze, Rossella Hamilton. Scriverò io oggi a vostra madre dicendole che ho bisogno di voi; e sono sicura che comprenderà e vi permetterà di restare. Svelta, mettetevi il grembiale e andate dal dottor Meade che ha bisogno di un aiuto per fare le fasciature.-

"Dio mio, che guaio!" pensò Rossella. "Certo la mamma mi dirà di restare; e io morirò se continuerò a sentire questo terribile odore! Vorrei esser vecchia, per poter comandare alle giovani, invece di ricevere ordini... e mandare le vecchie streghe come la Merriwether a farsi benedire!"

Sì, era stanca di quella vita. Se vi era stato qualche cosa di romantico nel far l'infermiera, questo era finito da un pezzo. E poi, i feriti nella ritirata non erano simpatici come i primi. Non si curavano affatto di lei e le chiedevano soltanto: - Come va la battaglia? Dov'è il Vecchio Joe? - E poi: - E' bravo, sapete, il Vecchio Joe!-

Lei non credeva affatto alla bravura del Vecchio Joe, che aveva lasciato penetrare gli yankees nella Georgia per una profondità di ottantotto miglia. E tutti quei disgraziati che morivano, rapidamente, silenziosamente, essendo troppo indeboliti per combattere l'avvelenamento del sangue, la cancrena, il tifo e la polmonite che li avevano colpiti prima che fossero giunti ad Atlanta e avessero trovato un medico!

La giornata era calda e le mosche entravano dalle finestre a sciami: grosse mosche che tormentavano gli uomini più che non facessero le sofferenze. L'odore e i gemiti andavano aumentando. Il sudore bagnava il suo abito appena inamidato, mentre ella seguiva il dottor Meade con un catino fra le mani.

Che nausea a stare accanto al dottore, cercando di non vomitare quando il suo bisturi tagliava le carni putride! E che orrore gli urli della sala operatoria dove si facevano le amputazioni! Il cloroformio era così scarso che lo si adoperava soltanto per le amputazioni più gravi e l'oppio era una cosa preziosa che serviva ad alleviare le pene dei moribondi, non quelle dei viventi. Non vi era né chinino né iodio. Rossella invidiava Melania che aveva il pretesto della gravidanza: l'unico accettato in quei momenti.

A mezzogiorno si tolse il grembiale e sgusciò fuori dall'ospedale, incapace di resistere più a lungo. Sapeva che quando fossero giunti i feriti col treno pomeridiano, vi sarebbe da fare per lei fino a sera, e probabilmente senza neanche mangiare.

Si affrettò verso la Via dell'Albero di Pesco, respirando a grandi sorsate l'aria pura, per quanto glielo permetteva il busto allacciato stretto. Si fermò all'angolo, incerta sul da fare, poiché si vergognava di tornare a casa da zia Pitty, ma ben decisa a non tornare all'ospedale. In quel momento passò Rhett Butler in carrozzino.

- Sembrate la figlia di un cenciaiolo - osservò, guardando con occhio critico l'abito di cotone rammendato e bagnato di sudore e d'acqua che era schizzata dal catino. Rossella fu irritatissima. Perché quell'uomo osservava sempre l'abbigliamento delle donne, e perché era così indelicato da rilevare la sua attuale ineleganza.

- Non voglio che mi diciate nulla. Fatemi salire e conducetemi in qualche luogo dove nessuno mi veda. Non voglio tornare all'ospedale neanche se m'impiccano! Vi assicuro che non ne posso più...-

- Traditrice della nostra gloriosa Causa! -

- Lo zoppo dà del cionco allo sciancato! Aiutatemi. Non m'importa dove stavate andando. Ora dovete condurmi a fare una passeggiata.-

Egli balzò a terra e Rossella pensò che era molto piacevole vedere un uomo non mutilato o pallido per la febbre o giallo per la malaria, ma di aspetto sano e ben nutrito. Era anche vestito elegantemente, e non aveva affatto l'aria preoccupata o turbata come tutti gli altri uomini. Il suo volto bruno era piacente e la sua bocca dalle labbra rosse e ben tagliate, francamente sensuali, sorridevano distrattamente mentre egli l'aiutava a salire in carrozza.

I muscoli del suo corpo robusto si disegnavano sotto l'abito fatto da un buon sarto; e, come sempre, la sensazione della sua forza fisica, la colpì, appena gli fu seduta accanto. Da lui emanava una vitalità gagliarda ed elastica, come quella di una pantera che si stirasse al sole, una pantera pronta a balzare e a colpire.

- Piccola imbrogliona - disse mentre frustava il cavallo - ballate tutta la notte coi soldati, dando loro rose e nastri e dicendo che sareste pronta a morire per la Causa, e appena si tratta di fasciare quattro feriti e di togliere pochi pidocchi, tagliate la corda! -

- Non potreste parlare di qualche altra cosa e far correre di più il cavallo? Non ci mancherebbe altro, che il vecchio Merriwether uscisse in questo momento dal suo negozio e poi andasse a dire alla vecc... a sua nuora che mi ha visto!-

Egli toccò la giumenta con la frusta e quella trottò vivamente lungo la strada dei Cinque Punti e attraversò i binari che tagliavano in due la città. Il treno carico di feriti era già arrivato e i portaferiti lavoravano attivamente a trasportare gli uomini malconci nelle ambulanze e nei carri coperti. Rossella non provò alcun rimorso vedendoli, ma solo un grande sollievo per essere riuscita a sfuggire.

- Sono stanca dell'ospedale - riprese rassettandosi le gonne e legandosi meglio il nastro del cappello. - E ogni giorno ne arrivano di più. Tutta colpa del generale Johnston. Se avesse tenuto testa agli yankees a Dalton...-

- Ma gli ha tenuto testa, bambina ignorante. E se avesse insistito a rimanere là, Sherman lo avrebbe aggirato e lo avrebbe schiacciato fra le due ali del suo esercito. Ed egli avrebbe perduto la ferrovia.-

- Insomma - fece Rossella per cui la strategia militare era arabo. - È sempre colpa sua. Avrebbe dovuto fare qualche cosa e mi pare che farebbero bene a mandarlo via. Perché non continua a combattere, invece di ritirarsi? -

- Anche voi, come tutti gli altri, chiedete la sua testa perché egli non può fare l'impossibile. A Dalton era Gesù il Salvatore; e alle montagne Kennesaw è Giuda il traditore. Tutto questo in sei settimane. Se riesce a respingere di nuovo gli yankees per venti miglia sarà nuovamente Gesù. Cara bambina, Sherman ha il doppio di uomini, e perciò può perderne due per ognuno dei nostri valorosi ragazzi. Invece Johnston non può perdere un solo uomo; anzi ha bisogno di rinforzi. -

- E' vero che sarà chiamata la Milizia? e anche la Guardia Nazionale? -

- Così si dice. Sicuro, i beniamini del governatore Brown probabilmente dovranno andare a sentire l'odore della polvere e la maggior parte di essi sarà molto sorpresa. Il Governatore aveva promesso che non sarebbero andati; quindi si credevano al sicuro. Ma chi avrebbe creduto che la guerra sarebbe arrivata fin qui, e che essi avrebbero dovuto realmente difendere il loro Stato? -

- Come siete crudele a ridere di tutto questo! Figuratevi i vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale! Dovrà andare anche il piccolo Phil Meade e il nonno Merriwether e anche lo zio Enrico.-

- Ma io non parlo dei ragazzi né dei veterani della guerra messicana; alludevo ai bravi giovanotti come Guglielmo Guinan che ama portare una bella uniforme e agitare la sciabola...-

- E voi! -

- Mia cara, io non porto uniforme e non agito la sciabola; e la fortuna della Confederazione non m'interessa. Non faccio parte della Guardia Nazionale né di nessun esercito. Ne ho avuto abbastanza delle cose militari a West Point... Beh! spero che il Vecchio Joe abbia fortuna. Il generale Lee non può aiutarlo perché ha da fare nella Virginia. Perciò le truppe della Georgia sono l'unico rinforzo che può avere. Ma se fanno tanto da respingerlo dalle montagne e farlo scendere nella pianura di Atlanta ricordatevi le mie parole: sarà un macello.-

- La pianura di Atlanta? Ma è impossibile che gli yankees vi arrivino.-

- Kennesaw è soltanto a ventidue miglia, e scommetto...-

- Guardate là in strada, Rhett! Tutta quella gente! Non sono soldati! Che diamine...? Sono negri! -

Sulla strada si avanzava una nube di polvere rossa da cui veniva uno scalpiccio di piedi nudi; un centinaio e più di voci negre, rauche e profonde, cantavano un inno. Rhett trasse la carrozza al di là della curva della strada e Rossella guardò curiosamente il gruppo di negri con zappe e picconi sulle spalle, guidati da un ufficiale e accompagnati da un gruppo di uomini che portavano le insegne del corpo del genio.

- Che diamine...? - ricominciò.

A un tratto i suoi occhi si posarono su un negro che era nella prima fila: un gigante alto quasi un metro e novanta, di un nero d'ebano, che camminava con la grazia flessuosa di una belva; i suoi denti bianchi brillavano mentre cantava "Scendi, o Mosè". Certamente sulla terra non vi era un altro negro così alto e con una voce così forte, eccettuato il grosso Sam, il capolavorante di Tara. Ma che diamine faceva qui il grosso Sam, così lontano da casa, specialmente ora che mancava il sorvegliante ed egli era il braccio destro di Geraldo?

Mentre Rossella si sollevava a metà sul sedile della carrozza per vedere meglio, il gigante la scorse e sul suo volto nero si disegnò una smorfia di contentezza. Si fermò, lasciò cadere la sua zappa, e si avviò verso di lei, chiamando i negri più vicini: - Dio onnipotente; Essere Miss Rossella! Guarda, Elia! Profeta! Apostolo! Vedere Miss Rossella! Vi fu confusione nei ranghi.- La folla si fermò incerta, ghignando, e il grosso Sam, seguito da altri tre grandi negri, attraversò di corsa la strada verso la carrozza, seguito dall'ufficiale che gridava.

- Tornate in linea! Tornate indietro vi dico, o... Oh, ma è Mrs. Hamilton! Buon giorno, signora; ed anche a voi, signore. Ma che cosa fate? Provocate l'ammutinamento e l'insubordinazione? Dio sa se mi hanno dato poco da fare stamattina, costoro! -

- Oh, capitano Randall, non li sgridate! Sono i nostri schiavi. Questo è il grosso Sam, il nostro capolavorante. E gli altri sono Elia, Apostolo e Profeta di Tara. È naturale che vengano a salutarmi. Come state, ragazzi?-

Strinse le mani a tutti; la sua bianca manina scomparve in quelle enormi dei negri, i quali furono pieni di gioia e di orgoglio, mentre spiegavano ai loro compagni che quella era la loro bella signorina.

- Ma che cosa fate, così lontano da Tara? Scommetto che siete scappati.-

Essi risero compiaciuti. Poi il grosso Sam rispose:

- Scappati? No, non essere scappati. Loro essere venuti a prenderci perché noi essere i più grandi e più forti di Tara. Avere specialmente cercato me, perché cantare così bene. Sì, Mist' Frank Kennedy essere venuto a prenderci.-

- Ma perché, grosso Sam? -

- Come, Miss Rossella! Non avere sentito? Noi dovere scavare trincee per signori bianchi per nascondersi dentro quando venire yankees.-

Il capitano Randall e i due che erano in carrozza nascosero un sorriso per questa ingenua spiegazione dell'uso delle trincee.

- Mister Geraldo non volere lasciarmi andare perché dire che non poter fare senza me, ma la signora Elena avere detto: "Prendere lui, Mister Kennedy; Confederazione avere bisogno di grosso Sam più di noi. E avere dato a me un dollaro e detto di fare tutto quello che ufficiali bianchi ordinare. E noi essere qui.-

- Che vuol dire tutto questo, capitano Randall? -

- Oh, molto semplice. Dobbiamo aggiungere alle fortificazioni di Atlanta parecchie miglia di trincee, e il generale non può occupare a questo dei combattenti. Perciò abbiamo cercato nelle campagne i tipi più robusti per fare tutto il lavoro.-

- Ma...-

Un freddo principio di spavento strinse il petto di Rossella. Miglia di trincee! Per che cosa potevano servire? L'anno prima era stato costruito un certo numero di ridotte con piazzole per artiglieria tutto intorno ad Atlanta, a un miglio dal centro della città. Questi grandi lavori sotterranei erano collegati con fossati che circondavano completamente la città.

- Ma... perché dobbiamo essere fortificati più di quanto siamo già? Certamente il generale non lascerà che...-

- Le nostre fortificazioni attuali sono soltanto a un miglio dalla città - replicò brevemente il capitano Randall. - E sono troppo vicine per essere comode... o sicure. Queste nuove giungeranno assai più lontano. Un altro ripiegamento condurrebbe i nostri uomini in Atlanta.-

Rimpianse immediatamente di aver detto queste parole, perché vide gli occhi di lei dilatarsi dal terrore.

- Ma certamente non vi sarà un altro ripiegamento - si affrettò a soggiungere. - Le linee attorno a Kennesaw sono inespugnabili. Le batterie sono piantate al sommo delle montagne e dominano le strade; quindi gli yankees non possono in nessun modo attraversarle.-

Ma Rossella vide che egli abbassava gli occhi dinanzi allo sguardo penetrante di Rhett e fu sgomentata. Ricordò l'osservazione di Butler: "Se riescono a farlo ritirare nella pianura d'Atlanta, sarà un macello".

- Ma credete, capitano...-

- Ma no! Non vi preoccupate. Il Vecchio Joe ritiene giusto prendere delle precauzioni che sono eccessive. Questo il motivo delle nuove trincee... Ma ora dobbiamo andare. Molto lieto di avervi veduta. Salutate la vostra padrona, ragazzi, e andiamo.-

- Addio, ragazzi. Se state poco bene, o altro, informatemi. Abito in Via dell'Albero di Pesco; quasi l'ultima casa della città. Un momento... - Frugò nella sua reticella. - Dio mio, non ho neanche un quattrino. Per favore, Rhett, datemi qualche spicciolo. Tieni, grosso Sam, compra un po' di tabacco per te e per i tuoi compagni. E siate buoni e ubbidienti col capitano Randall.-

Il gruppo si riformò, la polvere si levò nuovamente in una nuvola rossa quando essi ripresero a camminare. E la voce del grosso Sam si levò un'altra volta a cantare:

 

"Scendi, Moseeeè! Quaggiù, sulla teeeerra d'Egiiiitto!

E di' al vecchio Faraooone

di lasciarci andar liiiiberi!"

 

- Rhett, il capitano Randall mi ha mentito, come tutti gli uomini... che cercano di nasconderci la verità per timore dei nostri svenimenti. Se non vi è pericolo, Rhett, perché fanno queste nuove fortificazioni? E l'esercito è così povero d'uomini che occorre servirsi dei negri?-

Rhett diede la voce alla giumenta.

- L'esercito è terribilmente impoverito. Altrimenti, perché verrebbe chiamata la Guardia Nazionale? Quanto alle fortificazioni, possono servire in caso d'assedio. Il generale si prepara a compiere qui la sua ultima ritirata.-

- Un assedio! Oh, voltate il cavallo. Voglio tornare a casa mia, a Tara, subito subito.-

- Perché tanta fretta? -

- Un assedio! Ma ci pensate: un assedio! Dio mio, ne ho sentito parlare... Il babbo ci si è trovato, o forse suo padre, e mi ha raccontato...-

- Quale assedio? -

- Quello di Drogheda, quando Cromwell strinse gli irlandesi e questi non avevano nulla da mangiare... Il babbo mi ha detto che morivano di fame per le strade e che finirono col mangiare gatti e topi e perfino scarafaggi... E mi ha detto che prima di arrendersi si mangiarono gli uni con gli altri... ma non so se questo sia vero. Un assedio! Madre di Dio! -

- Siete la donna più barbaramente ignorante che io abbia conosciuta. L'assedio di Drogheda è stato nel Seicento e qualche cosa, e il signor O'Hara non può esservisi trovato. Del resto, Sherman non è Cromwell.-

- Ma è peggio! Dicono...-

- Quanto alle carni strambe mangiate dagli irlandesi... vi assicuro che per conto mio preferirei un topo ben cucinato a certa roba che mi propinano all'albergo. Credo che farò bene a tornare a Richmond. Lì c'è ancora da mangiar bene se si ha denaro per pagarlo.-

I suoi occhi irridevano lo sgomento dipinto sul volto di lei. Irritata di aver lasciato vedere la propria paura, ella gridò: - Non so davvero perché siate rimasto qui tanto tempo! Non pensate se non a mangiar bene e altre cose del genere! -

- Trovo che è il miglior modo di passare il tempo: mangiare e... hm, altre cose del genere. Quanto all'essere rimasto qui... ho letto tante descrizioni di assedi, ma non ne ho mai visto nessuno. Non mi dispiacerebbe assistervi. Non ho nulla da temere, non essendo un combattente; e quest'esperienza mi attira. Non bisogna mai trascurare le esperienze, Rossella: esse arricchiscono la mente. E poi rimango per salvarvi quando vi sarà l'assedio. Non ho mai salvato una donna in pericolo. Anche questa sarà un'esperienza interessante.-

Rossella sentiva che egli la prendeva in giro; ma che nelle sue parole era un fondo di serietà. Crollò la testa, infastidita.

- Non ho nessun bisogno che mi salviate. So badare a me stessa, grazie.-

- Non lo dite, Rossella! Pensatelo, se volete, ma non ditelo mai a un uomo. Questo è il torto delle ragazze yankee, che sarebbero simpaticissime se non dicessero sempre che non hanno bisogno di nessuno. E allora gli uomini lasciano che se la sbroglino da sole.-

Fu seccatissima, perché nessun insulto poteva esser peggiore che l'essere paragonata a una ragazza yankee. - Come correte! - gli disse quindi gelida. - Mi raccontate delle frottole; sapete benissimo che gli yankees non arriveranno mai ad Atlanta.-

- Scommetto che saranno qui fra meno di un mese. Scommetto una scatola di dolci contro... - I suoi occhi neri corsero alle rosee labbra di lei. - Contro un bacio.-

Per un attimo il timore dell'invasione yankee le strinse il cuore, ma la parola "bacio" la distrasse subito. Questo era un terreno conosciuto, assai più interessante delle operazioni militari. Represse a stento un sorriso di trionfo. Dal giorno in cui le aveva regalato il cappello verde, Rhett non aveva mai detto una parola che potesse essere interpretata come quella di un innamorato. E adesso, senza nessun incoraggiamento da parte sua, eccolo che parlava di baci.

- Non mi piacciono questi discorsi - replicò con freddezza. - E del resto, preferirei baciare un maiale.-

- Non si tratta di gusto; e d'altronde ho sempre sentito che gli irlandesi hanno simpatia per i porci. Li tengono perfino sotto al letto. Ma voi, Rossella, avete un tremendo bisogno di baci. Tutti i vostri spasimanti vi hanno rispettata troppo, Dio sa perché!, o hanno avuto paura di comportarsi come bisognava con voi. Il risultato è che vi date delle arie insopportabili. Avete bisogno di esser baciata, e da uno che sa baciare.-

La conversazione non si svolgeva come Rossella desiderava; cosa che le accadeva sovente con lui.

- E probabilmente credete di esser voi la persona adatta? - gli chiese con sarcasmo, dominandosi a stento.

- Senza dubbio, se volessi prendermi la pena... Dicono che so baciare molto bene.-

- Oh... - cominciò indignata nel sentire così messo in non cale il suo fascino. Ma abbassò gli occhi confusa, vedendo nella profondità dei suoi occhi, malgrado il sorriso irridente, una fiammella che si spense subito.

- Probabilmente, vi sarete chiesta perché non ho dato alcun seguito a quel casto bacetto che vi diedi, il giorno in cui vi portai il cappello...-

- Non ho mai...-

- Vuol dire che non siete sensibile, Rossella; e questo mi dispiace. Tutte le ragazze sensibili si stupiscono se un uomo non tenta di baciarle. Sanno che non dovrebbero desiderarlo e che dovrebbero sentirsi insultate se un uomo lo facesse... ma lo desiderano ugualmente. Fatevi coraggio, cara. Un giorno o l'altro vi bacerò e la cosa vi piacerà. Ma adesso no; perciò vi prego di non essere impaziente. -

Come sempre, il suo scherno la rendeva furente. Vi era sempre troppa verità in quello che egli diceva. Ma questo era troppo. Gli darebbe una buona lezione, il giorno in cui fosse tanto villano da tentare di prendersi qualche libertà!

- Volete aver la bontà di voltare il cavallo, capitano Butler? Desidero tornare all'ospedale.-

- Davvero, bell'angelo assistente? Pidocchi e catini di sangue sono preferibili alla mia conversazione? Lungi da me impedire a due mani volenterose di lavorare per la Nostra Causa Gloriosa! - Voltò il cavallo questo riprese il cammino verso i Cinque Punti.

- Quanto al fatto di non aver mosso più alcun passo - riprese come se ella non gli avesse fatto comprendere che la conversazione era terminata - vi dirò che aspettavo che foste un po' più donna. Sono egoista, nei miei piaceri; e non ho mai amato baciare le bambine. -

Accennò a un sogghigno, vedendo con la coda dell'occhio il seno di lei che ansimava di collera silenziosa.

- E poi - continuò dolcemente - aspettavo che il ricordo dello stimabile Ashley Wilkes impallidisse alquanto.-

All'udire il nome di Wilkes, una pena improvvisa le strinse il cuore, mentre le lagrime le pungevano gli occhi. Impallidire, il ricordo di Ashley? Neanche se fosse morto da mille anni. Pensò al giovine ferito, moribondo in una lontana prigione yankee, senza un cencio per coprirsi, senza una persona amata che gli tenesse la mano, e fu piena di odio verso l'uomo ben pasciuto che le sedeva accanto e che le parlava con un leggero sarcasmo nella voce strascicata.

Era troppo adirata per parlare, sicché continuarono per un poco a procedere in silenzio.

- Ora ho ricostruito tutto sul conto vostro e di Ashley - riprese Rhett dopo un certo tempo. - Ho cominciato quando avete fatto quella volgare scenata alle Dodici Querce; e da quel giorno ho appreso molte cose tenendo gli occhi aperti. Quali cose? Per esempio, che voi nutrite ancora per lui una romantica passione da scolaretta, che egli ricambia nei limiti che la sua natura di uomo onesto gli permette. E che la signora Wilkes non ne sa nulla; fra tutti e due, le avete fatto un bello scherzo. Ho capito tutto, meno una cosa che punge la mia curiosità. L'ineffabile Ashley ha mai compromesso la sua anima immortale baciandovi? -

Un silenzio e un gesto del capo che si volgeva altrove furono la risposta.

- Bene; dunque vi ha baciata. Immagino che sia stato quando fu qui in licenza. E ora che probabilmente è morto, voi circondate di un culto quel ricordo. Ma sono certo che finirete col dimenticarlo e allora...-

Ella si volse come una furia.

- Allora... andate al diavolo! - E i suoi occhi verdi brillavano di collera. - E fatemi scendere da questa carrozza prima che io mi getti a terra. E non voglio che mi rivolgiate la parola mai più! -

Egli fermò la carrozza; ma prima che potesse scendere per aiutarla, ella era balzata a terra. L'abito le si impigliò nella ruota, e per un attimo la folla dei Cinque Punti ebbe una rapida visione di sottovesti e mutandine. Ma Rhett si chinò e la liberò con sveltezza. Ella sfuggì senza una parola, senza neanche voltarsi indietro; l'uomo rise piano e diede la voce al cavallo.

18

Per la prima volta, dal principio della guerra, Atlanta udiva la voce della battaglia. La mattina di buon'ora, prima che si destassero i rumori della città, il cannone di Kennesaw brontolava debolmente, lontano; un rombo che poteva sembrare quello di un tuono. A quando a quando era più forte, tanto da udirsi al disopra del traffico pomeridiano. La gente cercava di non ascoltarlo, cercava di parlare, di ridere, di continuare ad occuparsi delle proprie faccende, come se gli yankees non fossero a ventidue miglia; ma involontariamente le orecchie percepivano il suono. La città aveva un aspetto preoccupato, perché qualunque cosa si facesse, le orecchie ascoltavano, ascoltavano e i cuori sobbalzavano cento volte al giorno. Era più forte il rombo? O era una loro impressione? Riuscirebbe, questa volta, il generale Johnston?

Il panico cominciava ad apparire; i nervi che, dall'inizio del ripiegamento si tendevano ogni giorno di più, si andavano rilasciando. Nessuno parlava di possibili timori: era un soggetto tabù; ma il nervosismo trovava un certo sollievo nel criticare il generale. Sherman era alle porte di Atlanta. Un'altra ritirata porterebbe i confederati in città.

Dateci un generale che non ripieghi! Dateci un generale che resista e combatta!

Col lontano brontolio del cannone nelle orecchie, la Guardia Nazionale e la Milizia di Stato, i "Beniamini di Joe Brown", marciavano fuori di Atlanta, per difendere i ponti del fiume Chattahoochee alle spalle di Johnston. Era una giornata grigia e cupa; e mentre le truppe marciavano lungo i Cinque Punti avviandosi per la strada di Marietta, cominciò a cadere la pioggia. Tutta la città era in istrada, per assistere a quella partenza: la folla si stringeva sotto gli architravi delle botteghe della Via dell'Albero di Pesco e cercava di salutare gaiamente i partenti.

Rossella e Maribella Merriwether Picard avevano avuto il permesso di lasciare l'ospedale per assistere alla sfilata, perché lo zio Enrico Hamilton e il nonno Merriwether facevano parte della Guardia Nazionale; strette nella folla accanto alla signora Meade, cercavano di rizzarsi in punta di piedi per veder meglio. Rossella, benché dominata dallo stesso desiderio che avevano tutti i cittadini di credere le cose più rassicuranti, provò un freddo al cuore vedendo sfilare quegli uomini. La situazione doveva essere disperata, se venivano chiamati quei vecchi e quei ragazzi! La vista di questi, insieme a giovani abili e benportanti, le stringeva il cuore di pietà e di terrore. Vi erano uomini con la barba grigia, più vecchi di suo padre, che cercavano di marciare baldanzosamente sotto la pioggia, al ritmo dei pifferi e al rullo dei tamburi. Il nonno Merriwether, che era in prima fila e aveva sulle spalle il migliore scialle di sua nuora per ripararsi dalla pioggia, salutò le ragazze con un sorriso. Esse agitarono i fazzoletti; ma Maribella, afferrando il braccio di Rossella, sussurrò: - Povero vecchio! Se prende un acquazzone... con la sua lombaggine...-

Zio Enrico Hamilton marciava subito dietro al vecchio, col colletto del suo vestito nero rialzato a riparargli le orecchie, due pistole messicane nella cintura e un piccolo sacco da viaggio in mano. Dietro a lui era il suo servo negro, quasi della stessa età, con un ombrello aperto a riparare entrambi. Spalla a spalla coi più anziani venivano i ragazzi; nessuno di loro mostrava più di sedici anni. Parecchi avevano lasciato i banchi della scuola per raggiungere l'esercito; qua e là erano gruppi di allievi delle scuole militari in uniforme, col pennacchietto di penne di gallo bagnato di pioggia e le strisce di tela bianca incrociate sul petto. Fra loro era Phil Meade, che portava fieramente la sciabola e le pistole del fratello morto, col cappello spavaldamente inclinato. La signora Meade cercò di sorridere e fargli cenni di saluto finché fu passato; poi appoggiò la testa sulla spalla di Rossella come se le forze l'avessero improvvisamente abbandonata.

Molti erano completamente disarmati: la Confederazione non aveva più fucili né munizioni. Questi uomini speravano di provvedersi di armi togliendole agli yankees uccisi o prigionieri. Parecchi portavano dei pugnali infilati negli stivali, e in mano lunghe aste di ferro appuntite. I più fortunati avevano dei vecchi moschetti appoggiati alla spalla e fiaschette di polvere alla cintura.

“Johnston ha perduto diecimila uomini nella sua ritirata; ha quindi bisogno di altrettanti uomini freschi. Ed ecco che cosa gli giunge!" pensò Rossella terrorizzata.

Al passaggio dell'artiglieria che spruzzava di fango la folla ammassata, l'occhio di Rossella fu colpito da un negro che cavalcava un mulo di fianco a un cannone. Era un giovinotto color sabbia e Rossella vedendolo esclamò: - Ma è Mosè! L'ordinanza di Ashley! Che cosa fa qui? - Si aperse un varco tra la folla e gridò: - Mosè! Fermati! -

Il giovane negro, vedendola, tirò le redini, sorrise contento e fece per scendere dal mulo. Ma un sergente che cavalcava dietro a lui urlò: - Non ti muovere dalla sella, altrimenti guai a te! Ti faccio vedere io...-

Incerto, Mosè volse lo sguardo dal sergente a Rossella; questa, incurante della mota e della vicinanza delle ruote, giunse ad afferrare la staffa di Mosè.

- Solo un momento, sergente! Non scendere, Mosè. Che diamine fai qui? -

- Andare di nuovo alla guerra, Miss Rossella. Questa volta con vecchio Mist' John invece che con Mist' Ashley. -

- Mister Wilkes! - Rossella rimase sbalordita; il signor Wilkes aveva quasi settant'anni. - Dov'è? -

- Dietro, con ultimo cannone. Là, in fondo.-

- Scusate, signora. Avanti, ragazzo! -

Rossella rimase immobile, col fango sino alla caviglia, mentre i cannoni passavano. "No!" pensò. "E' impossibile. È troppo vecchio. E non ama la guerra, come Ashley!" Si ritrasse di qualche passo, verso il marciapiede e scrutò i volti di quelli che passavano. Accanto all'ultimo cannone lo vide, magro, dritto, coi lunghi capelli d'argento sul collo, a cavallo di una piccola giumenta baia, che zampettava tra il fango come una signora in abito di raso. "Ma è Nellie! La cavalla della signora Tarleton! La prediletta di Beatrice, rossa come lei!"

Vedendola, il signor Wilkes tirò le redini con un sorriso di contentezza e scese a terra movendole incontro.

- Speravo di venire da voi, Rossella. Debbo dirvi tante cose da parte dei vostri. Ma non ho avuto tempo. Siamo arrivati stamattina, e come vedete proseguiamo subito. -

- Oh, non andate, Mister Wilkes - gridò Rossella disperatamente tendendo le braccia. - Perché dovete andare? -

- Vi sembro troppo vecchio? - E sorrise con lo stesso sorriso di Ashley. - Forse per marciare; ma non per cavalcare e per sparare. E la signora Tarleton è stata tanto buona da prestarmi Nellie... spero non le capiti nulla, altrimenti non avrei più il coraggio di guardarla in faccia! Nellie era l'ultimo cavallo rimastole! -Rideva; e Rossella sentì svanire i suoi terrori. - Vostra madre e il babbo e le sorelle stanno bene e vi mandano tutte le loro tenerezze. Vostro padre stava per venire con noi! -

- Oh no, non il babbo! - esclamò la giovine, terrorizzata. - No! Non vorrà andare alla guerra?! -

- Voleva. Non può camminare, col suo ginocchio rigido; ma voleva venire a cavallo. Vostra madre ha acconsentito, purché egli riuscisse a saltare la barriera del pascolo; vostro padre ha creduto che fosse cosa facile ma... lo credereste? Il cavallo, arrivato alla barriera, si fermò bruscamente e vostro padre gli filò per le orecchie. Non so come non si è rotto il collo! Con la sua consueta ostinazione, volle ritentare. La terza volta Mrs. O'Hara e Pork dovettero aiutarlo a mettersi a letto. Era furibondo e diceva che vostra madre doveva essersi messa d'accordo col cavallo! Del resto, non c'è da vergognarsi. E bisogna bene che qualcuno rimanga a casa, altrimenti chi procura la farina per le truppe? -

Rossella non provava alcuna vergogna; soltanto un senso di profondo sollievo.

- Ho mandato Lydia e Gioia dai Burr, a Macon - proseguì il vecchio Wilkes - e Geraldo si occuperà delle Dodici Querce come di Tara... Debbo andare, figliuola. Lasciate che baci il vostro bel visino. -

Rossella ricambiò il bacio con un dolore acuto che le stringeva la gola. Voleva molto bene al signor Wilkes; e una volta, tanto tempo fa, aveva sperato di diventare sua nuora.

- E date questo bacio per me a Zia Pitty e quest'altro a Melania. Come sta, la cara Melly? -

- Sta bene.-

- Ah! - I suoi occhi grigi la fissarono, ma come se guardasse al di là, nella stessa maniera che aveva guardato Ashley. - Mi sarebbe piaciuto vedere il mio primo nipotino... Addio, mia cara.-

Balzò su Nellie e si avviò, tenendo il cappello in mano, coi capelli d'argento esposti alla pioggia. Rossella aveva raggiunto Maribella e la signora Meade prima di aver compreso la portata di quelle ultime parole. Ma improvvisamente l'afferrò, con un superstizioso terrore, e tentò di pregare. Aveva parlato di morte! E mentre le tre donne tornavano all'ospedale sotto la pioggia Rossella non fece che pregare silenziosamente. “Non fate morire anche lui, Dio onnipotente, anche lui oltre ad Ashley!”

Le giornate piovose di giugno passarono per dar luogo ad un luglio cattivo. I confederati, battendosi disperatamente attorno alle alture fortificate, riuscivano a tenere ancora Sherman in scacco; sicché una selvaggia gaiezza si impadronì di Atlanta. La speranza dava alla testa come lo champagne. Urrà! Urrà! Li teniamo a bada! Fu un'epidemia di balli e di ricevimenti. Ogni volta che qualche gruppo di uomini veniva dal campo di battaglia in città, si organizzavano pranzi in loro onore, seguiti da danze; le ragazze, che erano dieci per ogni uomo, facevano a gara per poter ballare con loro.

Atlanta era affollata di visitatori, profughi, famiglie di feriti, madri e mogli di combattenti. Rossella era occupatissima, fra il servizio ospedaliero e i divertimenti. A differenza della altre signore, che portavano abiti rivoltati e scarpe rattoppate ella era sempre elegantissima, grazie al materiale che Rhett Butler le aveva portato dal suo ultimo viaggio. Nelle calde notti estive le case di Atlanta erano aperte ai soldati, difensori della città. Suoni di banjo e di violini venivano dalle finestre illuminate, insieme a scalpiccii e a risate che l'aria notturna portava lontano. Attorno ai pianoforti erano gruppi numerosi che cantavano allegramente le tristi parole di "La tua lettera giunse, ma troppo tardi", mentre i giovani valorosi rivolgevano alle fanciulle ridenti dietro ai ventagli di penne di tacchino sguardi che chiedevano di non aspettare che fosse troppo tardi. E nessuna delle fanciulle aspettava, se poteva. I matrimoni erano affrettati; matrimoni con la sposa che arrossiva negli ornamenti presi frettolosamente in prestito, e lo sposo la cui sciabola batteva sui calzoni rattoppati. Quanta eccitazione! Urrà! Johnson teneva in scacco gli yankees a ventidue miglia dalla città!

 

Sì; le linee attorno alle montagne di Kennesaw erano inespugnabili. Dopo venticinque giorni di battaglia, perfino il generale Sherman se ne era convinto, poiché le sue perdite erano enormi. Invece di continuare l'attacco diretto, egli allargò nuovamente il suo esercito in un cerchio e cercò di giungere tra i confederati e Atlanta. Questa strategia fu efficace ancora una volta. Johnson fu costretto ad abbandonare le alture per proteggersi le spalle. Aveva perduto un terzo dei suoi uomini, e il rimanente si trascinava stanco sotto la pioggia, verso il fiume Chattahoochee. Non aspettavano altri rinforzi, mentre la ferrovia, in mano degli yankees dal basso Tennessee al campo di battaglia, portava a Sherman ogni giorno truppe fresche e rifornimenti. Attraverso i campi ridotti paludi di fango, i grigi indietreggiavano verso Atlanta.

Con la perdita delle posizioni ritenute inespugnabili, una nuova ondata di terrore si impadronì della città. Si sperava che almeno il generale riuscisse a fermare gli yankees sulla riva opposta del fiume, benché questo fosse abbastanza vicino: soltanto a sette miglia!

Ma Sherman valicò il fiume a monte e le file dei grigi furono costrette ad attraversare l'acqua gialla e a gettarsi di nuovo tra gli invasori e Atlanta. Ripararono in trincee frettolosamente scavate a nord della città, nella valletta del Fiumicello del Pesco. Atlanta era angosciata dallo spavento.

Combattere e ripiegare! Combattere e ripiegare! E ogni ritirata portava gli yankees più vicini alla città. Il Fiumicello del Pesco era solo a cinque miglia. Ma che cosa aveva in mente il generale?

Il grido "Dateci un uomo che resista e combatta!" penetrò fino a Richmond. Richmond sapeva che Atlanta era perduta, la guerra perduta; e dopo che l'esercito ebbe attraversato il fiume Chattahoochee, il generale Johnston fu esonerato dal comando. Questo fu affidato al generale Hood, uno dei suoi comandanti, e la città respirò sollevata. Hood, quel gigante del Kentucky con la barba fluttuante e gli occhi ardenti, non avrebbe indietreggiato! Aveva la reputazione di un bulldog. E certo riporterebbe l'esercito sulle antiche posizioni e da queste sulla strada che andava a Dalton. Ma l'esercito gridò: "Ridateci il Vecchio Joe!" perché con lui aveva fatto tutta la tremenda ritirata ed essi sapevano gli ostacoli che avevano superati e che i borghesi ignoravano.

Sherman non attese che Hood si preparasse all'attacco. L'indomani del mutamento di comando, il generale yankee piombò velocemente sulla cittadina di Decatur, a sei miglia al disotto di Atlanta, se ne impadronì e tagliò la strada ferrata. Era quella che collegava Atlanta con Augusta, Charleston, Wilmington e con la Virginia. Il colpo inferto alla Confederazione era violento. Ora Atlanta gridava il suo desiderio di agire; era tempo!

E in un pomeriggio di luglio, con un caldo soffocante, Atlanta realizzò il proprio desiderio. Il generale Hood fece più che resistere: egli assalì gli yankees al Fiumicello del Pesco, lanciando i suoi uomini fuori dalle trincee verso le linee turchine dove i soldati di Sherman erano il doppio di loro.

Sgomenti, pregando Dio che l'attacco di Hood fosse efficace, tutti ascoltavano il rombo del cannone e il crepitio delle migliaia di fucili che, benché lontani dieci miglia, sembrava sparassero nella strada accanto. Vedevano il fumo fermarsi come nuvole pesanti al di sopra degli alberi; ma per parecchie ore nessuno seppe l'esito della battaglia.

Sul tardo pomeriggio vennero le prime notizie, incerte, contraddittorie, spaventose. Erano recate dagli uomini feriti nelle prime ore, che giungevano a gruppi, i meno gravi sorreggendo quelli che stentavano a muoversi. In breve fu un'affluenza di individui doloranti che si avviavano agli ospedali, coi visi neri di polvere da sparo, sudore e polvere della strada, con le ferite non fasciate, perdenti sangue, accompagnati da sciami di mosche.

Quella della zia Pitty era una delle prime case a cui i disgraziati giungevano; uno dopo l'altro si afferravano al cancello e cadevano sul prato gemendo:

- Acqua! -

Tutto il pomeriggio la famiglia di Pitty, bianchi e negri, rimase al sole, con secchi d'acqua e bende, a porger da bere, a fasciare ferite, finché non ebbero più bende; e anche le lenzuola tagliate a strisce e gli asciugamani furono esauriti. Zia Pitty aveva completamente dimenticato che la vista del sangue la faceva svenire e lavorò finché i suoi piedini nelle scarpe troppo strette si gonfiarono e rifiutarono di continuare a sorreggerla. Perfino Melania, ormai grossa, dimenticò la sua pudicizia e lavorò febbrilmente accanto a Rossella, Prissy e la cuoca, col viso angosciato come quello dei feriti. Quando finalmente svenne, non si seppe dove coricarla, se non sulla tavola di cucina, perché ogni letto, divano, poltrona della casa era occupato da qualche ferito.

Dimenticato in quella confusione, il piccolo Wade, afferrato alla ringhiera della scala, guardava attraverso le sbarre come un coniglio spaventato, succhiandosi un dito e singhiozzando con gli occhi dilatati dal terrore. Una volta Rossella lo vide e gridò aspramente: - Vai a giocare nel cortile di dietro, Wade! - Ma il bimbo era troppo affascinato e terrificato dalla scena spaventosa, che si svolgeva dinanzi ai suoi occhi, per ubbidire.

Il prato era coperto di uomini abbattuti, troppo stanchi per camminare ancora, troppo indeboliti dal sangue perduto per potersi muovere. Zio Pietro li caricava a gruppi nella carrozza per portarli all'ospedale, facendo un viaggio dopo l'altro senza interruzione; finché il vecchio cavallo fu coperto di schiuma. La signora Meade e la signora Merriwether mandarono le loro carrozze e anche queste furono caricate, con le molle che cigolavano sotto il peso dei feriti.

Più tardi, nel caldo crepuscolo, giunsero dal campo di battaglia le ambulanze rumoreggianti e i carri dei commissariati, coperti di tele inzaccherate. E poi carri agricoli, carri tirati da buoi e perfino carrozze private requisite dal Corpo sanitario. Essi passarono dinanzi alla casa di zia Pitty, traballando sulla strada ineguale, carichi di feriti e di morti, lasciando strisce di sangue sulla polvere rossastra. Alla vista delle donne coi secchi e i mastelli, i veicoli si fermavano, ed era un coro misto di grida e di sussurri:

- Acqua! -

Rossella sorreggeva teste abbandonate, perché le labbra aride potessero bere, versava secchi d'acqua su corpi impolverati, febbrilmente, nelle ferite aperte per procurare un attimo di sollievo ai disgraziati. Si avvicinava coi secchielli in mano ai conducenti delle ambulanze e chiedeva col cuore in gola: - Che notizie? Che notizie? -

E da tutti aveva la stessa risposta: - Niente di certo, signora. È troppo presto per poter dire qualche cosa. -

Giunse la notte soffocante. Non un soffio d'aria; le fiaccole di pino tenute dai negri rendevano l'atmosfera ancora più calda. La polvere ostruiva le narici di Rossella e inaridiva le sue labbra. Il suo abito di calicò color lavanda, così ben stirato e inamidato la mattina, era macchiato di sangue, di sudore e di sudiciume. Ecco ciò che intendeva dire Ashley quando scriveva che la guerra non era che sudiciume e miseria.

La stanchezza dava alla scena un aspetto irreale, fantomatico. Non poteva esser vero... perché se fosse stato vero, il mondo doveva essere impazzito. Altrimenti, perché ella si troverebbe qui, nel tranquillo prato dinanzi alla casa di zia Pitty, in mezzo a luci oscillanti, a versar acqua sui suoi spasimanti moribondi? Infatti molti dei feriti le avevano fatto la corte e vedendola cercavano di sorridere. Vi erano tanti uomini che vacillavano su quella strada buia e polverosa, uomini che ella conosceva bene e che morivano sotto i suoi occhi, coi volti insanguinati coperti di zanzare, uomini coi quali aveva riso, ballato, per i quali aveva suonato e cantato e che aveva stuzzicato, confortato anche... amato un pochino.

Trovò Carey Ashburn fra un mucchio di feriti in un carro da buoi, ancora vivo benché avesse una pallottola da fucile nel capo.

Ma non poteva trarlo dal carro senza disturbare altri sei feriti, quindi lo lasciò andare all'ospedale. Più tardi seppe che era morto prima ancora di esser veduto da un dottore, e che era stato sepolto non si sapeva precisamente dove. Ne erano stati sepolti tanti in quel mese, nelle tombe scavate frettolosamente nel cimitero di Oakland. Melania fu molto addolorata per non aver potuto tagliare una ciocca di capelli di Carey da mandare a sua madre ad Alabama.

La notte trascorse; Pitty e Rossella avevano la schiena indolenzita e le ginocchia che si piegavano per la stanchezza, ma continuavano instancabilmente a chiedere: - Che notizie? Che notizie? -

E dopo lunghe ore ebbero risposta: una risposta spaventosa.

- Stiamo indietreggiando. - - Ci ritiriamo. - - Sono migliaia e migliaia più di noi. - - Gli yankees hanno tagliato la strada alla cavalleria vicino a Decatur. - - Bisognava mandar dei rinforzi. - - Tutti i nostri saranno fra poco in città. -

Rossella e Pitty erano attaccate l'una al braccio dell'altra sorreggendosi a vicenda.

- Stanno... vengono... gli yankees? -

- Sì, signora, vengono; ma non c'è d'aver paura. - - Non abbiate paura, Miss, non possono prendere Atlanta. - - No, signora, abbiamo costruito troppe fortificazioni intorno alla città. - - Ho sentito il Vecchio Joe dirmi personalmente: posso tenere Atlanta indefinitamente. - - Sì, se ci fosse il Vecchio Joe. Ma...- - Sta' zitto, imbecille! Che bisogno hai di spaventare le signore? - - Gli yankees non potranno mai conquistare Atlanta. - - Ma perché non andate a Macon o in qualche altro posto? Non avete parenti? - - Gli yankees non possono prendere Atlanta; ma certo sarebbe meglio che le donne non rimanessero qui, sia pure per assistere al tentativo.-

L'indomani, in una giornata soffocante e piovosa, l'esercito sconfitto affluì ad Atlanta: migliaia di uomini esauriti dalla fame e dalla debolezza, demoralizzati da 70 giorni di battaglie e di ritirate, coi cavalli macilenti e spauriti, i cannoni e i cassoni tenuti insieme da pezzi di corda e strisce di vecchio cuoio. Ma non venivano col disordine di un esercito in rotta. Marciavano in buon ordine, malgrado i loro stracci, con le rosse e lacere bandiere di battaglia sventolanti sotto la pioggia. Avevano imparato a ripiegare col Vecchio Joe, il quale aveva fatto della ritirata un elemento strategico come un'avanzata. Le file di uomini barbuti e laceri percorsero la via dell'Albero di Pesco, cantando: "Maryland! O mia Maryland!"; e tutta la città venne fuori a salutarli. Vincitori o sconfitti erano i suoi soldati.

La Milizia di Stato, che era andata in campo poco tempo prima, splendente nelle sue nuove uniformi, si distingueva a malapena dalle truppe stagionate, tanto i suoi componenti erano in disordine. Nei loro occhi era una nuova espressione. I tre anni, durante i quali non avevano fatto che giustificarsi, spiegando la loro assenza dal fronte, erano ormai dietro di loro. Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta.

I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi muovendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscì a scorgere John Wilkes.

I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno.

Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli.

La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era più panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: "Terrò Atlanta indefinitamente."

Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: "Conserverò Atlanta indefinitamente!"

 

La tattica prudente del generale Johnston non era quella di Hood; questi assalì gli yankees a est e li assalì a ovest. Sherman stava accerchiando la città come un atleta che cerca il punto debole nel corpo dell'avversario; e Hood non rimase nelle sue trincee ad aspettare l'attacco. Uscì temerariamente ad incontrare il nemico e gli piombò sopra con violenza. In pochi giorni furono combattute le battaglie di Atlanta e di Ezra Church, ed entrambe furono di un'importanza che fece apparire quella dell'Albero di Pesco come una scaramuccia.

Ma gli yankees non sembravano disposti a indietreggiare. Avevano sofferto enormi perdite, ma non cedevano. Le loro batterie lanciavano proiettili nell'interno della città, uccidendo persone nelle case, scoperchiando tetti, scavando buche nelle strade. I cittadini si ripararono alla meglio nelle cantine e nei sotterranei. Atlanta era in pieno assedio.

Undici giorni dopo di aver assunto il comando, il generale Hood aveva perso quasi tanti uomini quanti ne aveva perduto Johnston in 74 giorni di battaglie e di ritirata, e Atlanta era investita da tre lati.

La ferrovia da Atlanta a Tennessee era adesso completamente nelle mani di Sherman. L'unica ferrovia ancora aperta era quella che giungeva a Macon e Savannah. La città era affollata di soldati, rigurgitante di feriti, invasa da profughi; e quell'unica linea ferroviaria era inadeguata ai suoi bisogni. Ma finché era possibile difendere quella linea, Atlanta poteva resistere.

Rossella fu terrorizzata quando comprese come quella linea era importante e come Sherman avrebbe combattuto per impadronirsene, e come Hood l'avrebbe disperatamente difesa. Questa era la ferrovia che raggiungeva la Contea passando per Jonesboro. E Tara era soltanto a cinque miglia da Jonesboro! Tara che le era sembrata dover essere un divino rifugio a confronto dell'ardente inferno di Atlanta, Tara era solo a cinque miglia da Jonesboro.

 

Rossella e molte altre signore erano sui tetti dei magazzini, riparate dai loro leggeri parasoli, ad osservare la battaglia. Ma quando qualche proiettile cadde nelle strade, esse fuggirono nelle cantine; e quella notte cominciò l'esodo delle donne, dei bambini e dei vecchi dalla città. Macon era la loro destinazione; e molti di quelli che presero il treno quella sera erano già fuggiti cinque o sei volte, da quando Johnston aveva cominciato a ripiegare. Ora viaggiavano con meno bagaglio di quando erano arrivati ad Atlanta. Parecchi non portavano se non una sacca da viaggio e un po' di viveri in un fardelletto.

Qua e là servi spaventati portavano bricchi d'argento, posate e qualche ritratto di famiglia che era stato salvato nella prima fuga.

Le signore Merriwether e Elsing rifiutarono di partire. C'era bisogno di loro all'ospedale; e inoltre esse dicevano fieramente che non avevano paura e che nessun yankee le avrebbe scacciate dalle loro case. Ma Maribella e il suo piccino, insieme a Fanny Elsing, andarono a Macon. La signora Meade fu disubbidiente per prima volta in vita sua e rifiutò di prendere, secondo l'ordine di suo marito, il treno che l'avrebbe portata in salvo. Disse che il dottore aveva bisogno di lei; e poi Phil era in trincea, ed ella voleva esser vicina, in caso...

Ma la signora Whiting e molte altre signore del circolo di Rossella partirono. Zia Pitty, che era stata la prima ad accusare il Vecchio Joe per la sua politica di ripiegamento, fu anche tra le prime a fare i bauli. I suoi nervi - disse - erano delicati ed ella non poteva fuggire in cantina. Quindi andrebbe a Macon, dalla sua vecchia cugina, la signora Burr, e le ragazze andrebbero con lei.

Rossella non desiderava affatto andare a Macon. Per quanto avesse paura delle cannonate, preferiva rimanere ad Atlanta, perché detestava cordialmente la vecchia Burr. Quindi disse che sarebbe andata a Tara, mentre Melly poteva andare a Macon con la zia.

A questa proposta Melania cominciò a piangere in modo da spezzare il cuore. Quando Zia Pitty corse a chiamare il dottore, Melania prese fra le sue le mani di Rossella, supplicandola:

- No, non puoi andare a Tara e lasciarmi! Sarò tanto sola senza di te! Morirei se tu non fossi con me quando... quando arriverà il bambino. Sì, sì, so che c'è zia Pitty, che è tanto cara... Ma lei non ha mai avuto bambini... E poi, certe volte mi dà ai nervi... Non mi lasciare! Sei stata una sorella per me e poi...- e sorrise debolmente - hai promesso ad Ashley di aver cura di me. Mi disse che te lo avrebbe chiesto.-

Rossella la fissò stupita. Come poteva Melania voler tanto bene a chi stentava a dissimulare la sua antipatia per lei? E come poteva essere tanto stupida da non indovinare il segreto del suo amore per Ashley? Si era tradita tante volte, in quegli ultimi mesi di tormento! Ma Melania non poteva veder nulla di male nelle persone a cui voleva bene... Sì, aveva promesso di aver cura di Melania... E forse Ashley era morto; ma l'impegno che aveva preso la obbligava...

- Va bene - disse brevemente - ho promesso e manterrò la mia promessa. Ma non voglio andare a Macon. Piuttosto verrai tu a Tara. Alla mamma farà piacere averti in casa.-

- Oh sì! È tanto cara, la tua mamma. Ma la zia morirebbe al pensiero di non essere accanto a me quando nascerà il bambino; e so che non vuole andare a Tara. È troppo vicina ai luoghi dove si combatte...-

Il dottor Meade, che era accorso all'urgente chiamata di Pitty aspettandosi di trovarsi di fronte a un parto prematuro, fu indignato; e udendo le ragioni di quello scompiglio, non nascose il suo pensiero.

- Non c'è neanche da pensare, per voi, di andare a Macon, Melly. Non rispondo di voi se vi muovete. I treni sono rigurgitanti; e ci si può aspettare di esser pregati di scendere in mezzo ai boschi, se un treno occorre per trasporto di feriti. Nelle vostre condizioni...-

- Ma se andassi a Tara con Rossella...-

- Vi ho detto che non vi dovete muovere. Il treno di Tara è lo stesso treno di Macon. E poi, nessuno sa precisamente dove sono gli yankees... Il treno potrebbe anche essere catturato. E se anche arrivaste bene a Jonesboro, vi sono poi cinque miglia in carrozza per arrivare a Tara. Aggiungete che nella Contea non c'è neanche un medico, perché anche il vecchio dottor Fontaine ha raggiunto l'esercito.-

- Ma ci sono le levatrici...-

- Ho detto un medico - ribatté bruscamente il dottore; e involontariamente i suoi occhi corsero alla sua figuretta sottile. - Non voglio che vi muoviate. Non credo che desideriate di partorire in treno o in carrozzino, credo? -

La franchezza del sanitario costrinse le donne ad arrossire e a tacere imbarazzate.

- Rimanete tranquilla qui, dove io posso sorvegliarvi; e state a letto. Inutile correre su e giù per le cantine. No, neanche se i proiettili entrano dalle finestre. Dopo tutto, pensate che fra breve gli yankees saranno battuti... Dunque, miss Pitty, voi andate a Macon e lasciate qui le giovani signore.-

- Sole? - gridò Pitty inorridita.

- Ci sono tante donne anziane. E mia moglie abita a due passi. Del resto, con miss Melly in quelle condizioni, non credo che riceveranno visite di uomini. Dio mio, miss Pitty! È tempo di guerra. Non si può badare tanto alle convenienze. -

Uscì dalla stanza e discese, fermandosi nel porticato ad attendere che Rossella lo raggiungesse.

- Vi parlerò francamente - le disse tirandosi la barbetta grigia. - Mi sembra che abbiate un certo buon senso; quindi risparmiatemi i rossori inutili. Non voglio più sentir parlare di viaggi per Melly. Temo che non resisterebbe. Avrà un parto difficile, anche nella migliore delle ipotesi...E' stretta di bacino e probabilmente avremo bisogno del forcipe; perciò non voglio che capiti nelle mani di qualche ignorante levatrice negra. Le donne come lei non dovrebbero aver bambini, ma... Ad ogni modo, fate i bauli di miss Pitty e mandatela a Macon. È così spaventata che non è una buona compagnia per sua nipote. Quanto a voi - proseguì fissandola coi suoi occhi penetranti - non voglio sentir dire che andate a casa. Rimarrete qui fino alla nascita del piccino. Non avete paura, spero? -

- Oh no! - mentì Rossella.

- Brava figliuola. Mia moglie vi farà da accompagnatrice sempre che ne avrete bisogno, e vi manderò la vecchia Betsy per farvi la cucina, perché miss Pitty vuol portare con sé i suoi servi. Sarà per poco. Il bimbo dovrebbe nascere tra cinque settimane, circa; ma con le primipare non si può mai esser sicuri. Può anche anticipare.-

Zia Pitty partì per Macon, piangendo a calde lacrime, portando con sé zio Pietro e la cuoca. Regalò all'ospedale la carrozza e il cavallo, in uno slancio di patriottismo di cui si pentì immediatamente. E Rossella e Melania rimasero sole con Wade e Prissy in una casa che era adesso assai più tranquilla, malgrado il cannoneggiamento continuo.

19

In quei primi giorni dell'assedio, mentre gli yankees cercavano qua e là di penetrare attraverso il cerchio di difesa, Rossella provava una tal paura ad ogni cannonata che non riusciva se non a tapparsi le orecchie con le mani, aspettandosi da un attimo all'altro di esser travolta. Quando udiva l'urlo che annunciava l'avvicinarsi del proiettile, si precipitava in camera di Melania e si gettava sul letto accanto a lei; si abbracciavano strette nascondendo il capo fra i guanciali, gridando. Prissy e Wade fuggivano in cantina, nell'oscurità piena di ragnatele; Prissy urlando con quanta voce aveva in gola, Wade singhiozzando e gemendo. Allo spavento di potere essere squarciata da un obice si aggiungeva il terrore che da un momento all'altro nascesse il bimbo di Melania. Che avrebbe fatto, in questo caso? Sapeva che avrebbe lasciato morire Melania piuttosto che arrischiarsi ad andare a cercare il dottore, con le palle di cannone che cadevano come pioggia d'aprile. E sapeva che Prissy si sarebbe lasciata ammazzare prima di uscir di casa. Che farebbe, dunque?

Discuteva di questo sottovoce con Prissy che calmò i suoi timori.

- Miss Rossella, non preoccuparti per dottore quando essere momento. Io sapere come fare. Mia mamma essere levatrice, e avermi abituata per fare anche me levatrice. Tu lasciar fare a me.-

Rossella respirò sollevata; ma nondimeno continuò a desiderare disperatamente che quella prova fosse già passata. Anelante di esser lontana dal rombo del cannone, nella tranquillità di Tara, ogni sera pregò fervidamente perché il bimbo nascesse l'indomani; ella avrebbe allora assolto la sua promessa e potrebbe lasciare Atlanta. Tara le sembrava sicura e lontana da tutti gli spaventi.

Smaniava per la sua casa e per la mamma come non aveva mai smaniato per nulla nella vita. Le sembrava che vicino a Elena non avrebbe paura, qualunque cosa accadesse. E ogni sera andava a letto con l'intenzione di dire a Melania, l'indomani, che non poteva più resistere e che voleva partire per Tara; Melania sarebbe andata in casa della signora Meade. Ma appena coricata, si rivedeva davanti il viso di Ashley mentre, torturato internamente, le diceva con un lieve sorriso: "Avrete cura di Melania, non è vero? Voi siete forte... Promettetemelo." Ed ella aveva promesso. Ashley era certamente morto, e la vedeva, la costringeva a mantenere la promessa.

Rispondendo alle lettere di Elena che la scongiuravano di tornare a casa, ella scrisse diminuendo la gravità del pericolo, spiegando le condizioni di Melania e promettendo di partire subito dopo la nascita del bimbo. Elena, sensibile ai legami di parentela, acconsentì riluttante, ma chiedendo che mandasse immediatamente a casa Wade e Prissy. Quest'idea fu completamente approvata da Prissy, che era ormai ridotta un'idiota che batteva i denti al menomo rumore. Passava tanto tempo in cantina, che le ragazze non avrebbero neanche potuto mangiare, se non vi fosse stata la vecchia Betsy a cucinare qualche cosa.

Rossella era anch'essa ansiosa di mandare il piccino lontano da Atlanta, non tanto per la sua salvezza, quanto perché i suoi terrori la irritavano in sommo grado. Wade era talmente impaurito dal fragore delle esplosioni che rimaneva afferrato alle gonne della madre anche durante i momenti di calma, senza neanche poter emettere la voce. Aveva paura di andare a letto la sera, paura del buio, paura di addormentarsi perché gli yankees potevano arrivare e portarlo via; e il suo tremito lieve durante la notte la esasperava. Ella non era meno sbigottita di lui; ma il vedersi ricordata continuamente la sua paura da quel visino atterrito la irritava. Sì; Tara era il luogo adatto per Wade. Prissy ve l'avrebbe portato subito, ritornando senza indugio per trovarsi presente al momento del parto di Melania.

Ma prima che Rossella li avesse messi sul treno, giunse notizia che gli yankees si erano avanzati verso il sud e che continue scaramucce si svolgevano lungo la ferrovia fra Atlanta e Jonesboro. Se il treno su cui viaggiavano Prissy e il bimbo fosse catturato... Rossella e Melania impallidirono a questo pensiero, perché le atrocità degli yankees contro i bambini erano ben note. Quindi si rinunciò a mandarlo a Tara, ed egli rimase in casa, silenzioso come lo spettro della paura, sempre attaccato alla sottana di sua madre, come se quella fosse la sola salvezza possibile.

L'assedio continuò durante le soffocanti giornate di luglio e la città cominciò ad adattarvisi. Sembrava che ormai il peggio fosse passato, e che non vi fosse altro da temere. La vita poteva riprendere quasi normalmente. Tutti sapevano che si trovavano su un vulcano, ma finché questo non eruttava, non vi era nulla da fare. Perché preoccuparsi, dunque? Chi sa se avrebbe eruttato mai... Hood tratteneva il nemico e la cavalleria difendeva la ferrovia di Macon. No, la città non sarebbe invasa!

A poco a poco Rossella riprese coraggio. Certo, continuava a sobbalzare ad ogni cannonata, ma non correva più a nasconder la testa fra i guanciali di Melania. Si limitava a dire debolmente: - Questa è caduta vicina, vero? -

Era meno atterrita anche perché la vita ora aveva preso la consistenza di un sogno: troppo tremendo per esser vero. Non era possibile che lei, Rossella O'Hara, si trovasse in continuo pericolo di morte; non era possibile che la loro tranquilla esistenza fosse mutata completamente in così breve tempo.

Era irreale - grottescamente irreale - che quel cielo così azzurro al mattino potesse esser profanato dal fumo dei cannoni che restava sospeso sulla città come nuvole dense; che i caldi meriggi pieni della penetrante dolcezza del caprifoglio e delle rose rampicanti potessero essere così spaventosi quando i proiettili scoppiavano nelle strade, lanciando attorno schegge che laceravano uomini e animali.

Le sonnolente sieste pomeridiane erano cessate perché nonostante vi fossero periodi di calma - la Via dell'Albero di Pesco era rumorosa a tutte le ore per lo strepito dei cannoni e delle ambulanze che passavano, il gemito dei feriti che venivano trasportati agli ospedali, il calpestio frettoloso dei reggimenti che passavano, dalle trincee stabilite in un lato della città alle fortificazioni del lato opposto più minacciate, e la corsa precipitosa dei corrieri che si affrettavano verso il Quartier Generale come se da loro dipendesse il destino della Confederazione.

Le notti portavano il silenzio; ma un silenzio sinistro e minaccioso. Era come se le rane, i grilli, i merli fossero troppo spaventati per alzar la voce nel consueto coro delle notti estive. Qua e là la quiete era interrotta dal crepitio di qualche fucilata sparata dalle ultime linee di difesa.

Sovente, nelle ultime ore della notte, quando i lumi erano spenti e Melania dormiva, Rossella - che era desta - udiva cigolare il cancello d'entrata e bussare leggermente ma frettolosamente alla porta.

Soldati senza volto erano nell'oscurità del porticato e voci sconosciute parlavano. A volte eran voci e modi più signorili: - Signora, infinite scuse del disturbo: potrei avere un po' d'acqua per me e per il mio cavallo? - A volte erano le voci profonde dei montanari, altre volte quelle nasali dell'estremo Sud, più raramente la cadenza strascicata della costa che le colpiva il cuore, perché le ricordava la voce di Elena.

- Signora, c'è un mio compagno che avevo messo in groppa, ma non può più reggersi... Potete farlo entrare? -

- Signora, perdonate l'indiscrezione, ma... posso passare la notte sotto al vostro porticato? Ho visto le rose e ho sentito l'odore del caprifoglio... come a casa mia!-

No, quelle notti non erano reali. Erano un incubo e costoro ne facevano parte: uomini senza viso e senza corpo, voci stanche che uscivano dalle tenebre. Dar loro dell'acqua, somministrare cibo, metter guanciali nel porticato, fasciar ferite, sorregger la testa ai moribondi... No, impossibile che questo stesse accadendo a lei!

Una notte fu zio Enrico che venne a bussare. Non aveva più l'ombrello né la valigetta e anche la sua pancia era scomparsa. La pelle del viso pendeva moscia come quella delle guance di un bull-dog e i suoi lunghi capelli bianchi erano incredibilmente sudici. Era quasi scalzo, formicolante di pidocchi e affamato; ma il suo spirito irascibile non era domo.

Lo avevano utilizzato come un giovinotto; ed egli poteva effettivamente competere coi giovani, cosa impossibile al nonno Merriwether, con la sua lombaggine. Il capitano aveva voluto rimandare a casa il vecchio, ma questi si era opposto: preferiva ancora la guerra alla convivenza con la nuora, che brontolava tutto il giorno, per fargli smettere di masticar tabacco e altre cose simili.

La visita di zio Enrico fu breve: aveva avuto solo ventiquattro ore di permesso; e la metà di quel tempo occorreva per venire dalle fortificazioni e ritornarvi.

- Ragazze, non vi rivedrò per un pezzo - annunciò mentre immergeva voluttuosamente i piedi nel catino d'acqua fresca che Rossella gli aveva posto dinanzi, nella camera da letto di Melania. - La nostra compagnia si mette in moto domattina.-

- Per andar dove? - chiese Melania afferrandogli il braccio.

- Non mi toccate! Sono pieno di pidocchi. La guerra sarebbe un divertimento, se non vi fossero i pidocchi e la dissenteria. Dove andiamo? Non me l'hanno detto, ma mi pare di aver capito che si va verso il Sud, verso Jonesboro. -

- E perché? -

- Perché ci sarà da combattere in quella zona, cara figliuola. Gli yankees tentano di impadronirsi della ferrovia. E se la prendono, buona notte Atlanta! -

- Dio, Dio, zio Enrico, credi che vi riusciranno? -

- Silenzio, ragazze! Come volete che la prendano, se ci sono io? - Zio Enrico sorrise del loro spavento; poi tornando serio: - Sarà una dura battaglia, figliuole. Dobbiamo vincerla. Sapete che gli yankees hanno in mano tutte le ferrovie, eccetto quella di Macon; ma oltre a questo, forse voialtre lo ignorate sono padroni di tutte le strade, eccetto quella di McDonough. Atlanta è in un culdisacco, e i cordoni di questo sono a Jonesboro. Se gli yankees prendono quella ferrovia, possono tirare la corda e prenderci come un topo in trappola. Ecco perché non bisogna che la prendano... Vado, ragazze. Sono venuto soltanto per salutarvi e per vedere se Rossella era ancora con te, Melania.-

- E' naturale che è con me - rispose Melania affettuosamente. - Non ti preoccupare per noi, zio, e bada a te stesso.-

Lo zio si asciugò i piedi; quindi, infilandosi le sue scarpe a brandelli, emise un gemito.

- Bisogna che vada - disse poi. - Ho da percorrere cinque miglia. Rossella, trovami qualche cosa da mangiare, da portar via. Qualunque cosa.-

Dopo avere abbracciato Melania, scese in cucina dove Rossella stava avvolgendo in un tovagliolo una focaccia di granoturco e qualche mela.

- Zio... è davvero una cosa tanto seria? -

- Seria! Sicuro, perbacco. Sono le nostre ultime difese.-

- E credete... che arriveranno a Tara? -

- Che diamine... - cominciò zio Enrico, irritato di quella mentalità femminile che pensava solo a ciò che la interessava personalmente. Quindi, vedendo il suo volto atterrito, si raddolcì.

- Certo no. Tara è a cinque miglia dalla ferrovia, e gli yankees non mirano che a questa. Hai il cervello di un passerotto. - Si interruppe bruscamente. Poi riprese: - Non ho fatto tutta questa strada stasera soltanto per salutarvi. Ho delle cattive notizie da comunicare a Melania, ma quando è stato il momento di dirglielo, me n'è mancato il coraggio. Quindi lascio l'incarico a te.-

- Ashley... avete saputo... che è morto? -

- Come vuoi che sappia qualche cosa di Ashley, in fondo a una trincea? No. Si tratta di suo padre. John Wilkes è morto.-

Rossella sedette di colpo, tenendo in mano il fardelletto non ancora annodato.

- Volevo dirlo a Melania... ma non ho potuto. Glielo dirai tu. E dalle questi.-

Trasse di tasca un pesante orologio d'oro da cui pendevano dei suggelli, una piccola miniatura della defunta signora Wilkes e un paio di grossi bottoni da polso. Fu soltanto nel vedere l'orologio che tante volte aveva scorto fra le mani del vecchio Wilkes, che Rossella comprese veramente che il padre di Ashley era morto. E fu troppo colpita per piangere. Lo zio tossicchiò senza guardarla, temendo delle lacrime che lo avrebbero sconvolto.

- Era un uomo coraggioso, Rossella. Dillo a Melly. E dille che lo scriva alle figlie. Ed è stato un ottimo soldato, malgrado la sua età. Una granata lo ha squarciato ed ha ferito anche il cavallo, che ho poi finito io stesso. Era una bella giumenta. Sarà bene che tu scriva anche alla signora Tarleton per informarla. Teneva moltissimo alla sua cavallina. Dammi quel fardello, bambina, debbo andare. E non prendertela tanto. Non è una bella morte, per un vecchio, finire come un giovine? -

- No, non doveva morire! Non doveva andare alla guerra... Doveva vivere per veder crescere il suo nipotino e poi morire tranquillamente nel suo letto. Oh, perché è andato? Non credeva alla secessione e odiava la guerra...-

- Molti di noi la pensano così, ma a che serve? Credi che mi diverta servir da bersaglio, alla mia età, ai tiratori yankee? Ma non vi è altra scelta, in questi momenti, per un gentiluomo. Abbracciami, bambina, e non stare in pensiero per me. Uscirò da questa guerra sano e salvo. -

Rossella lo abbracciò e ascoltò i suoi passi nel buio; udì aprirsi e richiudersi il cancello. Rimase un attimo a guardare gli oggetti che aveva in mano. Poi salì le scale per andare da Melania.

 

Alla fine di luglio giunse la notizia predetta da zio Enrico gli yankees, passando di fianco, stavano investendo Jonesboro Avevano tagliato la ferrovia a quattro miglia a sud della città, ma erano stati battuti dalla cavalleria confederata; e il Corpo del genio, sudando sotto il sole cocente, aveva riparato la linea.

Rossella era frenetica di ansietà. Per tre giorni attese, in un'angoscia sempre crescente. Finalmente giunse una lettera di Geraldo rassicurante. Il nemico non era arrivato a Tara. Si udiva il rumore della battaglia, ma non si era visto nessun soldato yankee.

La lettera era così piena di jattanza e di vanagloria per la maniera in cui gli yankees erano stati respinti dalla linea ferroviaria, che si sarebbe potuto credere che il fatto d'arme fosse stato compiuto da Geraldo in persona. Tre pagine rigurgitavano di elogi per il valore delle truppe; in fondo alla lettera egli menzionava brevemente che Carolene era ammalata. Elena aveva detto che si trattava di tifo. Non era grave e Rossella non doveva mettersi in pensiero; ma non pensasse assolutamente di tornare a casa adesso, anche se la ferrovia fosse stata sicura. Ora la signora O'Hara era contenta che Rossella e Wade non fossero andati a Tara al principio dell'assedio. La esortava ad andare in chiesa, a dire qualche rosario per la guarigione di sua sorella.

Rossella si sentì rimordere la coscienza a queste ultime parole, perché da mesi non andava in chiesa. Una volta questa trascuraggine le sarebbe parsa un peccato mortale, ma ora non le sembrava più così grave. Obbedì a sua madre e andò in fretta in camera a recitare il Rosario. Quando si alzò, non sentì però quel conforto che la preghiera le aveva dato in altri tempi.

Quella sera sedette nel porticato con la lettera di Geraldo in seno; le sembrava che quel contatto la riavvicinasse a Tara e ad Elena. L'aria era silenziosa; nemmeno una fucilata si era udita dopo il tramonto, e tutto il mondo sembrava lontanissimo. Rossella si dondolava nella poltrona di vimini, infelice dopo aver letto le notizie di Tara, desiderando una compagnia qualsiasi, magari quella della signora Merriwether. Ma questa era di servizio all'ospedale; la signora Meade era a casa sua a festeggiare Phil, venuto di passaggio, e Melania dormiva. Non aveva neanche la speranza di una visita: ormai tutti gli uomini abili avevano imbracciato il fucile ed erano in trincea o nei pressi di Jonesboro.

Raramente era così sola. E non amava la solitudine perché questa la costringeva a pensare e i pensieri non erano piacevoli.

Chiuse gli occhi e immaginò di essere a Tara, nella calma rurale, e che la vita fosse rimasta immutata. Ma sapeva che anche in campagna la vita non sarebbe mai più quella di un tempo. Pensò ai due Tarleton, i gemelli rossi di capelli e a Tom e Boyd e una tristezza infinita la prese alla gola. Uno dei gemelli avrebbe potuto essere suo marito. Ora, ritornando a Tara, a guerra finita, non udrebbe più i loro selvaggi richiami di quando imboccavano il viale dei cedri. E Riccardo Calvert che ballava così bene, non potrebbe più sceglierla come compagna di un giro di valzer. E i ragazzi Munroe e il piccolo Joe Fontaine...

- Oh Ashley! - singhiozzò lasciando cadere la testa fra le mani. Udì aprirsi il cancello e si affrettò a rialzare il capo passandosi la mano sugli occhi umidi. Vide Rhett Butler che percorreva il viale tenendo in mano il suo largo cappello di panama. Non lo aveva più visto dal giorno in cui era scesa precipitosamente dal suo carrozzino ai Cinque Punti, dicendogli che non voleva più vederlo. Ma era così contenta, ora, di avere qualcuno con cui parlare, che scacciò dalla mente quel ricordo. Evidentemente egli aveva dimenticato, o fingeva di aver dimenticato, quel loro colloquio, perché sedette sui gradini ai suoi piedi senza fare il menomo accenno alla loro disputa.

- Dunque, non siete fuggita a Macon! Avevo saputo che Miss Pitty era partita e credevo che foste andata anche voi. Perciò, vedendo illuminato, sono venuto a curiosare. Perché siete rimasta? -

- Per far compagnia a Melania. Non poteva... non può mettersi in viaggio.-

- Accidenti - borbottò Rhett; e, alla luce della lampada Rossella vide che aggrottava le sopracciglia. - Volete dire che la signora Wilkes è ancora qui? Non ho mai sentito una simile idiozia. Nelle sue condizioni è doppiamente pericoloso...-

Rossella tacque, imbarazzata. Non poteva discutere di queste cose con un uomo, specialmente scapolo.

- Siete poco galante. Non pensate che anche per me possa esservi pericolo? -

- Quando la finirete di cercare delle galanterie in ogni parola che vi vien rivolta da un uomo? -

- Quando sarò sul mio letto di morte - replicò ella sorridendo, pensando che vi sarebbe sempre qualcuno per farle dei complimenti, anche se Rhett se ne asteneva.

- Vanità e nient'altro. Meno male che avete la franchezza di dirlo.-

Trasse un sigaro, lo accese e, incrociando le mani sulle ginocchia, con le spalle gettate indietro, rimase a fumare in silenzio. Rossella riprese a dondolarsi e le tenebre della calda notte tranquilla furono sopra di loro. Il merlo che faceva il nido in un cespuglio di rose e di caprifoglio emise una timida nota; ma poi, come se gli fosse sembrata inopportuna, tacque nuovamente.

Dall'ombra del portico, Rhett rise improvvisamente; un riso dolce e sommesso.

- Siete dunque rimasta con la Mrs. Wilkes! Davvero, è la più strana situazione che io abbia mai visto! -

- Non ci vedo nulla di strano - rispose Rossella a disagio, immediatamente all'erta.

- No? Curioso. La mia impressione, fino a poco tempo fa, era che non potevate sopportare vostra cognata. La credevate stupida, e le sue idee patriottiche vi davano noia. Perciò mi stupisce che abbiate compiuto l'altruistico gesto di rimanere con lei durante questo bombardamento. Dunque, perché lo avete fatto? -

- Perché è sorella di Carlo... ed è come una sorella per me - replicò Rossella con la maggior dignità possibile, sentendosi arrossire nel buio.

- O meglio perché è la vedova di Ashley Wilkes.-

Rossella balzò in piedi.

- Stavo quasi per perdonarvi il vostro villano contegno, ma vedo che è impossibile. Non avrei dovuto nemmeno lasciarvi entrare qui, ma mi sentivo talmente depressa che...-

- Sedete e lisciatevi il pelo arruffato, gattina rabbiosa. - La sua voce era mutata. Si alzò e la spinse nuovamente nella sua poltrona. - Perché siete depressa? -

- Perché ho avuto oggi una lettera da Tara. Gli yankees sono vicino a casa e la mia sorellina è a letto col tifo... e ora, anche se potessi andare a casa, la mamma non vuole per paura del contagio per me. E se sapeste che desiderio ho della mia casa! -

- Non piangete adesso. - La sua voce si era addolcita. - Siete molto più sicura qui ad Atlanta, anche se vengono gli yankees, che a Tara. Non vi faranno niente di male.-

- Non mi faranno male! Perché mentite? -

- Cara bambina, gli yankees non sono dei selvaggi. Sono simpatici come molti meridionali... eccetto il fatto che sono più maleducati e che hanno un accento orribile.-

- Volete dire che gli yankees non... -

- Non vi violerebbero? Credo di no. Benché credo che ne avrebbero veramente il desiderio.-

- Se parlate in questo modo ignobile, sarò costretta a rientrare. - E fu lieta che le tenebre nascondessero il suo rossore.

- Perché vi arrabbiate quando vi dico quello che pensate. Tutte le nostre delicate signore non pensano ad altro. Scommetto che perfino le vecchie come la signora Merriwether..-

Rossella inghiottì senza rispondere, ricordando che quando due o tre signore erano riunite, in quei tristi giorni, raccontavano sottovoce simili avvenimenti, capitati in Virginia o in Luisiana; mai troppo vicino a casa. Gli yankees violavano le donne, sbudellavano i bambini con le baionette e bruciavano le case in cui rimanevano le persone d'età. Anche Rhett doveva sapere che tutto ciò era vero. E aver la delicatezza di non parlarne. Comunque, non c'era punto da ridere.

Era proprio odioso in certi momenti. Anzi, quasi sempre. Era terribile un uomo che sapeva che cosa pensavano le donne e di che cosa parlavano. Certo non poteva aver queste cognizioni da nessuna donna come si deve.

- E a proposito - rispose Rhett - avete un'accompagnatrice o qualche persona del genere in casa? La rispettabile Mrs. Merriwether o Mrs. Meade? Mi guardano sempre come se pensassero che vengo per Dio sa quali scopi malvagi.-

- Di solito, la sera viene Mrs. Meade. Ma stasera non ha potuto. C'è Phil a casa - rispose Rossella lieta di cambiare argomento.

- Che fortuna trovarvi sola! -

Qualche cosa nella voce di lui le fece battere il cuore più rapidamente. Aveva udito troppo spesso quella nota di dolcezza nelle voci maschili per non sapere che essa preludiava a una dichiarazione d'amore. Che divertimento! Come si vendicherebbe, ora, di tutti i sarcasmi coi quali l'aveva bersagliata ad ogni istante! Gli darebbe una lezione tale, da cancellar per sempre l'umiliazione del giorno in cui egli l'aveva vista percuotere Ashley sul viso. E poi gli direbbe con tenerezza che poteva essere solo una sorella per lui e si ritirerebbe con tutti gli onori della guerra. Rise nervosamente pregustando quella gioia.

- Non ridete - disse Rhett; e prendendole la mano la voltò e premette le sue labbra sul palmo. Qualche cosa di vitale, di elettrico percorse tutto il suo corpo al contatto di quelle labbra calde. Le labbra arrivarono al suo polso; pensando che in quel modo egli avrebbe sentito che il suo sangue correva più velocemente, ella cercò di ritrarre la mano. Non aveva calcolato questo... quella corrente traditrice che le faceva desiderare di ficcargli le mani tra i capelli, di sentire le labbra di lui sulla propria bocca.

Non era innamorata di lui, disse confusamente fra sé. Era innamorata di Ashley. Ma come spiegare quella sensazione che le faceva tremare le mani e sentir freddo alla bocca dello stomaco?

Egli rise piano.

- Non vi scostate! Non vi faccio male! -

- Farmi male? Non ho paura di voi né di nessuno! - esclamò, furente nel sentire che la sua voce tremava.

- Un bellissimo sentimento; ma parlate più sottovoce, Mrs. Wilkes potrebbe udirvi. E ricomponetevi. - Sembrava contentissimo della sua emozione.

- Rossella, io vi piaccio, non è vero? -

Questo somigliava di più a quanto ella si aspettava.

- Qualche volta - rispose guardinga. - Quando non vi comportate come un mascalzone.-

Rise di nuovo e posò il palmo della manina contro la propria guancia ruvida.

- Credo di piacervi proprio perché sono un mascalzone. Ne avete conosciuti così pochi, che questa differenza è quella che forma il mio strano fascino agli occhi vostri.-

Non era questa la conversazione che ella sperava. Perciò cercò nuovamente di liberare la sua mano, ma senza successo.

- Non è vero! Mi piacciono gli uomini come si deve... quelli che serbano sempre il contegno di un gentiluomo.-

- Volete dire quelli che potete sempre dominare. È questione di definizione. Ma non importa.-

Ora le baciava nuovamente il palmo ed ella sentiva un brivido correrle lungo la schiena.

- Ma vi piaccio. Potrete mai amarmi, Rossella? -

"Ci siamo!" pensò Rossella trionfante. E rispose con studiata freddezza: - Non credo, a meno che non mutiate considerevolmente il vostro modo di fare.-

- Non ne ho affatto l'intenzione. Dunque, non potreste amarmi? Meno male. Perché, mentre mi piacete immensamente, non vi amo; e sarebbe tragico per voi soffrire una seconda volta per amore non corrisposto, non è vero, cara? Posso chiamarvi cara, Mrs. Hamilton? Bisogna rispettare le convenienze! -

- Non mi amate? -

- No davvero. Lo speravate? -

- Non siate così presuntuoso! -

- Lo speravate! Ahimè, povere speranze! No, non vi amo. Ma mi piacete moltissimo, per l'elasticità della vostra coscienza, per l'egoismo che raramente vi curate di nascondere e per l'astuzia che dovete avere ereditato, temo, da qualche contadino irlandese vostro avo non troppo remoto.-

Contadino! Come la insultava! Si sentì soffocare senza trovar parole per rispondergli.

- Non interrompetemi - continuò Rhett stringendole la mano. - Mi piacete perché io ho queste stesse qualità, e ogni simile cerca il proprio simile. Capisco che voi conservate ancora una cara memoria di quel divino testa-di-legno di Wilkes che probabilmente è sotterra da sei mesi. Ma nel vostro cuore dev'esservi posto anche per me. Finitela di agitarvi! Vi sto facendo una dichiarazione. Vi ho desiderata da quando vi vidi per la prima volta, nel vestibolo delle Dodici Querce, mentre stregavate il povero Carlo Hamilton. Vi desidero più di quanto abbia desiderato qualunque altra donna... e vi ho aspettata più di quanto abbia atteso qualunque altra. -

Queste ultime parole le tolsero il respiro. Malgrado i suoi insulti, egli l'amava; ma era così perverso che non voleva dirlo francamente, anche per timore che lei ne ridesse. Bene, ora gliela darebbe lo stesso la lezione!

- Mi state chiedendo di sposarvi? -

Egli lasciò cadere la sua mano e rise così forte che ella ricadde indietro nella poltrona.

- Dio mio, no! Non vi ho già detto che io sono uno di quelli che non si sposano? -

- Ma... allora... che cosa...-

Si alzò in piedi e, con una mano sul cuore, le fece un inchino burlesco.

- Cara - le disse tranquillo - faccio un complimento alla vostra intelligenza chiedendovi di essere la mia amante senza avervi prima sedotta.-

Amante!

Dentro di lei la parola risuonò come un insulto. Ma in quel primo momento ella non si sentì insultata. Fu solo invasa dall'indignazione che egli potesse crederla così sciocca. Rabbia, vanità offesa e delusione le diedero una specie di vertigine e, prima ancora che le venissero in mente le alte ragioni morali con le quali avrebbe potuto rimproverarlo, ella gli lanciò le prime parole che le salirono alle labbra.

- La vostra amante! E che cosa ci guadagnerei, se non qualche marmocchio? -

Subito dopo fu inorridita di ciò che aveva detto. Egli rise cordialmente, cercando di vederla, seduta nell'oscurità, come colpita dal fulmine, col fazzoletto premuto sulla bocca.

- Questo è quello che mi piace in voi! Siete la sola donna sincera che conosco, la sola che guarda il lato pratico delle cose, senza andare a scomodare il peccato e la morale. Qualunque altra al vostro posto prima sarebbe svenuta e poi mi avrebbe messo alla porta. -

Rossella balzò in piedi, rossa di vergogna. Come aveva potuto, lei, la figlia di Elena, con la sua educazione, ascoltare quelle parole impudenti e rispondere così svergognatamente? Avrebbe dovuto gridare. Svenire. Voltarsi senza una parola e rientrare in casa. Troppo tardi adesso!

- Vi metterò alla porta! - gridò senza curarsi che Melania o Mrs. Meade, giù in istrada, potessero udirla. - Fuori di qui! Come osate dirmi una cosa simile! Ho mai fatto qualche cosa per incoraggiarvi... per farvi supporre... Andate via e non tornate mai più! E questa volta parlo sul serio. Inutile tornare coi pacchetti di forcine e di nastri per farvi perdonare! Lo dirò... Io dirò a mio padre e lui vi ucciderà! -

Egli raccolse il cappello e si inchinò; ed ella scorse, alla luce della lampada, che i suoi denti brillavano sotto i baffetti neri. Non sentiva vergogna, si divertiva di quanto ella diceva e la osservava con viva curiosità.

Com'era detestabile! Si girò sui tacchi e si avviò per rientrare. Afferrò il battente della porta per sbattergliela in faccia, ma il gancio che la tratteneva aperta era troppo pesante per lei. Si sforzò, ma inutilmente.

- Posso aiutarvi? - chiese Rhett.

Sentendo che se fosse rimasta un minuto di più avrebbe avuto un travaso di sangue, ella fuggì su per le scale. E quando fu al piano di sopra sentì che egli cortesemente sbatteva la porta in sua vece.

20

Verso la fine di agosto, il bombardamento cessò improvvisamente. Sulla città piombò un silenzio impressionante. Le persone, incontrandosi in istrada, si fissavano a vicenda, incerte, sgomente di ciò che poteva accadere. Nessuno sapeva perché le batterie yankee tacevano; mancavano notizie delle truppe di cui si sapeva soltanto che erano state ritirate in gran numero dalle fortificazioni intorno alla città, e che marciavano verso sud, per la difesa della ferrovia. Non si sapeva dove si svolgeva la battaglia, se battaglia vi era, né come andava.

Le sole notizie erano quelle che passavano di bocca in bocca. Mancando di carta, di inchiostro, di uomini, i giornali avevano sospeso le pubblicazioni dal principio dell'assedio, e le voci più gravi sorgevano non si sapeva da dove e si diffondevano nella città. La folla si assiepava dinanzi al Quartier Generale e chiedeva informazioni; dinanzi al telegrafo e al deposito sperando di avere notizie, buone notizie, perché ognuno si augurava che il silenzio dei cannoni di Sherman volesse dire che gli yankees erano in piena ritirata e che le truppe della Confederazione li inseguivano sulla strada di Dalton. Ma nessuna notizia giunse. Il telegrafo taceva; i treni non arrivavano sull'unica linea ferroviaria rimasta, e il servizio postale era interrotto.

L'autunno col suo calore polveroso e soffocante aggiungeva il malessere fisico alla pena dei cuori angosciati. A Rossella, frenetica dal desiderio di aver notizie di Tara e che cercava, nondimeno, di mostrare un viso sereno, sembrava che l'assedio fosse cominciato da un'eternità. Eppure non erano che trenta giorni! La città circondata di trincee di terra rossiccia, il monotono e continuo cannoneggiamento, le lunghe linee di ambulanze e di carri che si lasciavano dietro una scia di sangue, il lavoro degli affossatori che interravano i cadaveri in lunghe file interminabili di fosse poco scavate... Solo trenta giorni!

Ed erano soltanto quattro mesi che gli yankees avevano cominciato l'avanzata a sud di Dalton: quattro mesi soli! Guardandosi indietro, Rossella pensava che fosse trascorsa una vita intera... No, soltanto quattro mesi.

Fino a quattro mesi fa Resaca, Dalton, Kennesaw non erano stati per lei che nomi di stazioni ferroviarie. Ora erano battaglie, battaglie combattute disperatamente da Johnston nel ripiegare. E il Fiumicello del Pesco, Decatur, Ezra Church non erano più i nomi di piacevoli località. Mai più potrebbe pensare ad essi come a graziosi villaggi pieni di amici accoglienti, cantucci freschi e verdi dove si andava a far merenda sull'erba soffice con dei begli ufficiali. Anche quei nomi significavano battaglie sanguinose e l'erba verde su cui ella si era seduta era solcata dalle ruote pesanti dei carriaggi, calpestata da piedi disperati, quando le baionette si incrociavano con le baionette, schiacciata da corpi agonizzanti... E i pigri corsi d'acqua erano più rossi di quanto li avesse mai resi l'argilla della Georgia. Il Fiumicello del Pesco era vermiglio, si diceva, dopo che gli yankees lo avevano attraversato. Decatur, Ezra Church... Nomi di tombe in cui erano sotterrati tanti amici, nomi di boschi ove giacevano corpi insepolti, nomi delle vicinanze di Atlanta dove Sherman aveva cercato di aprirsi un varco verso la città e dove gli uomini di Hood lo avevano tenuto in scacco e respinto.

Finalmente giunsero notizie dal Sud; notizie allarmanti, specialmente per Rossella. Il generale Sherman stava nuovamente tentando di attaccare la città dal quarto lato, cercando di impadronirsi della ferrovia a Jonesboro. Da quella parte erano ora ammassati numerosi yankees; e migliaia di soldati confederati erano stati ritirati dalle fortificazioni attorno alla città per lanciarli contro di loro. Questo spiegava l'improvviso silenzio.

- Perché Jonesboro? - si chiese Rossella sgomentata per la vicinanza di Tara. - Perché sempre Jonesboro? Non potrebbero attaccare la ferrovia in qualche altro punto? -

Da una settimana era priva di notizie; l'ultima breve lettera di Geraldo aveva aumentato il suo spavento. Carolene stava peggio, molto peggio. E ci volevano dei giorni, adesso, per avere la posta, per sapere se Carolene era viva o morta. Se fosse andata a casa al principio dell'assedio, Melania o non Melania!

Vi era battaglia a Jonesboro; questo era tutto ciò che si sapeva. Ma nessuno ne conosceva le fasi; e le voci più discordi spaventavano la città. Finalmente giunse un corriere con la notizia rassicurante che gli yankees erano stati respinti. Però avevano fatto una sortita, avevano incendiato il deposito di Jonesboro, tagliato i fili telegrafici e distrutto tre miglia di binari prima di ritirarsi. Il corpo del genio lavorava disperatamente per riparare la linea, ma ci voleva un certo tempo, perché gli yankees avevano fatto dei falò sui quali avevano infocato i binari divelti, avvolgendoli poi intorno ai pali telegrafici a guisa di giganteschi spauracchi. Ed era difficile in quei momenti sostituire qualsiasi cosa fosse di ferro.

No, gli yankees non erano arrivati a Tara. Lo stesso corriere che aveva portato i dispacci del generale Hood ne diede l'assicurazione a Rossella. Aveva incontrato Geraldo a Jonesboro, dopo la battaglia, ed egli lo aveva pregato di portarle una lettera.

Ma che era andato a fare il babbo a Jonesboro? Il giovine corriere sembrò imbarazzato nel rispondere. Geraldo era andato a cercare un medico militare da condurre a Tara.

Nel ringraziare il corriere, sotto il porticato, Rossella si sentì piegare le ginocchia. Carolene doveva stare assai male se Geraldo non aveva avuto più fiducia nell'abilità di Elena. Mentre il corriere scompariva in una piccola nube rossa, ella aperse la lettera con dita tremanti. La carta era così scarsa, ormai, che Geraldo si era servito dell'ultima lettera ricevuta da lei, scrivendo fra le righe, sicché la lettura era difficile.

"Cara figlia, tua madre e tutt'e due le ragazze hanno il tifo. Stanno molto male, ma dobbiamo sperare. Quando la mamma si è messa a letto, mi ha imposto di scriverti che a nessun patto tu devi venire a casa ad esporre al pericolo del contagio te e Wade. Ti manda tutta la sua tenerezza e ti dice di pregare per lei."

 

Pregare per lei! Rossella si precipitò nella sua camera, si inginocchiò ai piedi del letto e pregò come non aveva mai pregato prima. Non il Rosario, ma le stesse parole ripetute all'infinito: - Madre di Dio, non farla morire! Ti supplico, non farla morire! Sarò buona, ma non farla morire! -

Per una settimana Rossella si aggirò per la casa come un animale ferito, aspettando notizie, sussultando ad ogni scalpitar di cavallo, precipitandosi per la scala buia quando qualche soldato bussava, la notte; ma nessuna notizia venne da Tara. Come se fra la sua casa e lei vi fosse stata tutta la larghezza del continente, invece di 25 miglia di strada polverosa.

La posta era ancora interrotta, e nessuno sapeva dov'erano i confederati e che cosa facevano gli yankees. Si sapeva soltanto che migliaia di soldati grigi e blu erano fra Atlanta e Jonesboro.

Rossella aveva visto abbastanza ammalati di tifo nell'ospedale di Atlanta per sapere che cosa voleva dire una settimana di quella terribile infermità. Elena era ammalata, forse moribonda, e lei era lì, desolata, con una donna incinta sulle braccia e due eserciti fra lei e la sua casa. Elena ammalata... forse moribonda... forse morente. Non era mai stata male. Il solo pensarlo era incredibile. Tutti potevano essere ammalati, ma non lei. Elena aveva sempre curato gli altri e li aveva guariti. Rossella desiderava essere a casa sua, col disperato desiderio di un bambino atterrito che vuol rifugiarsi nell'unico luogo sicuro per lui.

La sua casa! La casa bianca con le tende candide alle finestre, col folto trifoglio sul prato e le api affaccendate, e il piccolo negro sui gradini, che scacciava le anatre e i tacchini dalle aiuole, i campi rossi e le miglia e miglia di cotone che diventava bianco al sole! La sua casa!

"Accidenti a Melania" pensava continuamente. "Perché non se n'è andata a Macon con zia Pitty? Doveva stare lì, coi suoi parenti, non con me. Io non sono del suo sangue. Perché tiene tanto a stare con me? Se lei se ne fosse andata a Macon, io sarei andata a casa, dalla mamma, e anche adesso... potrei tentare di arrivarci, malgrado gli yankees, se lei non aspettasse il bambino. Forse il generale Hood mi darebbe scorta. Ma no, devo aspettare questo bambino!... Oh, mamma, mamma! Non morire! Perché non arriva mai questo bambino? Ho visto oggi il dottor Meade e gli ho chiesto se non c'è modo di affrettare un parto... Il dottor Meade ha detto che Melania non ha avuto una buona gravidanza. Dio mio... potrebbe anche morire! Melania morta. Melania morta. E Ashley... no, non devo pensar questo. Ma Ashley... no, non debbo pensar questo, perché probabilmente è morto. Ma mi ha fatto promettere di aver cura di lei. E se io non me ne occupassi e lei morisse... e Ashley fosse ancora vivo... No, non devo. È peccato. E ho promesso a Dio di essere buona se non fa morire la mamma. Ma se il bambino venisse... Se potessi andar via da qui... a casa... dovunque, ma non qui."

Rossella odiava la vista della città che un tempo aveva amata. Atlanta non era più il luogo gaio, disperatamente gaio che le era piaciuto. Sembrava una città colpita dalla peste, tanto era spaventosamente tranquilla dopo il frastuono dell'assedio. Lo strepito e il pericolo del bombardamento erano perlomeno eccitanti. Questo silenzio era orrendo. I volti che si vedevano in istrada erano contratti, e i pochi soldati che s'incontravano avevano l'espressione esausta di corridori che si imponessero un ultimo sforzo in una corsa già perduta.

L'ultimo giorno di agosto giunsero voci che riferivano come si stesse combattendo la più fiera battaglia dopo quella di Atlanta. In una località al sud. In attesa dell'esito della battaglia, Atlanta smise perfino di tentar di ridere. Tutti si rendevano conto di ciò che i soldati sapevano già da due settimane: che se la ferrovia di Macon cadeva, anche Atlanta era perduta.

 

La mattina del primo settembre Rossella si svegliò con una soffocante sensazione di terrore, un terrore che la sera prima aveva dimenticato nel sonno. Ancora assonnata pensò: "Di che cosa ero tanto preoccupata ieri sera? Ah sì, della battaglia. Stavano combattendo, ieri. Chi avrà vinto?" Si drizzò a sedere in fretta, strofinandosi gli occhi; e il suo cuore turbato sentì nuovamente tutto il peso che lo angosciava il giorno prima.

L'aria era opprimente anche in quell'ora mattutina, calda della promessa di un meriggio infocato. La strada era silenziosa. Nessun carro cigolava, nessun soldato sollevava col suo calpestio la polvere rossa. Nessuna pigra voce di schiavo dalle cucine del vicinato, nessun rumore piacevole di preparativi per la colazione, perché tutti i vicini, eccetto le signore Meade e Merriwether, si erano rifugiati a Macon. E nemmeno dalle case di queste giungeva alcun rumore.

Il silenzio le sembrò più sinistro che nelle mattine della settimana precedente, già così stranamente silenziosa. Si alzò in fretta e andò alla finestra sperando di vedere qualcuno. Ma la strada era vuota. Notò che le foglie degli alberi erano ancora verdi, ma secche e coperte di polvere rossa; e osservò che i fiori dinanzi alla casa, non curati da nessuno, apparivano tristi e avvizziti.

Mentre guardava dalla finestra, giunse alle sue orecchie un suono distante, debole come il brontolio di un temporale lontano.

"Pioggia" pensò in un primo momento; e il suo spirito campagnolo aggiunse: "Ne abbiamo proprio bisogno". Ma dopo un attimo: "Pioggia? Ma no! È il cannone!"

Col cuore che le batteva si affacciò tendendo l'orecchio al brontolio lontano, cercando di distinguerne la provenienza. Ma era così distante che per un momento non riuscì a capire. - Fate che venga da Marietta, Signore; - supplicò - o da Decatur. O dal Fiumicello del Pesco. Ma non dal Sud! Non dal Sud! - Si aggrappò al davanzale e in quel momento il rombo le sembrò più forte. Veniva dal Sud.

Il cannone laggiù! Al sud era Jonesboro, Tara... e Elena.

Forse in questo momento gli yankees erano a Tara! Ascoltò ancora, ma il ronzio del suo sangue nelle orecchie le impedì di udire. No, non potevano essere ancora a Jonesboro. Il suono sarebbe più indistinto. Ma dovevano essere almeno a dieci miglia sulla strada verso Jonesboro.

Il cannone nel Sud poteva significare i rintocchi funebri per la caduta di Atlanta. Ma per Rossella una battaglia al Sud significava soltanto battaglia vicino a Tara. Si torse le mani e per la prima volta pensò che l'armata grigia poteva essere battuta. Fu il pensiero delle migliaia di soldati di Sherman, così vicini a Tara, che le fece comprendere l'orrore della guerra, più che non l'avessero fatto il rombo dei cannoni che infrangeva i vetri delle finestre, le privazioni di cibo e di vestiario, le file interminabili di moribondi. Se anche gli yankees fossero battuti, forse indietreggerebbero sulla strada di Tara. E Geraldo non poteva fuggire con tre donne ammalate.

Dalla cucina le giunse l'acciottolio di tazze: era Prissy che preparava la colazione. Ma non si udì la voce di Betsy. L'acuta e malinconica vocetta di Prissy accennò le prime note di una mesta canzone popolare... La canzone rattristò maggiormente Rossella, la quale si avvolse in uno scialle e scese nel vestibolo gridando: - Smettila di cantare, Prissy.-

Un malinconico "Sì, padrona" le giunse, ed ella respirò profondamente, ma con un lieve senso di vergogna.

- Dov'è Betsy? -

- Non sapere. Non essere venuta.-

Rossella andò sino alla porta di Melania e aperse una fessura per guardare nella camera soleggiata. Melania era a letto, con gli occhi chiusi cerchiati di nero, il visino triangolare gonfio, e il corpo sottile completamente deformato. Rossella si augurò perfidamente che Ashley potesse vederla in quello stato. Era più brutta di qualsiasi altra donna nelle sue condizioni. Mentre la guardava, Melania aperse gli occhi e un dolce sorriso le illuminò il volto.

- Entra, - la invitò volgendosi faticosamente su un fianco. - Sono sveglia dall'alba. Vorrei chiederti una cosa.-

Rossella entrò e sedette sul letto, su cui battevano i raggi del sole. Melania le prese la mano, stringendola affettuosamente.

- Sono preoccupata per il cannone - disse. - E' verso Jonesboro, non è vero? -

- Uhm! - fece Rossella; e il cuore ricominciò a batterle più in fretta.

- So quanto sei turbata. La settimana scorsa, quando ha saputo che la tua mamma stava male, saresti andata a casa se non fosse stato per me! Non è vero? -

- Sì - rispose Rossella sgarbata.

- Cara Rossella! Sei stata così buona. Nessuna sorella avrebbe potuto essere più coraggiosa e più gentile. E io ti voglio bene per questo.-

Rossella la fissò. Le voleva bene? Che sciocca!

- E sono stata qui a riflettere, e voglio chiederti un grande favore. - Le strinse la mano più forte. - Se muoio, prenderai tu il mio bambino? -

Gli occhi di Melania erano dilatati e supplichevoli.

- Lo prenderai? -

Rossella respinse la sua mano, presa dal terrore. Terrore che le indurì la voce.

- Non essere sciocca, Melly. Non morirai. Tutte le donne credono di dover morire quando hanno il primo bambino. L'ho creduto anch'io.-

- No, tu non hai mai avuto paura di nulla. Lo dici per darmi coraggio. Io non ho paura di morire, ma di lasciare il bimbo se Ashley è... Rossella, promettimi di prendere il bimbo con te, se muoio. Allora non avrò più paura. Zia Pitty è troppo vecchia; Gioia e Lydia sono buone ma... desidero che tu mi prometta di occuparti di mio figlio. E se è maschio, educalo come Ashley; se è una bambina... cara, vorrei che fosse come te. -

- Per Giove! - esclamò Rossella balzando dal letto. - Ma non ci sono abbastanza tristezze perché tu debba anche parlar di morire? -

- Perdonami, cara. Ma promettimi. Credo che sarà per oggi. Ne sono sicura. Promettimi.-

- E va bene prometto. - disse Rossella guardandola stupita. Possibile che Melania fosse tanto sciocca da ignorare veramente che voleva bene a Ashley? O sapeva tutto e pensava che appunto a causa di quell'amore Rossella avrebbe avuto cura del bambino di Ashley? Ebbe l'impulso di rivolgerle queste domande, ma tacque quando Melania le riprese la mano e la tenne per un attimo su la sua guancia.

I suoi occhi erano tornati tranquilli.

- Perché credi che sarà per oggi, Melly? -

- Perché ho avuto dei dolori fin dall'alba, ma non molto forti.-

- Davvero? E perché non mi hai chiamata? Mando Prissy a cercare il dottor Meade.-

- No, non ancora. Sai che ha tanto da fare. Gli manderai un biglietto dicendogli che a un'ora qualunque della giornata si faccia vedere. Manda a chiamare Mrs. Meade e pregala di stare qui. Vedrà lei quando occorrerà veramente la presenza di suo marito. -

- Oh, finiscila di essere così altruista! Sai che hai bisogno del dottore non meno di quelli che si trovano all'ospedale. Lo mando a chiamare subito.-

- No, ti prego. A volte ci vuole tutta una giornata prima che il bambino nasca e io non posso trattenerlo qui delle ore, mentre quei poveri ragazzi hanno bisogno di lui. Manda a chiamare la signora. Vedrà lei.-

- Va bene.-

21

Dopo aver mandato a Melania il vassoio della colazione, Rossella disse a Prissy di recarsi a chiamare la signora Meade; quindi sedette con Wade per mangiare a sua volta. Ma per una volta tanto non aveva appetito. L'apprensione nervosa per Melania e il terrore del cannone le toglievano l'appetito. Il suo cuore si comportava in modo strano: per qualche minuto batteva regolarmente, poi a tonfi sordi e rapidi che le facevano quasi dolere il petto. Stentava a inghiottire la pesante farinata di granoturco; e la miscela d'orzo e di patate dolci che passava come caffè non era mai stata così ripugnante. Senza zucchero né crema, era amara come il fiele; la graminacea che doveva addolcirla ne migliorava assai poco il sapore. Respinse la tazza dopo il primo sorso. Se non vi fosse stata altra ragione per odiare gli yankees, vi era questa privazione di caffè con zucchero e crema.

Wade era un po' più tranquillo e non protestava, secondo il suo solito, contro quella specie di pastone ripugnante. Ingoiava una dopo l'altra le cucchiaiate che sua madre gli metteva in bocca, mandandole giù con lunghe sorsate d'acqua. I suoi dolci occhi neri seguivano tutti i movimenti di lei, con uno sbalordimento che sembrava riflettere tutto il malcelato sgomento di Rossella. Quando ebbero finito, ella lo mandò a giocare nel cortile posteriore e lo guardò attraverso il prato con vero sollievo.

Si alzò e rimase irresoluta ai piedi della scala. Salire da Melania? Non se ne sentì la forza. Perché Melania aveva scelto proprio quei giorni, per partorire! E tutti quei discorsi funebri!

Sedette sul gradino più basso e cercò di ricomporsi, con un gran desiderio di sapere com'era andata la battaglia ieri, come stava andando oggi. Strano che una grande battaglia si svolgesse a poche miglia di distanza senza che se ne sapesse nulla! E com'era strano anche il silenzio di quella estrema propaggine della città, in contrasto col fragore del cannoneggiamento! Come si sentiva sola! Tranne il signor Meade e i Merriwether, tutti avevano abbandonato quella zona! Rimpianse di non avere zio Pietro, il quale avrebbe potuto andare al Quartier Generale per sapere qualche cosa. Se non fosse stato per Melania, sarebbe andata lei stessa; ma non poteva lasciarla prima che venisse Mrs. Meade. Perché non veniva? E dove si tratteneva Prissy?

Si alzò e andò a mettersi sotto il porticato per vederle arrivare. Dopo un pezzo vide spuntare Prissy sola: camminava pigramente come se avesse avuto tutta la giornata di tempo e cercava di fare ondeggiare le sue sottane, torcendo il collo per vederne l'effetto.

- Come te la prendi comoda! - esclamò Rossella quando la negra aperse il cancello. - Che ha detto Mrs. Meade? Quando viene? -

- Non c'era.-

- E dov'è? A che ora torna? -

- Io dire. - Prissy parlava lentamente, come per darsi la gioia di accrescere importanza al suo messaggio. - Cuoca avere detto che Miss Meade essere uscita presto perché giovine badrone Phil essere ferito; e miss Meade avere preso carrozza con vecchio Talbot e Betsy ed essere andata a cercarlo. Cuoca dice essere ferito grave e forse miss Meade non poter venire qui. -

Rossella ebbe l'impulso di scrollarla. I negri erano sempre fieri quando potevano dare una cattiva notizia.

- Avanti, non stare lì come un idiota. Corri da Mrs. Merriwether e pregala di venire o di mandare la sua Mammy.-

- Non essere in casa, miss Rossella. Io essere passata da lei venendo a casa. Essere andata via. Casa tutta chiusa. Credo essere a ospedale. -

- Perciò sei stata tanto tempo! Per tua regola, quando ti mando in qualche posto, non devi "passare" da nessuno; capito? Ora vai...- Si interruppe. Chi era rimasto in città, dei loro amici, che potesse aiutarla? Ah, la signora Elsing. Certo non aveva alcuna simpatia per Rossella, ma voleva molto bene a Melania.

- Vai dalla signora Elsing e spiegale bene tutto pregandola di venire qui. E stammi a sentire. Il bimbo di miss Melly sta per arrivare: ci può essere bisogno di te da un momento all'altro. Perciò spicciati! -

- Sì, badrona.-

- Svelta, ti dico! -

Prissy accelerò il passo in modo quasi insensibile e Rossella rientrò in casa. Esitò ancora prima di salire. Dovrebbe spiegare a Melania perché la signora Meade non poteva venire; e la notizia che Phil era gravemente ferito le avrebbe certo fatto male. Beh, le racconterebbe una frottola.

Trovò Melania coricata di lato: il vassoio della colazione era intatto.

- La signora Meade è all'ospedale; ho mandato a chiamare la signora Elsing. Ti senti male? -

- Non molto - mentì Melania. - Dimmi, Rossella, quanto tempo ci mise Wade a venire al mondo? -

- Pochissimo - rispose Rossella con una tranquillità che era lontana dal provare. - Ero nel cortile e feci appena a tempo a rientrare in casa. Mammy disse che era una cosa scandalosa... proprio come se fossi stata una negra! -

- Spero di fare anch'io come una negra - riprese Melania accennando un sorriso che si trasformò in una smorfia di dolore.

Rossella guardò le anche strette di Melania, ma disse incoraggiandola: - Oh, non è poi una cosa tanto terribile.-

- Lo so. Forse io sono un po' vile. E... viene subito la signora Elsing? -

- Subito. Ora vado giù a prendere un po' d'acqua fresca per lavarti. Fa molto caldo oggi.-

Impiegò molto tempo a prender l'acqua, correndo continuamente alla porta per avvistare Prissy. Ma questa non si vedeva; sicché ella si decise a salire. Passò la spugna sul corpo in sudore di Melania e le pettinò i lunghi capelli neri.

Dopo un'ora udì uno scalpiccio sordo sulla strada: si affacciò e vide Prissy che veniva lentamente, come prima, prendendo degli atteggiamenti come se vi fosse stato del pubblico ad ammirarla.

"Un giorno o l'altro la picchierò" pensò Rossella affrettandosi a scendere le scale per andarle incontro.

- Miss Elsing essere all'ospedale. Cuoca dire che molti soldati feriti arrivare con treno. Cuoca preparare zuppa per portare a badrona. E dire...-

- Non m'importa niente di quello che dice - interruppe Rossella sentendosi riempire di sgomento. - Mettiti un grembiale pulito perché ora ti mando all'ospedale. Ti darò un biglietto per il dottor Meade; e se non c'è, lo darai al dottor Jones o a uno degli altri medici. E se non ti sbrighi a tornare, questa volta ti scortico viva.-

- Sì, badrona.-

- E domanda a quei signori le notizie della battaglia. Se non lo sanno, vai al deposito e domanda ai macchinisti che hanno condotto il treno. Domanda se stanno combattendo a Jonesboro o nelle vicinanze.-

- Dio Signore, miss Rossella! - e un subitaneo terrore invase il volto nero di Prissy. - Yankees non essere a Tara, vero? -

- Non lo so. Perciò ti dico di domandare.-

Prissy cominciò improvvisamente a singhiozzare ad alta voce, aumentando il senso di ansia di Rossella.

- Smettila! Miss Melania ti sente. Vai presto a cambiarti il grembiale.-

Frettolosamente, Prissy corse nella parte posteriore della casa, mentre Rossella scarabocchiava due parole sul margine dell'ultima lettera di Geraldo: l'unico pezzetto di carta che fosse in casa. Nel ripiegarla, le caddero sott'occhio le parole di Geraldo: "... la mamma... il tifo... a nessun patto... venire a casa..." Singhiozzò quasi. Se non vi fosse stata Melania, sarebbe partita subito; anche se avesse dovuto andare a piedi!

Prissy uscì di corsa, col biglietto in mano, e Rossella andò al piano di sopra, cercando una fandonia plausibile per spiegare l'assenza della signora Elsing. Ma Melania non chiese nulla. Era coricata sul dorso, e il suo viso era tranquillo; quella vista calmò per il momento Rossella.

Sedette e cercò di parlare di cose indifferenti; ma il pensiero di Tara e di una possibile disfatta per opera degli yankees la torturava. Vedeva Elena morente, gli yankees che entravano in Atlanta che bruciavano tutto, uccidevano tutti. E il tuonare lontano intanto persisteva, penetrando nelle sue orecchie in ondate di spavento. Finalmente non riuscì più a pronunciar parola e rimase a fissare la finestra aperta sulla strada assolata, sugli alberi le cui foglie pendevano immote coperte di polvere. Anche Melania taceva; ad intervalli, però, il suo viso si contorceva pel dolore.

Dopo ogni trafittura diceva: - Non è poi tanto terribile - ma Rossella sapeva che mentiva. Avrebbe preferito degli urli a quella silenziosa sopportazione. Sentiva che avrebbe dovuto aver compassione di Melania, ma non riusciva a mostrarle una briciola di simpatia. Era troppo tormentata dalla propria angoscia. Una volta guardò quel viso contorto dalle doglie e si chiese perché proprio lei, fra tutti al mondo, doveva essere qui con Melania in quel momento; lei che non aveva con quella donna nulla di comune, che la odiava, che sarebbe felice di vederla morta. Chi sa, forse questo desiderio sarebbe appagato, magari prima di sera. A quest'idea fu presa da un terrore superstizioso. Portava disgrazia desiderare la morte di qualcuno! E anche imprecare! Le imprecazioni ricadono su chi le lancia, diceva Mammy. Si affrettò a pregare che Melania non morisse e cominciò febbrilmente a parlare, senza neanche sapere quel che diceva. Finalmente Melania le posò una mano ardente sul polso.

- Non sforzarti a discorrere, cara. So quanto sei preoccupata. E sono desolata di darti anch'io tanto pensiero.-

Rossella tacque, ma fu incapace di rimaner tranquilla. Che farebbe se né il dottore né Prissy tornavano in tempo? Andò alla finestra, guardò in istrada e tornò a sedere.

Passò un'ora. E poi ne passò un'altra. Giunse il mezzogiorno; il sole era alto e scottante e non un soffio agitava le foglie polverose. Le doglie di Melania erano più forti adesso. I suoi lunghi capelli erano bagnati di sudore e la camicia da notte le si incollava al corpo. Rossella le asciugò il viso senza parlare; ma si sentiva invadere dal timore. Dio mio, se il bimbo si presentasse prima dell'arrivo del dottore! Che fare? Non aveva la più piccola nozione di ostetricia. Aveva contato, nell'eventualità, su Prissy, la quale sapeva tutto; almeno così aveva detto più volte. Ma dov'era Prissy? Perché non tornava? Perché non veniva il dottore? Andò di nuovo alla finestra e in quel momento le sembrò che il rombo del cannone fosse cessato. Se si allontanava, poteva significare che la battaglia era più vicina a Jonesboro oppure che...

Vide Prissy che si avvicinava correndo e che, scorgendola alla finestra, aperse la bocca per un grido. Ma vedendo il panico scritto su quel volto nero e comprendendo che Melania si sarebbe spaventata udendo gridare una cattiva notizia, Rossella posò rapidamente il dito sulle labbra e lasciò la finestra.

- Vado a prendere un po' d'acqua fresca - disse cercando di sorridere. Poi uscì chiudendo accuratamente l'uscio.

Prissy era seduta sui gradini della scala, ansimando.

- Stare combattendo a Jonesboro, miss Rossella! Dire che nostri stare perdendo. O Dio, miss Rossella! Che cosa succedere di mamma e di Pork? Oh Dio! Cosa succedere se yankees venire qui? Oh Dio...-

- Per l'amor di Dio, taci! - E Rossella le pose una mano sulla bocca.

Che cosa succederebbe qui... e a Tara? Scacciò questo pensiero per preoccuparsi dell'urgenza immediata.

- Dov'è il dottor Meade? Viene? -

- Non averlo visto, miss Rossella.-

- Come? -

- Non essere all'ospedale. Nemmeno miss Merriwether e miss Elsing. Un uomo aver detto che dottore essere sotto tettoia dei carri con feriti di Jonesboro, ma io avere avuto paura di andare sotto tettoia... esservi tanti moribondi. Io aver paura di morti...-

- E gli altri dottori? -

- Miss Rossella, non aver potuto trovare uno per far leggere tuo biglietto. Tutti correre per l'ospedale come matti. Un dottore aver detto a me di non seccare con bambini che nascere quando esserci tanti uomini che morire. Trovare donna per aiutarti. E allora io essere andata a chiedere notizie di battaglia perché tu avermi detto di domandare e tutti dire che si combatte a Jonesboro e...-

- Hai detto che il dottor Meade è al deposito? -

- Sì, badrona.-

- Stammi a sentire. Io vado a cercare il dottore e tu vai disopra, da miss Melania e farai tutto quello che ti dirà di fare. Ma se ti sfugge una parola sulla località della battaglia, ti mando subito nel Sud, quanto è vero Dio. E non dirle neanche che gli altri medici non possono venire. Hai capito? -

- Sì, badrona.-

- Asciugati gli occhi, prendi una brocca d'acqua fresca e vai su. Rinfresca miss Melania con la spugna. E dille che io sono andata a chiamare il dottore.-

- Essere arrivato momento, miss Rossella? -

- Non lo so. Ho paura che sia, ma non me ne intendo. Tu devi saperlo. Vai su.-

Rossella prese sulla tavola dell'anticamera il suo largo cappello di paglia e se lo mise sulla testa. Si guardò nello specchio e automaticamente respinse qualche ciocca di capelli, ma senza vedersi. Piccoli brividi irradiavano dal suo stomaco per tutto il corpo, benché si sentisse tutta sudata. Uscì in fretta nella strada assolata; nel calore soffocante sentiva le tempie batterle con violenza. Da lontano udì levarsi e poi diminuire un vocio confuso. Dopo un poco cominciò ad ansimare, perché il busto era allacciato molto stretto, ma non rallentò il passo. Il vocio diventava più forte.

Verso la casa dei Leyden, in prossimità dei Cinque Punti, vi era un gran movimento; il movimento di un formicaio distrutto. Si vedevano negri correre col panico dipinto sul viso; sotto ai porticati alcuni bambini bianchi piangevano senza che nessuno se ne curasse. La strada era affollata di carri e di ambulanze rigurgitanti di feriti, e di carrozze su cui si accatastavano bauli, valige, mobili. Uomini a cavallo venivano dalle strade laterali e correvano verso il quartier generale. Dinanzi alla casa dei Bonnell vide il vecchio Amos che teneva le redini del cavallo e che la salutò con gli occhi spalancati.

- Tu non andare ancora, miss Rossella? Noi andare adesso. Vecchia miss stare facendo valigia. -

- Andar dove? -

- Dio lo sa, miss. In qualche posto. Yankees stare venendo.-

Si affrettò senza neanche salutarlo. Gli yankees stavano venendo! Si fermò un attimo per riprender fiato e calmare il batticuore, appoggiandosi a un lampione per non svenire; in quel momento vide giungere a spron battuto un ufficiale. Istintivamente si pose in mezzo alla strada e gli fece cenno.

- Fermate, per carità! Fermatevi! -

Egli trattenne il cavallo così improvvisamente che questi si drizzò sulle zampe posteriori. Il volto dell'ufficiale era segnato di stanchezza, ma egli si tolse ugualmente il cappello grigio.

- Signora? -

- Ditemi, è vero? Gli yankees stanno venendo? -

- Temo di sì.-

- Non siete certo? -

- Sì, signora, sono certo. Mezz'ora fa è arrivato al Quartier Generale un dispaccio dei combattenti di Jonesboro. -

- Di Jonesboro? Siete sicuro? -

- Sicuro. Inutili le menzogne pietose, signora. Il dispaccio era del generale Hardee e diceva: "Ho perduto la battaglia e sono in piena ritirata".-

- Oh Dio! -

Il volto abbronzato dell'uomo non mostrò commozione. Egli raccolse le redini e si rimise il cappello.

- Un momento, signore, vi prego... Che dobbiamo fare? -

- Non saprei, signora. L'esercito sta evacuando Atlanta.-

- E ci lascia in balia degli yankees? -

- Pare di sì.-

Spronò il cavallo e Rossella rimase in mezzo alla strada coi piedi affondati nella polvere rossa.

Gli yankees stavano venendo. L'esercito partiva. Che fare? Dove fuggire? No, non poteva fuggire. C'era Melania a letto, che aspettava il bambino. Ma perché le donne partorivano? Se non ci fosse Melania, lei prenderebbe Wade e Prissy e si nasconderebbe nei boschi dove gli yankees non potrebbero trovarla. Ma era impossibile portare Melania nei boschi. No, bisognava trovare il dottor Meade. Forse potrebbe affrettare il parto.

Raccolse le gonne e riprese la corsa ritmando il passo sul ritornello: "Arrivano gli yankees! Arrivano gli yankees!" Cinque Punti era formicolante di gente, di carri, di ambulanze, di carrozze cariche di feriti. Da quella folla giungeva un fragore simile a quello di un mare in burrasca.

Allora uno strano spettacolo colpì i suoi occhi. Frotte di donne venivano dalla parte della ferrovia portando sulle spalle prosciutti, sacchi di patate. Accanto a loro trotterellavano bambini che inciampavano sotto fasci di canne da zucchero; ragazzi più grandicelli trascinavano sacchi di granturco e di farina gialla. Donne, uomini, bambini, bianchi e negri si affrettavano, con visi sconvolti, trasportando involti e sacchi di viveri; più viveri di quanti ella ne avesse visti in un anno. A un tratto la folla si aperse per dare il passo a una carrozza nella quale era la fragile ed elegante signora Elsing, con le redini in una mano e la frusta nell'altra. Pallidissima e senza cappello, coi capelli grigi che le ciondolavano sul dorso, ella frustava il cavallo come una furia. Sul sedile posteriore della carrozza era la sua mammy negra, Melissy, che stringeva al petto con una mano un pezzo di lardo, mentre con l'altra e coi piedi cercava di trattenere le valige e le scatole ammonticchiate attorno a lei. Un sacco di piselli secchi si era aperto e il contenuto si andava disseminando lungo la strada. Rossella gridò per chiamarla, ma il vocio della folla coperse la sua voce e la carrozza continuò la sua pazza corsa.

Per un istante non comprese il significato di quel movimento; ma poi, ricordando che i magazzini del commissariato erano accanto alla ferrovia capì che erano stati spalancati al popolo perché potesse salvare quanto poteva, prima dell'arrivo degli yankees.

Si aperse un varco attraverso la calca, oltrepassò la folla isterica che si agglomerava ai Cinque Punti, e si diresse con la maggior velocità possibile verso il deposito. Attraverso il groviglio dei carri e delle ambulanze e una nuvola di polvere, scorse dottori, infermieri e portatori che fasciavano frettolosamente, si chinavano, sollevavano dei corpi. Meno male; almeno troverebbe subito il dottor Meade.

Quando svoltò l'angolo dell'Albergo Atlanta e giunse completamente in vista del deposito e delle rotaie, si fermò sbigottita.

Sotto il sole spietato, a spalla a spalla, teste contro piedi, giacevano centinaia di feriti, sulle rotaie, sui marciapiedi, sotto le tettoie dove usualmente si ricoveravano i vagoni. Alcuni erano rigidi e tranquilli, altri si torcevano gemendo. Dovunque, sciami di mosche si avventavano ronzando sui volti degli uomini; dovunque sangue, bende sudice, gemiti, imprecazioni. Sentore di sangue, di sudore di corpi non lavati, di escrementi si levava in ondate nauseabonde.

Indietreggiò portandosi le mani alla bocca, sentendo che stava per rigettare. Non poteva andare avanti. Aveva visto feriti nell'ospedale, nel prato di zia Pitty, ma mai nulla di simile. Nulla che somigliasse a quest'inferno di spasimi, di fetore, di lamentazioni e...Presto, presto, presto!... Gli yankees stavano arrivando!

Fece uno sforzo su se stessa e si avanzò, cercando di distinguere fra le figure di coloro che erano in piedi il dottor Meade. Ma si accorse che se non guardava dove metteva i piedi correva rischio di calpestare qualche soldato. Sollevò le gonne e cercò di dirigersi verso un gruppo di uomini che davano degli ordini ai portantini. Mani febbrili le afferravano gli abiti e voci rauche supplicavano: - Signora... acqua! Per pietà, signora, acqua! In nome di Cristo, acqua! -

Il sudore le rigava il volto mentre strappava il suo abito da quelle mani convulse. Se avesse calpestato uno di quegli uomini, avrebbe urlato e sarebbe svenuta. Calpestò dei morti, uomini che avevano gli occhi spalancati e le mani rattrappite sul petto dove il sangue coagulato era appiccicato alle uniformi lacere, uomini che avevano la barba indurita dal sangue rappreso e dalle cui mascelle frantumate usciva un gemito che voleva dire: "Acqua! Acqua!"

Se non trovava il dottor Meade, comincerebbe a urlare anche lei, come una pazza. Guardò verso il gruppo degli uomini e gridò con tutta la sua voce: - Dottor Meade! C'è il dottor Meade? -

Un uomo si staccò dal gruppo e guardò verso di lei. Era il dottore. Senza giacca e con le maniche rimboccate sino alle spalle. La camicia e i calzoni erano rossi come quelli di un macellaio, e perfino l'estremità della sua barba grigia era insanguinata. Aveva il viso di un uomo ubriaco di stanchezza, di ira impotente e di ardente pietà. Ma la sua voce era calma e decisa.

- Meno male che siete venuta. Ho bisogno di tutti quanti. -

Per un attimo ella lo fissò sbalordita, lasciando ricadere le sue gonne che andarono a sbattere sul viso di un ferito che cercò di voltare la testa per evitare quelle pieghe soffocanti. Che voleva dire il dottore?

- Presto, figliuola! Venite qui. -

Ella raccolse nuovamente le gonne e lo raggiunse il più presto che poté attraverso le file di corpi. Gli mise una mano sul braccio e sentì che tremava di stanchezza; ma il suo volto non aveva traccia di debolezza.

- Dottore! - esclamò. - Dovete venire. Melania sta per avere il bambino.-

Il dottore la guardò come se non capisse. Ella ripeté:

- Melania. Il bambino. Dovete venire. Le...-

Come fare a dire certe cose con tanti uomini che sentivano? Ma non si poteva fare altrimenti.

- Le doglie stanno aumentando. Vi prego, dottore! -

- Un bambino! Santo Dio! - tuonò il dottore. E a un tratto il suo volto si contrasse di odio e di rabbia verso un mondo nel quale potevano accadere simili cose. - Siete pazza? Io non posso lasciare questi uomini. Muoiono a centinaia. Non posso lasciarli. Trovate una donna che vi aiuti. Chiamate mia moglie.-

Aperse la bocca per dirgli la ragione per cui la signora Meade non poteva venire, ma si trattenne. Egli ignorava che suo figlio fosse ferito! Chi sa se sapendolo sarebbe rimasto lì... Qualche cosa nel suo intimo le disse che anche se Phil fosse moribondo, egli sarebbe rimasto al suo posto, dando il suo aiuto a centinaia di uomini anziché a uno solo.

- Dovete venire, dottore. Voi stesso avete detto che sarà un parto difficile... - Era proprio lei, Rossella che diceva quelle cose indelicate ad alta voce, in quell'inferno di spasimi e di lamenti? - Morrà se non venite! -

Meade si liberò sgarbatamente dalla mano che posava sul suo braccio e parlò come se non la udisse.

- Morire? Sì, muoiono tutti quanti... tutti questi uomini. Mancano le bende, i medicinali... chinino, cloroformio. Dio, Dio, un po' di morfina! Solo un po' di morfina per i più gravi. Solo un po' di cloroformio. Maledizione agli yankees! Maledizione agli yankees! -

Rossella cominciò a tremare; i suoi occhi si riempirono di lacrime di spavento. Il dottore non poteva venire. Melania morrebbe... e lei aveva desiderato che morisse. Il dottore non veniva.

- In nome di Dio, dottore! Vi scongiuro! -

Il dottor Meade si morse le labbra; la sua mascella si irrigidì, il suo volto ridiventò freddo.

- Tenterò, figliuola. Non posso promettere. Gli yankees stanno per arrivare e le truppe abbandonano la città. Non so che cosa faranno dei feriti. Non vi sono più treni. La linea di Macon è in mano loro... Ma tenterò. Correte a casa adesso. Del resto, non ci vuol molto a raccogliere un bambino. Tagliate il cordone...-

Si voltò perché un sergente era venuto a parlargli, e ricominciò a dare ordini indicando questo e quel ferito. L'uomo che era ai suoi piedi guardò Rossella con compassione. Ella si volse altrove: il dottore l'aveva dimenticata.

Si fece nuovamente strada in mezzo ai feriti e tornò alla Via dell'Albero di Pesco. Il dottore non veniva. Doveva cavarsela da sola. Meno male che Prissy se ne intendeva... Le doleva il capo e sentiva che il corpetto dell'abito le si incollava alla pelle per il sudore. Le gambe sembrava che non volessero più portarla, e la strada le parve interminabile. Ma il ritornello "arrivano gli yankees!" ricominciò ad ossessionarla.

Il cuore riprese a batterle con furia e le gambe ritrovarono un po' di forza. Attraversò nuovamente la folla ai Cinque Punti, tanto densa che non si poteva camminare sui marciapiedi. Passavano lunghe file di soldati coperti di polvere, disfatti dalla stanchezza. Sembravano migliaia, sudici, con la barba lunga, i fucili appesi alle spalle. Dietro a loro erano i carri d'artiglieria; i conducenti frustavano le mule macilente con rozzi staffili di pelle. Non aveva mai visto tanti soldati insieme. Ritirata! Ritirata!

La soldatesca la respinse contro il marciapiedi affollato, ed ella sentì un acre odore di whisky di grano. Nella calca presso Via Decatur erano donne in abiti vistosi, i cui volti dipinti davano una nota di festa stranamente discordante. In gran parte erano ubriache, e i soldati a cui davano braccio erano più ubriachi di loro. Ella scorse fuggevolmente una massa di riccioli rossi e vide Bella Watling; udì il suo riso stridente e avvinazzato, mentre si aggrappava a un soldato mutilato di un braccio che barcollava.

Dopo avere oltrepassato i Cinque Punti, trovò la folla meno densa; raccolse allora le gonne e riprese a correre. Dinanzi alla Chiesa wesleyana si fermò: ansimava, aveva un tremendo mal di stomaco e il busto troppo stretto le segava la vita. Piombò sui gradini della chiesa e si nascose il capo fra le mani, cercando di respirare profondamente.

Non aveva mai dovuto agire di sua iniziativa, in tutta la vita. Vi era sempre stato qualcuno che aveva fatto le cose per lei, che l'aveva aiutata e protetta. Le sembrava impossibile di trovarsi così sola, senza un vicino, senza un amico. Aveva sempre avuto amici, conoscenti e schiavi volenterosi. E in quest'ora di necessità, nessuno. Era completamente sola, atterrita, lontana da casa sua.

La sua casa! Se almeno fosse laggiù, a Tara... Anche con gli yankees. Anche se Elena era ammalata. Anelava al dolce viso di Elena, alle forti braccia di Mammy attorno al suo corpo.

Si alzò a fatica e riprese a camminare. Giungendo in vista della casa scorse Wade che usciva dal cancello per correrle incontro, e che, vedendola, cominciò a frignare mostrandole un ditino scorticato.

- Bibi! - gridava. - Fatto bibi! -

- Zitto! Zitto! Altrimenti ti batto. Vai nel cortile dietro alla casa a giocare. E non ti muovere.

- Wade ha fame... - piagnucolò il bimbo ficcandosi in bocca il dito ferito.

- Non me n'importa. Vai nel cortile e...-

Guardò in alto e vide Prissy alla finestra, con lo sguardo e la preoccupazione dipinti sul viso. Rossella le accennò di scendere ed entrò in casa. Che bel fresco in anticamera! Si sciolse i nastri del cappello e lo gettò sulla tavola, passandosi il braccio sulla fronte madida di sudore. Prissy scese i gradini a tre per volta.

- Essere venuto dottore? -

- No. Non viene.-

- Dio, miss Rossella! Miss Melania star male.-

- Il dottore non può venire. Siamo sole. Bisogna che tu prenda il bambino; io ti aiuterò.-

Prissy spalancò la bocca agitando la lingua senza riuscire a spiccicar parola. Guardò Rossella di sbieco, agitò i piedi, inquieta, si contorse tutta.

- Non fare la sciocca! - gridò Rossella infuriata da quell'espressione idiota. - Che c'è adesso? -

Prissy indietreggiò verso la scala.

- Per carità, miss Rossella... - I suoi occhi erano pieni di vergogna e di spavento.

- Ebbene? -

- Per carità... Bisogna avere dottore. Io... io... miss Rossella, io non saper niente di nascite di bambini. Mamma non aver mai voluto che io stare presente quando partorivano.-

Rossella si sentì mancare il respiro in un brivido di orrore, prima di essere invasa dall'ira. Prissy tentò di prender la fuga, ma Rossella l'afferrò.

- Brutta negra bugiarda... che vuoi dire? Mi hai detto che sapevi tutto quello che bisogna fare... Qual è la verità ? Parla! - La scrollò furiosamente.

- Aver detto bugia! Non sapere come aver mentito... Io aver visto solo un bambino, dopo essere nato, perché Mamma avermi mandata via per non farmi guardare.-

Rossella la fissò; Prissy indietreggiò nuovamente. Per un attimo la mente della giovine donna si rifiutò ad accogliere la verità; ma quando comprese che Prissy non ne sapeva di ostetricia più di quanto ne sapesse lei, si sentì infiammare dalla collera. Non aveva mai battuto uno schiavo in tutta la sua vita; ma ora percosse quella guancia nera con tutta la forza del suo braccio stanco. Prissy urlò, più per paura che per dolore e cominciò ad agitarsi per liberarsi dalla stretta di Rossella.

Mentre quella gridava, il gemito al secondo piano cessò e la voce di Melania, debole e tremante, chiamò: - Sei tu, Rossella? Vieni, ti prego! -

Rossella lasciò il braccio di Prissy, la quale cadde a terra piagnucolando, e per un attimo rimase immobile, ascoltando il gemito che era ricominciato. Ebbe l'impressione di sentirsi schiacciare da un giogo; un peso che le gravava sulla nuca e che avrebbe sentito più greve appena avesse mosso un passo.

Cercò di ricordarsi tutto quello che Elena e Mammy avevano fatto per lei quando era nato Wade; ma quasi tutto si perdeva in una nebbia confusa. Comunque, ricordando qualche cosa, parlò rapidamente e con autorità a Prissy.

- Accendi il fuoco e metti a bollire dell'acqua nella caldaia. E porta su tutti gli asciugamani che trovi e quella balla di cotone. Portami anche le forbici. Non venirmi a dire che non le trovi. Cercale e portamele. Svelta. -

Rimise in piedi Prissy e la mandò in cucina con una spinta. Poi si irrigidì e cominciò a salire le scale. Sarebbe difficile dire a Melania che solo lei e Prissy avrebbero dovuto aiutare il bimbo a venire al mondo.

22

Come mai un pomeriggio poteva essere così lungo? E così caldo? E così pieno di mosche? Esse non cessavano dall'infastidire Melania, benché Rossella agitasse continuamente il ventaglio di palma; appena le aveva scacciate dal viso andavano a posarsi sulle gambe e sui piedi; ed ella gemeva: - Per carità! Sui piedi! -

Rossella aveva le braccia indolenzite. Aveva chiuso le persiane, di guisa che la camera era nella semioscurità; solo qualche puntino luminoso passava attraverso le fessure e ai lati. Gli abiti, in quel calore di stufa, diventavano sempre più bagnati di sudore a misura che le ore passavano. Prissy era accoccolata in un angolo e la sua traspirazione aveva un fetore così insopportabile che Rossella l'avrebbe mandata in cucina, se non avesse temuto che quella, appena fuori di vista, se la desse a gambe. Melania si torceva sul letto, senza tregua.

A volte cercava di sollevarsi a sedere, ma ricadeva subito indietro e riprendeva a torcersi. Dapprima aveva cercato di trattenersi dal gridare, mordendosi le labbra; ma Rossella, i cui nervi erano tesi fino all'inverosimile, le aveva detto: - Non sforzarti ad essere coraggiosa, per carità. Urla, se ne hai bisogno. Non c'è nessuno che senta, all'infuori di noi. -

Con l'avanzarsi del pomeriggio, i gemiti di Melania aumentarono; qualche volta erano addirittura urli. In quei momenti Rossella si nascondeva la testa fra le mani coprendosi le orecchie e si contorceva augurandosi di morire. Tutto era preferibile all'essere incapace di alleviare quel martirio. Tutto era preferibile a rimanere ad attendere un bambino che impiegava troppo tempo a venire al mondo. Attendere, mentre sapeva che gli yankees erano ai Cinque Punti.

Febbrilmente si pentiva di non aver prestato più attenzione ai discorsi delle donne maritate quando parlavano di maternità e di parti. Almeno ora saprebbe se Melania aveva un parto lungo o no. Ricordava vagamente che Zia Pitty raccontava di una sua amica che aveva avuto le doglie per due giorni ed era morta senza che il bimbo fosse nato. Se Melania dovesse continuare per due giorni! Ma era troppo delicata: non avrebbe potuto resistere a 48 ore di doglie. Se il bimbo non si sbrigava, morirebbe... E come potrebbe lei alzare più gli occhi in faccia ad Ashley, se questi era ancora vivo, e dirgli che Melania era morta... dopo avergli promesso di aver cura di lei?

Da principio Melania aveva voluto tenere la mano di Rossella quando le doglie erano più forti; ma la stringeva talmente da stritolarle quasi le ossa. Dopo un'ora le mani di Rossella erano così indolenzite che non poteva neanche più muoverle. Quindi annodò insieme due lunghi asciugamani di cui legò le estremità alla spalliera del letto; poi diede a Melania la parte annodata. E quella vi si attaccò come attingendone forza, tirandola, torcendola, lacerandola. La sua voce ora somigliava a quella di un animale preso in trappola e moribondo. Ogni tanto lasciava ricadere l'asciugamani e guardava Rossella con gli occhi dilatati dalla sofferenza.

- Parla, ti prego, parla! -

E Rossella diceva la prima cosa che le passava per la mente, finché Melania afferrava nuovamente l'asciugamani e ricominciava a torcersi.

L'atmosfera era annebbiata dal caldo, dalla sofferenza, dalle mosche ronzanti e il tempo passava con una lentezza spaventosa. A Rossella sembrava di trovarsi lì da un'eternità: aveva voglia di urlare insieme a Melania e riusciva a vincersi soltanto mordendosi le labbra.

Una volta Wade venne fino alla porta in punta di piedi e si fermò sulla soglia frignando.

- Wade ha fame - Rossella si alzò per andare da lui, ma Melania sussurrò: - Non mi lasciare! Se tu sei qui, posso resistere! -

Allora Rossella mandò Prissy a riscaldare la farinata della colazione per dar da mangiare al bambino. Quanto a lei, pensò che non avrebbe mai più potuto inghiottire un boccone.

L'orologio sul caminetto si era fermato e Rossella non aveva alcun modo di sapere l'ora; ma poiché il caldo soffocante era un po' scemato e i puntini luminosi si erano oscurati, ella aperse la persiana. Con sua sorpresa vide che il sole, come un'enorme palla vermiglia, era basso sull'orizzonte. Chi sa perché, aveva immaginato che non dovesse tramontare mai più.

Chi sa che cosa era avvenuto in città? Chi sa se tutte le truppe avevano sgombrato? Se gli yankees erano arrivati? Se i Confederati avrebbero abbandonato il posto senza combattere? Confederati... com'erano pochi! E Sherman aveva tanti uomini e tutti ben nutriti! Sherman! Quel nome la sgomentava come quello di Satana. Ma non vi era tempo di pensarci adesso, perché Melania chiamava per avere un po' d'acqua, un asciugamani asciutto sulla testa e perché le scacciasse le mosche dal viso.

Al crepuscolo, mentre Prissy, sgambettando come un piccolo fantasma nero, accendeva la lampada, Melania si sentì più debole. Cominciò a chiamare Ashley, con una insistenza che sembrava delirio, finché Rossella provò il desiderio di soffocare quella voce monotona con un guanciale. Forse il dottore avrebbe finito col venire. Con un barlume di speranza, alzò la testa e ordinò a Prissy di correre alla casa del dottor Meade a vedere se lui, o la signora, fossero tornati.

- E se non c'è, chiedi alla signora Meade o alla cuoca che cosa bisogna fare. Pregale di venire! -

Prissy uscì di corsa e Rossella la vide allontanarsi con una velocità di cui non l'avrebbe creduta capace. Dopo un certo tempo tornò, sola.

- Dottore non essere venuto a casa tutto il giorno. Forse essere andato via con soldati. Miss Rossella, Mist' Phil essere finito.-

- Morto? -

- Sì, badrona. Talbot, il cocchiere avere detto che essere stato...-

- Non importa.-

- Non avere visto miss Meade. Cuoca aver detto che miss Meade voler lavarlo e seppellirlo prima che arrivare yankees. Cuoca dice che se doglie essere troppo forti, tu mettere un coltello sotto il letto e questo tagliare doglie in due.-

Rossella provò il desiderio di batterla ancora; ma Melania aveva spalancato gli occhi terrorizzata e stava bisbigliando...

- Dio mio... stanno venendo gli yankees? -

- No - rispose Rossella risoluta. - Prissy è una bugiarda.-

- Sì, badrona - annuì Prissy con calore.

- Stanno arrivando - sussurrò Melania senza lasciarsi ingannare; e nascose il viso tra i guanciali. La sua voce giunse alle orecchie di Rossella come un soffio.

- Il mio povero piccino... Il mio povero piccino... - E, dopo un lungo intervallo: - Tu non devi restare qui, Rossella. Devi prendere Wade e andar via.-

Era ciò che Rossella pensava; ma udirlo da Melania la irritò, e le diede un senso di vergogna, come se la sua vigliaccheria fosse scritta a chiare lettere sul suo viso.

- Non dire sciocchezze. Non ho paura. E sai che non ti lascerò.-

- Potresti anche andare... Tanto, io sto per morire... - E riprese a mugolare.

 

Rossella discese le scale al buio, lentamente, sorreggendosi alla ringhiera come una vecchia, per paura di cadere. Aveva le gambe pesanti, e rabbrividiva dal freddo, malgrado il sudore vischioso che le inondava il corpo. Si trascinò faticosamente fino al porticato e piombò sui gradini. Si appoggiò a una colonna del porticato e con mano tremante si sbottonò il corpetto. La notte era buia ed ella rimase con lo sguardo fisso nell'oscurità, completamente istupidita.

Tutto era compiuto. Melania non era morta e il neonato, che frignava come un gattino, stava prendendo il suo primo bagno fra le mani di Prissy. Melania dormiva. Come poteva dormire, dopo quell'incubo di doglie spaventose e dopo quell'aiuto ignorante che doveva averle fatto più male ché bene? Perché non era morta? Ma Rossella sapeva che in questo caso sarebbe morta anche lei. Quando tutto era terminato, Melania aveva perfino mormorato (così piano che ella aveva dovuto avvicinare l'orecchio alla sua bocca per capire) "Grazie". E poi si era addormentata. Rossella dimenticava che anche lei aveva dormito dopo la nascita di Wade. Aveva il cervello vuoto; la vita non era mai esistita prima di quella interminabile giornata e non esisterebbe mai più dopo... Soltanto una notte calma e pesante, soltanto il suono di un respiro rauco e affannoso, soltanto il sudore che scivolava dalle ascelle ai fianchi, dalle anche alle ginocchia, freddo, vischioso, attaccaticcio.

A poco a poco il suo respiro affannoso divenne un singhiozzo spasmodico, ma i suoi occhi erano asciutti e brucianti, come se non potessero spremere lacrime mai più. Si risollevò a fatica e si tirò le gonne pesanti fino a metà delle cosce. Aveva freddo e caldo nello stesso tempo e la sensazione dell'aria notturna sulle membra in traspirazione la calmava. Pensò vagamente che cosa direbbe zia Pitty se la vedesse sdraiata sotto il porticato, con le gonne rialzate in modo che si vedessero le mutandine; ma non gliene importava nulla. Non le importava più di nulla. Il tempo si era fermato. Poteva essere sera o poteva esser mezzanotte. Non lo sapeva e non le interessava di saperlo.

Udì un calpestio al piano di sopra e pensò: "Dio maledica Prissy" mentre i suoi occhi si chiudevano e una lieve sonnolenza scendeva sopra di lei. Poi, dopo un intervallo indeterminato, si trovò Prissy seduta accanto, che chiacchierava soddisfatta.

- Noi essere state brave, badrona. Non credo che mamma mia potere essere stata più brava.-

Rossella la fissò nel buio, troppo stanca per insultarla, troppo abbattuta per rimproverarla, per numerare i torti di Prissy: l'essersi vantata di un'esperienza che non aveva, e poi i suoi terrori, la sua goffaggine, la sua inutilità nel momento più grave, il suo perder le forbici proprio quando servivano, l'aver versato un catino d'acqua sul letto, l'aver lasciato cadere il bimbo appena nato. E ora veniva anche a dire che erano state brave!

E gli yankees che volevano liberare i negri!

Si appoggiò alla colonna senza parlare e Prissy, accorgendosi del suo umore, tornò in punta di piedi nell'oscurità del porticato. Dopo un lungo intervallo durante il quale il suo respiro finalmente si tranquillizzò, Rossella udì un rumore confuso di voci nella strada e lo scalpiccio di molti piedi. Soldati! Si drizzò lentamente, riabbassò le gonne, benché sapesse che nel buio nessuno poteva vederla. Quando giunsero dinanzi alla casa, ombre indistinte, di cui non si comprendeva il numero, ella chiamò.

Una figura uscì dalla massa e si avvicinò al cancello.

- Andate via? Ci lasciate? -

Le parve che l'ombra si togliesse il cappello; quindi una voce tranquilla rispose.

- Sì, signora. Siamo gli ultimi uomini che erano nelle fortificazioni, a un miglio da qui.-

- Siete... Si ritira davvero l'esercito? -

- Sì, signora. Gli yankees stanno per arrivare.-

Gli yankees arrivavano! Se n'era dimenticata. La sua gola si contrasse ed ella non poté dire altro. L'ombra si mosse, si mescolò alle altre, lo scalpiccio si allontanò nell'oscurità. "Arrivano gli yankees! Arrivano gli yankees!" Era il ritmo che il suo cuore accompagnava con ogni battito.

- Yankees arrivare! - schiamazzò Prissy balzandole accanto. - Oh, miss Rossella, ci ammazzeranno! Infilare loro baionette nella nostra pancia! -

- Taci! - Era già abbastanza terrorizzante pensare a queste cose, senza che vi fosse bisogno di esprimerle in parole. Lo spavento la invase di nuovo. Che fare? Dove fuggire? Chi potrebbe aiutarla?

A un tratto le risovvenne Rhett Butler. Perché non aveva pensato a lui stamattina? Lo odiava, ma era un uomo forte e non aveva paura degli yankees. Ed era ancora in città. Certo, il loro ultimo colloquio era stato violento... Ma in questo momento, si poteva dimenticare ogni cosa. Ed egli aveva anche un cavallo e una carrozza. Potrebbe portarla via da quel luogo, lontana dagli yankees, in un luogo qualsiasi.

Si volse a Prissy e le parlò febbrilmente.

- Tu sai dove abita il capitano Butler... all'Albergo Atlanta? -

- Sì, badrona, ma...-

- Corri subito da lui e digli che ho bisogno che venga qui immediatamente, con la carrozza o un'ambulanza, se è possibile averla. Digli del bambino. Digli che voglio che ci porti via da qui. Corri, presto! -

- Dio benedetto, miss Rossella! Io aver paura di andare sola, al buio! Se gli yankees mi prendono...? -

- Se corri in fretta, raggiungi quei soldati che sono passati adesso, e loro non ti lasceranno prendere dagli yankees. Presto! -

- Io paura. E se capitano non essere in albergo? -

- Domanderai dov'è. Non sei capace? Se non è all'albergo, vai allo spaccio di via Decatur e domanda di lui. Vai a casa di Bella Watling. Cercalo. Ma non capisci, scema, che se non corri a cercarlo, gli yankees ci prenderanno davvero tutte quante? -

- Mamma mi picchierebbe se sapere che io andare in uno spaccio o in casa di quelle donne. -

Rossella le diede uno spintone.

- Se tu non vai, te la faccio pagare. Non puoi metterti fuori a chiamarlo? O chiedere a qualcuno se c'è? Avanti, via! -

Vedendo che Prissy esitava ancora agitando i piedi e borbottando, Rossella le diede un altro spintone che la mandò a cadere lunga distesa sui gradini.

- Se tu non vai, ti venderò e non vedrai mai più tua madre e nessuno di quelli che conosci. E ti venderò per lavorare nei campi, per di più! Corri! -

- Dio mio, miss Rossella...-

Ma sotto la spinta decisa della mano della sua padrona, discese i gradini della breve scalinata. Il cancello si aperse e Rossella gridò:

- Corri, oca! -

Udì il calpestio dei piedi di Prissy mutarsi in un passo di corsa che si allontanò sul terreno soffice.

23

Rossella rientrò nel vestibolo e accese la lampada. La casa era soffocante, come se avesse conservato fra le sue pareti tutto il calore del pomeriggio. La stanchezza cominciava a farsi meno sensibile; era piuttosto lo stomaco, ora, che reclamava un po' di cibo. Si ricordò che non aveva ingoiato nulla dalla sera prima, eccetto una cucchiaiata di farinata, e prendendo la lampada andò in cucina. Il fuoco era spento. Trovò mezza pagnotta di pane di granturco e lo addentò avidamente mentre cercava se non vi era altro. C'era ancora un po' di farinata nella pentola; la mangiò col cucchiaio da cucina, senza neanche prendersi la pena di metterla in un piatto. Era senza sale; ma era troppo affamata per farvi caso. Dopo quattro cucchiaiate, il calore della cucina le sembrò insopportabile; quindi tenendo la pagnotta in una mano e la lampada nell'altra, tornò nel vestibolo.

Avrebbe dovuto risalire e sedersi accanto a Melania. Sapeva che questa era troppo debole per chiamare, se si sentiva male. Ma l'idea di tornare in quella stanza ove aveva trascorso tante ore d'incubo la sgomentò. Non voleva più rivedere quella stanza: neanche se Melania fosse in procinto di morire vi rientrerebbe! Posò la lampada sul davanzale della finestra e tornò sotto al porticato. Era molto più fresco, benché la notte fosse sommersa in un calore dolce. Sedette sui gradini, nel debole cerchio di luce gettato dalla lampada, e continuò a masticare il pane di granturco.

Dopo averlo mangiato, sentì tornarsi un po' di forza; e con la forza tornò anche il pungiglione dello spavento. Percepiva un rumore lontano, ma non riusciva a capire di che si trattasse. Cercò di ascoltare: il rumore aumentava e diminuiva di intensità, ma rimaneva sempre indistinto. I muscoli le dolevano per la tensione. Anelava di sentire lo scalpitare di un cavallo e di vedere gli occhi di Rhett che ridevano delle sue paure. Certo Rhett le porterebbe via. Non sapeva dove; ma non si curava di saperlo.

Mentre si sforzava di distinguere qualche cosa nell'oscurità, in direzione della città, una lieve luce apparve al disopra degli alberi e divenne in breve più chiara. Il cielo si colorò di rosso sempre più vivo; e a un tratto una lunga lingua di fiamma si levò nel buio fondo. Balzò in piedi, mentre il cuore ricominciava la sua danza disordinata. Gli yankees erano arrivati! Erano arrivati e incendiavano Atlanta. Le fiamme sembravano venire dall'est verso il centro della città; si facevano sempre più alte e si allargavano rapidamente in un'enorme cortina vermiglia dinanzi ai suoi occhi atterriti. Doveva essere un intero blocco di case che ardeva. Un lieve soffio di brezza che si era levato portò fino alle sue nari un odore di bruciaticcio.

Salì di volo le scale e corse alla finestra della sua camera per veder meglio. Il cielo aveva assunto un colore orrendo e grosse nuvole di fumo nero rimanevano sospese al disopra delle fiamme. Come una pazza, cercò di calcolare quanto tempo poteva occorrere perché il fuoco giungesse nella via dell'Albero di Pesco; fra quanto arriverebbero gli yankees alla casa di mattoni; dove fuggirebbe, che cosa farebbe. Le sembrava che tutti i demoni dell'inferno le urlassero nelle orecchie, e nel cervello aveva una confusione vorticosa. Si appoggiò al davanzale, cercando di chiamare a raccolta i pensieri. "Debbo pensare. Debbo."

Ma non riusciva a fissare un pensiero; tutti le sfuggivano come uccellini spauriti. In quella, una tremenda esplosione la fece sobbalzare, più violenta di tutte le cannonate che aveva udito fino allora. Il cielo fu illuminato da una fiammata gigantesca. Altre esplosioni seguirono. La terra tremò e i vetri della finestra si frantumarono, cadendole attorno in schegge.

Fu un inferno di fragore e di fiamme; le esplosioni si susseguivano assordanti. Torrenti di scintille salivano in alto e ridiscendevano lentamente, pigramente, tra le nubi di fumo sanguigno. Le sembrò di udire un debole richiamo dalla stanza accanto, ma non vi badò. Ora non aveva tempo per Melania. Non aveva tempo per nulla, se non per il terrore che le correva nelle vene con la stessa rapidità delle fiamme che vedeva. Era una bimba pazza di spavento e avrebbe voluto poter nascondere il capo nel grembo di sua madre per non vedere più quell'orrore. Se fosse a casa sua! A casa, con la mamma.

Attraverso i rombi udì il rumore di un passo che saliva i gradini a tre per volta e una voce che guaiva, come quella di un cane sperduto. Prissy irruppe nella stanza e si afferrò al braccio di Rossella in una stretta convulsa.

- Gli yankees... - gridò Rossella.

- No, essere i nostri! - urlò Prissy ansimando, ficcando le unghie nel braccio di Rossella. - Stare incendiando fonderia e deposito di viveri dell'esercito e magazzini di armi ed essere settanta carri di palle da cannone e polvere da sparo... e i nostri dare fuoco a tutto, misericordia di Dio! -

Ricominciò a urlare e gemere e strinse così forte il braccio di Rossella che questa gridò e si svincolò. Gli yankees non erano ancora arrivati! C'era ancora il tempo di fuggire! Raccolse tutte le sue forze.

"Se non mi padroneggio" pensò "mi metterò a urlare come un gatto scorticato!" E la vista dell'abietto terrore di Prissy la aiutò a irrigidirsi. Afferrò la negra alle spalle e la scrollò.

- Smettila con queste sciocchezze! Gli yankees non sono arrivati, stupida! Hai visto il capitano Butler? Che ti ha detto? Viene? -

Prissy smise di urlare, ma batteva i denti.

- Sì, badrona. Finalmente avere trovato. In uno spaccio, come tu avere detto...-

- Non m'importa dove. Viene? Gli hai detto di portare il cavallo? -

- Avere detto che nostri soldati avergli preso cavallo e carrozza per fare un'ambulanza.-

- Dio santo! -

- Ma venire lo stesso...-

- E che ha detto? -

Prissy aveva ripreso fiato, ma continuava a spalancare gli occhi.

- Lui essere dentro spaccio e io avere chiamato e lui essere venuto fuori. E mentre io cominciare a parlare, soldati aver dato fuoco a una bottega in via Decatur e lui avermi preso per mano ed essere corso con me fino a Cinque Punti e avere detto: "Cosa c'è? Parla presto". E io avere detto tu avere detto che lui venire subito con carrozza; e miss Melly aver fatto bambino e tu volere andar via. E lui dire: "Dove?" E io dire: "Non sapere, ma voler fuggire per yankees e volere andare con te". E lui ridere e dire che soldati avere preso suo cavallo. -

Rossella si sentì morire: l'ultima sua speranza svaniva. Sciocca, come mai non aveva pensato che l'esercito in ritirata avrebbe preso ogni veicolo e ogni animale da tiro o da sella? Per un attimo rimase talmente sgomenta che non udì quello che Prissy le stava dicendo; ma si riebbe quasi subito per ascoltare.

- E avere poi detto: "Dire a miss Rossella di stare tranquilla. Io rubare per lei un cavallo all'esercito, se essere rimasto". Dire: "Io rubare stasera stesso, anche se mi ammazzare". Poi ridere ancora e dire: "Tu correre a casa". E prima che io essermi mossa, buuuuum! uno strepito spaventoso e lui dire "non aver paura; essere nostre munizioni che far saltare per non dare agli yankees..." -

- Viene? Porta un cavallo? -

- Così avere detto. -

Trasse un profondo sospiro di sollievo. Se era possibile procurarsi un cavallo, Rhett Butler se lo procurerebbe. Un uomo in gamba, Rhett. Se la toglieva da quella situazione, gli perdonerebbe tutto. Fuggire! Con Rhett non aveva più paura. Rhett le proteggerebbe. Bisognava ringraziare Dio... Con la prospettiva della salvezza, tornò ad avere lo spirito pratico.

- Sveglia Wade e vestilo e metti assieme un po' di vestiti per tutte noi e per lui. Mettili nel baule piccolo. E non dire a miss Melly che dobbiamo andar via. Non ancora. Ma avvolgi il bimbo in un paio di asciugamani pesanti e metti nel baule anche la sua roba. -

Prissy era ancora aggrappata alle sue gonne; roteava gli occhi di cui non si vedeva che il bianco.

- Spicciati! - gridò Rossella sospingendola. Prissy lasciò la presa e scomparve con la velocità di un coniglio.

Ora Rossella avrebbe dovuto salire a tranquillizzare Melania, perché questa doveva essere atterrita dal fragore continuo e dalla luce sinistra che accendeva il cielo. Si sarebbe detta la fine del mondo. Ma non si sentì la forza di rientrare in quella camera. Corse dentro, a pianterreno, con l'idea di impacchettare le porcellane di Pittypat e la poca argenteria rimasta. Ma quando fu in sala da pranzo le mani le tremavano in modo tale che lasciò cadere tre piatti che andarono in frantumi. Corse sotto al porticato ad ascoltare e poi di nuovo in sala da pranzo: questa volta lasciò cadere le posate. Inciampò anche nel tappeto e cadde al suolo, ma si rialzò così presto che non sentì neanche il dolore. Sentiva Prissy galoppare al piano di sopra come un animale selvaggio e quel rumore la faceva impazzire, perché essa pure correva avanti e indietro senza scopo.

Per la decima volta corse fuori, ma non tornò più indietro al suo inutile lavoro. Sedette. Impossibile fare qualche cosa con quel batticuore, nell'attesa di Rhett. Le sembrava che fossero passate delle ore. Finalmente, in fondo alla strada, percepì il cigolio di ruote non ingrassate e uno scalpitare lento e incerto. Perché non si affrettava? Perché non faceva trottare il cavallo?

Il rumore si avvicinò; ella balzò in piedi e chiamò Rhett. Lo vide confusamente discendere da un carrozzino, udì aprirsi il cancello, e lo vide avanzarsi nel viale d'accesso. Lo vide distintamente quando giunse nell'alone di luce della lampada. Era vestito inappuntabilmente come se si fosse recato in società: giacca impeccabile e calzoni di tela bianca, panciotto ricamato di seta grigia e camicia col davanti pieghettato. Il largo cappello di panama era posato di sbieco sul capo; infilate nella cintura aveva due lunghe pistole da duello con l'impugnatura d'avorio. Le tasche della giacca erano appesantite evidentemente da munizioni.

Percorse il viale col passo elastico di un selvaggio, ma col capo eretto come un principe pagano. I pericoli della notte agivano su lui come qualche cosa di inebbriante. Nel suo volto bruno era una ferocia repressa, una crudeltà che l'avrebbe spaventata, se in quel frangente fosse stata in grado di accorgersene.

I suoi occhi neri brillavano senz'ombra di sgomento; come se tutto quel rumore e l'orrendo chiarore fossero spauracchi per bambini. Ella gli si precipitò incontro, pallidissima, con gli occhi accesi da una fiamma verde.

- Buona sera - disse la sua voce strascicata, mentre egli si toglieva il cappello con gesto elegante. - Bella serata, eh ? Ho sentito che volete fare una passeggiatina.-

- Non scherzate, Rhett! - E la voce di Rossella tremava.

- Non mi direte di aver paura! - E finse di essere stupito, sorridendo in un modo che le diede il desiderio di buttarlo giù dalla gradinata.

- Sì, ho paura! E se aveste un po' di senso comune, avreste paura anche voi. Ma non abbiamo tempo di parlare. Dobbiamo andar via. -

- Al vostro servizio. Ma dove vi figurate di potere andare? Io sono venuto fin qui per semplice curiosità; proprio per sentire le vostre intenzioni. Non si può andare in nessuna direzione; gli yankees sono tutt'attorno. Vi è solo una strada di cui non si sono impadroniti; ed è la strada per la quale si sta ritirando l'esercito. La cavalleria del generale Steve Lee combatte verso McDonough per proteggere la ritirata dei soldati. E se voi li seguite sulla strada di McDonough, vi prenderanno il cavallo; e benché si tratti di una bestia malandata, mi è stato ben difficile rubarla. Dove volete andare, dunque? -

Lo guardava, ascoltando le sue parole senza udirle. Solo a questa domanda si scosse e improvvisamente vide dove doveva andare. Non vi era che un luogo, per lei.

- A casa mia.-

- A casa vostra? A Tara? -

- Sì, a Tara! Oh, facciamo presto, Rhett! -

La guardò, come si guarda chi ha perso il cervello.

- Dio benedetto! Ma non sapete che hanno combattuto tutto il giorno a Jonesboro? Per dieci miglia a nord e dieci a sud, e perfino nelle strade della città? Gli yankees debbono essere a Tara, oramai; debbono avere occupato tutta la contea. Nessuno sa dove sono, ma sono in quei pressi. Non potete andare a casa vostra! Non potete andarvi a gettare proprio nell'esercito yankee! -

- Voglio andare a casa mia! Voglio andare! -

- Pazzerella. - Le sue parole erano rapide e la voce aspra. - Non potete andare. Anche se non vi imbattete negli yankees, sappiate che i boschi sono pieni di sbandati e di disertori di tutt'e due le parti. L'unica possibilità, è tentar di seguire le truppe per la strada di McDonough, pregando Dio che nel buio non vi vedano. Ma non potete andare a Tara. Se vi arrivate, probabilmente troverete che hanno incendiato tutto. Non vi lascerò andare è una follia. -

- Voglio andare a casa mia! - E la sua voce si spezzò in un urlo. -Voglio andare a casa mia! Non potete trattenermi! Ho bisogno di mia madre! Vi ucciderò se tentate di trattenermi! -

Lacrime isteriche le rigavano il volto. Gli picchiò i pugni sul petto urlando ancora: - Voglio andare a casa mia! Dovessi fare tutta la strada a piedi! -

E improvvisamente fu tra le sue braccia, con la guancia premuta contro il suo petto e le manine che tentavano ancora di batterlo. Egli le accarezzò dolcemente i capelli scompigliati; anche la sua voce era dolce. Così dolce e così priva di scherno, che non sembrava più la voce di Rhett Butler, ma la voce di un estraneo che sentiva di tabacco, di cognac e di cavalli; odori confortanti perché le ricordavano Geraldo.

- Buona, cara, state buona. Non piangete. Andrete a casa vostra, mia povera piccola coraggiosa. Andrete a casa vostra. Non piangete. -

Ella sentì qualche cosa sui suoi capelli e nel suo turbamento pensò che fossero le labbra di lui. Era così tenero, così affettuoso che Rossella desiderò di poter rimanere per sempre fra le sue braccia. Certo non potrebbe accaderle nulla di male, con quelle braccia così forti per proteggerla!

Egli frugò in tasca, trasse un fazzoletto, le asciugò gli occhi.

- Avanti, soffiatevi il naso come una brava bambina - le ordinò sorridendo - e ditemi che cosa bisogna fare. Occorre far presto. -

Ella si soffiò il naso ubbidiente, tremando ancora, ma non seppe dirgli nulla. Vedendo che le sue labbra tremavano e gli occhi lo fissavano smarriti, egli prese il comando.

- La signora Wilkes ha avuto il bambino? Sarà pericoloso farla muovere... farle fare venticinque miglia in quel carrettino sconquassato. Meglio lasciarla con Mrs. Meade. -

- I Meade non sono in casa. Non posso lasciarla. -

- E va bene. La porteremo. Dov'è quella stupidina negra? -

- Sta preparando il baule.-

- Non si può portare un baule su quel veicolo. È quasi troppo piccolo per caricare tutte voialtre e le ruote minacciano di staccarsi senza farsi pregare. Chiamatela e ditele di prendere il più piccolo materasso di piume che è in casa e metterlo nel carro.-

Rossella si sentì nuovamente incapace di muoversi; ma egli le afferrò il braccio e un po' della vitalità che lo animava sembrò passare nel corpo di lei. Se potesse lei pure essere così fredda e positiva! Sulla soglia del vestibolo si fermò ancora, esitante; ma egli, con leggera beffa, le disse: - E questa è l'eroica donna che mi assicurava di non temere né Dio né gli uomini? -

Lo fissò, con odio.

- Non ho paura. -

- Sì, avete paura. State per svenire e io non ho sali con me. -

Ella batté i piedi impotente; e senza una parola prese la lampada e cominciò a salire le scale. Egli la seguiva dappresso e Rossella lo udì ridere piano tra sé. Entrò nella stanza di Wade e lo trovò rannicchiato fra le braccia di Prissy, mezzo vestito e singhiozzante sommessamente.

Prissy piagnucolava. Il materassino del letto di Wade era abbastanza piccolo, sicché Prissy ricevette l'ordine di portarlo giù e metterlo nella vettura. Wade la seguì; l'interesse di ciò che accadeva calmava alquanto i suoi singhiozzi convulsi.

- Venite - disse Rossella avvicinandosi verso la porta di Melania seguita da Rhett, che teneva il cappello in mano.

Melania giaceva tranquilla col lenzuolo tirato su fino al mento. Era mortalmente pallida, ma i suoi occhi incavati e cerchiati di nero, erano sereni. Non parve sorpresa di vedere Rhett nella sua camera, come se fosse una cosa naturale. Cercò di sorridere, ma il sorriso le morì sulle labbra.

- Andiamo a casa mia a Tara - spiegò Rossella rapidamente. - Gli yankees stanno arrivando. Rhett ci accompagna. È l'unica salvezza, Melly. -

Melania cercò di annuire debolmente e fece un gesto verso il piccolo, Rossella prese in braccio il piccino e lo avvolse in un panno pesante. Rhett si avvicinò al letto.

- Cercherò di non farvi male - disse raccogliendole intorno il lenzuolo. - Cercate di cingermi il collo con le braccia.- Melania tentò ma le sue braccia ricaddero. Egli si chinò, le passò un braccio sotto le spalle, un altro sotto le ginocchia e la sollevò dolcemente. Ella non fiatò; ma Rossella vide che si morse le labbra diventando anche più pallida.

Rhett si avviò verso la porta e mentre Rossella alzava la lampada per fargli lume, Melania fece un debole gesto verso la parete.

- Che cos'è? - chiese Rhett dolcemente.

- Vi prego - bisbigliò Melania cercando di indicare. - Carlo. -

Rhett la guardò credendo che delirasse, ma Rossella comprese e ne fu irritata. Melania desiderava il dagherrotipo di Carlo che era tra la sua sciabola e la pistola.

- Ti prego - bisbigliò ancora Melania - la sciabola. -

- Va bene - rispose Rossella; e dopo avere fatto lume a Rhett che scendeva con precauzione, tornò indietro e staccò la sciabola e la cintura con la pistola.

Sarebbe stato scomodo portar le armi insieme alla lampada avendo in braccio anche il bambino. Erano sempre le idee di Melania, che pure essendo moribonda e con gli yankees alle calcagna, si preoccupava dei ricordi di Carlo.

Nel prendere il dagherrotipo vi gettò uno sguardo. Quell'uomo era stato suo marito, aveva dormito con lei alcune notti, le aveva dato un bimbo con gli occhi neri e dolci come i suoi; ed ella stentava a ricordarselo.

Il piccino agitò i piccoli pugni ed emise un lieve vagito; Rossella lo guardò e per la prima volta pensò che era il bambino di Ashley. E in quell'attimo desiderò con tutte le forze che le erano rimaste che fosse suo: suo e di Ashley.

Prissy risalì le scale e Rossella le porse il bambino. Discesero in fretta, con la lampada che faceva danzare ombre incerte. Nel vestibolo Rossella vide un cappello e se lo mise in fretta annodando i nastri sotto al mento. Era il cappello di lutto di Melania, e non le stava in testa, ma Rossella non riuscì a ricordarsi dove aveva messo il suo.

Uscì dalla casa portando la lampada e la sciabola. Melania era sdraiata nel fondo del carro e accanto a lei erano Wade e il neonato che Prissy aveva deposto sul materasso e che ora riprese in braccio.

Il carro era realmente piccolo e le sponde erano molto basse. Le ruote erano inclinate in dentro e davano l'impressione che al primo movimento si potessero staccare. Rossella diede un'occhiata al cavallo e si sentì venir meno. Era un animale piccolo e magro con la testa che pendeva quasi fino a toccare le gambe anteriori. Il suo dorso era tutto cicatrici e il respiro era quello di un cavallo bolso.

- Non è un cavallo di razza, vero? - rise Rhett. - Pare che stia per esalare l'ultimo respiro fra le stanghe. Ma è quel che ho trovato di meglio. Un giorno o l'altro vi racconterò con tutti i particolari dove e come l'ho rubato, e come c'è mancato poco che mi buscassi una fucilata. Solo il mio affetto per voi mi ha fatto diventare, a questo punto della mia brillante carriera, ladro di cavalli... e di un cavallo simile. Lasciate che vi aiuti. -

Le prese di mano la lampada e la posò a terra. Il sedile davanti era soltanto un'assicella appoggiata sulle due sponde. Rhett prese in braccio Rossella e la posò sul sedile. "Che bellezza essere un uomo così forte," pensò mentre si raccoglieva le ampie gonne. Accanto a lui non temeva nulla: né il fuoco né le esplosioni né gli yankees.

Egli si arrampicò sul sedile accanto a lei e raccolse le redini.

- Aspettate! - esclamò Rossella. - Ho dimenticato di chiudere la porta. -

Rhett scoppiò in una risata e frustò il cavallo con le briglie.

- Di che ridete? -

- Di voi... che volete chiudere fuori gli yankees.-

Il cavallo si avviò lentamente, con riluttanza. La lampada sulla soglia continuava ad ardere, facendo un piccolo cerchio giallo di luce che divenne più piccolo a misura che essi si allontanavano.

 

Rhett volse il cavallo a ovest dell'Albero di Pesco, e il carro traballante sobbalzò così violentemente sulla strada piena di buche, da strappare un gemito a Melania. Gli alberi oscuri s'intrecciavano al di sopra dei loro capi e ai due lati della strada le case buie e silenziose si distinguevano chiaramente, e le bianche palizzate delle barriere spiccavano come una fila di pietre sepolcrali. La strada stretta sembrava una oscura galleria, ma attraverso il denso fogliame rosseggiava l'orrendo bagliore del cielo, e le ombre si avvicendavano sulla strada nera come una danza di spettri. L'odore del fumo si faceva sempre più intenso e, sulle ali della brezza ardente, giunse un pandemonio di suoni dal centro della città; erano urla ed era il cupo rombo dei pesanti carri dell'esercito e il calpestio degli innumerevoli piedi che marciavano.

Quando Rhett fece voltare il cavallo in una strada laterale un'altra esplosione assordante lacerò l'aria, ed un razzo mostruoso fatto di vampe e di fumo si proiettò verso il cielo a occidente.

-Deve essere l'ultimo treno di munizioni - fece Rhett, calmo.- Non so perché non le hanno portate via stamattina, quegli sciocchi! C'era tutto il tempo. Beh, peggio per loro. Credevo che girando attorno al centro della città, avremmo evitato il fuoco e la folla ubriaca, raggiungendo senza pericolo la parte meridionale. Ma dobbiamo attraversare in un punto qualsiasi la via Marietta, e quest'esplosione, se non mi sbaglio, è avvenuta proprio in quei paraggi. -

- Dobbiamo... dobbiamo attraversare il fuoco? - chiese Rossella balbettando.

- Se facciamo presto, no - rispose Rhett; e balzando giù dal carretto, scomparve nell'oscurità di un cortile. Quando tornò aveva tra le mani un ramo di albero che batté senza pietà sul dorso piagato del cavallo. L'animale prese un trotto pesante, ansimando e stentando; e il carro balzò in avanti con una scossa che li gettò uno sull'altro. Il bimbo emise un vagito, e Prissy e Wade gridarono; solo da Melania non si udì lamento.

Avvicinandosi a via Marietta, gli alberi erano più radi e le enormi fiamme che salivano dagli edifici illuminavano la strada e le case come se fosse di pieno giorno creando ombre mostruose che si torcevano come vele lacerate di una nave che sta per affondare.

Rossella batteva i denti; aveva freddo e tremava benché il calore delle fiamme fosse quasi contro il loro volto. Questo era l'inferno, ed essa vi si trovava; se ne avesse avuto la forza sarebbe balzata giù dal carro e sarebbe corsa nuovamente verso la strada buia da cui erano venuti, verso il rifugio della casa di Pittypat. Si strinse di più a Rhett, afferrò il suo braccio con dita tremanti, e lo guardò cercando una parola, un conforto, qualche cosa che la rassicurasse. Nel bagliore vermiglio che li avvolgeva, il suo profilo bruno si disegnava come un'antica medaglia; bello, crudele e decadente. Al suo contatto egli si volse verso di lei con gli occhi pieni di una luce che la spaventò come quella dell'incendio.

- Guardate, - le disse, posando una mano sull'impugnatura di una delle pistole che aveva alla cintura - se chiunque, bianco o negro, si avvicina al carro dalla vostra parte e cerca di mettere una mano sul cavallo, sparate; lo interrogheremo dopo. Ma per carità non sparate sul cavallo. -

- Ho... ho una pistola - sussurrò Rossella stringendo convulsamente l'arma che aveva in grembo, sicura che se la morte l'avesse guardata in faccia, ella avrebbe avuto troppa paura per far scattare il grilletto.

- Davvero? E dove l'avete presa? -

- E' quella di Carlo.-

- Carlo? -

- Sì... mio marito.-

- Ma avete mai avuto veramente un marito, mia cara? - mormorò egli e rise dolcemente.

Ma perché non aveva serietà, neanche in quel momento? Perché non correva?

- E come pensate che io abbia avuto un bambino? - esclamò irritata.

- Oh, c'è modo anche senza marito...-

- Volete tacere e affrettarvi? -

Ma egli tirò le redini bruscamente fermandosi nell'ombra di una casa, presso via Marietta, non toccata dalle fiamme.

- Presto! - era la sola parola che ella potesse pensare. Presto! Presto!

- Soldati - disse Rhett.

I soldati del distaccamento scendevano da via Marietta, fra gli edifici in fiamme, con passo stanco, i fucili tenuti alla meglio, le teste basse, troppo affaticati per affrettarsi, per preoccuparsi delle travi che crollavano a destra e a sinistra e del fumo che li investiva. Erano tutti laceri, al punto che non vi era differenza tra ufficiali e soldati; soltanto qua e là, su qualche cappello, era appuntato un logoro distintivo con la scritta: "C.S. A." (1). Molti erano scalzi; qua e là una fasciatura sudicia bendava un braccio o una testa. Passarono, senza guardare né a destra né a sinistra, così silenziosi che se non fosse stato per il calpestio, si sarebbe potuto credere che fossero fantasmi.

- Guardateli bene - disse la voce schernevole di Rhett - così potrete dire ai vostri nipotini, un giorno, che avete visto la retroguardia della Gloriosa Causa in ritirata. -

Rossella, a un tratto, sentì di odiarlo, con una forza che in quel momento superò il suo sgomento e lo fece apparire meschino e insignificante. Sapeva che la sua salvezza e quella di coloro che erano nel carro dietro a lei dipendevano da lui, da lui solo; ma lo detestò ugualmente perché scherniva quelle file cenciose. Pensò a Carlo morto, ad Ashley forse morto egli pure, e a tutti gli allegri e valorosi giovani sepolti alla meglio chi sa dove; e dimenticò che anche lei, una volta, li aveva considerati degli sciocchi. Non riuscì a spiccicar parola, ma gli occhi che fissò sopra di lui ardevano di odio e di disgusto.

Al passaggio delle ultime file, una figura piccola che trascinava il fucile nella polvere, barcollò, si fermò, guardò gli altri con volto istupidito di un sonnambulo. Era piccolo come Rossella; il suo fucile era quasi più grande di lui e il viso sudicio era imberbe. "Al massimo sedici anni" pensò Rossella; "sarà uno della Guardia Nazionale o un ragazzo fuggito dalla scuola."

Mentre ella lo guardava, le ginocchia del ragazzo si piegarono lentamente ed egli cadde nella polvere. Un altro, un uomo alto e barbuto, si chinò; porse il proprio fucile e quello del ragazzo a un compagno, poi sollevò il corpo sottile e se lo pose sulle spalle, ricominciando a camminare, appena curvo sotto il peso, mentre il ragazzo, infuriato come un bimbo preso in giro, gridava disperatamente: - Mettimi a terra! Posso camminare! Mettimi a terra, ti dico! -

L'uomo barbuto non rispose e scomparve col suo peso all'angolo della strada.

Rhett, con le redini abbandonate, taceva: sul suo volto era una strana espressione di tristezza. In quel momento vi fu a pochi passi da loro uno scroscio di travi che crollavano e Rossella vide una lunga e sottile lingua di fiamma levarsi dal tetto del magazzino accanto al quale si erano riparati. Quindi larghi drappi sanguigni rischiararono il cielo; il fumo li investì e Wade e Prissy cominciarono a tossire.

- In nome di Dio, Rhett! Siete pazzo? Presto, presto. -

Rhett non rispose ma percosse crudelmente col ramo d'albero il dorso del cavallo che fece un balzo in avanti. Con tutta la velocità che fu possibile ottenere attraversarono traballando e rimbalzando la via Marietta. Dinanzi a loro, ai due lati della strada corta e stretta, era una doppia cortina di fuoco; una luce accecante li abbagliava, un calore intenso ardeva la loro pelle e un muggito continuo percuoteva le loro orecchie, accompagnato da crolli e scricchiolii. Attraversarono quell'inferno in un minuto che sembrò loro un secolo; e quindi, improvvisamente, si ritrovarono nella semioscurità.

Mentre percorreva la strada e poi traballando sulle rotaie della ferrovia, Rhett adoperava la frusta automaticamente. Il suo volto era irrigidito e sembrava assente, quasi egli avesse dimenticato dove si trovava. Aveva le braccia strette al corpo e il mento proteso in avanti, come se fosse immerso in pensieri spiacevoli. Il calore gli faceva gocciolare la fronte e le guance, ma egli non si asciugava.

Voltarono in una strada stretta, quindi in un'altra, e poi in altre ancora, finché Rossella perse completamente l'orientamento, mentre sentiva diminuire il ruggito delle fiamme. Rhett continuava a tacere. Soltanto frustava il cavallo con regolarità. Il riflesso sanguigno nel cielo andava sfumando, e la strada si faceva così spaventosamente buia, che Rossella avrebbe voluto udire una parola, magari un insulto, un'ingiuria, purché fosse una parola. Ma egli taceva.

- Rhett - mormorò a un certo momento afferrandogli il braccio. -Che cosa avremmo fatto senza di voi? Come sono contenta che non siate nell'esercito! -

Egli volse il capo e le diede un'occhiata che la fece indietreggiare abbandonando il suo braccio. Non vi era sarcasmo, ora, nei suoi occhi; ma piuttosto un'espressione di collera e anche di stupore. Torse le labbra volgendo nuovamente il capo. Per un pezzo proseguirono in un silenzio interrotto soltanto dai lievi vagiti del bimbo e da qualche gemito di Prissy.

Finalmente Rhett voltò il cavallo ad angolo retto e dopo un poco si trovarono su una strada larga e soffice. Le forme incerte delle case diventavano sempre più rare e ai due lati si stendevano folte boscaglie.

- Siamo fuori città, adesso - disse Rhett brevemente tirando le redini; - e sulla strada principale per McDonough. -

- Presto. Non vi fermate! -

- Lasciate respirare un momento questa bestia.- Poi volgendosi a lei, le chiese lentamente: - Siete ancora decisa, Rossella, a commettere questa follia? -

- Quale? -

- Volete ancora tentare di arrivare a Tara? È un suicidio. Fra voi e Tara vi è la cavalleria di Lee e l'esercito yankee.-

Dio mio! Avrebbe ora rifiutato di condurla a casa, dopo ciò che ella aveva sopportato in quella tremenda giornata?

- Oh, sì, sì! Vi prego, Rhett, sbrighiamoci. Il cavallo non è stanco. -

- Un momento. Non potete andare a Jonesboro seguendo la linea ferroviaria. Si è combattuto qui tutto il giorno. Conoscete altre strade, carrozzabili o sentieri, che non attraversino Jonesboro? -

- Oh, sì! - esclamò Rossella sollevata. - Conosco una strada carrozzabile che lascia Jonesboro di fianco e fa il giro di diverse miglia. Papà ed io la percorrevamo a cavallo. Sbuca vicino alla proprietà di MacIntosh ed è soltanto a un miglio da Tara. -

- Bene! Allora può darsi che riusciate. Il generale Steve Lee è stato da quella parte durante il pomeriggio di oggi per coprire la ritirata. Forse gli yankees non vi sono ancora. Quindi potete arrivare se gli uomini di Lee non vi prendono il cavallo. -

- Io... posso arrivare? -

- Sì, voi. - La sua voce era aspra.