Udì il rumore attenuato dei suoi passi allontanarsi lungo il vestibolo, e l'enormità della sua azione le apparve. Lo aveva perduto, per sempre. Ora egli la odierebbe, e ogni qualvolta la vedesse si ricorderebbe che ella gli aveva dichiarato il suo amore senza essere stata menomamente incoraggiata da lui.

"Sono come Gioia Wilkes" pensò all'improvviso; poi ricordò che tutti quanti, e lei più degli altri, avevano riso con disprezzo della condotta di Gioia. Vide la goffa agitazione di Gioia e udì le sue sciocche risatine quand'era al braccio di qualche giovanotto; e questo pensiero destò in lei una nuova ira, ira contro se stessa, ira contro Ashley, ira contro il mondo. Odiando se stessa, odiava tutti quanti con la forza dell'umiliato e contrastato amore dei sedici anni. Solo una briciola di vera tenerezza era mescolata a quell'amore. In massima parte esso era composto di vanità e di compiacente fiducia nel proprio fascino. Ora aveva perduto e, più grande del dolore della perdita, era in lei il timore di aver dato spettacolo di se stessa. La sua simpatia era stata palese? Chi sa se tutti ormai ridevano di lei? Questo pensiero la fece tremare.

La sua mano si posò su un tavolino lì accanto, giocherellando con un piccolo portafiori di porcellana sul quale sorridevano due amorini. La stanza era così silenziosa che le venne voglia di gridare per rompere il silenzio. Doveva fare qualche cosa, altrimenti sarebbe impazzita. Prese il vasetto e lo scagliò violentemente attraverso la camera contro il caminetto. Esso oltrepassò l'alta spalliera del sofà e andò a infrangersi contro il marmo del caminetto.

- Questo è troppo - disse una voce dalla profondità del divano.

Nulla l'aveva mai spaventata tanto. E la sua bocca divenne troppo arida per permetterle di emettere un suono. Si afferrò alla spalliera della sedia sentendosi mancare le ginocchia, mentre Rhett Butler si alzava dal divano dov'era sdraiato e le faceva un inchino esageratamente cortese.

- E' già abbastanza noioso avere la propria siesta disturbata da un colloquio come quello che sono stato costretto a udire; ma perché anche la mia vita dovrebbe correre pericolo? -

Era proprio vero. Non era uno spettro. Ma, Dio ne guardi, egli aveva dunque udito tutto! Rossella raccolse tutte le sue forze in un tentativo di assumere una certa dignità.

- Signore, avreste dovuto palesare la vostra presenza.-

- Davvero? - I suoi bianchi denti brillarono e i suoi audaci occhi neri risero. - Ma eravate voi l'intrusa. Io sono costretto ad aspettare Mister Kennedy; e avendo la sensazione di essere forse individuo non grato alla società, ho avuto il tatto di allontanare la mia persona poco gradita e ritirarmi qui dove credevo di essere indisturbato. Ma ahimè! - Crollò le spalle e rise dolcemente.

La collera stava ricominciando a invadere Rossella al pensiero che quell'uomo rozzo e impertinente aveva udito tutto; udito delle cose che per le quali ella avrebbe preferito esser morta piuttosto che averle pronunciate.

- Spione... - cominciò furibonda.

- Gli spioni odono spesso delle cose molto divertenti e istruttive - sogghignò l'uomo. - Avendo una lunga esperienza nell'origliare, posso...-

- Non siete un gentiluomo! -

- Osservazione giustissima - replicò egli allegramente. - E voi, Miss O'Hara, non siete una signora. - Sembrò trovare la cosa molto divertente, perché rise di nuovo. - Nessuna donna può considerarsi una signora dopo aver detto e fatto quello che ho udito. Però le signore hanno raramente avuto un fascino ai miei occhi. Io so ciò che esse pensano; ma esse non hanno mai il coraggio o la mancanza di educazione di dire il loro pensiero. E questo, coll'andar del tempo, diventa una noia. Ma voi, mia cara Miss O'Hara, siete una ragazza di spirito, di uno spirito veramente ammirevole, ed io vi faccio tanto di cappello. Capisco benissimo quale simpatia l'elegante Mister Wilkes può provare per una ragazza che ha la vostra natura impetuosa. Egli deve ringraziare Dio in ginocchio, perché una ragazza col vostro... Come ha detto? Con la vostra "passione di vivere", ma povera di spirito...-

- Non siete degno di pulirgli le scarpe! - urlò esasperata.

- E voi lo odierete tutta la vita! - Egli ripiombò a sedere sul sofà e rise.

Se avesse potuto ucciderlo, Rossella lo avrebbe fatto. Invece chiamando a raccolta tutta la dignità che le fu possibile, uscì dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta pesante.

 

Salì le scale così rapidamente che quando raggiunse il pianerottolo credette di svenire. Si fermò, aggrappata alla ringhiera, col cuore che le martellava in petto tanto forte, per la collera e la mortificazione, che sembrava le scoppiasse fuori dal corpetto. Cercò di trarre dei lunghi respiri, ma il busto allacciato da Mammy era troppo stretto. Se sveniva, se la trovavano lì sul pianerottolo, che avrebbero pensato?

Oh, penserebbero Dio sa che cosa, Ashley, e quell'abietto Butler e quelle odiose ragazze che erano così gelose! Per la prima volta in vita sua rimpianse di non avere i sali, come le altre ragazze; ma non aveva mai posseduto neanche un po' d'aceto! Si era sempre vantata di non sapere che cosa fosse un capogiro. Impossibile svenire adesso! A poco a poco la sofferenza cominciò a diminuire. A momenti si sentirebbe bene, e si insinuerebbe silenziosamente nello spogliatoio accanto alla camera di Lydia per allentare il busto e poi arrampicarsi su uno dei letti sdraiandosi accanto a una ragazza addormentata. Cercò di calmare il suo batticuore e di comporsi un viso più tranquillo, poiché sentiva che doveva aver l'aspetto di una pazza. Se una delle ragazze si fosse svegliata avrebbe compreso subito che vi era qualche cosa che non andava. E nessuno doveva mai sapere che era successo qualche cosa.

Attraverso l'ampia finestra del pianerottolo vide gli uomini che ancora indugiavano sotto agli alberi fronzuti. Come li invidiò! Che bella cosa essere un uomo e non aver da soffrire le pene attraverso le quali ella era passata pochi minuti fa! Mentre li guardava, con gli occhi che le ardevano e la testa che le girava, udì un veloce scalpitare di zoccoli nel viale principale, lo stridere della ghiaia e il suono di una voce eccitata che rivolgeva qualche domanda ai negri. La ghiaia scricchiolò ancora ed ella scorse la figura di un uomo a cavallo che galoppava attraversando il prato verde verso il gruppo indolente degli uomini.

Un invitato ritardatario? Ma perché attraversava a cavallo il prato che era l'orgoglio di Lydia? Non lo riconobbe; ma quando egli balzò dal cavallo e afferrò il braccio di John Wilkes, distinse i suoi lineamenti eccitati. Tutti gli si affollarono intorno, abbandonando sulle tavole e a terra i bicchieri e i ventagli di palma. Malgrado la distanza, ella udì il clamore delle voci che interrogavano, chiamavano, e intuì la febbrile tensione degli uomini. Finalmente al disopra del vocio confuso si levò la voce di Stuart Tarleton in un grido esultante: - Yee-eey-y! - come se fosse a caccia. Ed ella udì per la prima volta, senza saperlo, il grido dei Ribelli.

Mentre continuava a guardare, i quattro Tarleton, seguiti dai ragazzi Fontaine, uscirono dal gruppo e corsero verso le scuderie gridando:

- Jeemes! Ehi, Jeemes! Sella i cavalli!-

"Si dev'essere incendiata la casa di qualcuno" penso Rossella. Ma fuoco o non fuoco, lei non doveva fare altro che rientrare nella stanza da letto prima di essere scoperta.

Il suo cuore batteva meno violentemente adesso; ella salì in punta di piedi i gradini, al disopra del vestibolo silenzioso.Una calda sonnolenza pesava sulla casa, come se anch'essa dormisse come le ragazze, fino al sopraggiunger della notte in tutta la sua bellezza con la musica e le candele. Pian piano aperse la porta dello spogliatoio e scivolò dentro. Aveva ancora la mano sulla gruccia quando dalla fessura della porta di fronte che metteva nella camera da letto le giunse la voce di Gioia Wilkes, sommessa come un sussurro.

- Mi pare che Rossella si sia comportata come una sfacciata, Oggi.-

La fanciulla sentì che il suo cuore ricominciava la folle danza; inconsciamente vi premette sopra la mano come per costringerlo a fermarsi. "Gli spioni ascoltano spesso cose molto istruttive" le risuonò nella memoria. Doveva uscire nuovamente? O farsi vedere e mettere in imbarazzo Gioia come meritava? Ma la voce che udì subito dopo la fece fermare. Neanche una coppia di muli avrebbe potuto trascinarla via quando riconobbe la voce di Melania.

- Oh, Gioia, non esser cattiva. È soltanto vivace e spiritosa. A me è sembrata simpaticissima.-

"Oh" pensò Rossella ficcandosi le unghie nel corpetto. "Sentirsi difendere da quella piccola ipocrita!"

Era peggio della lieve maldicenza di Gioia. Rossella non aveva mai avuto fiducia in nessuna donna e non aveva mai attribuito a nessuna eccetto sua madre motivi che non fossero egoistici. Melania era sicura di Ashley, perciò poteva concedersi il lusso di manifestare uno spirito così cristiano. Rossella pensò che in questo modo Melania faceva pompa della sua conquista e in pari tempo si procurava la nomea di essere buona e dolce. Era un trucco che anche lei aveva usato molte volte parlando di altre ragazze con gli uomini; ed era sempre riuscita in quel modo a convincerli della sua bontà e del suo altruismo.

- Senti, cara - riprese Gioia aspramente, alzando un po' la voce -bisogna dire che sei cieca.-

- Ssst Gioia - bisbigliò Sally Munroe - ti sentiranno in tutta la casa!-

Gioia abbassò la voce ma continuò.

- Non hai visto che cercava di accaparrarseli tutti? Perfino Mister Kennedy che è il corteggiatore di sua sorella. Non ho mai visto una cosa simile! E certo ha cercato di attirare anche Carlo. - Gioia ridacchiò con una certa sufficienza. - Sapete bene che io e Carlo...-

- Davvero? - bisbigliarono alcune voci eccitate.

- Sì, ma non ditelo a nessuno, ragazze... Non ancora! -

Vi furono ancora delle risatine e le molle del letto cigolarono come se qualcuno avesse spinto Gioia. Melania mormorò qualche parola sulla sua felicità di avere Gioia per sorella.

- Ah, io non sarei davvero felice di avere Rossella per sorella, perché è sfacciata come non ve ne sono altre - giunse la voce afflitta di Etta Tarleton. - Ma è quasi fidanzata con Stuart. Brent dice che non glie ne importa un fico; ma in verità anche lui ne è pazzo. -

- Se domandate a me - mormorò Gioia con misteriosa importanza - c'è solo una persona di cui a lei importi. Ed è Ashley. -

I bisbigli si fusero violentemente interrogando, interrompendo, e Rossella si sentì ghiacciare dal timore e dalla umiliazione. Gioia era una stupida, una cretina, una sempliciona per quanto concerneva gli uomini, ma aveva per quanto concerneva le altre donne, un istinto femminile che Rossella non aveva mai considerato. La mortificazione e l'orgoglio offeso di cui aveva sofferto nella biblioteca con Ashley e con Rhett Butler erano punture di spillo a paragone di questo. Si poteva aver fiducia che gli uomini, anche un individuo come Mister Butler avrebbero taciuto; ma con le chiacchiere di Gioia Wilkes che spettegolava a destra e a sinistra, prima delle sei tutta la Contea sarebbe al corrente. E Geraldo la sera prima aveva detto che non voleva che il paese ridesse di sua figlia. Come riderebbero tutti adesso! Un sudore vischioso le bagnò le costole partendo dalle ascelle.

La voce di Melania, misurata e tranquilla, si levò sulle altre con lieve rimprovero.

- Sai benissimo che non è così, Gioia, e non è gentile da parte tua...-

- E' così, Melly, e se tu non fossi sempre intenta a cercare la bontà in quelli che non ne hanno, te ne accorgeresti.. E io sono contenta. Le sta bene. Rossella O'Hara non ha mai fatto altro che mettere scompiglio e cercare di portar via gli spasimanti alle altre ragazze. Sai benissimo che ha portato via Stuart a Lydia, mentre non sapeva che farsene. E oggi ha cercato di attrarre Mister Kennedy, Ashley, Carlo...-

"Debbo andare a casa!" pensò Rossella. "Debbo andare a casa!" Se avesse potuto per opera di magia essere trasportata a Tara, al sicuro!

Poter essere con Elena, vederla, nascondere il viso nel suo grembo, piangere e raccontarle tutto! Se avesse udito ancora una parola si sarebbe precipitata nella stanza e avrebbe afferrato a manate i pallidi capelli di Gioia e avrebbe sputato in faccia a Melania Hamilton per mostrarle ciò che pensava della sua carità. Ma si era già comportata in modo abbastanza volgare oggi, proprio come una qualsiasi miserabile stracciona bianca; e questo era il suo tormento. Si strinse le mani contro le gonnelle perché non frusciassero e indietreggiò furtivamente come un animale. "A casa" pensava nell'attraversare velocemente il vestibolo davanti alle porte chiuse e alle stanze silenziose; "debbo andare a casa."

Era già nel porticato, quando fu colpita da un nuovo pensiero: non poteva andare a casa, non poteva fuggire! Doveva assistere, sopportare tutta la malizia delle ragazze e la propria umiliazione e il crepacuore. Fuggire, significava dar loro maggiore esca.

Picchiò il pugno chiuso contro la grande colonna bianca lì accanto, come se avesse desiderato essere Sansone e far crollare le Dodici Querce distruggendo tutti quelli che vi erano dentro. Li farebbe pentire, farebbe veder loro... Non sapeva ancora come, ma lo avrebbe fatto. Li offenderebbe peggio di come essi avevano offeso lei.

Per il momento Ashley come Ashley era dimenticato. Non era il bel giovane sonnolento di cui ella era innamorata, ma era una parte dei Wilkes, delle Dodici Querce, della Contea; ed essa li odiava tutti perché ridevano. La vanità è più forte dell'amore, a sedici anni, e nel suo cuore ardente non vi era posto per altro, ora, che per l'odio.

"Non andrò a casa" pensò, "rimarrò qui e li farò pentire. E non lo dirò mai alla mamma. No, non lo dirò a nessuno." Fece una sforzo per rientrare in casa, risalire le scale e andare in un'altra camera da letto. Nel voltarsi vide Carlo che rientrava dall'altra estremità del lungo vestibolo. Vedendola si affrettò verso di lei. Aveva i capelli in disordine e il viso color geranio per l'eccitazione.

- Sapete che cosa è successo? - gridò anche prima di averla raggiunta. - Avete sentito? È arrivato or ora Paolo Wilson da Jonesboro con le notizie! -

Fece una pausa, senza fiato, essendole arrivato accanto. Ella non fece motto e lo fissò.

- Lincoln chiede uomini, soldati, volontari voglio dire, settantacinquemila! -

Di nuovo Mister Lincoln! Ma possibile che gli uomini non pensassero mai a ciò che realmente accadeva? Ecco che questo idiota si aspettava che lei si eccitasse per i capricci di Mister Lincoln, mentre aveva il cuore spezzato e la reputazione quasi rovinata.

Carlo la fissò; il volto di lei era bianco come la cera e i suoi occhi verdi brillavano a guisa di smeraldi. Egli non aveva mai visto un fuoco simile nel volto di una fanciulla, un tale splendore negli occhi di nessuno.

- Son troppo goffo - disse. - Avrei dovuto dirvelo più dolcemente. Ho dimenticato che le donne sono così delicate. Mi dispiace di avervi turbata così. Non vi sentite venir meno? Posso andarvi a prendere un bicchier d'acqua? -

- No - rispose Rossella e cercò di sorridere convulsamente.

- Vogliamo andare a sedere sul banco? - chiese il giovane prendendola per il braccio.

Ella annuì ed egli la aiutò cortesemente a scendere i gradini e la condusse attraverso l'erba fino al banco di ferro sotto alla quercia più maestosa, nel piazzale davanti alla casa. "Come sono fragili e tenere le donne" pensò; "basta nominare la guerra per vederle svenire." Questa idea lo fece sentire molto uomo, e quindi egli raddoppiò di gentilezza. La fanciulla sembrava così strana, e nel suo volto bianco era una selvaggia bellezza che gli fece balzare il cuore. Possibile che ella fosse sgomenta al pensiero che egli potesse andare in guerra? No, era una presunzione eccessiva. Ma perché lo guardava così bizzarramente? E perché le sue mani tremavano, mentre tirava fuori il fazzolettino di trina? E le sue folte ciglia battevano come quelle delle fanciulle nei romanzi che aveva letto, per timidità ed amore.

Carlo si schiarì la voce tre volte per parlare, senza riuscirvi. Abbassò gli occhi perché quelli verdi di lei erano così penetranti che sembrava quasi che vedessero al di là di lui.

"Ha una quantità di quattrini" pensava rapidamente Rossella, mentre nel suo cervello si formava un nuovo piano. "E non ha genitori che possano darmi noia; e per di più vive ad Atlanta. Se lo sposassi subito, farei vedere a Ashley che di lui non m'importava un fico... che volevo soltanto civettare. E per Gioia sarebbe la morte. Non troverà mai, mai un altro corteggiatore e tutti rideranno di lei. E Melania ne sarebbe addolorata, perché vuol molto bene a Carlo. E sarebbero addolorati anche Stu e Brent..." Non sapeva precisamente perché voleva dar loro un dispiacere, se non perché avevano delle sorelle dispettose.

"E tutti sarebbero indispettiti quando io ritornassi qui in visita in una bella carrozza, con una quantità di bei vestiti e una casa mia. E non potrebbero mai, mai ridere di me."

- Certo, vuol dire combattere - disse Carlo dopo parecchi tentativi imbarazzati. - Ma non vi agitate, Miss Rossella; in un mese sarà tutto finito e sentiremo i loro lamenti. Sicuro, i loro lamenti! Non vorrei per nulla al mondo mancare di sentirli. Ho paura che stasera non ci sarà il ballo perché lo Squadrone deve riunirsi a Jonesboro. I ragazzi Tarleton sono andati a diffondere la notizia. So che alle signore dispiacerà. -

Ella fece - Oh! - non sapendo dire altro; ma questo bastò. Le stava ritornando il sangue freddo e la sua mente ricominciava a veder chiaro. Su tutte le sue emozioni si formava uno strato di ghiaccio ed ella pensò che non sentirebbe mai più nulla di ardente. Perché non prendere quel bel ragazzo timido? Valeva come gli altri e a lei non importava nulla di nessuno. No, non avrebbe più voluto bene a nessuno, anche se avesse vissuto fino a novant'anni.

- Non posso decidere ora se andrò con Mister Wade Hampton nella Legione della Carolina del Sud o con la Guardia di città di Atlanta.

Ella disse ancora - Oh! - e i loro occhi s'incontrarono; e le ciglia che si agitarono furono la sua rovina.

- Mi aspetterete, Miss Rossella? Sarà... Sarà divino sapere che voi mi aspettate finché li avremo battuti! - Attese senza respirare le parole di lei, osservando le labbra rosse che s'increspavano agli angoli e notando per la prima volta l'ombra di quegli angoli e pensando come sarebbe bello baciarli.

La mano di lei, col palmo umido di traspirazione, scivolò nella sua.

- Non vorrei aspettare - mormorò, e i suoi occhi si velarono.

Seduto, stringendole la mano, egli la fissò a bocca aperta. Con gli occhi bassi, Rossella lo guardava attraverso le ciglia, con l'impressione che egli somigliasse a un rospo enorme. Egli fece per parlare più volte, boccheggiò, tornò ad arrossire.

- Possibile che mi amiate? -

Ella non rispose ma abbassò gli occhi e Carlo fu nuovamente trasportato in un'atmosfera di estasi e d'imbarazzo. Forse un uomo non dovrebbe rivolgere una simile domanda a una ragazza. E forse per lei sarebbe sconveniente rispondergli. Non avendo mai avuto il coraggio di mettersi prima d'ora in una simile situazione, Carlo non sapeva come comportarsi. Aveva voglia di urlare, di cantare e di baciarla; di far delle capriole sul prato e poi di correre a dire a tutti quanti, bianchi e negri, che essa lo amava.

Ma si limitò a stringerle la mano fino a farle penetrare gli anelli nella carne.

- Volete sposarmi presto, Miss Rossella? -

- Uhm! - rispose ella giocherellando con una piega della veste.

- Dobbiamo fare un doppio matrimonio con Mel...? -

- No, - rispose ella rapidamente, e i suoi occhi ebbero uno splendore minaccioso.

Carlo comprese di aver nuovamente commesso un errore. Era naturale che una fanciulla desiderasse una festa di nozze propria, non una gloria condivisa. Come era buona a passar sopra ai suoi rossori! Se almeno fosse buio ed egli fosse incoraggiato dalle tenebre, e riuscisse a baciarle la mano dicendole tutto ciò che anelava di dirle!

- Quando posso parlare con vostro padre? -

- Più presto è, meglio è - rispose ella, sperando che egli rallentasse la dolorosa pressione sui suoi anelli, senza costringerla a dirglielo.

Egli balzò in piedi e per un attimo Rossella temette che facesse una capriola prima che la dignità lo trattenesse. La guardò, raggiante, con tutto il suo semplice onesto cuore negli occhi. Nessuno l'aveva mai guardata così, e nessuno più la guarderebbe in quel modo; ma ella pensò soltanto che le sembrava un vitello.

- Vado a cercarlo - disse col viso illuminato da un sorriso. - Non posso aspettare. Volete scusarmi... cara? - Pronunciò questa parola con sforzo, ma essendovi riuscito la ripeté con piacere.

- Sì, vi aspetterò qui. È fresco e si sta bene.-

Egli attraversò il prato e scomparve dietro alla casa, lasciandola sola sotto la quercia le cui foglie stormivano. Dalle scuderie uscivano uomini a cavallo; i servi negri cavalcavano frettolosamente dietro ai loro padroni. I ragazzi Munroe passarono velocemente agitando i loro cappelli; i Fontaine e i Calvert percorsero la strada gridando. I quattro Tarleton attraversarono il prato e le passarono davanti, e Brent gridò: - La mamma ci darà i cavalli! Y-eey-iii! - Scomparvero lasciandola nuovamente sola.

La casa bianca drizzava davanti a lei le sue grandi colonne, e sembrava che si ritraesse da lei con dignità. Oramai, non sarebbe stata mai più la sua casa. Ashley non le farebbe mai oltrepassare quella soglia come sua sposa. Oh, Ashley! Che cosa ho fatto? Nella profondità del suo intimo, sotto l'orgoglio felice e il freddo senso pratico, qualche cosa si agitò dandole dolore. Era nata in lei un'emozione da adulta, più forte della sua vanità e del suo egoismo volontario. Ella amava Ashley, sapeva di amarlo, e non gli aveva mai voluto tanto bene come nel momento in cui vide Carlo scomparire alla svolta del viale inghiaiato.

7

Due settimane dopo Rossella era moglie, e due mesi dopo era vedova. Fu ben presto liberata dai legami che aveva allacciato con tanta fretta e con così poca riflessione; ma la spensierata libertà di quando era ragazza era svanita per sempre. La vedovanza aveva seguito troppo da vicino il matrimonio, e con suo sgomento, la maternità seguì dopo breve tempo.

Negli anni di poi, quando ella ripensava agli ultimi giorni dell'aprile 1861, Rossella non ricordava mai perfettamente i particolari. Il tempo e gli avvenimenti erano visti come attraverso un telescopio, confusi come un incubo che non aveva né logica né realtà. Fino al giorno della sua morte vi sarebbero delle lacune nel ricordo di quei giorni. Specialmente vago era il ricordo del tempo trascorso fra quando aveva accettato Carlo e il matrimonio. Due settimane! Un fidanzamento così breve sarebbe stato impossibile in tempo di pace. Sarebbe stato necessario un decoroso intervallo di un anno, o per lo meno di sei mesi.

Ma il Sud era tutto in fiamme per la guerra, e gli avvenimenti si succedevano rapidamente come portati da un vento impetuoso, e il ritmo tranquillo degli antichi giorni era scomparso.

Elena si torse le mani e consigliò un ritardo affinché Rossella potesse riflettere. Ma alle sue insistenze Rossella rispose col viso duro e fece orecchie da mercante. Voleva sposarsi e presto. Fra due settimane.

Sapendo che il matrimonio di Ashley era stato anticipato dal l'autunno al primo maggio, in modo che egli potesse partire con lo Squadrone, appena fosse chiamato in servizio, Rossella aveva stabilito la data delle proprie nozze per il giorno antecedente a quelle di lui. Elena protestò, ma Carlo perorò con nuova eloquenza, perché era impaziente di partire per la Carolina del Sud, a fine di raggiungere la Legione di Wade Hamton; e Geraldo parteggiava per i giovani. Era eccitato dalla febbre della guerra e compiaciuto che Rossella avesse fatto così buona scelta. Perché ritardare? Elena, stordita, finì coll'acconsentire come tante altre madri in quei giorni. Il loro mondo tranquillo era stato messo sottosopra, e le loro preghiere, i loro consigli, le loro esortazioni s'infrangevano contro le forze nuove che si agitavano.

Il Sud era ebbro di entusiasmo, e di eccitazione. Tutti erano convinti che una battaglia basterebbe a terminare la guerra e i giovinotti si affrettavano ad arruolarsi prima che la guerra terminasse; si affrettavano a sposarsi prima di accorrere a battere gli yankees. Vi furono dozzine di matrimoni di guerra nella Contea e rimase ben poco tempo per il dolore della separazione, perché tutti erano troppo occupati ed eccitati per aver dei pensieri solenni o per perdere il tempo a piangere. Le donne preparavano uniformi, facevano calze e arrotolavano bende; gli uomini si esercitavano e sparavano. Treni carichi di truppe attraversavano quotidianamente Jonesboro per recarsi verso il Nord, ad Atlanta e a Virginia. Alcuni distaccamenti furono gaiamente vestiti con lo scarlatto, l'azzurro e il verde delle compagnie di Milizia sociale; alcuni piccoli gruppi ebbero mantelli di grossa lana e di pelle di tasso; altri, senza uniforme, vestivano di panno nero; tutti erano armati a metà, esercitati a metà, pieni di eccitamento e di voglia di gridare come quando si recavano a un picnic. La vista di quegli uomini dava ai ragazzi della Contea il terrore che la guerra potesse terminare prima che essi raggiungessero la Virginia; e preparativi per la partenza dello Squadrone furono accelerati.

In mezzo a questo tumulto si fecero anche i preparativi per il matrimonio di Rossella; e quasi prima di rendersene conto, ella fu avvolta nell'abito nuziale e nel velo di Elena, e discese la larga scalinata di Tara al braccio di suo padre, mentre una quantità di invitati l'aspettava. Dopo ricordò, come in un sogno, le centinaia di candele che illuminavano le pareti, il volto di sua madre, affettuoso, un po' sgomento con le labbra che si muovevano in una silenziosa preghiera per la felicità di sua figlia; Geraldo rosso per le abbondanti libagioni di cognac e per l'orgoglio di maritare la sua gattina con un giovine dotato di denaro e di un bel nome... e Ashley, in fondo alla scala, con Melania al braccio.

Vedendo l'espressione di quel volto, ella pensò: "Non può esser vero. Non può essere. È un incubo. Mi sveglierò e troverò che era un incubo. Non devo pensarvi adesso, altrimenti mi metto a piangere dinanzi a tutti. Non posso pensare adesso. Vi penserò più tardi, quando potrò sopportarlo... quando non vedrò più i suoi occhi".

Era davvero come un sogno, quel passaggio attraverso due ali di gente che sorrideva, il volto scarlatto di Carlo e le sue parole balbettate e le proprie risposte così stranamente chiare e fredde. E poi le congratulazioni e gli abbracci e i baci e i brindisi e il ballo...tutto, tutto come in sogno. Anche la sensazione del bacio di Ashley sulla sua guancia, anche il dolce sussurro di Melania, "Ora siamo veramente sorelle" erano irreali. Perfino l'eccitazione cagionata dalla serie di svenimenti della rotondetta ed emotiva zia di Carlo, Miss Pittypatt Hamilton, sembrava un incubo.

Ma quando il ballo e i brindisi finalmente terminarono e sopraggiunse l'aurora, quando tutti gli invitati di Atlanta che fu possibile ospitare a Tara e nella casa del sorvegliante si furono coricati nei letti, sui divani e sulle balle di cotone disposte sul pavimento, e tutti i vicini furono tornati alle loro case per riposarsi in vista del matrimonio del giorno seguente alle Dodici Querce, allora quello stato di catalessi simile a un sogno s'infranse come un cristallo dinanzi alla realtà. La realtà era Carlo che usciva pieno d'emozione dal suo spogliatoio in camicia da notte evitando - lo sguardo sgomento che ella gli rivolgeva dal letto.

Certamente ella sapeva che le persone sposate occupano lo stesso letto; ma non aveva mai pensato a questo. La cosa sembrava naturalissima nel caso di suo padre e di sua madre ma non le era mai venuta l'idea di applicarla a se stessa.

Ora, per la prima volta, dopo il banchetto, si rese conto di ciò che aveva fatto. Il pensiero che quel giovane estraneo che ella non aveva mai desiderato sposare, dovesse venire nel suo letto, mentre il suo cuore era pieno d'angoscia e di rimpianto per la sua azione troppo frettolosa e di desolazione per avere perduto Ashley per sempre, era insopportabile per lei. Mentre egli esitava ad avvicinarsi, ella mormorò con voce rauca:

- Se vi avvicinate griderò forte, griderò, griderò con tutta la mia voce. Andatevene! Non mi toccate!-

E così Carlo Hamilton trascorse la sua notte di nozze su una poltrona in un angolo, senza sentirsi troppo infelice perché comprendeva, o credeva di comprendere, la verecondia e la delicatezza della sua sposa.

Era disposto ad attendere finché i suoi timori svanissero; soltanto...soltanto... sospirò mentre si voltava per cercare una posizione comoda, fra breve bisognava partire per la guerra.

Per quanto le proprie nozze avessero avuto per Rossella un carattere di incubo, quelle di Ashley furono anche peggiori. Nel suo abito verde-mela del "secondo giorno", ella stava nel salotto delle Dodici Querce, tra lo splendore di centinaia di candele e stretta nella stessa folla della sera prima; e vide il visino insignificante di Melania Hamilton risplendere fino a sembrar bello nel momento in cui diventò Melania Wilkes. Ora Ashley era perduto per sempre. Il suo Ashley. No, non più il suo Ashley. Ma era mai stato suo? Tutto era confuso nella sua mente, e il suo cervello era stanco e pieno di sgomento. Le aveva detto che le voleva bene, ma che cosa li aveva separati? Se almeno riuscisse a ricordare... Aveva imposto il silenzio ai pettegolezzi della Contea sposando Carlo, ma qual era il risultato? Allora le era sembrato importante, ma ora non lo era affatto. Tutto ciò che importava era Ashley. Ed ora egli era diviso da lei per sempre, ed ella era sposata ad un uomo che non solo non amava, ma per cui aveva un vero disprezzo.

Oh, come rimpiangeva tutto! Aveva sentito parlare di gente che si tagliava il naso per far dispetto al proprio volto, ma finora questa non era stata che una figura retorica. Adesso comprendeva ciò che voleva dire; e insieme al desiderio frenetico di liberarsi di Carlo e tornare sana e salva a Tara, ancora signorina, aveva coscienza di dover biasimare solo se stessa. Elena aveva cercato di trattenerla, ed ella non aveva voluto ascoltare.

Ballò tutta la sera come abbagliata e parlò meccanicamente e sorrise meravigliandosi della stupidaggine degli altri che la credevano una sposa felice e non vedevano che aveva il cuore spezzato. No, grazie a Dio, non lo vedevano!

Quella sera, dopo che Mammy l'ebbe aiutata a svestirsi e se ne fu andata, e Carlo emerse timidamente dallo spogliatoio chiedendosi se doveva passare una seconda notte in poltrona, ella scoppiò in lacrime. Pianse finché Carlo si arrampicò sul letto accanto a lei e cercò di confortarla; pianse senza parole finché non ebbe più lagrime, e rimase a singhiozzare tranquillamente col capo sulla sua spalla.

Se non vi fosse stata la guerra, si sarebbe avuta una settimana di visite attraverso la Contea, con balli e conviti in onore delle due coppie di sposi, prima che esse partissero per Saratoga o White Sulphur per il viaggio di nozze. Se non vi fosse stata la guerra, Rossella avrebbe avuto da indossare abiti per il terzo, quarto e quinto giorno, ai ricevimenti dei Fontaine, dei Calvert e dei Tarleton in suo onore. Ma non vi furono né ricevimenti né viaggi di nozze. Una settimana dopo il matrimonio Carlo partì per raggiungere il colonnello Wade Hampton; e quindici giorni dopo anche Ashley e lo Squadrone si misero in moto, lasciando tutta la Contea deserta di giovani.

In quelle due settimane Rossella non ebbe mai occasione di vedere Ashley da solo, né di scambiare una parola con lui. Nemmeno nel terribile momento della partenza, quando egli si fermò dinanzi a Tara mentre si recava a prendele il treno, ella poté dirgli una parola. Melania, in cuffia e scialle tranquilla nella nuovamente acquisita dignità di donna, era al suo braccio; e tutto il personale di Tara, bianco e negro, uscì per salutare Ashley che andava in guerra.

Melania disse: - Devi baciare Rossella, Ashley. Ora è mia sorella; - e Ashley si chinò e le sfiorò con le labbra fredde il volto rigido e impassibile. Rossella non ebbe alcuna gioia da questo bacio: non era soddisfatta perché era stata Melania a suggerirlo. Melly la soffocò in un abbraccio dicendole:

- Verrai ad Atlanta a fare una visita a me e alla zia Pittypatt, no? Cara, desideriamo tanto di averti con noi! Desideriamo conoscere meglio la sposa di Carlo.-

Trascorsero cinque settimane durante le quali vennero dalla Carolina del Sud lettere di Carlo, timide, estatiche, innamorate, piene del suo amore e dei suoi progetti per il futuro, dopo la guerra; del suo desiderio di essere un eroe per amor suo, e della sua adorazione per il suo comandante Wade Hampton. Nella settima settimana giunse un telegramma del colonnello stesso e poi una lettera, una bella e dignitosa lettera di condoglianza. Carlo era morto. Il colonnello avrebbe voluto telegrafare prima, ma Carlo credendo che la malattia fosse cosa da nulla, non aveva voluto preoccupare la famiglia. Il disgraziato ragazzo non era soltanto stato truffato nell'amore che credeva di aver conquistato, ma anche nelle sue alte speranze di onore e di gloria sul campo di battaglia. Era morto ignominiosamente dopo una breve polmonite, a seguito di una rosolia, senza essersi neanche avvicinato agli yankees.

A suo tempo nacque il bambino di Carlo; e siccome si usava dare ai figlioli il nome del comandante del loro genitore, egli fu battezzato Wade Hampton Hamilton. Rossella aveva pianto di disperazione quando aveva saputo di essere incinta e aveva desiderato di morire. Ma portò la sua gravidanza con un minimo di disturbi, mise al mondo il bimbo con poche sofferenze e si ristabilì così rapidamente da far dire a Mammy che questa era una cosa volgare, perché una signora doveva soffrire di più.

Provò poco affetto per il bambino, pur cercando di nasconderlo. Non lo aveva desiderato e non era contenta della sua venuta; ed ora che lo aveva, le sembrava impossibile che fosse suo, parte di lei.

Benché fisicamente si fosse rimessa molto presto, mentalmente era stordita e sofferente. Il suo spirito era depresso, malgrado gli sforzi di tutta la piantagione per sollevarla. Elena aveva la fronte aggrottata e preoccupata e Geraldo, bestemmiando più del solito, le portava da Jonesboro inutili doni. Perfino il vecchio dottor Fontaine ammise di essere imbarazzato dopo che il suo tonico composto di zolfo e di erbe non le aveva giovato. Disse a Elena in via privata che era il dolore che rendeva Rossella così irritabile e a volta a volta indifferente. Ma Rossella, se avesse avuto voglia di parlare, avrebbe potuto dire che si trattava di un dolore assai diverso e più complesso. Non disse che era la noia, lo sgomento di essere madre e soprattutto l'assenza di Ashley che le dava quell'espressione così addolorata.

La sua noia era acuta e continua. La Contea era priva di ogni divertimento e di ogni manifestazione di vita sociale, da quando lo squadrone era andato alla guerra. Tutti i giovanotti interessanti erano partiti: i quattro Tarleton, i due Calvert, i Fontaine, i Munroe e tutti quelli di Jonesboro, Fayetteville e Lovejoy che erano giovani e attraenti. Erano rimasti soltanto i vecchi, gli invalidi e le donne; queste passavano il loro tempo a far la maglia e a cucire, a coltivare con più abbondanza cotone e grano e ad allevare maggior numero di maiali, pecore e mucche per l'esercito. Non si vedeva mai un vero uomo, eccetto quando una volta al mese veniva il commissario dello Squadrone, il maturo corteggiatore di Susele, Franco Kennedy, a rifornirsi di viveri. Gli uomini dei commissariati non erano molto eccitanti, e il timido corteggiamento di Franco la infastidiva fino a renderle difficile l'essere cortese nei suoi riguardi. Se almeno lui e Susele si fossero decisi!

Ma se anche il commissario dei viveri fosse stato più interessante, ciò non avrebbe mutato la sua situazione. Ella era vedova, e il suo cuore era nella tomba; per lo meno tutti ne erano convinti e pensavano che ella dovesse agire in conformità. Ciò la irritava perché, per quanto cercasse, non riusciva a rammentare nulla di Carlo se non la sua espressione di vitello moribondo, quando ella gli aveva detto che lo avrebbe sposato. E anche questa immagine andava scomparendo. Ma era vedova e doveva sorvegliare il proprio contegno. I divertimenti delle ragazze non erano più per lei. Doveva ormai essere grave e seria.

Elena glie lo aveva fatto capire il giorno che aveva trovato il luogotenente di Franco che gironzolava con Rossella nel giardino e la faceva ridere di cuore. Profondamente colpita, Elena le aveva detto come era facile che si chiacchierasse sul conto di una vedova. La condotta di questa doveva essere assai più circospetta di quella di una donna con marito.

"E Dio solo sa" pensò Rossella mentre ascoltava ubbidiente la dolce voce di sua madre "che le donne sposate non si divertono affatto; dunque per le vedove tanto vale morire."

Una vedova doveva portare degli orribili vestiti neri senza neanche una guarnizione per ravvivarli, né fiori né nastri né pizzi e neanche gioielli: soltanto spille di onice o collane fatte coi capelli del defunto. E il velo di crespo nero che portava sulla cuffia, doveva arrivarle alle ginocchia e poteva essere accorciato solo dopo tre anni di vedovanza, per giungere all'altezza delle spalle. Le vedove non potevano chiacchierare vivamente né ridere forte. Anche quando sorridevano, il loro doveva essere un sorriso triste e tragico, e questa era poi la cosa più terribile, non potevano in nessun modo mostrare di provar piacere nella compagnia maschile. E se qualche uomo fosse così indelicato da mostrare dell'interessamento, ella doveva ghiacciarlo con un dignitoso riferimento al ricordo del proprio marito. "Oh, sì," pensava Rossella tristemente. "Vi sono delle vedove che si rimaritano, ma quando sono vecchie e raggrinzite. E Dio solo sa come vi riescono, con tutti i vicini che si occupano sempre di loro! E di solito è con qualche vecchio vedovo desolato, il quale deve badare a una grande piantagione e a una dozzina di bambini."

Il matrimonio era già una brutta cosa; ma la vedovanza... Oh, allora la vita era finita per sempre! Come erano sciocchi quelli che le dicevano che il piccolo Wade Hampton doveva esserle di gran conforto ora che Carlo non c'era più, e com'erano noiosi dicendole che ora aveva uno scopo nella vita! Tutti affermavano che doveva essere assai dolce per lei avere questo pegno postumo del suo amore; e naturalmente ella non li disingannava. Ma questo pensiero era il più lontano di tutti dalla sua mente. S'interessava pochissimo a Wade e qualche volta stentava perfino a ricordarsi che era suo.

La mattina, quando si svegliava, nei primi momenti di dormiveglia era ancora Rossella O'Hara; il sole brillava tra i rami della magnolia dinanzi alla sua finestra, i merli cantavano e il piacevole odore del lardo fritto saliva alle sue narici. Era di nuovo giovane e spensierata. Quindi udiva un vagito affamato, e vi era sempre in lei un attimo di sorpresa durante il quale pensava: "Ma come, c'è un bambino in casa!" E allora si ricordava che era suo.

E Ashley! Oh, più di tutto Ashley! Per la prima volta in vita sua ella detestò Tara, detestò la lunga strada rossa che conduceva dalla collina al fiume, detestò i campi purpurei coi verdi germogli del cotone. Ogni palmo di terreno, ogni albero ed ogni ruscello, ogni viale ed ogni sentiero le ricordavano lui. Egli apparteneva ad un'altra donna ed era andato alla guerra, ma il suo spirito vagava ancora sulle strade nel crepuscolo e le sorrideva coi suoi occhi grigi e sonnolenti nell'ombra del porticato. Ogni volta che lo strepito di zoccoli le giungeva dalla strada delle Dodici Querce, per un dolce attimo ella pensava: Ashley!

Ora odiava le Dodici Querce, che una volta aveva amato. Le odiava, ma vi era trascinata, per poter udire John Wilkes e le ragazze parlare di lui; udir leggere le sue lettere dalla Virginia. Le facevano male ma voleva udirle. Le erano antipatiche Lydia così rigida e Gioia scioccherella e chiacchierona, e sapeva di essere ugualmente antipatica a loro. Ma non poteva rimanerne lontana. Ed ogni volta che tornava a casa dalle Dodici Querce, si metteva a letto di malumore e rifiutava di alzarsi per andare a cena.

Questo rifiuto di mangiare era quello che maggiormente preoccupava Elena e Mammy. Mammy le portava dei vassoi pieni di cibi allettanti, insinuando che adesso che era vedova poteva mangiare quanto voleva; ma Rossella non aveva appetito.

Quando il dottor Fontaine disse gravemente a Elena che il dolore spesso può minare un temperamento florido e condurlo alla tomba, la signora O'Hara impallidì, perché questo era il timore che ella nascondeva nel profondo del cuore.

- E non si può far nulla, dottore? -

- Un cambiamento d'aria sarebbe la miglior cosa per lei. - rispose il dottore, ansioso di liberarsi di un'ammalata così restia.

E così Rossella, senza entusiasmo, partì col suo bambino, prima per recarsi a visitare i suoi parenti O'Hara e Robillard a Savannah e poi per andare presso le sorelle di Elena a Charleston. A Savannah furono gentili con lei, ma Giacomo e Andrea e le loro mogli erano vecchi e amavano sedere tranquillamente a parlare di un passato che non aveva alcun interesse per Rossella. Lo stesso fu coi Robillard; e Charleston fu addirittura terribile.

Zia Paolina e suo marito, un piccolo vecchio pieno di una cortesia formale e volubile e con l'aria assente di una persona che vivesse in un altro secolo, abitavano in una piantagione sul fiume, molto più isolata di Tara. I loro vicini più prossimi abitavano a una distanza di venti miglia che bisognava percorrere attraverso foreste vergini, paludi, boschi di cipressi e di querce. Le querce, con i loro drappeggi di musco grigio, davano sempre i brividi a Rossella, e le ricordavano le storie di Geraldo di spiriti irlandesi erranti fra le nebbie color di cenere. Non vi era nulla da fare tutto il giorno se non lavorare a maglia; e la sera ascoltare lo zio Carey che leggeva ad alta voce le opere istruttive di Bulwer Lytton.

Eulalia, nascosta in un giardino dalle alte mura in una grande casa presso la Batteria di Charleston, non era più divertente. Rossella, abituata all'ampio paesaggio di colline rossastre, ebbe l'impressione di essere in prigione. Vi era qui più vita sociale che presso zia Paolina; ma Rossella non provava alcuna simpatia per i visitatori, con le loro tradizioni, le loro arie, le loro enfasi a proposito della famiglia. Sapeva che tutti la ritenevano il prodotto di una "mésalliance" e che erano ancora stupefatti che una Robillard avesse sposato un volgare irlandese. Rossella sentiva che la zia Eulalia la scusava dietro le spalle; cosa che la irritava perché, come suo padre, ella non teneva affatto all'aristocrazia della famiglia. Ed era fiera di ciò che Geraldo era riuscito a fare senz'altro aiuto se non il suo astuto cervello d'irlandese.

E anche quelli di Charleston se la prendevano tanto per il Forte Sumter! Dio mio, ma non capivano che se non fossero stati loro a commettere la sciocchezza di sparare le prime fucilate che avevano portato alla guerra, vi sarebbero stati altri pazzi che lo avrebbero fatto? Abituata alle voci acute della Georgia dell'altipiano, le voci gravi e strascicate della pianura le davano noia. In certi momenti aveva voglia di urlare. Durante una visita di cerimonia giunse a un tal punto di esasperazione che ricorse al dialetto di Geraldo, con gran scandalo di sua zia. Allora decise di ritornare a Tara. Meglio essere tormentata dal ricordo di Ashley che dall'accento di Charleston.

Elena, occupata giorno e notte a raddoppiare il prodotto della piantagione per aiutare la Confederazione, fu terrorizzata quando si vide tornare a casa la figlia maggiore, magra, pallida e inasprita. Aveva avuto ella pure il cuore spezzato; quindi, coricata accanto a Geraldo che russava, passava la notte a cercare che cosa potrebbe fare per alleviare il dolore di Rossella. La zia di Carlo, Pittypatt Hamilton, aveva scritto parecchie volte chiedendole di permettere a Rossella di recarsi ad Atlanta per un lungo soggiorno; ed ora, per la prima volta, Elena considerò con serietà la proposta.

"Sono sola con Melania nella vasta casa ” scriveva Miss Pittypatt “senza protezione maschile ora che il caro Carlo è morto. È vero che c'è mio fratello Enrico, ma non abita con noi. Forse Rossella vi ha parlato di Enrico. La delicatezza mi vieta di scrivere lungamente sul suo conto. Melly ed io ci sentiremo più tranquille e sicure con Rossella in casa. Tre donne sole stanno meglio di due. E forse Rossella troverà un po' di sollievo al suo dolore, curando, come fa Melly, i nostri bravi soldati negli ospedali di qui...E poi, Melly ed io desideriamo tanto di vedere il caro piccino..."

Così il baule di Rossella fu chiuso di nuovo con dentro i suoi abiti da lutto, ed ella partì per Atlanta con Wade Hampton, la sua bambinaia Prissy, una quantità di avvertimenti sul suo contegno da parte di Elena e di Mammy e cento dollari in biglietti della Confederazione datile da Geraldo. Non desiderava particolarmente di andare ad Atlanta. Riteneva zia Pittypatt la più noiosa vecchia che dar si potesse; e l'idea di vivere sotto lo stesso tetto con la moglie di Ashley le ripugnava. Ma la Contea, con tutti i suoi ricordi, era un soggiorno impossibile; e qualsiasi mutamento era il benvenuto.

 

PARTE SECONDA

8

Nel treno che la conduceva verso il nord, in quella mattina di maggio del 1862, Rossella pensava che era impossibile che Atlanta fosse così noiosa come erano state Charleston e Savannah; e malgrado la sua antipatia per miss Pittypat e per Melania, aveva una certa curiosità di vedere com'era mutata la città dopo la sua ultima visita, nell'inverno antecedente alla guerra.

Atlanta l'aveva sempre interessata più di qualsiasi altro luogo, perché quando era bambina Geraldo le aveva detto che lei e Atlanta avevano precisamente la stessa età. Crescendo, Rossella venne a scoprire che Geraldo aveva un po' alterato la verità, com'era sua abitudine quando una leggera modifica poteva migliorare una storia; ma Atlanta aveva solo nove anni più di lei e questo ne faceva una città straordinariamente giovane in confronto di tutte le altre città che le era capitato di vedere. Savannah e Charleston avevano la dignità dei loro anni; per l'una correva già il secondo secolo, l'altra entrava nel terzo; e ai suoi giovani occhi davano l'idea di vecchie nonne che si sventolassero placidamente al sole. Ma Atlanta era della sua stessa generazione, immatura dell'immaturità della giovinezza, ostinata e impetuosa come lei.

La storia che le aveva raccontato Geraldo era fondata sul fatto che lei e Atlanta erano state battezzate nello stesso anno. Nove anni prima della nascita di Rossella, la città era stata chiamata dapprima Terminus, e poi Marthasville; solo nell'anno in cui nacque Rossella era diventata Atlanta.

Quando Geraldo era andato a stabilirsi nella Georgia settentrionale, Atlanta non esisteva, neppure sotto forma di villaggio; il luogo era selvaggio e deserto. Ma nell'anno seguente, il 1836, lo Stato autorizzò la costruzione di una ferrovia che andava verso il nord, attraverso il territorio recentemente ceduto dagl'Indiani Irochesi. La destinazione della ferrovia, Tennessee e l'Occidente, era chiara e definita; ma il suo punto di partenza in Georgia era alquanto incerto; finché, dopo un anno, un ingegnere piantò un palo nell'argilla rossa per indicare il termine meridionale della linea; e Atlanta, nata Terminus, cominciò ad esistere.

Allora non vi erano ferrovie nella Georgia settentrionale e ve n'erano ben poche anche altrove. Ma, durante gli anni antecedenti al matrimonio di Geraldo con Elena, la piccola colonia a venticinque miglia a nord di Tara divenne lentamente un villaggio che a poco a poco si spinse verso il nord. La costruzione della ferrovia era veramente cominciata. Dalla vecchia città di Augusta una seconda strada ferrata attraversò lo Stato verso Occidente, per congiungersi con quella nuova del Tennessee. Dalla vecchia città di Savannah una terza ferrovia fu costruita prima sino a Macon, nel cuore della Georgia e poi a nord, attraverso la contea ove dimorava Geraldo, fino ad Atlanta, per congiungersi con le altre due, dando così al porto di Savannah uno sbocco verso l'occidente. Dallo stesso punto di congiunzione, la giovine Atlanta, fu costruita una quarta ferrovia che volgeva verso sud-est, a Montgomery e Mobile.

Nata da una strada ferrata, Atlanta si sviluppò con lo svilupparsi di quella. Il complesso delle quattro linee collegava con l'occidente, col mezzogiorno, con la Costa e, attraverso Augusta, col settentrione e con l'Est. Essa era diventata il punto d'incrocio per i viaggi da nord a sud e da est a ovest; così il piccolo villaggio sorse alla vita.

In un lasso di tempo poco maggiore dei diciassette anni di Rossella, Atlanta era diventata una piccola città di diecimila abitanti ed era il centro dell'attenzione di tutto lo Stato. Le vecchie città, più tranquille, guardavano verso la giovine città tumultuosa con la sensazione di una gallina che ha covato un anatroccolo. Perché era così diversa dalle altre città della Georgia? Perché si sviluppava così presto? Dopo tutto, pensavano, non aveva nulla di speciale: soltanto le sue ferrovie e un pugno di gente che si faceva avanti a forza di gomiti.

I fondatori della città, che la chiamarono successivamente Terminus, Marthasville e Atlanta erano veramente gente piena di volontà. Uomini irrequieti, energici, delle vecchie regioni della Georgia e di altri Stati più lontani, erano attratti da questa città che si estendeva attorno al nodo ferroviario. Vi si recavano con entusiasmo. Essi costruirono i loro negozi attorno alle cinque strade rossicce e fangose che si incrociavano presso il deposito, costruirono le loro belle case in via Washington e a Whitehall, e lungo il margine del terreno che innumerevoli generazioni di Indiani calzati di mocassini avevano calpestato, formando un sentiero che si chiamava "Il sentiero dell'albero di pesco". Erano orgogliosi del luogo, orgogliosi del suo sviluppo, orgogliosi di se stessi. Dicessero pure le vecchie città quello che volevano di Atlanta. Atlanta non se ne curava.

Rossella aveva sempre amato Atlanta per le stesse ragioni per cui Savannah, Augusta e Macon la condannavano. Come lei, la città era un misto di vecchio e di nuovo, in cui il vecchio veniva frequentemente a conflitto col nuovo vigoroso e volitivo, e ne aveva la peggio. Inoltre vi era qualche cosa di personale, di eccitante in una città che era nata, o perlomeno era stata battezzata, lo stesso anno in cui lei era venuta al mondo.

 

La notte precedente era stata piovosa; ma quando Rossella giunse ad Atlanta un sole caldo stava coraggiosamente tentando di asciugare le strade che erano trasformate in torrenti di fango rosso. Nello spazio aperto attorno al deposito, il suolo morbido era stato solcato e calpestato dal continuo affluire del traffico, fino a rassomigliare a un enorme porcile; a quando a quando i veicoli affondavano nel brago fino al mozzo. Una teoria incessante di carriaggi militari e di ambulanze caricavano e scaricavano dai treni rifornimenti e feriti aumentando il fango e la confusione quando arrivavano e ripartivano, coi conducenti che bestemmiavano, muli che si sospingevano e il fango che schizzava a metri e metri di distanza.

Rossella era sul predellino del treno; una graziosa figura pallidissima negli abiti da lutto, col velo di crespo che giungeva quasi fino a terra. Era esitante perché non voleva infangarsi le scarpette e le gonne, e frattanto guardava nella ressa di carri, carrozze e carrozzini, se scorgeva Miss Pittypat. Non vi era traccia della rotondetta e colorita signora; ma mentre Rossella guardava ansiosamente, un vecchio negro, magro, coi cernecchi brizzolati e un aspetto di autorità dignitosa, si avanzò verso di lei nel fango, col cappello in mano.

- Miss Rossella, vero? Io essere Pietro, cocchiere di Miss Pitty. Tu non scendere in questo fango - ordinò severamente, mentre Rossella si raccoglieva le gonne preparandosi a saltar giù. - Tu delicata come Miss Pitty, che prendere raffreddore se bagnare piedi. Io ti portare.-

Malgrado la sua apparente magrezza e vecchiaia, egli prese in braccio Rossella con la massima facilità e osservando Prissy che era sulla piattaforma del treno col bimbo in braccio, si fermò:- Essere bambino che tu allevare? Tu, Miss Rossella, troppo giovine per allevare unico bambino di Mister Carlo. Ma questo penseremo dopo. Tu, bambina, venire dietro a me e attenta non fare cadere piccolo.-

Rossella si rassegnò senza proteste a farsi trasportare verso la carrozza, ed anche alla maniera perentoria con la quale zio Pietro trattava lei e Prissy. Nell'attraversare il fango con Prissy che s'inzaccherava imbronciata dietro a loro, si ricordò ciò che Carlo le aveva narrato sul conto dello zio Pietro.

- Ha fatto tutta la campagna messicana col babbo, curandolo quando fu ferito; in fin dei conti fu lui che gli salvò la vita. Praticamente si può dire che ha educato Melania e me, perché eravamo molto piccoli quando morirono il babbo e la mamma. La zia Pitty aveva avuto in quell'epoca una questione con suo fratello, lo zio Enrico; perciò venne a vivere con noi, anche per badare alla nostra educazione. Ma è la donna più inesperta del mondo; è rimasta una cara bambina. E zio Pietro la tratta per l'appunto come se fosse tale. Non sarebbe capace di andare avanti, se Pietro non si occupasse di tutto. Fu lui che decise che io dovessi avere all'età di quattordici anni un assegno per le mie spese; ed insistette perché io andassi all'Università di Harward quando lo zio Enrico manifestò il desiderio che io prendessi la laurea colà. E decise quando fu il tempo che Melly si tirasse su i capelli e cominciasse a frequentare i divertimenti. È lui che dice a zia Pitty quando il tempo è troppo freddo o troppo umido perché non vada a fare delle visite, e quando deve mettere lo scialle... E' il più delizioso vecchio negro che io abbia mai visto ed è anche il più devoto. L'unico male è che sa di essere lui il padrone di tutti e tre noi altri: corpo e anima.-

Le parole di Carlo furono confermate quando Pietro si arrampicò a cassetta e prese la frusta.

- Miss Pitty essere tutta turbata perché non essere venuta a riceverti. Avere paura che tu non capire, ma io avere detto che lei e Miss Melly infangarsi tutte e rovinare abiti nuovi e io spiegare a te. Miss Rossella, meglio tu prendere bambino. Quella piccola negra lasciarlo cadere.-

Rossella guardò Prissy e sospirò. La negretta non era la migliore delle bambinaie. La sua recente promozione dai vestitini corti e dalle treccine girate intorno al capo, alla dignità di un lungo abito di percalle e di un turbante bianco inamidato, era stata una vera ubriacatura per lei.

Non sarebbe arrivata a questa sommità così presto se non vi fosse stata la guerra e le richieste del commissario di Tara che rendevano impossibile a Elena di risparmiare il lavoro di Mammy e di Dilcey o anche di Rosa o di Tina. Prissy non si era mai allontanata di più di un miglio dalle Dodici Querce o da Tara, e il viaggio in treno, aggiunto alla sua elevazione a bambinaia, fu più di quanto potesse sopportare il cervello che era racchiuso nel suo piccolo cranio nero. Il viaggio di venti miglia da Jonesboro ad Atlanta l'aveva talmente eccitata che Rossella era stata costretta a tenere il bambino per tutto il tempo. Ora, la vista di tanta gente e di tanti edifici, completò lo scombussolamento di Prissy. Ella si girava da una parte e dall'altra, saltava, balzava, indicava ciò che vedeva agitando il bambino che gemeva lamentosamente.

Rossella pensò con nostalgia alle vecchie braccia grasse di Mammy. Bastava che Mammy posasse le mani su un bambino, che questo smetteva di piangere. Ma Mammy era a Tara e Rossella non poteva far nulla. Era inutile prendere Wade dalle braccia di Prissy: piangeva altrettanto, quando lo teneva lei. Per di più avrebbe tirato i nastri della sua cuffia e le avrebbe spiegazzato il vestito. Così finse di non aver udito le parole di Pietro.

"Forse col tempo imparerò a trattare i bambini" pensò irritata mentre la carrozza sobbalzava e traballava nel fango davanti alla stazione . "Ma non riuscirò mai a divertirmi con loro." E poiché il volto di Wade era diventato pavonazzo a forza di urlare, ordinò sgarbata: - Dagli quel pezzetto di zucchero che hai in tasca Prissy. Qualche cosa per farlo tacere. So che ha fame, ma in questo momento non posso far niente.-

Prissy tirò fuori il pezzetto di zucchero che Mammy le aveva dato alla mattina e le grida del bimbo cessarono. Con la calma sopravvenuta e con la nuova vista, che si offriva ai suoi occhi, lo spirito di Rossella cominciò a risollevarsi. Finalmente, quando Zio Pietro riuscì a trarre la carrozza dalle buche limacciose e si avviò per la Via dell'Albero di Pesco, ella provò per la prima volta, da parecchi mesi, un certo interesse. Come era cresciuta la città! Era passato poco più di un anno da quando vi era stata per l'ultima volta, e non sembrava possibile che quella piccola Atlanta fosse così mutata.

L'anno precedente ella era così preoccupata dei propri pensieri, così infastidita da qualsiasi menzione di guerra, che non si era accorta come dall'inizio di quella, Atlanta si fosse trasformata. Le stesse ferrovie che avevano fatto della città il punto d'incrocio commerciale in tempo di pace, erano di vitale importanza strategica in tempo di guerra. Lontana dalla linea di battaglia, la città e le sue ferrovie provvedevano al collegamento fra i due eserciti della Confederazione, quello della Virginia e quello del Tennessee e dell'Occidente. E nello stesso modo Atlanta riforniva gli eserciti di tutto ciò che occorreva loro e che proveniva dal Sud. A causa delle necessità della guerra, Atlanta era anche diventata un centro industriale, una base ospedaliera e uno dei principali depositi meridionali per le derrate e per le forniture degli eserciti in campo.

Rossella si guardò attorno cercando la piccola città che ricordava così bene. Era scomparsa. Quella che vedeva adesso era come un bimbo che nottetempo fosse cresciuto fino a diventare un gigante indaffarato.

Atlanta ronzava come un alveare, conscia della sua importanza nella Confederazione; e il lavoro era continuo per trasformare una regione agricola in industriale. Prima della guerra vi erano poche fabbriche di cotone, filande di lana, arsenali e negozi di macchine a sud di Maryland; fatto di cui i meridionali erano molto orgogliosi. Il Sud produceva uomini di Stato e soldati, piantatori e dottori, legali e poeti, ma non ingegneri o meccanici. Queste professioni volgari erano adatte per gli yankees. Ma ora che i porti della Confederazione erano bloccati dalle navi da guerra yankees e che ben poche merci giungevano, eludendo il blocco, dall'Europa, il Sud tentava disperatamente di adoperare il proprio materiale da guerra. Il Nord poteva rivolgersi a tutto il mondo per approvvigionamenti e per soldati; migliaia di irlandesi e di tedeschi si arruolavano nell'esercito dell'Unione attratti dal miraggio di laute paghe. Il Sud non poteva contare che su se stesso. In Atlanta vi erano delle fabbriche di macchine che faticosamente trasformavano i loro impianti per produrre materiale da guerra; faticosamente perché vi erano ben poche macchine nel Sud da potere utilizzare, e quasi ogni ruota e ogni dente dovevano essere fabbricati su disegni che venivano dall'Inghilterra. Vi erano molti stranieri ora, nelle strade di Atlanta. E i cittadini che un anno prima avrebbero drizzato le orecchie al minimo accento anche soltanto occidentale, ora non badavano affatto a tutte le lingue parlate da europei che avevano attraversato il blocco per venire a fabbricare macchine e munizioni. Uomini abili, senza i quali la Confederazione non avrebbe avuto la possibilità di fabbricare pistole e fucili, cannoni e polvere.

Si sentiva quasi il palpito del cuore della città, mentre il lavoro continuava giorno e notte, per inviare a mezzo delle ferrovie il materiale da guerra ai due fronti di battaglia. I treni arrivavano e partivano a tutte le ore. Di notte le fornaci ardevano e i martelli battevano ancora per molto tempo dopo che la popolazione era andata a dormire. Dove l'anno prima erano terreni da costruzione, ora erano sorte fabbriche di finimenti e di scarpe, di fucili e di cannoni; fonderie che producevano binari ferroviari e carriaggi per sostituire quelli distrutti dagli yankees; e una varietà d'industrie minori per la fabbricazione di speroni, redini, fibbie, bottoni, tende, sciabole e pistole. Le fonderie cominciavano già a sentire la mancanza del ferro, perché attraverso il blocco ne giungeva poco o punto, e le miniere di Alabama erano quasi inoperose, dato che i minatori erano al fronte. Non si trovavano più ad Atlanta pali di ferro a sostegno delle siepi, né cancelli di ferro né verande montate in ferro e neanche statuette metalliche, perché tutto ciò aveva già preso la via delle fonderie.

Lungo la Via dell'Albero di Pesco e nelle strade adiacenti stavano i quartieri generali dei vari dipartimenti dell'esercito, ciascuno dei quali affollato di uomini in uniforme: il commissariato, il corpo di segnalazioni, i servizi postali, i trasporti ferroviari, il servizio di approvvigionamenti. Al di là dei sobborghi erano depositi di rimonta ove cavalli e muli venivano radunati in vasti recinti, e nelle strade laterali sorgevano gli ospedali. Da quanto le disse Zio Pietro, Rossella concluse che Atlanta doveva esser la città dei feriti, perché ospedali generali, ospedali per contagiosi e convalescenziari erano innumerevoli. E ogni giorno i treni che giungevano dai Cinque Punti scaricavano nuovi ammalati e nuovi feriti.

La piccola città era scomparsa; e la nuova era animata da un movimento e da un brusio incessante.

La vista di tanta gente frettolosa diede quasi il capogiro a Rossella che veniva dalla tranquillità rurale; ma ciò le piacque. Quell'atmosfera eccitante la sollevava. Era come se sentisse il ritmo accelerato del cuore della città battere insieme al suo.

Mentre avanzavano lentamente nella fangaia che era la strada principale della città, ella osservò con interesse le nuove costruzioni e i nuovi volti. I marciapiedi erano affollati di uomini in uniforme che portavano le insegne di tutti i gradi e di tutti i rami del servizio; nella stretta carreggiata si pigiavano i veicoli: carriaggi, calessini, ambulanze, furgoni militari guidati da conducenti borghesi, che bestemmiavano, mentre i muli si dibattevano per togliersi dalla mota in cui sprofondavano; corrieri impillaccherati che correvano da un quartier generale all'altro portando ordini e dispacci; convalescenti che zoppicavano appoggiati alle stampelle e avevano generalmente una caritatevole signora per parte. Trombe e tamburi e comandi militari echeggiavano dai campi di esercitazioni dove le reclute venivano trasformate in soldati; e col cuore in gola, Rossella vide per la prima volta le uniformi yankees, quando Zio Pietro le indicò, con l'estremità della frusta, un distaccamento di uomini che indossavano logori abiti turchini e che erano avviati al deposito, come un gregge di pecore, da una compagnia di confederati con la baionetta inastata, per esser poi portati in un campo di prigionieri.

"Oh" pensò Rossella con un sentimento di vera gioia, il primo che avesse provato dopo il giorno del famoso convito alle Dodici Querce "come mi piacerà stare qui! Tutto è così vivace ed eccitante!"

La città era anche più animata di quanto ella credesse, perché vi erano dozzine di nuovi locali di mescita; le prostitute, che seguono sempre gli eserciti, brulicavano nelle strade, e i lupanari si moltiplicavano con grande costernazione delle persone timorate di Dio. Alberghi, pensioni, case private erano piene di ospiti venuti per essere accanto ai parenti feriti che si trovavano nei grandi ospedali di Atlanta. Ogni settimana vi erano balli, ricevimenti e vendite di beneficenza e innumerevoli matrimoni di guerra, con gli sposi in congedo vestiti di grigio chiaro con gli alamari d'oro e le spose in fronzoli, tra file di sciabole sguainate, e brindisi fatti con champagne portato malgrado il blocco e addii lacrimosi. Di notte le strade buie risuonavano di musiche che venivano dai salotti, dove voci di soprano si univano a quelle dei soldati ospiti nella piacevole melanconia di "Le trombe suonan la tregua" e "La vostra lettera giunse, ma troppo tardi"; ballate lamentose che traevano le lagrime dagli occhi facili alla commozione di chi non aveva mai versato lagrime di vero dolore.

Progredendo lungo la strada, nella fanghiglia molle, Rossella rivolse a Pietro un'infinità di domande a cui il negro rispose, indicando qua e là con la frusta, fiero di mostrare le proprie cognizioni.

- Quello essere arsenale. Sì, miss; fare cannoni e altre armi. No, quelli non essere botteghe; essere uffici blocchi. Miss Rossella, tu non sapere cosa essere uffici di blocco? Essere uffici dove forestieri comprare nostro cotone confederato e mandare a caricare a Charleston e Wilmington e mandare a noi bolvere per fucili. No, miss, io non sabere che specie di forestieri essere. Miss Pitty dice che essere inglesi, ma nessuno capire una barola quando barlano. Sì, signora; essere fumo terribile e rovinare tutte tendine di seta di miss Pitty. Essere fonderie e laminatoi. E che rumore fare la notte! Nessuno boter dormire. No, signora, non botermi fermare per farti guardare; aver bromesso a miss Pitty di bortare te subito a casa... Miss Rossella, fare un inchino. Ecco miss Merriwether e miss Elsing che salutare.-

Rossella ricordava vagamente due signore che si chiamavano così, venute da Atlanta a Tara per il suo matrimonio e ricordava che erano le migliori amiche di miss Pittypat. Perciò si volse rapidamente dalla parte indicata da Pietro e si inchinò. Le due signore erano sedute in una carrozza dinanzi a un negozio di stoffe. Il proprietario e due commessi erano sulla soglia con le braccia piene di pezze di tessuto di cotone che stavano spiegando. La signora Merriwether era una donna alta e corpulenta, talmente stretta nel busto che il seno sporgeva in avanti come la prua di una nave. I suoi capelli grigi erano fatti più abbondanti da una frangia di riccioli finti che erano fieramente bruni, disdegnando di adattarsi al resto della capigliatura. Aveva un viso rotondo e molto colorito in cui si fondevano una naturale scaltrezza e l'abitudine di comandare. La signora Elsing era più giovane; una donnina sottile e fragile, che era stata una meraviglia e che conservava ancora ii ricordo della freschezza svanita e un'aria elegante e imperiosa.

Quelle due signore, insieme a una terza, la signora Whiting, erano le colonne di Atlanta. Dirigevano in tutto e per tutto le tre chiese a cui appartenevano; il clero, i cori e i parrocchiani. Organizzavano vendite e presiedevano comitati di lavoro, balli e pic-nic; sapevano chi faceva un buon matrimonio e chi no, chi beveva segretamente, chi aspettava un bambino e per quando. Erano delle vere autorità in fatto di genealogie di qualunque famiglia della Georgia, della Carolina del Sud e della Virginia; e non si tormentavano il cervello per gli altri Stati perché erano convinte che chiunque avesse importanza negli altri Stati doveva esservi giunto da uno di quel tre. Sapevano come ci si doveva e come non ci si doveva comportare quando si era persone bennate, e non mancavano mai di dire schiettamente il loro modo di pensare: la signora Merriwether con una voce stridula. la signora Elsing con un accento strascicato e la signora Whiting in un mormorio desolato che mostrava come le dispiaceva parlare di certe cose. Queste tre signore si detestavano reciprocamente e non avevano fiducia una nell'altra come i primi Triumviri a Roma; e la loro stretta alleanza si doveva probabilmente a quelle stesse ragioni.

- Ho detto a Pitty che desidero avervi nel mio ospedale - gridò la signora Merriwether sorridendo. - Perciò non promettete nulla alla signora Meade o alla signora Whiting! -

- Me ne guarderò bene - rispose Rossella, ignorando completamente ciò che desiderava quella vecchia signora, ma provando una sensazione di calore nel vedersi bene accolta e nel sapersi desiderata. - Spero di vedervi presto.-

La carrozza continuò la sua strada e si fermò un momento per permettere a due signore che portavano appeso al braccio un cestino pieno di bende, di attraversare la strada melmosa posando il piede su alcune pietre che emergevano. Nello stesso istante l'occhio di Rossella fu colpito da una figura che era sul marciapiede, vestita di un abito sgargiante, troppo sgargiante per la strada, e di uno scialle con lunghe frange che le giungevano ai piedi. Voltandosi vide una donna alta e bella, con una massa di capelli rossi: troppo rossi per esser veri. Era la prima volta che vedeva una donna di cui poteva esser certa che. "aveva fatto qualche cosa ai suoi capelli" e la osservò, affascinata.

- Zio Pietro, chi è quella donna? - bisbigliò.

- Non sabere.-

- Sì che lo sai. Ne sono certa. Chi è? -

- Si chiama Bella Watling - e il labbro inferiore di Pietro cominciò a sporgersi. Rossella afferrò subito che il negro non aveva fatto precedere il nome dall'appellativo di "signora" o "signorina".

- E chi è? -

- Miss Rossella - rispose il vecchio gravemente accarezzando il fianco del cavallo con la sua frusta - Miss Pitty non permettere che voi domandare cose che non vi riguardano. In questo periodo esservi in città grosso mucchio di persone che non contare e che essere inutile parlare di loro.-

"Dio mio!" pensò Rossella rinchiudendosi nel silenzio. "Dev'essere una donna cattiva!"

Non aveva mai visto una donna di malaffare e si voltò a riguardarla finché quella si perse nella folla.

Le botteghe e le nuove costruzioni erano ora più rade, con spazi di terreno fra l'una e l'altra. Finalmente il quartiere degli affari terminò; ora erano tutte case di abitazione. Rossella le riconobbe come vecchie amiche: quella dei Leyden, dignitosa e superba; quella dei Bonnell, con le colonnine bianche e le persiane verdi; la casa georgiana di mattoni rossi della famiglia McLure, dietro alle sue basse siepi di bosso. Ora progredivano più lentamente, perché dai porticati e dai giardini le signore la chiamavano. Ne conosceva alcune superficialmente; altre le ricordava vagamente; ma la maggior parte le era sconosciuta. Pittypat aveva certamente propagato la notizia del suo arrivo. Ogni tanto bisognava sollevare il piccolo Wade perché le signore che si avventuravano ad avvicinarsi alla carrozza attraversando il pezzetto di marciapiede potessero ammirarlo. Tutte le gridavano che doveva far parte del loro circolo di lavoro, cucito o maglia, e del loro ospedale e di nessun altro; ed ella promise instancabilmente a destra e a sinistra.

Mentre passavano dinanzi a una villetta di legno coperta di rampicanti verdi, una bimbetta negra che era appostata sui gradini d'accesso gridò: - Eccola, eccola! - e subito uscirono il dottor Meade con sua moglie e il figlio tredicenne Filli, salutandola a gran voce. Rossella ricordò che anche loro erano venuti al suo matrimonio. La signora si avanzò sul pezzo di marciapiedi dinanzi alla casa e allungò il collo per vedere il bimbo, ma il dottore, senza preoccuparsi del fango, lo attraversò per avvicinarsi alla carrozza. Era alto e robusto, con una barbetta caprina color grigio-ferro; gli abiti ciondolavano sulla sua persona magra come se fossero sospesi a un attaccapanni. Atlanta lo considerava come la sorgente di ogni forza e di ogni saggezza e non era da stupire che egli avesse assorbito qualche cosa di questa loro fede. Ma a parte la sua abitudine di pronunciare delle affermazioni come se fossero oracoli e il suo modo di fare lievemente pomposo, era il più brav'uomo del mondo.

Dopo avere stretto la mano a Rossella e aver solleticato Wade sotto il mento, il dottore annunciò che la zia Pittypat aveva promesso e giurato che sua nipote non andrebbe in altro comitato ospedaliero e di preparazione delle bende se non in quello della signora Meade.

- Dio mio, ma ho già promesso a un migliaio di signore.- esclamò la giovine.

- Alla signora Merriwether, scommetto! - esclamò la signora Meade indignata. - Al diavolo quella donna! Sono sicura che va incontro a tutti i treni! -

- Ho promesso perché non sapevo di che cosa si trattava.- confessò Rossella. - Prima di tutto, che cosa sono questi comitati ospedalieri?-

Il dottore e la moglie scossero il capo, un po' scandalizzati della sua ignoranza.

- Già, naturalmente siete stata seppellita in campagna e quindi non potete sapere - la scusò la signora Meade. - Abbiamo dei comitati per i diversi ospedali e in giorni diversi. Curiamo gli uomini e aiutiamo i dottori e facciamo bende e vestiti; e quando gli uomini sono in condizione di poter lasciare l'ospedale li accogliamo nelle nostre case per la convalescenza, finché sono in grado di tornare al reggimento. E ci occupiamo delle famiglie dei feriti poveri o peggio. Il dottor Meade è all'ospedale dell'Istituto dove opera il mio comitato; tutti dicono che è straordinario e...-

- Lascia andare, Mrs Meade - la interruppe affettuosamente il dottore. - Non vantarti di me con la gente. Faccio quel poco che posso, dal momento che non hai voluto lasciarmi andare con l'esercito.-

- Non ho voluto! - esclamò la moglie indignata. - Io? E' stata la città che non ha voluto, e lo sai benissimo. Figuratevi, Rossella, che quando si è saputo che voleva andare in Virginia come medico militare, le signore hanno firmato una petizione pregandolo di restare. La città non può fare a meno di lui.-

- Via, via, Mrs Meade - si schermì il dottore crogiolandosi evidentemente in quegli elogi. - Del resto, avere un figliolo al fronte può bastare, in questi tempi.-

- E io andrò l'anno venturo! - esclamò il piccolo Filippo saltando eccitato. - Come tamburino. Sto imparando intanto a suonare il tamburo. Volete sentire? Vado a prenderlo.-

- No, adesso no - ordinò la signora Meade stringendolo a sé, con una subitanea espressione di spavento. - Non l'anno venturo, tesoro. Forse fra due anni.-

- Ma allora la guerra sarà finita! - esclamò il ragazzo con petulanza, sottraendosi. - E me lo hai promesso! -

Gli occhi dei genitori si incontrarono al disopra del suo capo e Rossella vide lo sguardo. Darcy Meade era in Virginia; ed essi si attaccavano maggiormente al figliuolo che era rimasto.

Zio Pietro tossicchiò.

- Miss Pitty essere molto in bensiero quando io andare alla stazione e se non andare presto avrà svenimenti.-

- Arrivederci. Oggi nel pomeriggio sono libera - disse ancora la signora. - E dite a Pitty da parte mia che se voi non venite nel mio comitato, peggio per lei. -

La carrozza si avviò nuovamente per la strada fangosa e Rossella si appoggiò ai cuscini dello schienale sorridendo. Si sentiva bene come non si era più sentita da molti mesi. Atlanta, con la sua folla, la sua animazione e la sua corrente di eccitazione, era molto piacevole, molto esilarante, molto più graziosa della solitaria piantagione presso Charleston, dove il muggito degli alligatori rompeva solo il silenzio notturno; meglio della stessa Charleston, sognante nei suoi giardini difesi da alte mura; meglio di Savannah con le sue larghe strade bordate di palme nane e il fiume lutulento che le scorreva accanto. Sì; e provvisoriamente anche meglio di Tara, per quanto Tara fosse un luogo tanto caro.

Vi era qualche cosa di eccitante in quella città con le sue strade strette e fangose; qualche cosa di rozzo e di immaturo che ricordava la rudezza e l'immaturità che era sotto la fine vernice data a lei da Elena e da Mammy. E a un tratto sentì che questo era il luogo fatto per lei, non le vecchie città serene e tranquille, cui il fiume pigro e giallo non dava vitalità alcuna.

Le abitazioni erano adesso sempre più rade; sporgendosi in fuori Rossella vide finalmente i mattoni rossi e il tetto piatto della villetta di miss Pittypat. Era quasi l'ultima casa al nord della città. Dopo di essa, la Via dell'Albero di Pesco andava stringendosi e girava tortuosamente sotto alti alberi che la nascondevano alla vista, perdendosi poi nei folti boschi silenziosi. La barriera di legno era stata recentemente ridipinta in bianco e il giardinetto dinanzi alla casa che essa chiudeva era macchiato di giallo dalle ultime giunchiglie della stagione. Sulla gradinata erano due donne vestite di nero e dietro a loro una grossa donna gialla con le mani sotto il grembiule e la bocca aperta a un largo sorriso.. La rotondetta miss Pittypat saltellava agitata sui piedi piccolini, con una mano sul petto abbondante a frenare il cuore che le batteva forte. Rossella vide Melania che le stava accanto e, con un senso di antipatia si rese conto che essersi rifugiata nel balsamo di Atlanta significava vedere questa personcina vestita a lutto, coi suoi ribelli riccioli neri tirati e lisciati con dignità di donna sposata, che le rivolgeva un gentile sorriso di gioia e di benvenuto sul visino triangolare.

 

Quando un abitante del Sud si prendeva la pena di riempire un baule e affrontare un viaggio di venti miglia per andare a fare una visita, questa non durava mai meno di un mese; a volte anche di più. I meridionali erano visitatori entusiasti, così come ospiti generosi; e non era insolito il fatto di parenti venuti a passar le feste di Natale che rimanessero sino a luglio. Spesso, quando le coppie di sposi facevano il loro giro di visite per la luna di miele, finivano col fermarsi in questa o quella casa di loro gradimento fino alla nascita del secondo bambino. Sovente vecchie zie o zii che venivano al pranzo domenicale erano sepolti nel cimitero del luogo qualche anno dopo. I visitatori non rappresentavano un problema, perché le case erano grandi, la servitù numerosa, e dar da mangiare a qualche bocca di più non aveva importanza, dove si doveva nutrire tante persone. Gente di ogni età e di ogni sesso si recava in visita; sposi in viaggio di nozze, giovani madri col bimbo al seno, convalescenti, persone che avevano perduto qualche parente prossimo, ragazze che i genitori volevano allontanare dal pericolo di un matrimonio poco consigliabile, ragazze che avevano raggiunto l'età di esser fidanzate e che si sperava potessero combinare un buon matrimonio, consigliate dai parenti, in un'altra città. I visitatori aggiungevano movimento e varietà alla torpida vita meridionale, ed erano sempre i benvenuti.

Rossella si era dunque recata ad Atlanta senza avere idea di quanto tempo vi si sarebbe trattenuta. Se il suo soggiorno risultava malinconico come quello di Charleston e di Savannah, dopo un mese tornerebbe a casa sua. Se invece era piacevole, nulla le impediva di rimanere per un periodo indefinito. Ma appena arrivata, Zia Pitty e Melania iniziarono una campagna per indurla a stabilirsi permanentemente con loro. Adoperarono tutti gli argomenti possibili. Desideravano averla perché le volevano bene. Erano sole e spesso la notte avevano paura in quella casa tanto grande e lei era coraggiosa e dava coraggio anche a loro. Era così simpatica che le rallegrava alquanto nel loro dolore. Ora che Carlo era morto, il suo posto e quello del bimbo di lui era dov'egli aveva trascorso la sua fanciullezza. Del resto, metà della casa le apparteneva, secondo il testamento di Carlo. E infine, la Confederazione aveva bisogno di mani per cucire, far calze, preparar bende e curare i feriti.

Lo zio di Carlo, Enrico Hamilton, che faceva vita di scapolo e abitava all'albergo Atlanta accanto al deposito, le parlò egli pure seriamente in questo senso. Lo zio Enrico era un vecchio ed irascibile signore, piccolo e panciuto, col viso rosso e una massa di lunghi capelli d'argento; assolutamente mancante di pazienza, con strane timidezze e ipocondrie simili a quelle di una donna. Per quest'ultima ragione, egli quasi non parlava con sua sorella. Fin dall'infanzia erano stati assolutamente opposti come caratteri; e più tardi erano stati anche in disaccordo per il modo in cui ella aveva educato Carlo: "Fare una femminuccia del figlio di un soldato!" E un giorno l'aveva talmente ingiuriata che da allora miss Pitty non parlava più di lui se non con timorosi bisbigli e con tali reticenze che un estraneo avrebbe potuto supporre che si trattava perlomeno di un assassino. L'offesa si era verificata un giorno in cui la signorina Pitty aveva voluto prendere 500 dollari dal suo patrimonio per investirli in una miniera d'oro inesistente. Egli non glielo aveva permesso e aveva affermato con calore che sua sorella aveva tanto buon senso quanto una pulce e, peggio ancora, che lo stare con lei più di cinque minuti lo rendeva nervoso. Da quel giorno ella non lo vedeva più che ufficialmente, una volta al mese, quando Zio Pietro la conduceva al suo ufficio per ricevere l'assegno alimentare. Dopo queste brevi visite, Pitty si metteva a letto per il resto della giornata che trascorreva in lacrime e coi sali odorosi. Melania e Carlo, che erano in ottimi rapporti con lo zio, le avevano più volte offerto di liberarla da questa incombenza, ma Pitty aveva rifiutato sempre serrando con caparbietà la sua bocca infantile. Enrico era la sua croce ed ella doveva portarla. Carlo e Melania dovettero desumere da ciò che quell'eccitazione occasionale le procurava un profondo godimento, essendo l'unico diversivo della sua vita solitaria.

Allo zio Enrico, Rossella piacque immediatamente perché disse malgrado le sue stupide affettazioni, aveva qualche briciola di buon senso. Egli era amministratore non solo delle proprietà di Pitty e di Melania, ma anche di quella lasciata a Rossella da Carlo. Per Rossella fu una piacevole sorpresa apprendere di essere una giovine donna benestante, perché Carlo le aveva lasciato non solo la metà della casa occupata dalla zia Pitty, ma fattorie, terreni e anche proprietà in città. E le botteghe e i magazzini lungo la linea ferroviaria in prossimità del deposito avevano triplicato il loro valore dall'inizio della guerra. Fu nel metterla al corrente della sua proprietà che lo Zio Enrico mise in campo la questione della sua permanenza ad Atlanta.

- Wade Hampton sarà un ricco giovinotto. Dato lo sviluppo della città, le sue proprietà varranno dieci volte tanto fra vent'anni; ed è giusto che il ragazzo sia allevato dove sono le sue proprietà, in modo da imparare ad occuparsene; sicuro, ed anche di quelle di Pitty e di Melania. Sarà l'unico uomo che porti il nome di Hamilton, poiché io non sono eterno.-

Quanto a Zio Pietro, egli non mise in dubbio che Rossella sarebbe rimasta. Era inconcepibile per lui che il figlio di Carlo dovesse crescere in un luogo dove lui, Zio Pietro, non potesse sorvegliarne l'allevamento. A tutte queste argomentazioni Rossella sorrideva ma non diceva nulla, non volendo impegnarsi prima di sapere come le sarebbe piaciuta la vita ad Atlanta e la convivenza coi suoi parenti d'acquisto. Sapeva anche che sarebbe necessario convincere Geraldo ed Elena. Inoltre, ora che era lontana da Tara ne aveva una grande nostalgia; nostalgia dei campi rossi e delle verdi piante di cotone e dei crepuscoli silenziosi. Per la prima volta comprese malinconicamente ciò che aveva voluto dire Geraldo quando aveva affermato che anche lei aveva nel sangue l'amore per la terra. Rispose quindi sempre evasivamente alle domande intorno alla lunghezza del suo soggiorno ed entrò furtivamente, quasi senza accorgersene, nella vita della casa di mattoni rossi alla tranquilla estremità della Via dell'Albero di Pesco.

Vivendo coi consanguinei di Carlo e vedendo la casa da cui egli proveniva, Rossella poteva ora comprender meglio il ragazzo che l'aveva fatta moglie, vedova e madre in così rapida successione. Era facile vedere perché era così timido, così poco artificioso, così idealista. Se pure Carlo aveva ereditato qualcuna delle qualità del severo, impavido, ardente soldato che era stato suo padre, queste erano state distrutte nella fanciullezza dall'atmosfera femminile in cui era stato educato. Era stato attaccatissimo all'infantile Pitty e affezionato a Melania più di quanto non siano generalmente i fratelli; e non era possibile trovare due donne più dolci ma meno mondane.

Zia Pittypat era stata battezzata come Sara Giovanni Hamilton sessant'anni prima; ma dall'epoca lontana in cui il suo affettuosissimo babbo le aveva dato quel soprannome a causa dei suoi piedini irrequieti che trotterellavano continuamente, nessuno l'aveva più chiamata in altro modo. Negli anni che seguirono questo secondo battesimo si verificarono parecchi mutamenti che resero quel nomignolo alquanto incongruo. Della bimba vivace e sgambettante non erano rimasti che i piedini, sproporzionati al suo peso, e una tendenza a chiacchierare volentieri e senza scopo. Era grassa, colorita, coi capelli grigi, e sempre un po' ansimante a causa del busto troppo stretto. Era incapace di percorrere più di cinquanta passi sui piedini che forzava entro scarpine troppo strette. Il suo cuore accelerava i battiti alla più piccola emozione ed ella lo comprimeva senza vergogna, pronta a svenire ad ogni occasione. Tutti sapevano che i suoi svenimenti erano per lo più affettazioni di gran dama; ma poiché le volevano bene si guardavano dal dirlo. Avevano simpatia, per lei, la trattavano come una bambina e rifiutavano di prenderla sul serio: tutti, meno suo fratello Enrico.

Amava chiacchierare più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche più di quanto amava i piaceri della tavola; e discorreva per ore intere sulle faccende altrui in maniera infantile e innocua. Non aveva alcuna memoria per i nomi di persone e di luoghi e per le date e spesso confondeva i personaggi di un dramma accaduto in Atlanta con quelli di un dramma accaduto altrove, cosa che non stupiva nessuno, perché nessuno era così sciocco da prendere sul serio quanto ella diceva. Nessuno le narrava mai nulla di spinto e di scandaloso, per riguardo al suo stato di signorina, sia pure sessantenne; e i suoi amici congiuravano per farla rimanere una vecchia bimba tranquilla e vezzeggiata.

Melania era, in molte cose, simile a sua zia. Aveva la sua timidezza, i suoi subitanei rossori, la sua verecondia, ma aveva del senso comune. "In una certa misura, lo ammetto" confessava dentro di sé Rossella, a malincuore. Come zia Pitty, Melania aveva il viso di una bimba piena di riserbo, che non conosceva se non bontà e semplicità, verità e amore; una bimba che non sapeva che cosa fosse il male e che vedendolo non lo avrebbe neppure riconosciuto. Essendo sempre stata felice, desiderava che tutti lo fossero attorno a lei, o almeno soddisfatti. Per questo, vedeva sempre in ciascuno il lato migliore e lo notava con bontà. Non vi era serva stupida in cui ella non scoprisse qualche qualità di lealtà o di affettuosità; non fanciulla brutta e sgradevole in cui ella non trovasse grazie di forme o nobiltà di carattere; non uomo insignificante o noioso in cui ella non vedesse la luce delle sue possibilità piuttosto che delle sue attualità.

A causa di queste doti che provenivano spontaneamente da un cuore generoso, tutti si radunavano intorno a lei; chi può, infatti, resistere al fascino di una persona che scopre nelle altre ammirabili qualità mai sognate neanche da loro stessi? Ella contava più amiche di ogni altra, nella città, e anche molti amici, benché avesse pochi corteggiatori essendo priva di quella volontà e di quell'egoismo che sono necessari per catturare i cuori maschili.

Melania faceva semplicemente ciò che veniva insegnato a tutte le fanciulle del Sud: cercare che chi era accanto a loro si sentisse a suo agio e contento di sé. Era questa simpatica congiura femminile che rendeva la società del Sud così piacevole. Le donne sapevano che un paese dove gli uomini sono contenti, non vengono contraddetti e non subiscono punture nella loro vanità, è probabilmente il miglior paese per una donna. Così, dalla culla alla tomba, le donne si ingegnavano a far sì che gli uomini fossero soddisfatti di se stessi; e questi le ricompensavano prodigalmente con galanteria e adorazione. Infatti, gli uomini danno volentieri qualsiasi cosa alle donne, eccetto il riconoscimento della loro intelligenza. Rossella esercitava lo stesso fascino di Melania ma con arte studiata e con abilità consumata. La differenza fra le due fanciulle consisteva nel fatto che Melania diceva parole dolci e lusinghevoli per il desiderio di veder contente le persone, sia pure temporaneamente, mentre Rossella lo faceva soltanto perseguendo il proprio scopo.

Le due persone che aveva maggiormente amate, non avevano esercitato su Carlo alcuna influenza severa, né gli avevano insegnato che cosa fosse l'asprezza della realtà; il luogo in cui era giunto all'adolescenza era stato per lui dolce e morbido come il nido di un uccellino. Era una casa tranquilla, serena, un po' all'antica, paragonata a Tara. Per Rossella, mancava in essa l'odore di tabacco, di acquavite e di olio di Macassar; mancavano le voci rauche e magari le imprecazioni, i fucili, i baffi, le selle, le briglie e i cani da caccia. Ella provava la nostalgia delle voci litigiose che si udivano a Tara non appena Elena voltava le spalle: Mammy che litigava con Pork, Rosa e Tina che si bisticciavano, le proprie zuffe acrimoniose con Susele, le urla minacciose di Geraldo. Non era da stupire che Carlo fosse stato così femmineo, venendo da una casa come quella. Qui non entrava mai nulla di emozionante; ciascuno si arrendeva cortesemente alle opinioni altrui e, infine, il brizzolato autocrate negro della cucina aveva libertà d'azione. Rossella, che aveva sperato di aver la briglia sul collo una volta sfuggita alla sorveglianza di Mammy, scoperse con dispiacere che le idee di Zio Pietro sul modo di comportarsi di una signora, specialmente per la vedova di Mist' Carlo, erano anche più severe di quelle di Mammy.

In questo ambiente Rossella tornò a poco a poco in se stessa; e quasi prima di essersene resa conto, il suo spirito riprese ad essere normale. Aveva solo diciassette anni, era piena di salute e di energia e i parenti di Carlo facevano del loro meglio per renderla felice. Se in questo non riuscivano molto bene, la colpa non era loro, perché nessuno poteva togliere dal suo cuore il dolore che lo dilaniava ogni volta che veniva menzionato il nome di Ashley. E Melania lo nominava così spesso! Ma Melania e Pitty erano instancabili nel cercare il modo di addolcire la pena che credevano la tormentasse. Ricacciavano il loro dolore in fondo all'anima per cercare di distrarla. Si preoccupavano dei suoi pasti e badavano che facesse il suo riposino pomeridiano e la sua passeggiata in carrozza. Non solo ammiravano infinitamente la sua vivacità, la sua personcina, le sue manine e i suoi piedini, la sua pelle di magnolia, ma glielo dicevano tutti i momenti, accarezzandola, abbracciandola e baciandola per confermare le loro parole affettuose.

Rossella non teneva alle carezze; ma i complimenti la mandavano in brodo di giuggiole. Nessuno a Tara le aveva mai detto tante cose carine. Infatti, Mammy aveva sempre cercato di abbassare la sua presunzione. Il piccolo Wade non era più una seccatura, perché tutta la famiglia, bianchi e negri, lo idolatravano; vi era un'incessante rivalità fra chi aspirava a tenerlo in grembo. Melania era specialmente tenera con lui. Anche nei momenti in cui urlava più disperatamente, ella lo trovava adorabile e aggiungeva: - Che tesoro! Vorrei che fosse mio!-

A volte Rossella faceva fatica a dissimulare i propri sentimenti; trovava ancora che Zia Pitty era la più stupida delle vecchie e la sua fatuità e inconsistenza la irritava in sommo grado. Aveva per Melania un'antipatia che andava crescendo col passar dei giorni; a volte le toccava uscire bruscamente dalla stanza quando Melania, raggiante di orgoglio amoroso, parlava di Ashley o leggeva ad alta voce le sue lettere. Ma in complesso la vita trascorreva felicemente quanto era possibile, date le circostanze. Atlanta era più interessante di Savannah o di Charleston o di Tara, e offriva una tale quantità di strane occupazioni da tempo di guerra che ella aveva poco tempo per pensare o annoiarsi. Solo qualche volta, quando spegneva la candela e sprofondava la testa nei guanciali, sospirava e pensava: "Se Ashley non si fosse sposato! Se non dovessi andare a curare i feriti all'ospedale! Oh, se almeno avessi qualche corteggiatore!"

Aveva immediatamente avuto orrore di fare l'infermiera, ma non poteva sfuggire a quel dovere, perché faceva parte dei due comitati, quello della signora Meade e quello della signora Merriwether. Questo significava quattro mattine della settimana in un ospedale opprimente e maleodorante, coi capelli avvolti in un asciugamano e un pesante grembiale che la copriva dal collo ai piedi. Tutte le signore di Atlanta, vecchie o giovani, facevano le infermiere con un entusiasmo che a Rossella sembrava a un po' fanatico. Ritenevano che ella fosse imbevuta dello stesso fervore patriottico e sarebbero state scandalizzate se avessero saputo quanto poco le importava della guerra. Eccettuata la continua preoccupazione che Ashley potesse essere ucciso, la guerra non la interessava affatto; e se assisteva gli ammalati era unicamente perché non sapeva come potersi esimere da quell'obbligo.

Certamente nel fare l'infermiera non vi era nulla di romantico. Per lei, significava gemiti, delirio, morte e cattivi odori. Gli ospedali erano pieni di uomini sudici, pidocchiosi, con la barba lunga che puzzavano terribilmente e avevano nel corpo delle ferite tanto orrende da far rivoltare lo stomaco. Gli ospedali puzzavano di cancrena; era un odore che colpiva le narici molto prima che si aprisse la porta e che rimaneva a lungo nelle mani e nei capelli e la ossessionava nei suoi sogni. Mosche, zanzare e mosquitos volteggiavano ronzando e cantando a sciami nelle corsie, tormentando gli uomini che imprecavano e singhiozzavano debolmente; e Rossella, grattando le proprie punture di zanzara, agitava ventagli di foglie di palma finché le spalle non le facevano male; e allora si metteva a desiderare che tutti gli uomini morissero.

A Melania, invece, sembrava non dessero noia gli odori, le ferite, le nudità; e Rossella trovava strano ciò, in quella che sembrava la più timida e pudibonda delle donne. A volte, mentre reggeva bacinelle e strumenti al dottor Meade che tagliava delle carni incancrenite, Melania era pallidissima. E una volta, dopo una di quelle operazioni, Rossella la trovò in guardaroba che vomitava tranquillamente in un asciugamano. Ma finché si trovava dove il ferito poteva vederla, era gentile, allegra e piena di simpatia; gli uomini la chiamavano "angelo misericordioso". Anche a Rossella sarebbe piaciuto essere chiamata così; ma questo portava con sé il toccare uomini formicolanti di pidocchi, ficcare le dita nella gola di ammalati incoscienti per vedere se soffocavano per avere inghiottito una cicca; fasciare tronconi e togliere vermi dalla carne che si andava corrompendo. No, non le piaceva fare l'infermiera!

Forse sarebbe stato sopportabile se avesse potuto usare del suo fascino sui convalescenti, perché molti di loro erano simpatici e di buona famiglia; ma essendo vedova non poteva farlo. Le signorine della città, a cui non si permetteva di andare all'ospedale per timore che vedessero cose non adatte ai loro occhi verginali, si occupavano di quelli. Non impedite dal matrimonio o dalla vedovanza, esse facevano strage fra i convalescenti; e anche le meno attraenti, notò Rossella cupamente, non tardavano ad esser fidanzate.

Eccettuati gli ammalati e i feriti gravi il mondo di Rossella era esclusivamente femminile, e questo l'addolorava, perché ella non aveva mai avuto simpatia né fiducia nel proprio sesso e, quel ch'era peggio, esso l'annoiava profondamente. Per tre pomeriggi settimanali doveva recarsi ai comitati di lavoro per la preparazione di fasciature delle amiche di Melania. Le ragazze che tutte quante avevano conosciuto Carlo, erano buone e premurose con lei in queste riunioni, specialmente Fanny Elsing e Maribella Merriwether, figlie delle vecchie nobili della città. Ma la trattavano con deferenza, come se lei fosse una donna anziana e finita. E le loro continue chiacchiere sui balli e gli spasimanti la rendevano invidiosa dei loro divertimenti e irritata perché la sua vedovanza la escludeva da essi. Diamine, era tre volte più graziosa di Fanny e di Maribella! Oh, com'era ingiusta la vita! E come era sciocco che tutti credessero che il suo cuore era nella tomba di Carlo! Invece era in Virginia con Ashley!

Ma nonostante queste afflizioni, Atlanta le piaceva. E il suo soggiorno si prolungava, mentre le settimane passavano.

9

Rossella sedeva accanto alla finestra della sua camera da letto in quella mattina d'estate e guardava desolatamente le carrozze e i carrettini pieni di ragazze, di soldati e di accompagnatrici che sciamavano allegramente lungo la Via dell'Albero di Pesco per recarsi nei boschi a coglier rami per decorare il locale della vendita che doveva aver luogo quella sera a beneficio degli ospedali.

La strada rossa aveva zone di sole e di ombra sotto i rami degli alberi, e gli zoccoli dei cavalli alzavano nuvolette di polvere vermiglia. Un carro avanti agli altri portava quattro robusti negri provvisti di scuri per tagliare gli alberi di sempreverdi e strappare le liane che si attorcevano ad essi; nella parte posteriore di questo carro erano ammucchiate ceste coperte da tovaglioli, panieri di vettovaglie e una dozzina di meloni. Due dei negri portavano un banjo e una fisarmonica, ed essi cantavano una buffa versione di: "Se volete divertirvi andate in cavalleria". Dietro a loro veniva la gaia cavalcata, fanciulle in abiti di cotone a fiori con leggere sciarpe, cuffie e mezzi guanti per proteggere il candore della pelle, oltre a piccoli parasoli che sollevavano al di sopra delle teste; signore anziane placide e sorridenti tra le risate, i richiami e gli scherzi tra l'una carrozza e l'altra; convalescenti stretti fra robuste accompagnatrici e sottili fanciulle che si davano un gran da fare attorno a loro; ufficiali a cavallo che andavano a passo tranquillo a fianco delle carrozze; scricchiolio di ruote, tintinnio di sproni, scintillio di alamari, agitar di parasoli e di ventagli, canto di negri. Tutti percorrevano la Via dell'Albero di Pesco per recarsi in mezzo al verde e fare un pic-nic e una mangiata di meloni. "Tutti quanti", pensò Rossella immusonita "meno io".

Nel passare la chiamavano e le facevano grandi cenni di saluto a cui ella cercava di rispondere con buona grazia, ciò che le riusciva difficile. Nel suo cuore era cominciato un piccolo dolore sordo che saliva a poco a poco verso la gola dove fra poco diventerebbe un nodo; e il nodo si scioglierebbe in lagrime. Tutti andavano al pic-nic meno lei. E tutti andrebbero stasera alla vendita e al ballo meno lei. Cioè: meno lei, Pittypat e Melly e le altre disgraziate che erano in lutto. Ma pareva che a Melly e a Pittypat la cosa non importasse nulla. Non avevano neppur pensato che si potesse desiderare di andare. Rossella invece lo aveva pensato; e desiderava di andare, lo desiderava spasmodicamente.

Non era giusto. Aveva lavorato molto più di tutte le altre, a preparare ogni cosa per la vendita. Aveva fatto calze e berretti alla turca e cuffiette per bambini, sciarpette e pizzi e belle ciotoline di porcellana dipinta e vasetti per la toeletta. E aveva ricamato mezza dozzina di cuscini per divano con la bandiera della Confederazione (le stelle erano un po' irregolari, certo; alcune quasi rotonde, altre avevano sei o sette punte, ma l'effetto era buono). Ieri aveva lavorato fino ad essere stanchissima nel vecchio granaio polveroso a drappeggiare sui banchi allineati lungo le pareti mussolina e tarlatana gialla rosa e verde. Sotto la direzione delle signore del comitato ospedaliero, questo lavoro era stato difficile e punto divertente. Già, non era mai divertente avere attorno la signora Merriwether e la signora Elsing e la signora Whiting e sentirsi dare degli ordini come se trattassero coi loro schiavi, e doverle ascoltare mentre si vantavano che le loro figliole fossero molto circondate. E come complemento, si era bruciata le dita producendosi due vesciche per aiutare Pittypat e la cuoca a fare dei pasticcini per la lotteria.

E adesso, dopo aver lavorato come una schiava, le toccava ritirarsi decorosamente, proprio quando cominciava il divertimento. No, non era giusto che avesse il marito morto e un bambino che urlava nella camera accanto; e dover rimanere lontana da tutto quello che era svago. Dire che poco più di un anno prima ballava e portava degli abiti chiari invece di questo nero funereo, ed era praticamente fidanzata con tre giovinotti. Ora aveva soltanto diciassette anni e i suoi piedi avevano ancora tanta voglia di ballare. No, non era giusto! La vita passava dinanzi a lei nella strada calda e soleggiata, la vita con le uniformi grige, gli sproni tintinnanti, gli abiti di organza a fiori e i banjos che suonavano. Cercò di non sorridere e di non salutare con troppo entusiasmo gli uomini che conosceva meglio, quelli che aveva curato all'ospedale, ma era difficile dominare i propri impulsi, difficile comportarsi come se il suo cuore fosse nella tomba... dove non era.

I suoi saluti e i suoi cenni furono bruscamente interrotti da Pittypat che entrò nella stanza ansimando come sempre quando saliva le scale, e che la trasse via dalla finestra senza cerimonie.

- Ma sei impazzita, tesoro? Salutare gli uomini dalla finestra della tua camera! Ti assicuro, Rossella, che sono scandalizzata! Che cosa direbbe tua madre? -

- Ma loro non lo sanno che è la mia camera.-

- Ma possono immaginarlo, e fa lo stesso. Non devi fare di queste cose, tesoro. Tutti parleranno di te e diranno che sei sfacciata... ad ogni modo la signora Merriwether lo sa che è la tua camera.-

- E certamente quella vecchia gallina lo dirà ai ragazzi.-

- Sst! Gioia! Dolly Merriwether è la mia migliore amica.-

- Beh, è una gallina lo stesso. Oh, Dio scusami, non piangere! Non ho pensato che era la finestra della mia camera... Non lo farò mai più... Soltanto mi faceva piacere vederli andare... Vorrei poter andare anch'io.-

- Rossella! -

- Ma sì, sono stanca di stare in casa.-

- Rossella, promettimi di non dire più di queste cose. Figurati le chiacchiere! Direbbero che non hai rispetto per la memoria del povero Carlo...-

- Ma non piangere, zia! -

- Oh, adesso ho fatto piangere anche te... - singhiozzò comicamente Pittypat frugando nella tasca della gonna per cercare il fazzoletto.

Il piccolo dolore era finalmente giunto alla gola di Rossella ed essa ora piangeva... non, come credeva Pittypat, per il povero Carlo, ma perché gli ultimi echi delle risa e lo strepito delle ruote andavano dileguando. Melania irruppe dalla sua camera, con la fronte corrugata e una spazzola in mano, i capelli neri, generalmente ravviati con cura, liberi dalla rete e scompigliati intorno al volto in una massa di riccioli.

- Care! Che è successo? -

- Carlo! - singhiozzò Pittypat, abbandonandosi con gioia alla voluttà della sofferenza e nascondendo il capo sulla spalla di Melania.

- Oh... - fece Melly mentre nell'udire il nome di suo fratello il suo labbro inferiore cominciava a tremare. - Sii coraggiosa, cara. Non piangere. oh, Rossella!-

Rossella si era gettata sul letto e singhiozzava con quanta forza aveva in gola; singhiozzava sulla sua giovinezza perduta e sulle gioie che le erano vietate, singhiozzava con l'indignazione e la disperazione di una bambina che una volta otteneva, con le lacrime, tutto ciò che voleva ed ora sapeva che i singhiozzi non le servivano più a nulla. Col capo nascosto fra i guanciali, piangeva percuotendo coi piedi il copripiedi imbottito.

- Vorrei essere morta! - singhiozzò appassionatamente. Ma prima che ella avesse emesso quest'esclamazione dolorosa, le lacrime di Pittypat erano cessate e Melania si era precipitata verso il letto per consolare sua cognata.

- Cara, non piangere! Pensa quanto ti amava Carlo: questo dev'essere un conforto per te! Cerca di pensare a quella gioia del tuo piccino.-

L'indignazione per essere fraintesa si mescolò in Rossella alla disperazione di essere fuori di ogni cosa e le soffocò le parole in gola. Fu una fortuna, perché se avesse potuto parlare avrebbe gridato la verità con schiette parole, alla maniera di Geraldo. Melania le accarezzò la spalla e Pittypat trotterellò pesantemente per la stanza chiudendo le persiane.

- Non chiudere! - esclamò Rossella sollevando dai guanciali un viso rosso e gonfio. - Non sono ancora morta abbastanza perché si debbano chiudere le imposte... e Dio sa se vorrei esserlo! Oh, andatevene e lasciatemi sola!-

Sprofondò nuovamente la faccia nel guanciale; e dopo una conferenza fatta di mormorii, le due donne uscirono in punta di piedi. Ella udì Melania che diceva sottovoce alla zia, mentre scendevano le scale:

- Zia Pitty, vorrei che tu non le parlassi di Carlo. Sai che le fa male. Povera creatura, ha un'espressione così strana; capisco che si sforza per non piangere. Non dobbiamo affliggerla maggiormente.-

Rossella percosse di calci il copriletto in una rabbia impotente, cercando qualche cosa di cattivo da dire.

- Per Giove! - gridò finalmente; e si sentì alquanto sollevata. Come poteva Melania contentarsi di stare in casa, senza mai un'ombra di divertimento, e portare il crespo per suo fratello mentre aveva appena diciotto anni? Sembrava che Melania non sapesse, o che non le interessasse, che la vita correva, con gli sproni tintinnanti.

"Ma è talmente rigida!" pensò Rossella mentre prendeva a pugni il guanciale. "E non è mai stata corteggiata come me; perciò non sente come me la mancanza di tante cose. E poi... e poi, lei ha Ashley, mentre io... io non ho nessuno!" E a questa nuova constatazione, altre lacrime la sopraffecero.

Rimase tristemente nella sua camera fino al tardo pomeriggio; ancora la vista dei gitanti che tornavano con le carrozze cariche di rami di pino, liane e felci non la rallegrò. Tutti sembravano beatamente stanchi mentre le facevano nuovamente cenni di saluto a cui ella rispose malinconicamente. La vita era monotona, senza speranza e non valeva la pena di esser vissuta.

La liberazione giunse nella forma più inattesa quando, durante l'ora del riposo pomeridiano, la signora Merriwether e la signora Elsing vennero alla villetta di mattoni. Stupite di una visita a quell'ora, Melania, Rossella e Pittypat si alzarono, si riagganciarono frettolosamente i corpetti, si ravviarono i capelli e scesero nel salotto.

- I bambini della signora Bonnell hanno la rosolia - annunciò la signora Merriwether bruscamente, mostrando chiaramente che riteneva la signora Bonnell responsabile personalmente, per aver permesso che una simile cosa accadesse.

- E le ragazze McLure sono state chiamate in Virginia - proseguì la signora Elsing con la sua voce spenta, sventolandosi languidamente come se né questo né altro avesse molta importanza. - Dallas McLure è ferito.-

- Terribile! - fecero le tre visitate in coro. - Ed è grave? -

- No. Soltanto la spalla - rispose gaiamente la signora Merriwether. - Ma non poteva capitare in un momento peggiore. Le ragazze sono partite per ricondurlo a casa. Ma non abbiamo tempo di stare qui a discorrere. Dobbiamo tornare in fretta per finir di decorare il locale. Pitty, abbiamo bisogno di voi e di Melly stasera per prendere il posto della signora Bonnell e delle McLure.-

- Ma non possiamo venire, Dolly! -

- Non dite "non posso", Pitty Hamilton - ribatté vigorosamente la signora Merriwether. - Abbiamo bisogno di voi per sorvegliare i negri che portano i rinfreschi. E' quello che doveva fare la signora Bonnell. E Melly starà al banco di vendita delle due McLure.-

- Ma non è possibile... il povero Carlo è morto soltanto da...-

- Lo so; ma non vi è sacrificio troppo grande per la Causa - intervenne la signora Elsing con una voce dolce ma decisa.

- Saremmo liete di aiutarvi ma... Perché non prendete qualche bella ragazza per i banchi di vendita?-

La signora Merriwether ebbe una risata beffarda che parve uscire da una trombetta.

- Non so che cosa sono diventate le ragazze d'oggi. Non hanno il senso della responsabilità. Tutte quelle che non hanno già il loro banco trovano tante di quelle scuse che non vi so dire. Oh, non me la danno ad intendere. Vogliono soltanto non aver da fare per poter civettare con gli ufficiali: ecco tutto. E hanno paura che dietro ai banchi i loro abiti nuovi non si vedano abbastanza. Vorrei proprio che quel capitano che attraversa il blocco... come si chiama? -

- Il capitano Butler - suggerì la signora Elsing.

- Vorrei che facesse entrare più rifornimenti per gli ospedali e meno trine e gonne a cerchi. Oggi saranno entrati venti vestiti, ve lo assicuro! Dunque, Pitty, non c'è tempo di discutere. Dovete venire. Tutti comprenderanno. Del resto, nella stanza di dietro nessuno vi vedrà; e Melly non sarà molto in vista. Il banco delle ragazze McLure è proprio in fondo e non è molto bello; quindi nessuno vi noterà.-

- Credo che dovremmo andare - disse Rossella cercando di dominare la sua agitazione e di conservare un'espressione seria e semplice. - E' il meno che possiamo fare per l'ospedale.-

Nessuna delle visitatrici aveva pronunciato il suo nome; esse si volsero a guardarla severamente. Malgrado il loro estremo bisogno, non avevano neppur pensato a chiedere a una vedova di pochi mesi di apparire in una riunione mondana. Rossella sopportò il loro sguardo con un'espressione infantile e innocente.

- Credo che dobbiamo andare e fare del nostro meglio, tutte quante. Io andrò al banco con Melly perché... sì, mi pare che sia meglio essere in due. Non ti pare, Melly? -

- Ma... - cominciò Melly, smarrita. L'idea di apparire a una riunione essendo in lutto era così inaudita che ne rimaneva sbalordita.

- Rossella ha ragione - affermò la signora Merriwether, osservando segni di indebolimento nella resistenza. Si alzò e si rassettò i cerchi della gonna. - Tutt'e due... sì, dovete venire tutte quante. Non ricominciate a cercar delle scuse, Pitty. Pensate che l'ospedale ha un gran bisogno di quattrini per nuovi letti e medicinali. E so che Carlo sarebbe contento di sapere che voi aiutate la Causa per la quale egli è morto.-

- Va bene - fece Pittypat, debole come sempre di fronte a personalità più forti della sua. - Se credete che la gente capirà le ragioni...-

“Troppo bello per esser vero! Troppo bello per esser vero!” cantava in cuor suo Rossella mentre s'insinuava modestamente dietro al banco delle ragazze McLure. Finalmente si trovava in una riunione! Dopo un anno di segregazione, di veli di crespo e di voci sommesse, dopo aver creduto quasi d'impazzire per la noia, ora si trovava in una riunione, la più grande che Atlanta avesse mai visto. Vedeva gente e luci, udiva musica e contemplava le trine, gli abiti, le guarnizioni che il famoso capitano Butler aveva portato attraverso il blocco, dal suo ultimo viaggio.

Sedette su uno degli sgabelli dietro al banco e guardò la lunga sala che fino a quel pomeriggio era stata un ambiente nudo e disadorno. Come dovevano aver lavorato le signore oggi per renderlo così grazioso! L'effetto era veramente riuscito. Tutte le candele e i candelieri di Atlanta dovevano essere in quel luogo, pensò; d'argento con dodici braccia, di porcellana con graziose figurine che ne adornavano la base, d'ottone antico, rigidi e dignitosi, carichi di candele di ogni misura e di ogni colore, odorose di resina, posati su cavalletti da fucile che occupavano la sala nella sua lunghezza, sulle lunghe tavole fiorite, sui banchi di vendita, e perfino sui davanzali delle finestre aperte, dove il lieve soffio della tepida aria estiva bastava ad agitare le fiammelle.

Nel centro della sala l'enorme lampadario di pessima fattura, che alcune catene arrugginite sospendevano al soffitto, era completamente trasformato da tralci di edera e di vite selvaggia che il calore cominciava già a far appassire. Le pareti erano decorate di rami di pino, che diffondevano un odore acuto e trasformavano gli angoli della sala in graziose nicchie, dove sedevano le accompagnatrici e le vecchie signore. Graziosi festoni di edera e di rampicanti drappeggiati al disopra delle finestre pendevano ovunque e si attorcigliavano sui banchi adorni di tarlatana colorata. E fra il verde, su bandiere e orifiammi splendevano le stelle della Confederazione sul loro sfondo rosso e blu.

La piattaforma costruita per l'orchestra era particolarmente artistica. Era completamente nascosta alla vista dai tralci verdi e dalle bandiere stellate; e Rossella sapeva che quivi erano state trasportate tutte le piante in vaso della città: begonie, geranii, oleandri, ninfee, muse... e perfino le quattro preziose piante da gomma della signora Elsing, alle quali era stato dato il posto d'onore nei quattro angoli.

All'altra estremità della sala, di fronte alla piattaforma poi, le signore avevano superato se stesse. A questa parete pendevano grandi ritratti del presidente Davis e del "piccolo Alec" Stephens, il georgiano vicepresidente della Confederazione. Al di sopra era un'enorme bandiera e al di sotto, su lunghe tavole, era il prodotto di tutti i giardini della città: felci, fasci di rose gialle, bianche e vermiglie, steli orgogliosi di gladioli dorati, mazzi di nasturzi variopinti, alti e rigidi rami di agrifoglio che drizzavano le loro sommità marrone e rossicce sugli altri fiori. Frammezzo, le candele ardevano tranquillamente come dinanzi a un altare. I due volti guardavano in basso la scena, due volti tanto diversi quant'era possibile in due uomini a capo di così gloriose imprese: Davis con la faccia magra e gli occhi freddi di un asceta, la bocca sottile chiusa con un'espressione decisa; Stephens con gli occhi neri e ardenti profondamente incavati in un viso che aveva conosciuto soltanto malattia e dolore ed aveva trionfato su questi con fervore giocondo: due volti che erano molto amati.

Le signore più anziane del comitato, nelle cui mani era la responsabilità di tutta la vendita, andavano qua e là con l'importanza di navi bene attrezzate, spingendo frettolosamente le ritardatarie, signore e fanciulle, a prender posto, e poi si recavano nelle stanze adiacenti dov'erano preparati i rinfreschi. La zia Pitty le seguiva ansimando.

I musicanti si arrampicarono sulla piattaforma, neri e ridenti, coi larghi volti lucidi di sudore, e cominciarono ad accordare i violini. Il vecchio Levi, cocchiere della signora Merriwether, che aveva diretto le orchestre di ogni vendita, ballo, o matrimonio fin da quando Atlanta si chiamava ancora Marthasville, picchiò l'archetto sul legno per richiamare l'attenzione. Erano giunte fino allora ben poche persone oltre le signore che dirigevano la vendita; ma tutti gli occhi si volsero verso di lui. Allora i violini, le viole, le fisarmoniche, i banjos e i crotali proruppero in una esecuzione di "Lorena" lentissima, troppo lenta per essere danzata; la danza incomincerebbe più tardi quando i banchi fossero vuoti di merci. Rossella sentì il cuore batterle più rapidamente all'udire la dolce melanconia di quel valzer:

 

Gli anni passano lentamente, Lorena!

La neve copre nuovamente l'erba.

Il sole è lontano nel cielo, Lorena...

 

Uno-due-tre; uno-due-tre, una scivolata... tre, giro... due-tre. Che bel valzer! Ella tese leggermente le mani, chiuse gli occhi e accompagnò il ritmo triste con una lieve oscillazione del corpo. Vi era qualche cosa di avvincente, in quella tragica melodia e nell'amore perduto di Lorena, che si mescolava alla sua eccitazione e le faceva nodo alla gola.

Allora, come se fossero stati suscitati dalla musica del valzer, dalla strada buia giunsero dei rumori: scalpitar di cavalli e strepito di ruote; risate nell'aria tepida e la dolce asprezza delle voci dei negri, che si levavano discutendo per il luogo ove fermare i cavalli. Vi fu una certa confusione per le scale; gaiezza di cuori spensierati, voci fresche di fanciulle unite a quelle più profonde di chi le accompagnava, grida di saluto e scoppi di gioia di giovinette che riconoscevano le amiche da cui si erano separate solo poche ore prima.

A un tratto l'ambiente fu pieno di animazione; in un attimo una quantità di fanciulle in abiti variopinti come farfalle, sorretti da cerchi enormi, con mutandine di pizzo che s'intravedevano al di sotto; piccole candide spalle rotonde, nude; e lievi accenni di morbidi seni che trasparivano sotto i corsaletti di trina; sciarpe di merletto gettate incurantemente sul braccio: ventagli splendenti di pagliuzze o dipinti, di piume di struzzo e di pavone, sospesi al polso da sottili nastri di velluto; fanciulle coi capelli neri pettinati a bande sulle orecchie e raccolti in nodi così pesanti che il capo pendeva alquanto all'indietro; fanciulle con masse di trecce d'oro sulla nuca e lunghi pendenti d'oro che si agitavano insieme ai riccioli ribelli. Trine, sete, alamari, nastri, tutta roba portata attraverso il blocco, e tutta preziosa e indossata con orgoglio, perché sembrava così di fare maggiore affronto agli yankees.

Non tutti i fiori della città erano stati posti come tributo dinanzi ai ritratti dei capi della Confederazione. I boccioli più piccoli e più fragranti ornavano le giovinette. Rose tea appuntate dietro alle orecchie di madreperla, gelsomini del Capo e rose muschiate in piccole ghirlande disposte su cascate di boccoli laterali; mazzolini timidamente nascosti fra le pieghe delle cinture; fiori che prima del terminar della notte troverebbero riparo nelle tasche interne delle uniformi grige, come preziosi ricordi.

Vi erano numerosissime uniformi nella folla; uniformi di uomini che Rossella conosceva, uomini che ella aveva veduto sulle brande degli ospedali, nelle strade, o sul campo di manovre. Uniformi risplendenti di lucidi bottoni e di galloni d'oro sui colletti e sui paramani, con bande rosse, gialle, o blu sui calzoni, secondo i diversi servizi; e sul grigio facevano un bellissimo vedere. Cinture d'oro e scarlatte si vedevano qua e là; sciabole che scintillavano e battevano contro gli stivaloni lucidi, sproni che risonavano e tintinnavano.

"Che begli uomini" pensò Rossella con un senso d'orgoglio, mentre quelli salutavano, facevano cenno agli amici, si curvavano a baciar la mano alle signore anziane. Tutti d'aspetto giovanile, anche coi lunghi mustacchi biondi e le barbe nere e castane; belli, indifferenti, chi col braccio al collo, chi con la testa bendata da una candida fasciatura che contrastava stranamente col volto abbronzato. Alcuni camminavano con le stampelle; e com'erano orgogliose le ragazze che li accompagnavano, rallentando premurosamente il passo per adattarlo al loro! Fra le uniformi si vide splendere a un tratto una brillante macchia di colore che oscurò perfino gli abiti delle fanciulle e sembrò, in mezzo alla folla, un uccello tropicale uno zuavo della Luisiana, coi calzoni rigonfi a strisce bianche e azzurre, le uose crema e una giacchettina rossa: un ometto bruno, sorridente come una scimmia, col braccio in una fascia di seta nera. Era lo spasimante particolare di Maribella Merriwether, Renato Picard. Certamente tutto l'ospedale era presente; per lo meno tutti quelli che erano in grado di camminare; e tutti quelli che erano in licenza ordinaria o per malattia, e quelli che prestavano servizio alla ferrovia, alla posta e all'ospedale, e ai commissariati di Atlanta e di Macon. Come sarebbero contente le signore! L'ospedale doveva fare un sacco di quattrini stasera.

Dalla strada giunse un rullar di tamburi, uno scalpiccio e grida d'ammirazione dei cocchieri. Uno squillo di tromba e poi una voce tonante che diede il comando di "rompete le righe!" In un attimo le Guardie Nazionali e la Milizia Unitaria, nelle loro uniformi brillanti, fecero scricchiolare l'angusta scaletta ed entrarono nella sala, salutando, inchinandosi, stringendo le mani. Nella Guardia Nazionale erano ragazzi fieri di giocare alla guerra e che si ripromettevano di essere nella Virginia l'anno venturo a quell'epoca, se la guerra durava ancora; vecchi con la barba bianca che rimpiangevano di non esser più giovani, ma erano felici di marciare in uniforme, nella gloria riflessa dei figliuoli che avevano al fronte. Nella Milizia erano parecchi uomini di mezz'età e alcuni anche più anziani; e un discreto gruppo di uomini adatti al servizio militare, che si comportavano meno gaiamente dei loro maggiori e dei loro minori; gente di cui ci si chiedeva sommessamente perché non erano con Lee.

Come potevano accalcarsi tutti in quella sala? Sembrava così grande pochi minuti prima, ed ora era stipata, con l'aria surriscaldata dagli odori della calda notte estiva, di acqua di Colonia, di sacchetti profumati, di cosmetico per capelli e delle torce resinose, fragrante di fiori, e un po' densa perché lo scalpiccio di tanti piedi sollevava un pulviscolo leggero. Lo strepito e la confusione di tante voci rendeva quasi impossibile distinguere qualche parola, e - come se avesse compreso la gioia e l'eccitazione del momento - il vecchio Levi interruppe "Lorena" a metà battuta, battendo sul leggio col suo archetto; poi attaccando con nuova foga, l'orchestra intonò "Bella bandiera azzurra".

Cento voci si unirono al ritornello, cantandolo, gridandolo come un urlo di gioia. Il trombettiere delle Guardie Nazionali si arrampicò sulla piattaforma e si unì alla musica proprio nel momento in cui cominciava il coro; e le note argentine squillarono sulla massa delle voci in modo da dare i brividi; un'emozione intensa percorse la folla.

 

Urrà Urrà! Per i diritti degli abitanti del Sud, urrà!

Urrà per la bella bandiera azzurra

che porta una sola stella!

 

Rossella, cantando insieme agli altri, udì il dolce soprano di Melania salire dietro a lei, chiaro e limpido come le note argentine della tromba. Si volse e vide Melly in piedi, con le mani strette al petto, gli occhi chiusi, una lacrimetta che spuntava negli occhi. Sorrise stranamente a Rossella, quando la musica finì con una smorfietta di scusa mentre si asciugava gli occhi col fazzolettino.

- Sono tanto felice - mormorò - e così orgogliosa dei nostri soldati che mi è venuto da piangere.-

Nei suoi occhi era una luce profonda, quasi di fanatismo, che per un momento illuminò il suo visetto rendendolo bello.

La stessa espressione era sul volto di tutte le donne quando la canzone terminò: lacrime di gioia sulle guance rosee o grinzose, sorrisi sulle labbra, una luce ardente negli occhi che esse volgevano ai loro uomini, l'innamorata all'amante, la madre al figlio, la moglie al marito. Erano tutte belle, di quella bellezza che trasforma anche la donna più brutta quando si sa protetta ed amata e ricambia l'amore a mille doppi.

Amavano i loro uomini, credevano in loro, avevano fede fino al loro ultimo respiro. Come poteva la sventura abbattersi su simili donne, difese com'erano da un esercito di prodi? Vi erano mai stati uomini come questi, dalla creazione del mondo in poi: così eroici, giovanili, teneri e galanti? Com'era possibile che qualche cosa impedisse la vittoria di una Causa giusta come la loro? Una Causa che esse amavano non meno di quanto amavano i loro uomini; una Causa che servivano con le loro mani e i loro cuori, una Causa di cui parlavano, a cui pensavano, di cui sognavano... una Causa a cui avrebbero sacrificato quegli uomini se fosse necessario, sopportando la loro perdita con la stessa fierezza con la quale gli uomini portavano le loro bandiere sul campo.

Nei loro cuori era una piena di devozione e di orgoglio, di sicurezza nella vittoria finale. I trionfi di Stonewall Jackson nella Vallata e la disfatta degli yankees nella battaglia dei Sette Giorni presso Richmond lo mostravano chiaramente. Come poteva esser diversamente, con dei capi come Lee e Jackson? Un'altra vittoria come quella, e gli yankees sarebbero in ginocchio a chieder la pace; gli uomini tornerebbero a casa accolti da risa e da baci! Ancora una vittoria e la guerra sarebbe finita!

Senza dubbio, vi erano delle sedie vuote e dei bimbi che non vedrebbero mai il volto del loro babbo; e tombe senza nome presso le piccole baie solitarie della Virginia e nelle montagne del Tennessee; ma era forse un prezzo troppo grande da pagare per la Causa? Era difficile avere seta per gli abiti, e zucchero e tè; ma queste erano cose sulle quali si poteva scherzare. Del resto, quelli che attraversavano il blocco portavano di tutto, passando sotto al naso degli yankees, e rendendo il possesso di tutto ciò molto più emozionante. Fra breve Raffaele Semmes e la Marina della Confederazione darebbero da fare alle navi da guerra yankees; e allora i porti si riaprirebbero. E l'Inghilterra aiuterebbe la Confederazione a vincer la guerra, perché le fabbriche inglesi erano inoperose non avendo il cotone del Mezzogiorno. E naturalmente l'aristocrazia inglese simpatizzava con l'aristocratica gente del sud, contro quella razza avida di dollari che erano gli yankees.

Così le donne facevano frusciar le loro sete e ridevano e, guardando i loro uomini col cuore gonfio di orgoglio, sapevano che l'amore diveniva più ardente di fronte al pericolo e che la morte era doppiamente dolce per la strana eccitazione che l'accompagnava. Appena volti gli occhi sulla folla, Rossella aveva sentito il proprio cuore battere più celermente per l'insolita animazione che le dava il trovarsi a una riunione mondana; ma quando vide l'espressione ispirata dei visi accanto a lei, pur comprendendo solo a metà, la sua gioia cominciò ad affievolirsi. Tutte le donne presenti ardevano di un'emozione che ella non sentiva. Ciò la sgomentava e la deprimeva. La sala non le sembrava più così bella né le ragazze così brillanti; e l'intensità dell'entusiasmo per la Causa che ancora illuminava tutti i volti, le sembrò... ma sì, le sembrò proprio stupida!

In un subitaneo lampo di conoscenza di se stessa che le fece spalancare la bocca per lo stupore, si rese conto che non condivideva in alcun modo la fierezza e l'orgoglio di quelle donne, il loro desiderio di sacrificare se stesse e tutti i loro averi alla Causa. Prima ancora che l'orrore le facesse riflettere: "No, no... non debbo pensar questo! È un errore... un peccato...", comprese che la Causa non aveva alcuna importanza per lei e che era stufa di sentirne parlare da quella gente che aveva negli occhi un'espressione fanatica. La Causa non le sembrava sacra; ma piuttosto la riteneva una calamità che uccideva inutilmente degli uomini e costava molto denaro e rendeva difficile avere le cose di lusso. Ed era anche stufa dell'infinito lavoro a maglia e dell'infinita preparazione di fasciature e filacce che le rovinavano le unghie. Ed era stufa dell'ospedale! Stufa, annoiata e nauseata dello stomachevole odor di cancrena, e dei gemiti continui, e spaventata dall'espressione che l'avvicinarsi della morte dava ai visi distrutti.

Si guardò attorno furtivamente, mentre questi empi e perfidi pensieri le attraversavano la mente, col timore che qualcuno potesse scorgerli scritti chiaramente sul suo viso. Ma perché, perché non poteva sentire come le altre donne? Così piene di cuore, così sincere nella loro devozione! Esse pensavano realmente ciò che dicevano e facevano. E se qualcuna potesse mai sospettare che lei... No, no, nessuno doveva saperlo! Bisognava che ella continuasse a fingere un entusiasmo e una fierezza che non sentiva recitando la sua parte di vedova di un ufficiale confederato, che sopporta coraggiosamente il suo dolore, che ha il cuore nella tomba di lui, e che sente che la morte di suo marito non ha alcuna importanza se è stata per il trionfo della Causa.

Ma perché era così diversa, così lontana da quelle donne amorose? Ella non poteva amar nulla né nessuno con quell'altruismo. Era una sensazione di solitudine... e non si era mai sentita sola di corpo e di spirito prima d'allora. Dapprima tentò di soffocare quei pensieri; ma la schietta onestà verso se stessa che era in fondo alla sua natura non glielo permise. E così, mentre la vendita continuava, e mentre insieme a Melania attendeva i clienti, la sua mente lavorava attivamente, cercando una giustificazione di fronte a se stessa...compito che di solito non le riusciva difficile.

Le altre donne erano semplicemente sciocche e isteriche coi loro discorsi patriottici; e gli uomini erano quasi altrettanto fastidiosi quando parlavano dei Diritti di Stato. Solo lei, Rossella O'Hara Hamilton, aveva un chiaro buon senso irlandese. Non si sarebbe rimbecillita per la Causa; ma non sarebbe neppur diventata la favola di tutti quanti rivelando i suoi veri sentimenti. Aveva abbastanza equilibrio per considerare la situazione e per fronteggiarla. Come sarebbero rimasti stupiti tutti quanti se avessero conosciuto i suoi pensieri! Che scandalo se fosse improvvisamente salita sulla piattaforma dell'orchestra e avesse dichiarato che riteneva che la guerra ormai doveva finire, in modo che tutti potessero tornare alle loro case a occuparsi del loro cotone, e che vi fossero di nuovo ricevimenti, spasimanti e una quantità di abiti verde chiaro!

Per un attimo la sua auto-giustificazione le diede coraggio ma ella continuò a guardare la sala con disgusto. Il banco di vendita delle ragazze McLure era poco in vista, come aveva detto la signora Merriwether; e vi erano lunghi intervalli durante i quali nessuno si avvicinava e Rossella non aveva nulla da fare se non guardare con invidia la folla felice. Melania sentiva il suo malumore, ma, attribuendolo al ricordo di Carlo, non faceva alcun tentativo di conversazione. Si occupava di disporre gli articoli sul banco in modo più attraente, mentre Rossella guardava cupamente la sala. Perfino i fasci di fiori sotto i ritratti di Davis e Stephens la urtavano.

"Sembra un altare" pensò arricciando il naso. "E il modo come tutti si spingono lì intorno, come se fossero il Padre e il Figliuolo!" Presa da improvviso terrore per la propria irriverenza, cominciò frettolosamente a farsi il segno della Croce come per scusarsi, ma si fermò in tempo.

"Sicuro, è proprio così" discusse con la propria coscienza. “Tutti si spingono come se si trattasse di santi e non sono che uomini; e non sono neanche particolarmente simpatici a vedersi."

In realtà, Stephens non poteva avere un aspetto diverso, essendo sempre stato di salute cagionevole, ma Davis... Guardò il volto altero simile a un cammeo. Era la sua barbetta che le dava soprattutto fastidio. "Gli uomini" pensò "dovrebbero essere interamente rasati oppure avere i baffi o la barba piena. Quei quattro peli danno l'impressione che siano tutto ciò che han potuto fare." E non riconosceva in quel volto la fredda e tenace intelligenza che governava un'intera nazione.

No, non era felice adesso; la gioia che aveva provato da principio nel trovarsi in mezzo alla gente ora non le bastava più. Ella era alla vendita ma non ne faceva parte. Nessuno si occupava di lei: era l'unica donna senza marito che non avesse un corteggiatore, mentre per tutta la vita le era sempre avvenuto di essere il centro del quadro, qualunque esso fosse. Non era giusto! Aveva diciassette anni e i suoi piedini battevano nervosamente il pavimento, nel desiderio di ballare e saltare. Aveva diciassette anni, e un marito nel cimitero di Oakland e un bimbo in culla a casa di Zia Pitty; e tutti erano convinti che ella dovesse esser contenta di ciò che la vita le aveva assegnato. Aveva il seno più bello di qualsiasi fra le ragazze presenti; la vita più sottile e il piede più piccino; ma nessuno badava a lei più che se fosse stata coricata accanto a Carlo con "sua amata sposa" scolpito sulla pietra.

Non era una ragazza che poteva ballare e civettare e non era una moglie che poteva sedere con le altre a criticare la smania di ballare e di civettare delle ragazze. E non era abbastanza anziana per atteggiarsi a vedova. Queste dovevano esser vecchie, tanto vecchie da non aver più alcun desiderio di ballare e di civettare, e di essere ammirate. No, tutto questo era ingiusto; ed era ingiusto dover parlare con voce sommessa e tener gli occhi bassi quando gli uomini, anche simpatici, si avvicinavano al suo banco.

Tutte le ragazze di Atlanta erano circondate; anche le più brutte. E tutte quante avevano dei vestiti così belli! Lei invece sembrava una cornacchia, vestita di soffocante taffettà nero, con le maniche lunghe sino ai polsi, il corpetto chiuso fino al mento e neppur l'ombra di pizzo o di gallone, non un gioiello, eccetto la luttuosa spilla d'onice di Elena; e guardava le ragazze appese al braccio di uomini piacevoli ed eleganti. Tutto questo perché Carlo Hamilton aveva avuto la rosolia. Non aveva neanche avuto una fine gloriosa in battaglia, sicché ella potesse trarne vanto.

Con un senso di ribellione appoggiò i gomiti al banco e fissò la folla, infischiandosi dell'ammonizione di Mammy tante volte ripetuta che non bisognava appoggiare i gomiti perché questo li faceva diventare brutti e grinzosi. Che gliene importava se diventavano brutti? Probabilmente non avrebbe mai più la possibilità di metterli in mostra. Guardava avidamente gli abiti che le passavano dinanzi; seta color crema con ghirlandine di bocciuoli di rosa; raso rosso con diciotto volanti bordati da un vellutino nero; taffettà azzurro chiaro, con la gonna larga dieci metri ornata di cascate di trina; seni esposti; fiori preziosi e profumati. Maribella Merriwether si avvicinò al banco accanto al suo, al braccio dello zuavo; il suo vestito di tarlatana verde mela era così largo da fare apparire la vita come quella di una vespa. Era tutto increspato e guarnito di un pizzo Chantilly color avorio giunto da Charleston con l'ultima spedizione che aveva attraversato il blocco; e Maribella lo ostentava orgogliosamente come se fosse stata lei e non il capitano Butler a compiere quella bravata.

"Come starei bene vestita così" pensò Rossella col cuore pieno di un invidia selvaggia. "Lei ha la vita larga come quella di una mucca. Quel verde è proprio il mio colore e darebbe risalto ai miei occhi. Perché diamine le bionde si arrischiano a mettere quel colore? Alla sua pelle dà la tinta del formaggio vecchio. E pensare che non potrò portarlo mai più, neanche quando mi toglierò il lutto! No; neanche se riesco a rimaritarmi. Mi toccherà portare il grigio, il tané, il viola; al massimo il lilla."

Per un attimo considerò l'ingiustizia di tutto questo. Com'era breve il tempo di divertimento, dei bei vestiti, della danza, della civetteria! Solo pochi anni, troppo pochi! Poi ci si sposava e si portavano degli abiti scuri e malinconici; i bambini sciupavano la linea del corpo e la vita si ingrossava; si rimaneva a sedere negli angoli con altre donne serie e posate e ci si alzava solo a ballare col proprio marito o con qualche vecchio signore che vi pestava i piedi. Se non si faceva in questo modo, le altre signore sparlavano; la reputazione di una donna era rovinata e la sua famiglia messa al bando. Che sciupio di tempo, passar tutta l'infanzia ad imparare come si fa ad attrarre gli uomini e a conservarli, e poi godere di queste cognizioni solo per un anno o due! Considerando la sua educazione compiuta da Elena e da Mammy, si rendeva conto che era stata buona, perché aveva sempre dato ottimi risultati. Vi erano delle regole che bisognava seguire: se le seguivate vedevate coronati i vostri sforzi.

Con le vecchie signore bisognava esser dolci e ingenue, perché le vecchie sono furbe e sorvegliano le ragazze con gelosia, come dei gatti, pronte a graffiare alla più piccola indiscrezione della lingua o degli occhi. Coi vecchi signori una ragazza doveva esser vivace e impertinente e quasi, ma non completamente, civetta; cosicché la vanità dei vecchi imbecilli veniva solleticata. Questo li ringiovaniva; allora vi pizzicavano le guance dicendo che eravate una birichina. In queste occasioni bisognava arrossire; altrimenti i pizzicotti sarebbero diventati più audaci e poi i signori avrebbero detto ai loro figliuoli che eravate una sfacciata.

Con le ragazze e con le giovani spose dovevate essere tutta dolcezza, baciandole ogni volta che le vedevate, anche se ciò avveniva dieci volte al giorno, e metter loro il braccio intorno alla vita, sopportando che facessero altrettanto con voi, per quanto la cosa vi desse noia. Ammiravate il loro abito o il loro bimbo indifferentemente; le stuzzicavate parlando dei loro corteggiatori o le complimentavate per i loro mariti; e ridevate un po' scioccamente affermando con modestia che il vostro fascino era nulla a confronto del loro. E soprattutto, non dicevate mai quello che veramente pensavate su qualsiasi argomento; come esse non dicevano mai a voi i loro veri pensieri.

Lasciavate in pace severamente i mariti delle altre donne, anche se un tempo erano stati vostri spasimanti e anche se vi piacevano. Se eravate troppo gentili coi mariti giovani, le mogli avrebbero detto che eravate una spudorata; era quello il modo di acquistare una cattiva reputazione e di non trovar più un corteggiatore.

Ma coi giovanotti... ah, la cosa era ben diversa! Potevate ridere tranquillamente di loro, e quando venivano di corsa a chiedere perché ridevate, potevate rifiutare di dirglielo e ridere sempre più forte sfidandoli a indovinarne la ragione. Con gli occhi potevate promettere tutte le cose più eccitanti, sicché ciascuno cercava di manovrare in modo da trarvi sola in disparte. E quando qualcuno vi riusciva, allora dovevate essere molto molto offesa, o molto irritata se tentava di baciarvi. Lo costringevate a chiedervi perdono per essersi comportato come un villanzone e poi gli perdonavate così soavemente che egli vi rimaneva intorno cercando di baciarvi una seconda volta. A volte, ma non spesso, glielo permettevate. (Elena e Mammy non glielo avevano insegnato; ma lei sapeva che era una cosa di grande effetto). Allora vi mettevate a piangere e dichiaravate che non sapevate che cosa vi aveva sopraffatta e che eravate certa che egli non vi avrebbe mai più rispettata. Egli vi asciugava gli occhi e il più delle volte vi chiedeva di sposarlo, appunto per dimostrarvi quanto vi rispettava. E allora... oh, allora vi erano tanti modi di comportarsi coi giovanotti, ed ella li conosceva tutti: la sfumatura del lungo sguardo obliquo, il mezzo sorriso dietro al ventaglio, l'ancheggiare in modo che le gonne si allargassero come campane, la risata, l'adulazione, la dolce simpatia. Tutti questi armeggi non avevano mai mancato allo scopo... eccettuato con Ashley.

No, non vi era ragione di imparare tutte queste manovre per servirsene così breve tempo e poi metterle in disparte per sempre. Come sarebbe bello non sposarsi mai, ma continuare a indossare dei bei vestiti verde pallido ed esser sempre corteggiata. Ma se si continuava per troppo tempo, si diventava delle zitelle come Lydia Wilkes; e tutti dicevano "poverina" con un tono di odiosa compassione. No; in fin dei conti era meglio maritarsi e conservare il rispetto di se stessa, anche se non ci si poteva divertire mai più.

Ma che pasticcio era la vita! Perché lei era stata così idiota da sposare proprio Carlo e terminare così la sua vita a sedici anni?

Il suo trasognamento indignato e disperato fu interrotto quando la folla cominciò ad ammassarsi lungo le pareti, con le signore che trattenevano i cerchi delle gonne per impedire che un urto le sollevasse mettendo in mostra più che non fosse corretto delle loro mutandine. Rossella si drizzò in punta di piedi al disopra della folla e vide il capitano della milizia che saliva sulla piattaforma dell'orchestra. Egli gridò un ordine e metà della compagnia si mise sull'attenti. Per qualche istante essi eseguirono una brillante esercitazione che provocò il sudore della loro fronte e le grida e gli applausi degli spettatori. Rossella batté le mani debitamente insieme agli altri e quando i soldati dopo avere avuto l'ordine del "rompete le righe" si sospinsero verso i banchi dove si distribuivano ponce e limonata, ella si volse verso Melania sentendo che era preferibile continuare il suo inganno sul conto della Causa il meglio possibile.

- Belli, non è vero? - fece. Melania stava riordinando sul banco alcuni articoli di maglieria.

- Molti di loro starebbero assai meglio in uniforme grigia e in Virginia - rispose senza curarsi di abbassare la voce. Parecchie madri, orgogliose dei loro figliuoli che erano nella milizia, udirono l'osservazione. La signora Guinan divenne scarlatta e poi pallida, perché il suo venticinquenne Guglielmo era nella compagnia.

Rossella fu sbalordita nell'udire simili parole da Melly e dinanzi a tutti.

- Melly! - esclamò.

- Sai benissimo che è vero, Rossella. Non parlo dei ragazzi e dei vecchi. Ma vi sono nella milizia molti che potrebbero tenere in mano un fucile; ed è ciò che dovrebbero fare in questo momento.-

- Ma... ma... - cominciò Rossella che non aveva mai pensato a questo - qualcuno deve pur rimanere a casa per... - Che diamine le aveva detto Guglielmo Guinan per giustificare la sua presenza in Atlanta? - Qualcuno deve pur rimanere a casa per proteggere lo Stato da un'invasione.-

- Nessuno ci ha invaso e nessuno ci invaderà - replicò freddamente Melania, guardando verso il gruppo della milizia. - E il miglior mezzo per tenere lontani gli invasori è andare in Virginia a battere gli yankees. Quanto alla storia che la milizia deve impedire una sollevazione dei negri... è la cosa più sciocca che io abbia mai udita. Perché dovrebbe sollevarsi il nostro popolo? E' un'ottima scusa, questa, per i codardi. Scommetto che sconfiggeremmo gli yankees in un mese se la milizia di tutti gli Stati andasse a combattere. Ecco!-

- Ma Melly! - esclamò di nuovo Rossella guardandola sbalordita.

Gli occhi neri di Melania ardevano di collera. - Mio marito non ha avuto paura di andare e neanche il tuo. E preferirei che fossero morti tutti e due piuttosto che vederli qui a casa... Oh, cara, perdonami! Come sono crudele e imprudente! -

Afferrò il braccio di Rossella come per scusarsi e quella la fissò. Ma in quel momento non pensava a Carlo morto. Pensava ad Ashley. Se morisse anche lui? Si volse in fretta e sorrise automaticamente al dottor Meade che si avvicinava al loro banco.

- Brave, figliuole - fece salutandole. - Siete state molto gentili a venire. So che per voi è stato un sacrificio; ma tutto si fa per la Causa. Ora vi dirò un segreto. Ho trovato un modo per fare parecchio denaro per l'ospedale; ma temo che qualche signora sarà scandalizzata.-

Si fermò e ridacchiò mentre si grattava la barbetta caprina.

- Che cosa? Ditecelo, siate buono! -

- Veramente è meglio farvelo indovinare. Ma voialtre ragazze dovrete difendermi, se i membri della chiesa propongono di espellermi dalla città per questo. Del resto, è per l'ospedale. Vedrete. Non è mai stato fatto niente di questo genere.-

Proseguì pomposamente verso un gruppo di accompagnatrici in un angolo e proprio mentre le due giovani si volgevano l'una all'altra per discutere sulle possibilità di quel segreto, ecco avvicinarsi due vecchi signori i quali dichiararono ad alta voce che desideravano dieci metri di merletto. "Beh, meglio vecchi che niente" pensò Rossella misurando il merletto e rassegnandosi pudicamente ad essere accarezzata sotto il mento. I vecchi si rivolsero poi verso il banco dei rinfreschi ed altri presero il loro posto. Il loro banco non aveva tanti clienti come gli altri, dove risuonavano la risata squillante di Maribella Merriwether e la risatina sommessa di Fanny Elsing e le allegre risposte delle ragazze Whiting. Melly vendeva oggetti inutili ad uomini che non sapevano che cosa farne, tranquilla e serena come una negoziante, e Rossella modellava il suo contegno su quello della cognata.

Dinanzi a tutti i banchi, eccettuato il loro, era una folla di ragazze che ciarlavano e di uomini che compravano. I pochi che si avvicinavano al loro banco parlavano della propria camerateria universitaria con Ashley, dicevano che era un bravo soldato, oppure accennavano rispettosamente a Carlo, affermando che la sua morte era stata una grande perdita per Atlanta.

Quindi la musica attaccò il ritmo irregolare di "Johnny Booker, aiuta i negri!" e Rossella ebbe voglia di urlare. Desiderava ballare. Ne sentiva il bisogno. Guardò il pavimento e batté i piedi in cadenza; i suoi occhi ardevano di una fiamma verde. Attraverso la sala un uomo, appena arrivato e ancora fermo sulla soglia della porta, li vide, sussultò riconoscendoli e osservò più attentamente quegli occhi dal taglio obliquo nel volto caparbio e ribelle. Quindi ghignò fra sé riconoscendo l'invito che qualsiasi uomo avrebbe potuto leggervi.

Era vestito di panno nero; alto in modo da superare tutti gli ufficiali che gli erano accanto, con le spalle larghe ma la vita sottile, e dei piedi assurdamente piccoli nelle scarpe verniciate. Il suo abito severo, con la camicia finemente pieghettata e i calzoni elegantemente allacciati sotto le uose molto alte, contrastava stranamente col suo volto e con la sua figura; appariva tutto agghindato, con gli abiti di un "dandy" su un corpo da atleta, e segretamente pericoloso sotto la sua graziosa indolenza. Aveva i capelli nerissimi e i baffi piccolini erano anch'essi neri, tagliati corti come quelli di uno straniero in paragone a quelli lunghi e sfioccati degli ufficiali di cavalleria che gli erano accanto. Sembrava, ed era, un uomo di appetiti viziosi e svergognati. Aveva un aspetto di sicurezza e di spiacevole impertinenza; vi era anche un lampo di malizia nei suoi occhi che fissavano audacemente Rossella, finché questa, sentendo finalmente il suo sguardo, si volse verso di lui.

Ebbe l'impressione di riconoscerlo, pur non riuscendo dapprima a ricordare chi fosse. Ma era il primo uomo che, da molti mesi, le mostrasse un certo interesse; perciò gli sorrise gaiamente. Rispose con un piccolo cenno al suo inchino; ma quando egli mosse verso di lei con una singolare andatura, flessuosa come quella degli indiani, ella portò la mano alla bocca con un gesto d'orrore, riconoscendolo.

Rimase paralizzata, come colpita dal fulmine, mentre egli si apriva un varco attraverso la folla. Quindi si voltò, pronta a fuggire nella sala dei rinfreschi; ma la sua gonna si impigliò in un chiodo del banco. La tirò furiosamente, lacerandola; ma intanto egli era giunto accanto a lei.

- Permettete - disse chinandosi a staccare delicatamente il volano. - Non speravo che vi ricordaste di me, miss O'Hara.-

La sua voce suonò bizzarramente piacevole al suo orecchio; era la voce ben modulata di un signore, sonora e col leggero accento strascicato di Charleston.

Ella lo fissò implorante, col volto che si era coperto di rossore al ricordo del loro ultimo incontro, e si trovò di fronte gli occhi più neri che avesse mai visto, che brillavano di una gaiezza spietata. Fra tutti gli uomini del mondo che avrebbero potuto capitare in quel luogo, bisognava che fosse proprio quel tremendo individuo che aveva assistito a quella scena con Ashley che le dava tuttora degli incubi; quell'odioso mascalzone che rovinava le fanciulle e non era ricevuto dalle persone perbene; quell'uomo spregevole che aveva detto, e con ragione, che lei non era una signora.

Al suono di quella voce Melania si volse e, per la prima volta in vita sua, Rossella ringraziò il cielo per l'esistenza di sua cognata.

- Ma... è il signor Butler, non è vero? - E Melania sorrise lievemente tendendogli la mano. - Vi ho conosciuto...-

- Nella felice circostanza dell'annunzio del vostro fidanzamento- la interruppe egli chinandosi a baciarle la mano. - Siete molto gentile a ricordarvi di me.-

- E che cosa fate così lontano da Charleston, Mister Butler? -

- Affari, Mrs Wilkes, e affari poco divertenti. Da ora in poi dovrò andare avanti e indietro dalla vostra città. Non soltanto debbo portar dentro le merci, ma anche sorvegliare come vengono distribuite.-

- Portar dentro... - cominciò Melania aggrottando la fronte; e subito dopo ebbe un sorriso di piacere.- Ma allora... voi siete il famoso capitano Butler di cui ho sentito tanto parlare... quello che attraversa il blocco! Figuratevi, tutte le ragazze qui dentro indossano abiti che sono stati introdotti da voi. Rossella, non sei emozionata... Che hai, tesoro? Ti senti male? Siedi...-

Rossella piombò sulla sedia, respirando così affannosamente che ebbe paura che le stringhe del suo busto si rompessero. Oh, che cosa tremenda! Non aveva mai pensato di poter nuovamente incontrare quell'uomo. Egli prese dal banco il suo ventaglio nero e cominciò a sventolarla con sollecitudine, troppa sollecitudine; il suo volto era grave ma gli occhi brillavano ancora maliziosamente.

- Fa troppo caldo qui - disse poi. - Non fa meraviglia che miss O'Hara si senta poco bene. Volete che vi accompagni a una finestra? -

- No. - Il monosillabo fu pronunciato con tanta durezza che Melly la guardò stupita.

- E' un pezzo che non è più miss O'Hara - riprese poi Melania.- E' la signora Hamilton.. mia cognata. - E le lanciò un breve sguardo affettuoso. Rossella si sentì soffocare vedendo l'espressione del bruno volto di pirata del capitano Butler.

- Sono sicuro che è una gioia per entrambe queste graziose signore replicò questi con un lieve inchino. - Era l'osservazione che facevano tutti gli uomini; ma detta da lui, a Rossella sembrò che significasse proprio il contrario.

- Immagino che i vostri mariti siano qui stasera, in questa lieta occasione? Sarebbe un piacere per me rinnovarne la conoscenza.-

- Mio marito è in Virginia - rispose Melania alzando fieramente la testa. - Ma Carlo... - La sua voce si spezzò.

- E' morto al campo - disse Rossella con voce atona. Quasi masticò le parole. Oh, non se ne andava mai quell'uomo? Melly la guardò stupita e il capitano ebbe un gesto di rimprovero verso se stesso.

- Care signore.. non immaginavo...! Dovete perdonarmi. Ma permettete a un estraneo di dirvi che morire per il proprio paese e vivere per sempre.-

Melania gli sorrise attraverso le lacrime, mentre Rossella sentì dentro di sé un impeto di collera e d'odio impotente. Egli aveva nuovamente fatto un'osservazione gentile, il complimento che qualunque gentiluomo avrebbe fatto in simili circostanze; ma certo senza pensarne neanche una parola. Si burlava di lei. Sapeva che ella non aveva amato Carlo. E Melly era tanto sciocca da non capire quello che vi era sotto le sue parole. "Dio mio, speriamo che nessuno lo capisca!" pensò con un sobbalzo di terrore. Avrebbe detto quello che sapeva? Certo non era un gentiluomo; e perciò sarebbe stato capacissimo di spiattellare ogni cosa. Lo guardò e vide che la sua bocca era un po' abbassata agli angoli con beffarda simpatia, mentre egli continuava ad agitare il ventaglio. Qualche cosa in quell'espressione fu per lei come una sfida e le fece tornare le forze in un impeto di antipatia. bruscamente gli strappò di mano il ventaglio.

- Sto benissimo - disse sgarbatamente. - E' inutile sventolarmi per scompigliarmi i capelli.-

- Rossella, cara! Capitano, dovete scusarla. Non è... E' fuori di sé quando sente parlare di Carlo... e forse non saremmo dovute venire qui stasera. Siamo ancora in lutto, come vedete; e per lei è uno sforzo...tutta questa gaiezza e la musica... povera figliuola! -

- Capisco - rispose egli con studiata gravità; ma nel rivolgere a Melania uno sguardo che penetrò fino in fondo nei suoi dolci occhi turbati, la sua espressione mutò. Sul suo volto bruno si dipinse il rispetto e una certa gentilezza. - Credo che siate una piccola donna molto coraggiosa, Mrs. Wilkes.-

“E non una parola per me!” disse fra sé, indignata, Rossella, mentre Melly sorrideva un po' confusa e rispondeva:

- Oh Dio, no, capitano Butler! Il comitato dell'ospedale ci ha pregate di tenere questo banco perché all'ultimo momento... Un copricuscino? Eccone uno graziosissimo, con la bandiera.-

Si volse a tre soldati di cavalleria che si erano avvicinati al banco. Per un momento, Melania pensò che il capitano Butler era molto gentile. Poi si augurò che qualche cosa di più sostanziale che la tarlatana fosse tra il suo abito e la sputacchiera che era di fianco al banco, perché la mira dei soldati con la bocca piena di tabacco masticato non era così esatta come quella che essi dimostravano con le loro pistole. Quindi dimenticò il capitano, Rossella e la sputacchiera, perché nuovi clienti circondavano il banco.

Rossella era rimasta tranquillamente seduta a sventagliarsi, senza osare alzare gli occhi e augurandosi di vedere il capitano sulla tolda della sua nave.

- Vostro marito è morto da un pezzo? -

- Oh sì. Quasi da un anno.-

- Un'eternità, naturalmente.-

Rossella non ne era ben certa; ma sulla qualità adescatrice quella voce non potevano esservi dubbi. Comunque, non rispose.

- Siete stata maritata per molto tempo? Perdonate la mia domanda, ma sono stato a lungo assente da questi luoghi.-

- Due mesi - rispose Rossella involontariamente.

- Una vera tragedia - proseguì la voce tranquilla.

"Che Dio lo maledica" pensò Rossella con violenza. "Se fosse un altro uomo non farei altro che prendere un'aria glaciale e congedarlo. Ma egli sa di Ashley e sa che non amavo Carlo. Ed ho le mani legate." Non rispose e guardò il suo ventaglio.

- E questa è la vostra prima comparsa in società? -

- So che la cosa può sembrare strana - si affrettò a spiegare.- Ma le ragazze McLure che dovevano vendere a questo banco son dovute partire e non vi era nessun altro; quindi Melania ed io...-

- Nessun sacrificio è troppo grande per la Causa.-

Strano: le stesse parole della signora Elsing. Ma quando le aveva pronunciate lei, le erano sembrate tutte diverse. Le salì alle labbra una risposta bruciante ma la inghiottì. Dopo tutto, lei si trovava colà non per la Causa ma perché era stanca di stare in casa.

- Ho sempre pensato - aveva ripreso il capitano riflessivamente- che il sistema del lutto e di imprigionare le donne nel crespo per il resto della vita impedendo loro le gioie più naturali, è tanto barbaro quanto il "sutti" indiano.-

- Il "sutti"?-

L'uomo rise ed ella arrossì della propria ignoranza. Detestava le persone che usavano parole che le erano sconosciute.

- In India quando un uomo muore, lo bruciano invece di seppellirlo; e sua moglie si arrampica sul rogo funerario e viene arsa con lui.-

- Che cosa orribile! E perché lo fanno? La polizia non lo impedisce? -

- No davvero. Una donna che non si facesse bruciare insieme al proprio marito sarebbe socialmente una fuori casta. Tutte le donne indù di una certa importanza parlerebbero di lei perché non si è comportata come deve una donna ben nata... precisamente come quelle degne signore in quell'angolo parlerebbero di voi se stasera foste apparsa qui vestita di rosso e se vi metteste a dirigere una danza. Personalmente io ritengo il "sutti" un uso molto più misericordioso che il nostro simpatico costume meridionale che seppellisce vive le vedove.-

- Come osate dire che io sono una sepolta viva! -

- Come ci tengono le donne alle catene che le imprigionano! Voi ritenete barbaro il costume indù... ma avreste avuto il coraggio di apparire qui questa sera se la Confederazione non avesse avuto bisogno di voi?-

Gli argomenti di questo genere confondevano sempre Rossella. Questo poi la confondeva doppiamente perché ella aveva una vaga idea che contenesse un fondo di verità. Ma adesso era venuto il momento di prendere la rivincita.

- E' naturale che non sarei venuta. Sarebbe stato... oltre che irrispettoso... si sarebbe potuto credere che io non am...-

Gli occhi di lui attesero le sue parole con un'espressione cinicamente divertita; ed ella non riuscì a proseguire. Egli sapeva che Rossella non aveva amato Carlo, e non le consentiva di fingere i bei sentimenti che non provava. Che cosa terribile, terribile, aver a che fare con un individuo che non era un gentiluomo! Un gentiluomo aveva sempre l'aria di credere a una signora, anche quando sapeva che mentiva. Questa era la cavalleria del Sud. Il sesso forte obbediva alle regole e diceva soltanto le cose corrette, cercando di render facile la vita alle signore. Ma costui sembrava che non si curasse in alcun modo delle regole ed evidentemente si divertiva a parlar di cose di cui nessuno parlava mai.

- Attendo con ansia.-

- Siete detestabile - disse ella smarrita, abbassando gli occhi.

Egli si appoggiò sul banco chinandosi finché la sua bocca fu accanto al suo orecchio e bisbigliò, in un'ottima imitazione del tiranno che si vedeva a volte sulle scene: - Non temete, bella signora! Il vostro colpevole segreto è chiuso nel mio cuore.-

- Oh, - mormorò Rossella febbrilmente - come potete dire una cosa simile? -

-L'ho fatto per tranquillizzarvi. Che cosa volete che vi dica "Siate mia, o bella, altrimenti rivelerò ogni cosa?"-

Ella incontrò involontariamente i suoi occhi e vide che erano canzonatori come quelli di un bambino. E allora rise. Dopo tutto la situazione era buffa. Anch'egli rise, e così forte che alcune delle signore che erano nell'angolo si voltarono a guardare.

Vedendo che la vedova di Carlo Hamilton si divertiva, o sembrava divertirsi con un estraneo, avvicinarono le teste, disapprovando.

 

Vi fu un rullo di tamburo e molte voci fecero: "sst!" mentre il dottor Meade saliva sulla piattaforma e allargava le braccia invitando al silenzio..

- Tutti dobbiamo esprimere la nostra gratitudine alle gentili signore i cui sforzi patriottici ed instancabili hanno fatto di questa vendita non solo un successo finanziario, ma hanno anche trasformato questa rozza sala in un ritrovo di bellezza, in un giardino adatto ai meravigliosi boccioli di rosa che mi vedo intorno.-

Tutti applaudirono.

- Le signore hanno dato tutto ciò che potevano; non solo il loro tempo ma anche il lavoro delle loro mani, e i graziosi oggetti che si trovano esposti sui banchi, sono ancor più belli essendo stati eseguiti dalle mani delicate delle nostre donne.-

Vi furono applausi anche più rumorosi e Rhett Butler che era appoggiato negligentemente al banco accanto a Rossella, mormorò: - Com'è vanitoso quel capretto, non è vero?-

Sbalordita e inorridita per questa mancanza di rispetto verso il più amato cittadino di Atlanta, essa lo guardò con riprovazione. Ma il dottore aveva veramente l'aspetto di una capra, con la barbetta grigia che si agitava ad ogni parola; per cui ella represse a stento una risata.

- Ma tutto questo non basta. Le buone signore del comitato ospedaliero, le cui mani fresche hanno accarezzato molte fronti sofferenti e strappati agli artigli della morte molti bravi figliuoli, feriti per la più santa delle cause, conoscono le nostre necessità. Non le enumererò. Abbiamo bisogno di denaro per provvedere al rifornimento dei medicinali che vengono dall'Inghilterra; e stasera abbiamo qui con noi l'intrepido capitano che con tanto successo attraversa il blocco da un anno e che lo attraverserà per portarci le medicine che ci occorrono. Il capitano Rhett Butler!-

Benché preso alla sprovvista, questi fece un grazioso inchino. Troppo grazioso, pensò Rossella cercando di analizzarlo. Era quasi come se egli esagerasse in cortesia, proprio a causa del grande disprezzo che nutriva per tutti i presenti.

Vi fu uno scoppio di applausi e un gran rigirarsi da parte delle signore che erano nell'angolo. Era dunque con quello che la vedova del povero Carlo Hamilton chiacchierava! E Carletto era morto appena da un anno!

- Abbiamo bisogno di altro denaro ed io ve lo chiedo - continuò il dottore. - Chiedo un sacrificio, che però è molto piccolo a paragone di quelli che compiono i nostri uomini in uniforme grigia. Signore, desidero i vostri gioielli. Li desidero io? No, è la Confederazione che ve li chiede, e so che nessuna rifiuterà. Come è bello l'effetto di una gemma su un bel polso! Come scintillano le spille d'oro sul seno delle nostre patriottiche dame! Ma quanto è più bello il sacrificio di tutto l'oro e di tutte le gemme d'oriente! L'oro sarà fuso e le pietre vendute; e il denaro, adoperato per comprare medicinali e altri generi di massima necessità. Signore, due dei vostri valorosi feriti passeranno fra voi coi cestini e... - ma il resto del discorso si perse nello scroscio di applausi e di voci.

Il primo pensiero di Rossella fu di profonda gratitudine perché il lutto le impediva di portare i preziosi pendenti e la pesante catena d'oro che era stata della nonna Robillard, e i braccialetti d'oro e smalto nero e la spilla di granate.

Vide il piccolo zuavo con un cestello sotto il braccio sano, che faceva il giro della folla, dalla parte della sala dove lei si trovava, e vide le donne giovani e vecchie, ridenti e agitate, che si sfilavano i braccialetti e si toglievano gli orecchini fingendo di farsi male alle orecchie, aiutandosi l'una con l'altra a slacciarsi le collane e a spuntarsi le spille. Vi fu un leggero tintinnar di metalli ed esclamazioni di: - Aspettate, aspettate, sono riuscita ad aprire la molla! Eccolo! - Maribella Merriwether si stava togliendo i suoi bei braccialetti gemelli da sopra e sotto il gomito. Fanny Elsing, gridando: - Mamma, posso? - si stava togliendo dai riccioli l'ornamento di perline montate in oro pesante che era nella famiglia da parecchie generazioni. Ad ogni offerta che cadeva nel cestino le grida e gli applausi raddoppiavano.

Il piccolo uomo sorridente giungeva adesso accanto al loro banco, col cestino che già pesava sul braccio; mentre passava davanti a Rhett Butler, un bel portasigari d'oro fu gettato incurantemente fra gli altri oggetti. Quando giunse dinanzi a Rossella e posò il cestino sul banco, ella crollò la testa mostrandogli le mani aperte per fargli comprendere che non aveva nulla da dare. Era imbarazzante essere l'unica persona che non dava nulla, e in quell'istante vide brillare al suo dito la larga vera d'oro.

Per un attimo cercò di ricordare il volto di Carlo, com'era quando glie l'aveva infilata al dito, ma la sua memoria era offuscata; offuscata dal subitaneo senso d'irritazione che il ricordo di lui le dava sempre. Carlo... era lui la ragione per cui la vita era finita per lei, per cui essa era una vecchia donna.

Con un rapido gesto afferrò l'anello, ma questo aderiva. Lo zuavo si muoveva verso Melania.

- Aspettate! - esclamò Rossella. - Ho una cosa per voi! - L'anello uscì dal dito e mentre ella lo gettava nel cestino pieno di catene, orologi, anelli, spille e braccialetti, incontrò lo sguardo di Rhett Butler. Le sue labbra erano piegate ad un lieve sorriso. Con atto di sfida lo lasciò cadere sul mucchio delle offerte.

- Oh, cara! - sussurrò Melly afferrandole il braccio, con gli occhi splendenti di amore e di orgoglio. - Brava, coraggiosa figliola! Aspettate... vi prego, luogotenente Picard, aspettate! Anch'io ho qualche cosa per voi.-

Si stava sfilando anche lei l'anello nuziale, quell'anello che Rossella sapeva non aver mai lasciato il suo dito da quando Ashley glie lo aveva posto. Meglio di chiunque, ella sapeva che cosa significava quell'anello per Melania. Uscì con difficoltà e per un breve istante rimase stretto nel piccolo pugno. Quindi fu posato dolcemente sul mucchio di gioielli. Le due fanciulle rimasero a guardare lo zuavo che muoveva verso il gruppo di signore anziane, Rossella con aria di sfida, Melania con un'espressione più dolorosa che se avesse pianto. E nessuna delle due espressioni andò perduta per l'uomo che era accanto a loro.

- Se non avessi avuto tu il coraggio di farlo, io non ne sarei stata capace - disse Melly mettendo un braccio attorno alla cintura di Rossella e stringendola dolcemente. Per un attimo Rossella ebbe il desiderio di respingerla e di gridare: "In nome di Dio!" con tutta la forza dei suoi polmoni, come faceva Geraldo quand'era irritato. Ma vide lo sguardo di Rhett Butler, e riuscì ad atteggiare le labbra ad un sorriso agrodolce. Era spiacevole che Melly fraintendesse sempre i motivi che la spingevano ad agire... ma forse sarebbe stato peggio se avesse sospettato la verità.

- Un bel gesto - mormorò dolcemente Butler. - Sono i sacrifici come il vostro che rinsaldano il cuore dei nostri valorosi ragazzi in grigio.-

Parole ardenti le salirono alle labbra; ella le ringhiottì con difficoltà. In tutto ciò che egli diceva si sentiva la canzonatura. E Rossella lo trovava singolarmente antipatico, vedendolo lì appoggiato negligentemente al loro banco. Ma in lui era peraltro qualche cosa di stimolante: qualcosa di vitale, di elettrizzante. Tutto quanto vi era in lei di irlandese si ridestò, alla sfida di quegli occhi neri. Decise quindi di fare abbassare alquanto la cresta a quell'uomo. La sua conoscenza del di lei segreto gli dava un vantaggio esasperante; bisognava dunque trovar modo di metterlo al di sotto. Dominò l'impulso di dirgli schiettamente ciò che pensava di lui. Si prendono più mosche con lo zucchero che con l'aceto, come diceva spesso Mammy, e lei si disponeva adesso ad acchiappare e sottomettere quel moscone in modo che egli non potesse più averla in suo dominio.

- Grazie - gli rispose dolcemente, fraintendendo deliberatamente la sua ironia. - Un complimento come questo, da una celebrità come il capitano Butler è davvero prezioso.-

Egli gettò indietro il capo e rise francamente; “abbaiò” pensò Rossella con asprezza, mentre il rosso le tornava sul volto.

- Perché non dite quello che pensate veramente? - le chiese egli abbassando la voce in modo che, nel vocio generale, giunse soltanto alle sue orecchie. - Perché non dite che sono un fiero mascalzone e non sono un signore, e che debbo andarmene o mi farete cacciar via da uno di quei valorosi giovinotti in uniforme? -

La risposta aspra era già sulla punta della sua lingua; ma dominandosi eroicamente, Rossella replicò: - Macché, capitano Butler! Come correte! Come se tutti ignorassero che siete famoso, che siete coraggioso e che... che...-

- Sono deluso sul vostro conto.-

- Deluso? -

- Sì. In occasione del nostro primo fausto incontro avevo supposto di aver finalmente trovato una ragazza che fosse non soltanto bella, ma anche coraggiosa. Ora vedo che siete soltanto bella. -

- Vorreste dirmi che sono codarda? - Si agitava come una gallina.

- Precisamente. Vi manca il coraggio di dire quello che sentite. Quando vi conobbi, pensai: questa è una ragazza come ce n'è una in un milione. Non è come quelle altre stupidine che credono a tutto ciò che le mamme e le bambinaie dicono, e agiscono in conseguenza, quali che siano i loro sentimenti. E nascondono sentimenti e desideri e piccoli dolori sotto una quantità di parole gentili. Pensai: “Miss O'Hara è una ragazza di uno spirito raro. Sa che cosa vuole e non ha riguardo a dire quel che le passa per la mente... o a gettare dei portafiori.”-

- Oh! - esclamò ella lasciandosi vincere dall'ira. - Allora vi dirò proprio quello che penso. Se aveste avuto un briciolo di superiorità non vi sareste avvicinato a parlare con me. Avreste compreso che desideravo non avervi mai più sotto gli occhi! Ma non siete un gentiluomo! Siete un individuo villano e ripugnante. E siccome le vostre luride e piccole navi riescono a passare sotto il naso agli yankees, voi credete di avere il diritto di venire qui a beffarvi di uomini coraggiosi e di donne che sacrificano tutto per la Causa...-

- Basta, basta, - pregò egli con un sorriso. - Siete partita ottimamente, dicendo quel che pensavate; ma ora non cominciate a parlarmi della Causa. Sono stufo di sentirne parlare e scommetto che lo siete anche voi...-

- Ma come potete... - ricominciò Rossella perdendo il controllo; quindi si trattenne subito, irritatissima contro se stessa per essere caduta in quella trappola.

- Ero sulla soglia della porta prima che voi mi vedeste e osservavo le altre giovani. Sembrava che il volto di tutte fosse fuso in uno stesso modello. Il vostro no. Voi avete un viso sul quale si legge facilmente. Eravate svagata e potrei garantire che non pensavate né alla Causa né all'ospedale. Sul vostro volto era scritto che desideravate ballare, divertirvi, e che non potevate. Ed eravate furibonda di questo.

Ditemi la verità. Ho ragione? -

- Non ho altro da dirvi, capitano Butler - ella rispose il più cerimoniosamente possibile, cercando di raccogliere attorno a sé i brandelli della propria dignità. - Pavoneggiatevi quanto vi pare perché siete il "grande sforzatore del blocco" ma astenetevi dall'insultare le donne.-

- Il "grande sforzatore del blocco"! E' uno scherzo. Vi prego di darmi ancora un attimo del vostro tempo prezioso prima di sprofondarmi nelle tenebre. Non vorrei che una così graziosa patriota facesse un errato apprezzamento su quello che è il mio contributo alla Causa della Confederazione.-

- Non tengo affatto ad ascoltare le vostre vanterie.-

- Il blocco per me è un affare che mi fa guadagnare dei quattrini. Quando non mi renderà più lo abbandonerò. Che ve ne pare? -

- Penso che siete un mascalzone mercenario... proprio come gli yankees.-

- Infatti - sogghignò il capitano. - E gli yankees mi aiutano a far quattrini. Figuratevi che il mese scorso ho ancorato la mia nave proprio nel porto di Nuova York per caricare della mercanzia.-

- Come? - esclamò Rossella eccitata e interessata suo malgrado.- E non vi hanno sparato addosso? -

- Povera innocente! Neppur per sogno. Vi sono nell'Unione molti bravi patrioti che non sono affatto alieni dal guadagnare del denaro vendendo merci alla Confederazione. Io ancoro la mia nave dinanzi a Nuova York, compro dalle ditte yankee (naturalmente per contanti) e me ne vado. E quando la cosa diventa un po' pericolosa, vado a Nassau, dove gli stessi bravi patrioti hanno portato per me munizioni e articoli di moda. È più comodo che andare in Inghilterra. A volte non è tanto facile riuscire a penetrare a Charleston o a Wilmington....Ma non potete immaginare come si arriva lontani con un po' di denaro...-

- Oh, sapevo che gli yankees erano abietti; ma ignoravo...-

- Perché sofisticare sugli yankees che guadagnano onestamente qualche quattrinello vendendo il loro Paese? Fra cento anni nessuno se ne ricorderà più. E il risultato sarà lo stesso. Essi sanno che la Confederazione sarà battuta: perché non dovrebbero guadagnarci sopra? -

- Battuti... noi? -

- Senza dubbio.-

- Volete farmi il favore di lasciarmi... o dovrò chiamare la mia carrozza e andarmene a casa per liberarmi di voi? -

- Un'ardente piccola ribelle - fece egli con un altro sogghigno.

Si inchinò e si allontanò lasciandola ansimante di indignazione e di collera impotente. In lei era un amaro dispetto che non riusciva ad analizzare; simile a quello di un bimbo che vede crollare una sua illusione. Come aveva osato, colui, oscurare la gloria di quelli che attraversavano il blocco e come osava dire che la Confederazione sarebbe battuta? Bisognava fucilarlo per questo; fucilarlo come un traditore. Si guardò attorno e vide i visi noti, così sicuri del successo, così coraggiosi, così devoti; un piccolo brivido freddo le passò attraverso il cuore. Battuti? Ah no; non costoro! Certamente no! Il solo pensarlo era impossibile e sleale.

- Che cosa stavate mormorando? - chiese Melania volgendosi a lei appena i suoi clienti si furono allontanati. - Ho visto che la signora Merriwether non ti lasciava con gli occhi; e sai che ha la lingua lunga...-

- Ah, quell'uomo è insopportabile! Un vero villanzone! rispose Rossella. - Quanto alla vecchia Merriwether, lascia pure che parli. Sono stufa di far la bambina per suo uso e consumo.-

- Ma via, Rossella! - esclamò Melania scandalizzata.

- Ssst! - fece Rossella. -Il dottor Meade sta per fare un altro discorso.-

Il chiacchiericcio si interruppe nuovamente e la voce del dottore si alzò ancora una volta, prima di tutto per ringraziare le signore che avevano dato così volenterosamente i loro gioielli.

- Ed ora, signore e signori, vi proporrò una sorpresa: un'innovazione che forse potrà urtare qualcuna di voi. Ma vi prego di considerare che tutto ciò si fa per l'ospedale e a beneficio dei nostri giovani feriti o ammalati.-

Tutti si tesero in avanti cercando di immaginare che cosa avrebbe potuto proporre il dottore, un uomo così serio.

- Stanno per cominciare le danze; e il primo numero, senza dubbio sarà una danza scozzese, un reel seguito da un valzer. Le danze seguenti, polke, mazurke e scottish, saranno precedute da brevi reels (1). Conosco la gentile rivalità per condurre bene i reels, e perciò...- Il dottore inarcò le sopracciglia e lanciò uno sguardo canzonatorio verso l'angolo dove sua moglie sedeva insieme alle signore anziane. -Se voi, signori, desiderate condurre un reel con la dama di vostra scelta, dovete concorrere in un'asta di cui io sarò il banditore. Le dame saranno aggiudicate ai migliori offerenti e il ricavato andrà all'ospedale.-

I ventagli si fermarono improvvisamente e la sala fu attraversata da un'ondata di mormorii eccitati. L'angolo delle signore era in pieno tumulto e la signora Meade, desiderosa di sostenere suo marito in un'azione che in cuor suo disapprovava, si trovava in assoluto svantaggio.

Le signore Elsing, Merriwether e Whiting erano rosse d'indignazione. Ma improvvisamente la Guardia Nazionale lanciò un'evviva che fu seguito da tutti i presenti. Le ragazze batterono le mani e saltarono eccitate.

- Non ti pare che sia... che sia... come una piccola asta di schiavi? - sussurrò Melania, guardando incerta il bellicoso dottore che fino ad ora le era sempre apparso perfetto.

Rossella non disse nulla, ma i suoi occhi brillarono e il suo cuore fu contratto da una pena leggera. Se almeno non fosse stata una vedova! Se fosse ancora Rossella O'Hara, con un abito verde mela guarnito di velluto verde scuro, e delle tuberose nei capelli neri... sarebbe lei a condurre quella danza. Sì, senza dubbio. Vi sarebbero una dozzina di uomini a battersi per lei e a pagare al dottore delle belle cifre. Oh, dover sedere qui a far da tappezzeria contro la sua volontà e vedere Fanny o Maribella condurre la danza come la più bella ragazza di Atlanta!

Al di sopra del tumulto risuonò la voce del piccolo zuavo col suo accento creolo: - Se posso... venti dollari per Miss Maribella Merriwether.-

Maribella si nascose arrossendo dietro la spalla di Fanny e le due fanciulle celarono il volto ognuna nel collo dell'altra ridacchiando mentre altre voci cominciavano a gridare altri nomi ed altre cifre. Il dottor Meade aveva ricominciato a sorridere, ignorando completamente i bisbigli indignati che venivano dalle signore del Comitato ospedaliero.

Da principio la signora Merriwether aveva dichiarato fermamente e ad alta voce che la sua Maribella non avrebbe mai partecipato ad una simile gara; ma poiché il nome di sua figlia veniva gridato sempre più spesso e la cifra aveva già superato i settantacinque dollari, le proteste cominciarono a diminuire.

Rossella teneva i gomiti appoggiati al banco e guardava quasi ferocemente la folla eccitata che rideva affollandosi attorno alla piattaforma con le mani piene di banconote della Confederazione.

Ora tutte ballerebbero, tranne lei e le vecchio signore. Tutti si divertirebbero, meno lei. Vide Rhett Butler dietro il dottore, e prima che potesse mutare l'espressione del suo volto, egli la scorse e abbassò un angolo della bocca sollevando un sopracciglio. Ella sollevò il mento e si volse altrove. In quel momento udì il proprio nome... pronunciato da un'inconfondibile voce charlestoniana che superò il frastuono.

- Mrs. Carlo Hamilton... centocinquanta dollari... in oro. -

Un improvviso zittio attraversò la folla all'udire la somma e il nome. Rossella fu così sbalordita che non riuscì neanche a muoversi. Rimase seduta col mento fra le mani e gli occhi spalancati di meraviglia. Tutti si volsero a guardarla. Ella vide il dottore curvarsi sulla piattaforma e mormorare qualche cosa a Butler. Probabilmente gli diceva che essa era in lutto e non poteva ballare. Ma Rhett crollò le spalle incurante.

- Forse un'altra delle nostre bellezze? - suggerì il dottore.

- No - rispose Rhett ostinato, guardando la folla. - Mrs Hamilton.-

- Vi dico che è impossibile - insistette il dottore. - Mrs Hamilton non vorrà...-

La voce di Rossella le uscì di bocca quasi senza sua volontà, irriconoscibile.

- Sì, son pronta!-

Balzò in piedi col cuore che le martellava così violentemente che temette di non potersi reggere; l'eccitazione di esser nuovamente il centro dell'attenzione, di esser la più desiderata e soprattutto! - la prospettiva di ballare...

- Non me ne importa! Non m'importa quello che diranno! - mormorò trascinata da una specie di follia. Drizzò la testa e uscì dal banco battendo i tacchi come nacchere e tenendo il suo ventaglio nero completamente spiegato. Per un attimo scorse il volto incredulo di Melania, l'espressione delle vecchie signore, le fanciulle petulanti, i soldati che approvavano con entusiasmo. Quindi si trovò in mezzo alla sala e vide Rhett Butler che avanzava verso di lei, fra due ali di folla, col suo beffardo e detestabile sorriso. Ma non gliene importava... Stava per ballare... Per condurre il reel. Gli rivolse un piccolo cenno e un sorriso abbagliante; egli si inchinò con una mano sul petto.

Levi, benché inorridito, si rimise rapidamente e urlò: - Scegliete le vostre dame!-

E l'orchestra intonò il reel più bello di tutti: "Dixie".

 

-Come avete osato mettermi così in vista, capitano Butler? -

- Ma, cara Mrs. Hamilton, era così evidente che desideravate esserlo! -

- Come avete potuto gridare il mio nome così pubblicamente? -

- Avreste potuto rifiutare.-

- Ma... debbo alla Causa...Non potevo pensare a me stessa quando voi offrivate tanto denaro e in oro. Smettetela di ridere: tutti ci guardano.-

- Tanto, ci guardano lo stesso. Non cercate di darmela a bere, questa frottola della Causa. Voi desideravate ballare ed io ve ne ho dato la possibilità. Questa marcia è l'ultima figura del reel, non è vero? -

- Sì...Ora debbo smettere e sedermi.-

- Perché? Vi ho pestato un piede? -

- No... ma parleranno male di me.-

- Ve ne importa proprio... in cuor vostro? -

- Ma...-

- Non state commettendo nessun delitto, vero? Perché non ballereste il valzer con me? -

- Se la mamma venisse a...-

- Ancora legata al grembiale della mamma? -

- Avete un modo detestabile di far sembrare stupida ogni virtù.-

- Ma le virtù sono stupide. Che cosa v'importa se la gente chiacchiera ? -

- Niente... ma... Non ne parliamo più. Per fortuna, ora comincia il valzer. Il reel mi lascia sempre senza fiato.-

- Non eludete la mia domanda. Vi è mai importato nulla di quello che dicono le altre donne? -

- Oh, se debbo proprio esser sincera... no! Ma una ragazza dovrebbe esser cauta. Stasera, però, non me ne importa nulla davvero.-

- Brava! Ora cominciate a pensare con la vostra testa, invece di lasciare che gli altri pensino per voi. Questo è il principio della saggezza.-

- Ma...-

- Quando sul vostro conto si saranno fatte tante chiacchiere come sul mio, vi accorgerete della nessuna importanza di questo. Pensate che non vi è una casa a Charleston dove io sia ricevuto. Neanche il mio contributo alla nostra giusta e santa Causa è bastato a far togliere il bando.-

- Terribile! -

- Niente affatto. Finché uno non ha perso la reputazione, non capisce che era un peso enorme e che la libertà è una bella cosa.-

- Dite delle cose scandalose! -

- Scandalose e vere. Purché si abbia coraggio... e denaro, si può fare a meno della reputazione.-

- Non tutto si può comprare col denaro.-

- Questo deve avervelo detto qualcuno. Non avreste mai pensato da sola una simile insulsaggine. Che cosa non si può comprare? -

- Mah, non saprei... Per esempio, la felicità o l'amore.-

- Di solito si può comprare anche quello. E quando non si può, si compra qualcuno dei migliori surrogati.-

- E voi avete tanto denaro, capitano Butler? -

- Che domanda grossolana, Mrs. Hamilton! Sono sorpreso. Ma vi rispondo di sì. Per essere un giovinotto che si è trovato nella sua prima adolescenza di fronte alla vita senza uno scellino, me la son cavata discretamente. E credo che il blocco mi renderà un milioncino.-

- No?! -

- Oh sì! Quel che la gente sembra non capisca è che si può guadagnare tanto denaro nel naufragio di una civiltà come nella costruzione di un'altra.-

- E che significa tutto questo? -

- La vostra famiglia, come la mia e tutti quelli che sono qui stasera, hanno fatto la loro fortuna trasformando un deserto in un luogo civile. Questo si chiama costruire un impero. E la costruzione di un impero fa guadagnar molto denaro. Ma se ne guadagna anche di più nella sua distruzione.-

- Di che impero state parlando? -

- Questo impero in cui viviamo... il Sud... la Confederazione... il Regno del Cotone... sta sprofondando sotto i nostri piedi. Solo gli sciocchi non lo vedono e non sanno trarre vantaggio da questo crollo. Io invece sto fabbricando in questo disastro la mia fortuna.-

- Credete veramente che saremo battuti? -

- Sì. Perché nasconder la testa come uno struzzo? -

- Dio mio, come mi annoia parlare di questo... Voi non dite mai delle cose graziose, capitano? -

- Vi piacerebbe che vi dicessi che i vostri occhi sono dei piccoli acquari pieni di una meravigliosa acqua verde e che quando i pesciolini vengono a nuotare a galla, come adesso, siete diabolicamente graziosa? -

- No, non mi piace questo... Non è bella questa musica? Oh, potrei ballare il valzer in continuazione...-

- Siete la più mirabile danzatrice che io abbia mai tenuto fra le braccia.-

- Capitano Butler, mi stringete troppo! Tutti ci guardano...-

- Se nessuno vedesse, protestereste ugualmente? -

- Capitano, mi pare che stiate diventando poco corretto.-

- Neppur per ombra. Come potrei, avendo voi fra le braccia? Che musica è questa? Una novità? -

- Sì. Non è bella? L'abbiamo rubata agli yankees.-

- Come s'intitola? -

- "Quando la guerra crudele sarà finita." -

- Come sono le parole? Cantatemele.-

 

"Caro amor mio, ti ricordi

quando ci siamo visti l'ultima volta?

Quando mi dicesti il tuo amore

inginocchiato ai miei piedi?

Oh, come eri fiero dinanzi a me

nella tua uniforme grigia!

Quando giurasti eterna fede

alla tua bella e al tuo paese!

Ora piango triste e sola,

i miei sospiri e le mie lacrime sono vani!

Quando la guerra crudele sarà finita

voglia Iddio che ci rivediamo!"

 

- Veramente diceva "uniforme azzurra", ma noi l'abbiamo cambiata in "grigia"!... Ballate il valzer molto bene, capitano Butler. Sapete che molti grandi uomini non sanno ballare? E dire che passeranno anni e anni prima che io balli un'altra volta! -

- Solo pochi minuti. Vi impegno per il prossimo reel... e poi per il seguente e il seguente ancora.-

- Oh no, non posso! Non dovete! La mia reputazione sarebbe rovinata! -

- E' già abbastanza scossa; quindi, che importa un ballo di più? Forse darò la possibilità di ballare con voi agli altri giovinotti dopo che avrò ballato cinque o sei danze; ma l'ultima la voglio io.-

- Va bene. So che è una pazzia, ma non me ne importa. Non m'importa nulla di quello che diranno.

Sono stufa di stare in casa. Voglio ballare, ballare...-

- E non vestir più di nero! Detesto il crespo funereo.-

- Oh, non posso togliermi il lutto... Non dovete stringermi tanto, capitano. Mi fate arrabbiare.-

- E siete uno splendore quando vi arrabbiate. Ora vi stringo di più...ecco... per vedere se vi adirate davvero. Non avete idea di come eravate deliziosa quel giorno alle Dodici Querce quando eravate furibonda e scagliavate gli oggetti...-

- Oh, vi prego...Non volete dimenticare quella giornata? -

- No; è uno dei miei ricordi più preziosi... una delicata e beneducata bellezza meridionale in cui ribolle il sangue irlandese... Siete molto irlandese, sapete? -

- Dio mio, la musica finisce... Ecco zia Pittypat che esce dalla sala dei rinfreschi. Son certa che la signora Merriwether deve averglielo detto. Per carità, allontaniamoci e andiamo ad affacciarci alla finestra. Non voglio che mi fermi adesso...Ha gli occhi sgranati come se volesse divorarmi...-

 

NOTE.

NOTA 1: "Reel" (pronuncia riil): è una danza scozzese abbastanza vivace, ballata da due o più coppie; la sua musica è scritta generalmente in tempo ordinario (quattro quarti) ma qualche volta anche in tempo di giga di sei per otto, o due terzine di crome.

(N.d.T.)

10

La mattina dopo, mentre mangiavano dei cialdoni, Pittypat era piagnucolosa, Melania silenziosa e Rossella sfrontata.

- Non m'importa quello che dicono. Scommetto che ho fatto guadagnare più denari per l'ospedale di tutte le altre... e anche di più che con tutto quel vecchiume che abbiamo venduto.-

- Ma che importa il denaro, tesoro mio? - gemeva Pittypat torcendosi le mani. - Non potevo credere ai miei occhi... Dire che il povero Carlo è morto appena da un anno... E quel tremendo capitano Butler che ti ha messa così in vista... ed è una persona impossibile, Rossella! La cugina della signora Whiting, una certa signora Coleman il cui marito è venuto da Charleston, mi ha raccontato che è la pecora nera di un'ottima famiglia. Oh, com'è possibile che un simile individuo sia uscito dalla famiglia Butler? Nessuno lo riceve a Charleston; ha una pessima reputazione e c'è anche stata una storia con una ragazza...qualche cosa di così orribile che neanche la signora Coleman sapeva bene...-

- Non credo poi che sia questo orrore - interruppe Melly dolcemente. - Sembra un perfetto gentiluomo; e se si pensa al coraggio che dimostra passando attraverso il blocco...-

- Non è affatto coraggioso - ribatté Rossella con perversità versandosi un po' di sciroppo sui cialdoni. - Lo fa per guadagnare del denaro. Me lo ha detto lui. Non gl'importa nulla della Confederazione e dice che saremo battuti. Ma balla divinamente.-

Le altre due donne erano ammutolite dall'orrore.

- Sono stufa di rimanere in casa e non voglio rimanervi più. Se ieri sera si è sparlato di me, la mia reputazione è già rovinata; e allora non m'importa nulla di ciò che potranno dire ancora.-

Non le venne in mente che quest'idea era di Rhett Butler. Era così semplice e si adattava così bene ai suoi sentimenti!

- Ma che dirà tua madre quando lo saprà? Che cosa penserà di me?-

Un freddo turbamento prese Rossella al pensiero della costernazione di Elena qualora venisse a conoscere la scandalosa condotta di sua figlia. Ma si rincorò pensando alle venticinque miglia di distanza fra Atlanta e Tara. Certamente Pitty non direbbe nulla ad Elena, per non esser posta lei in cattiva luce come accompagnatrice. E se Pitty non spettegolava, Rossella era salva.

- Credo - rispose Pitty - che farei bene a scrivere ad Enrico in proposito... per quanto mi dia fastidio farlo... Ma è l'unico nostro parente; e lo pregherò di far le sue rimostranze al capitano Butler... Dio mio; se Carlo fosse vivo... Non devi parlare mai più con quell'uomo, Rossella!-

Melania sedeva silenziosa, con le mani in grembo; le frittelle si raffreddavano nel suo piatto. Si alzò e mettendosi dietro a Rossella le pose le braccia intorno al collo.

- Tesoro - le disse - non ti crucciare. Capisco che ciò che hai fatto ieri sera è stato un gesto coraggioso e che porterà un grande aiuto all'ospedale. E se qualcuno osa dire una parola contro di te, provvederò io. Non piangere, zia Pitty. È doloroso per Rossella non andare in nessun posto: pensa che è una bambina. - Giocherellava lievemente coi capelli neri di Rossella. - E forse faremmo bene tutte quante ad andare ogni tanto a qualche ricevimento. Siamo state troppo egoiste a rimanere rinchiuse nel nostro dolore. Vivere in tempo di guerra è diverso. Quando penso a tutti i soldati che sono in questa città, lontani dalle loro famiglie e senza amici coi quali passar la sera... e quelli ricoverati in ospedale che stanno tanto bene da poter lasciare il letto ma non abbastanza da tornare al reggimento... Sì, siamo state egoiste. Dovremmo avere attualmente tre convalescenti in casa, come tutti quanti, e qualcuno dei soldati che sono qui in servizio, a pranzo ogni domenica. Via, Rossella, non ti agitare. La gente non farà chiacchiere, quando avrà compreso. Noi sappiamo che tu amavi Carlo.-

Rossella era ben lontana dall'essere agitata, e le dolci mani di Melania fra i suoi capelli la irritavano. Aveva voglia di gettare indietro la testa e di gridare: "Oh, quante storie!" perché in lei era ancora vivo il ricordo di come i militi delle Guardie Nazionali, la milizia e i soldati dell'ospedale si erano disputati il piacere di ballare con lei la sera prima. Melly era la persona che meno di chiunque altro al mondo ella avrebbe voluto come difensore. Pensasse a difendere se stessa; e se quelle vecchie streghe avevano voglia di graffiare... beh, lei avrebbe fatto a meno di occuparsi di loro. C'erano al mondo troppi begli ufficiali perché valesse la pena di turbarsi per quello che dicevano quattro vecchie.

Pittypat si stava asciugando gli occhi, un po' calmata dalle parole di Melania, quando Prissy entrò con una grossa lettera.

- Per te, Miss Melly. Aver portato biccolo negro.-

- Per me? - fece Melly stupita mentre lacerava la busta.

Rossella stava mangiando le sue frittelle, senza badare a nulla finché uno scoppio di pianto di Melly le fece alzar la testa e vedere zia Pittypat che si portava la mano al cuore.

- Ashley è morto! - gridò la zitellona gettando indietro la testa e lasciando ricadere le braccia inerti.

- Oh Dio! - esclamò Rossella sentendosi gelare il sangue.

- No, no! - gridò Melania. - Presto, i sali! Via, cara, tesoro; ti senti meglio? Respira profondamente. No, non è Ashley. Mi dispiace tanto di averti spaventata; piangevo perché sono felice... - Aperse il pugno che teneva stretto e portò alle labbra qualche cosa che brillò per un attimo. Rossella vide che era un largo anello d'oro. - Sono tanto felice! - E scoppiò nuovamente a piangere. - Leggi, leggi.- riprese poi indicando la lettera che era caduta a terra. - Oh, com'è caro, com'è buono!-

Rossella, stupita, raccolse il foglio e lesse queste righe, scritte da una ferma mano virile:

"La Confederazione può aver bisogno del sangue dei suoi uomini, ma non richiede ancora quello del cuore delle sue donne. Accettate, cara signora, questo attestato di riverenza per il vostro coraggio e non crediate che esso sia stato inutile, perché questo anello è stato riscattato per dieci volte il suo valore. Capitano Rhett Butler".

Melania si infilò l'anello e lo guardò con tenerezza.

- Non te lo avevo detto che è un gentiluomo? - disse poi volgendosi a Pittypat, con un sorriso che brillava sul volto inondato di lacrime. - Solo un uomo pieno di delicatezza e di sensibilità poteva comprendere come mi si era spezzato il cuore... Manderò invece la mia catena. Zia Pitty, devi scrivergli un biglietto invitandolo a pranzo per domenica, perché io possa ringraziarlo.-

Nell'eccitazione del momento, nessuno pensò che il capitano non aveva restituito anche l'anello nuziale di Rossella. Ma ella lo notò, seccata. E sapeva che il gesto gentile del capitano non era dettato dalla sua delicatezza. Egli voleva essere invitato in casa di Pittypat e ne aveva abilmente trovato il mezzo.

 

"Sono stata molto turbata apprendendo la tua recente condotta" scriveva Elena; e Rossella, che stava leggendo appoggiata alla tavola, aggrottò le ciglia. Le cattive notizie viaggiano presto. A Savannah e a Charleston aveva sempre sentito dire che la gente di Atlanta era molto pettegola e che si occupava dei fatti altrui più di quanto si facesse nelle altre città del Sud; ora ne era convinta. La vendita aveva avuto luogo lunedì sera, e oggi era soltanto giovedì. Chi delle vecchie streghe si era presa il disturbo di scrivere ad Elena? Per un attimo sospettò di Pittypat, ma abbandonò immediatamente il pensiero. La povera Pitty aveva troppo timore di esser biasimata per il contegno di Rossella; e sarebbe stata l'ultima a dar notizia ad Elena della propria scarsa sorveglianza. Piuttosto, la signora Merriwether.

"Stento a credere che tu abbia potuto mettere in non cale la tua dignità e la tua educazione. Passerò sopra alla scorrettezza di apparire in pubblico essendo in lutto, realizzando così il tuo ardente desiderio di esser d'aiuto all'ospedale. Ma ballare, e con un uomo come il capitano Butler! Ho udito molto parlare di lui (e chi non ne ha udito altrettanto?) e anche la settimana scorsa Paolina mi scrisse che è un individuo di pessima reputazione, messo al bando perfino dalla sua famiglia a Charleston; eccezion fatta, naturalmente, della sua disgraziata madre. È un pessimo arnese, che ha approfittato della tua giovinezza e inesperienza per metterti in berlina e disonorare pubblicamente te e la tua famiglia. Come ha potuto Miss Pittypat trascurare così il suo dovere verso di te?"

Rossella guardò sua zia attraverso la tavola. La vecchia signora aveva riconosciuto la calligrafia di Elena e la piccola bocca era stretta con un'espressione di sgomento come quella di una bambina che teme una sgridata e spera di allontanarla con le lacrime.

"Ho il cuore spezzato pensando che hai dimenticato la tua buona educazione. Avevo pensato di richiamarti immediatamente a casa; ma lascerò la decisione di questo a tuo padre. Egli sarà in Atlanta venerdì per parlare col capitano Butler e per riaccompagnarti qui. Temo che sarà molto severo con te, malgrado le mie suppliche. Spero e prego che sia stata solo la gioventù e la sventatezza a consentirti un contegno così sfrontato. Nessuno più di me desidera servire la nostra Causa, e sono felice che le mie figlie abbiano gli stessi sentimenti, ma per disgrazia..."

Continuava ancora sullo stesso tono, ma Rossella non terminò la lettura. Questa volta era veramente spaventata. Non si sentiva più audace e temeraria. Si sentiva giovine e colpevole come quando aveva dieci anni e aveva scaraventato a Susele un biscotto imburrato attraverso la tavola. Gli aspri rimproveri di sua madre, sempre così dolce, e il pensiero di suo padre che veniva apposta per parlare col capitano Butler, la turbarono fortemente. Ora comprendeva la serietà della faccenda. Geraldo sarebbe severo. Una volta, ella sapeva di potere evitare i castighi sedendo sulle sue ginocchia e facendosi gattina e carezzevole.

- No... non vi sono cattive notizie? - balbettò Pittypat.

- Il babbo arriva domani per castigarmi a dovere - rispose Rossella dolorosamente.

- Prissy, cercami i sali - sussurrò Pittypat allontanando la sedia dalla tavola dov'era il piatto mezzo vuoto. - Sento... mi pare di svenire.-

- Essere dentro tasca tua sottana - fece Prissy che era rimasta a gironzolare attorno a Rossella intuendo un dramma sensazionale che l'avrebbe riempita di gioia. Vedere Geraldo adirato era sempre una cosa divertente, purché la sua ira non fosse diretta sopra di lei. Pitty frugò nella sua gonna e si portò la boccettina al naso.

- Voialtre dovete restare accanto a me e non lasciarmi sola neanche un minuto - esclamò Rossella. - Vi vuol così bene papà, che se siete con me non farà tante storie.-

- Non potrò - fece Pitty debolmente alzandosi in piedi. - Mi... mi sento male. Debbo andarmi a mettere a letto. Vi resterò tutto domani. Gli farai le mie scuse.-

"Vigliacca!" pensò Rossella guardandola irritata.

Melly venne in soccorso, benché fosse pallida e sgomenta alla prospettiva di trovarsi dinanzi al furibondo signor O'Hara.

- Io... ti aiuterò a spiegargli che l'hai fatto per l'ospedale. Certo lo capirà.-

- No, non capirà - si lamentò Rossella. - E io morirò se devo tornare a Tara in disgrazia, come minaccia la mamma! -

- No, non puoi tornare a casa! - esclamò Pittypat scoppiando in pianto. - Se tu te ne andassi, sarei costretta... sì, costretta a pregare Enrico di venire a stare con noi e tu sai che con Enrico io non posso vivere. Eppure sono così nervosa a stare in casa di notte, sola con Melania, con tanti stranieri in città! Tu sei così coraggiosa, che con te non m'importa di non avere un uomo! -

- No, non può riportarti a Tara! - disse Melly che sembrò anche lei sul punto di piangere. - Questa adesso è la tua casa. Che cosa faremo senza di te?-

"Sareste ben liete di farne a meno, se sapeste quello che veramente penso di voi" disse fra sé Rossella scontenta, desiderando che vi fosse qualche altra persona, piuttosto che Melania, per sventare le minacce di Geraldo. Era noioso essere difesa da una persona antipatica.

- Forse dovremo posporre il nostro invito al capitano Butler. - cominciò Pitty.

- Impossibile! Sarebbe il colmo della scortesia! - esclamò Melania desolata.

- Accompagnami in camera. Mi sento proprio male - gemette Pitty. - Oh, Rossella, come hai potuto far succedere questo? -

Pittypat era a letto sofferente quando Geraldo arrivò nel pomeriggio dell'indomani. Gli espresse molte volte il suo rammarico attraverso la porta chiusa, e lasciò che le due ragazze sgomentate presiedessero la tavola della cena.

Geraldo serbava un silenzio minaccioso, benché avesse baciato Rossella e pizzicato le guance di Melania affettuosamente, chiamandola "cuginetta". Rossella avrebbe preferito di molto imprecazioni, grida e accuse. Fedele alla sua promessa, Melania rimase attaccata alle gonne di Rossella, come una piccola ombra; e Geraldo era troppo gentiluomo per rimproverare sua figlia dinanzi a lei. Rossella fu costretta a riconoscere che Melania si comportava benissimo, regolandosi come se non fosse accaduto nulla; e riuscì perfino a trascinare Geraldo a discorrere, dopo che la cena fu servita.

- Voglio sapere tutto della Contea - disse, guardandolo con un gaio sorriso. - Lydia e Gioia scrivono di rado e so che voi siete al corrente di tutto quanto succede. Parlateci del matrimonio di Joe Fontaine.-

Geraldo si ringalluzzì al complimento e disse che le nozze erano state senza chiasso, "non come quelle di voialtre" perché Joe aveva avuto solo pochi giorni di licenza. Sally, la piccola Munroe, era molto bellina. No, non ricordava come era vestita, ma aveva sentito dire che non aveva un "abito del secondo giorno".

- Davvero? - fecero le ragazze scandalizzate.

- E' naturale, dal momento che non ha avuto un secondo giorno. - spiegò Geraldo con una grassa risata, senza ricordarsi che queste osservazioni non erano adatte per orecchie femminili. Questa risata risollevò lo spirito di Rossella e ferì la delicatezza di Melania.

- Perché Joe ritornò in Virginia l'indomani - si affrettò ad aggiungere Geraldo. - Quindi non vi sono state visite né balli. I gemelli Tarleton sono a casa.-

- Lo abbiamo saputo. Sono guariti? -

- No, sono stati feriti gravemente. Stuart ha avuto una pallottola in un ginocchio e Brent in una spalla. Avete anche saputo che sono stati citati all'ordine del giorno, per il loro coraggio?-

- No, raccontaci! -

- Sono due scervellati... tutti e due. Credo che in loro vi sia del sangue irlandese - proseguì Geraldo compiaciuto. - Non mi ricordo più che cosa hanno fatto, ma Brent adesso è luogotenente.-

Rossella fu contenta di apprendere le loro imprese; contenta alla maniera di una proprietaria. Una volta che un uomo era stato il suo spasimante ella era convinta che continuasse ad appartenerle; e tutte le buone azioni di lui risultavano a suo favore.

- E ho sentito anche dire che vi stanno dimenticando entrambe. Pare che Stuart abbia ricominciato a corteggiare alle Dodici Querce.-

- Gioia o Lydia? - interrogò Melania eccitata, mentre Rossella, spalancava tanto d'occhi, quasi indignata.

- Naturalmente, Lydia. Non le faceva già la corte prima che questa mia civetta gli strizzasse l'occhio? -

- Oh! - esclamò Melania imbarazzata dall'espressione di Geraldo.

- E oltre a questo, il giovine Brent ha preso a girare intorno a Tara.-

Rossella non trovò parole. La defezione dei suoi spasimanti le sembrò quasi un insulto. Specialmente se ricordava come erano stati furibondi i due gemelli, quando ella aveva detto che avrebbe sposato Carlo. Stuart aveva perfino minacciato ai ammazzare Carlo o Rossella, o se stesso o tutti e tre. Era stata una cosa divertentissima.

- Susele? - chiese Melly con un lieto sorriso. - Ma credevo che Mister Kennedy...

- Quello - fece Geraldo. - Franco Kennedy se la prende comoda. Ha paura della sua ombra. Se non si decide a parlare gli domanderò quali sono le sue intenzioni. No, si tratta della mia piccola.-

- Carolene? -

- Ma è una bambina! - esclamò aspramente Rossella ritrovando la parola.

- Ha circa un anno di meno di quello che avevi tu quando ti sei sposata - ritorse Geraldo. - Invidi forse alla tua sorellina il tuo antico spasimante? -

Melly arrossì, non essendo abituata a quella franchezza; e accennò a Pietro di portare la torta dolce di patate. Cercò freneticamente un altro argomento di conversazione che fosse un po' meno personale e che distogliesse il signor O'Hara dallo scopo del suo viaggio. Non riuscì a trovar nulla, ma Geraldo una volta preso l'aire non aveva bisogno di altro stimolo, se non di un uditorio. Parlò delle ruberie del commissario dipartimentale, che ogni mese aumentava le sue richieste; della supina stupidità di Jefferson Davis e della volgarità degli irlandesi che si erano arruolati nell'esercito yankee per il vile denaro.

Quando fu portato il vino sulla tavola e le due ragazze si alzarono per lasciarlo solo a bere, Geraldo fissò uno sguardo severo su sua figlia e le ordinò di rimanere con lui alcuni minuti. Rossella lanciò un'occhiata disperata a Melly, la quale torse il fazzoletto, impotente, e uscì richiudendo piano la porta scorrevole.

- Dunque, signorina! - muggì Geraldo versandosi un bicchiere di Porto. - Avete un bel modo di agire! Cercate già un altro marito mentre siete vedova da così poco tempo? -

- Non gridar tanto, babbo. I servi...-

- Certamente sono già al corrente, e tutti quanti sanno la nostra disgrazia; la tua povera mamma si è dovuta mettere a letto ed io non ho più il coraggio di tener alta la fronte. È una vergogna. No, gattina, è inutile che cerchi di venirmi intorno con le lacrime questa volta - aggiunse in fretta e con un certo panico nella voce, vedendo Rossella battere le palpebre e torcere la bocca. - Ti conosco, hai civettato perfino alla veglia funebre di tuo marito. Non piangere. Stasera non dirò altro perché devo vedere questo bravo capitano Butler che fa così poco conto della reputazione di mia figlia. Ma domattina... via non piangere. Non serve proprio a nulla. Quel ch'è sicuro è che ti riporterò domani a Tara prima che tu ci disonori tutti un'altra volta. Non piangere, tesoro. Guarda che cosa ti ho portato. Non è un bel regalo? Guarda, ti dico! Come hai fatto a creare tutto questo impiccio, costringendomi a venir qui con tutto il mio da fare? Non piangere!-

 

Melania e Pittypat erano andate a dormire da un pezzo, ma Rossella era sveglia nella tenebra calda, col cuore pesante e pieno di sgomento. Lasciare Atlanta proprio ora che la vita era ricominciata, e ritrovarsi a casa di fronte ad Elena! Preferiva morire piuttosto che guardare in faccia sua madre. Sì, morire in questo momento; così tutti si sarebbero rammaricati per essere stati così cattivi con lei. Si voltò e si agitò sui guanciali, finché dalla strada silenziosa giunse un rumore al suo orecchio. Era un rumore stranamente familiare, benché indistinto. Scivolò fuori dal letto e si avvicinò alla finestra. La strada coi suoi alberi fronzuti era buia sotto un cielo trapunto di stelle. Il rumore si avvicinò: cigolar di ruote, scalpitar di cavalli e voci. Improvvisamente sorrise, perché le giunse una voce impastata di dialetto e di whisky, che ella conosceva e che cantava "Margheritina nel carrozzino". Non era una giornata di udienza a Jonesboro, ma Geraldo tornava a casa nelle stesse condizioni. Vide l'ombra scura di un carrozzino fermarsi dinanzi alla casa, e scenderne delle figure indistinte. C'era qualcuno con lui. Due ombre si fermarono dinanzi al cancello; ella udì lo scatto della serratura e poi la voce di Geraldo.

- Ora vi farò sentire "Il lamento di Roberto Emmet". È una canzone che dovreste conoscere, ragazzo mio; ve l'insegnerò.

- Sarò molto lieto di impararla - rispose il suo compagno, nella cui voce strascicata si sentì un riso represso. - Ma non adesso, Mister O'Hara.-

"Oh, mio Dio, è quell'orribile Butler!" pensò Rossella, molto irritata in un primo momento. Ma riprese subito cuore. Almeno non si erano picchiati. E dovevano essere in rapporti molto amichevoli se tornavano a casa insieme e in quelle condizioni.

- La voglio cantare e voi l'ascolterete, altrimenti vi sparo perché siete un orangista.-

- Non sono orangista, sono Charlestoniano.-

- Tanto peggio. Ho due cognate a Charleston e so che gente siete.-

"Vorrà adesso raccontarlo a tutti i vicini?" pensò Rossella terrorizzata, cercando la sua vestaglia. Ma che poteva fare? Non poteva scendere a quell'ora e trascinare dentro suo padre. Senz'altro preavviso, Geraldo, che si era afferrato al cancello, gettò indietro la testa e cominciò il "lamento" con voce di basso profondo. Rossella appoggiò i gomiti al davanzale e ascoltò sorridendo involontariamente. La canzone era bella... se suo padre non avesse stonato... era una delle sue preferite, e per un momento ella seguì la sottile melanconia dei versi che dicevano:

 

Lontana è la terra ove dorme il suo giovine eroe,

Vicini le sono i sospiri d'amore...

 

La canzone terminò ed ella udì un movimento nelle camere di Pittypat e di Melly. Poverine! Certamente dovevano essere sconvolte. Non erano abituate ad uomini forti e violenti come Geraldo. Alla fine della canzone le due ombre si fusero, percorsero il viale e salirono i gradini. Un colpo discreto alla porta.

"Mi toccherà scendere" pensò Rossella. "Dopo tutto è mio padre e la povera Pitty morrebbe piuttosto che andare." Inoltre, non desiderava che la servitù vedesse Geraldo in quelle condizioni. Se Pietro cercava di metterlo a letto, potevano succedere dei guai; soltanto Pork sapeva come trattarlo.

Si chiuse la vestaglia sotto il mento, accese la candela e si affrettò per le scale e per il vestibolo. Posando la candela sulla cassapanca, aprì la porta e nella luce oscillante vide Rhett Butler senza un capello fuori posto, che sorreggeva suo padre piccolo e tondo. Il lamento era stato evidentemente il canto del cigno di Geraldo, il quale ora era completamente abbandonato fra le braccia del suo compagno. Gli era caduto il cappello e i lunghi capelli crespi erano scompigliati come una bianca criniera. Aveva la cravatta tutta storta e il davanti della camicia era macchiato di liquore.

- Vostro padre, credo? - disse il capitano Butler i cui occhi brillavano gaiamente nel volto bruno. Le lanciò un'occhiata che sembrò attraversare la leggera vestaglia.

- Portatelo dentro - replicò ella brevemente, confusa per il suo abbigliamento e furibonda contro Geraldo che la esponeva a farsi canzonare da quell'uomo.

Rhett sospinse Geraldo. - Debbo aiutarvi a portarlo di sopra? Per voi è impossibile; è troppo pesante.-

Ella spalancò la bocca inorridita dall'audacia di questa proposta. Figuriamoci che cosa avrebbero pensato Pitty e Melly se il capitano Butler fosse salito di sopra!

- No, per l'amor di Dio! Qui, in salotto, su quel divano.-

- Debbo levargli le scarpe? -

- No. Ha già dormito altre volte tenendole.-

Si sarebbe morsa le labbra per essersi lasciata sfuggire questo, sentendolo ridere piano mentre stendeva le gambe di Geraldo.

- Vi prego, ora andate.-

Butler attraversò il vestibolo buio e raccolse il cappello che aveva lasciato cadere sulla soglia.

- Vi vedrò domenica sera a pranzo - disse, e se ne andò chiudendo la porta senza strepito.

Rossella si alzò alle cinque e mezzo, prima che la servitù fosse entrata in casa a preparare la colazione e scese silenziosamente al pianterreno. Geraldo era sveglio, seduto sul divano, stringendosi la testa fra le mani come se si volesse spremere il cranio. Alzò gli occhi furtivamente sentendola entrare. A muoverli gli dolevano: emise un gemito.

- Accidempoli! -

- Hai fatto un bell'affare, papà - cominciò Rossella con voce sommessa ma irritatissima. - Venire a casa a quell'ora e svegliare tutto il vicinato col tuo canto! -

- Ho cantato? -

- Eccome! Hai svegliato tutti gli echi cantando il "lamento".-

- Non me ne ricordo affatto.-

- I vicini se ne ricorderanno finché vivranno; e così zia Pittypat e Melania.-

- Madre dei Sette Dolori! - si lamentò Geraldo passandosi la lingua ingrossata sulle labbra aride come pergamena. - Tutti i miei ricordi si confondono dopo la partita...-

- Che partita? -

- Quel ragazzaccio di Butler sosteneva di essere il miglior giocatore di poker in...-

- Quanto hai perso? -

- Macché! Naturalmente ho vinto. Qualche bicchiere mi ha aiutato a giocare.-

- Guarda nel tuo portafogli.-

Come se ogni movimento fosse una sofferenza, Geraldo trasse di tasca il portafogli e lo aperse. Era vuoto; ed egli lo guardò con desolato stupore.

- Cinquecento dollari - disse. - Mi servivano per comprare della roba del blocco per la mamma; ed ora non ho più neanche il denaro per pagare il viaggio di ritorno.-

Nel guardare con indignazione il portamonete vuoto, alla mente di Rossella balenò un'idea che prese forma rapidamente.

- Non potrò più alzar la fronte in questa città. Ci hai disonorati tutti.-

- Tieni la lingua a posto, gattina. Non vedi che ho la testa che mi scoppia? -

- Venire a casa ubriaco con un uomo come il capitano Butler, e cantare con tutta la forza dei tuoi polmoni e perdere tutto il tuo denaro! -

- Quell'uomo è troppo abile alle carte per essere un gentiluomo. Egli...-

- Che dirà la mamma quando lo saprà? - Geraldo alzò il capo con improvviso spavento.

- Non andrai a dirlo alla mamma per farle fare il sangue cattivo, eh?!- Rossella non rispose ma strinse le labbra.

- Pensa che dolore per lei che è così buona!-

- E pensa, papà, che solo ieri sera hai detto che io ho disonorato la famiglia! Io, con un misero balletto per guadagnare un po' di denaro per i soldati! Oh, vorrei mettermi a piangere! -

- No, non piangere - pregò Geraldo. - Sarebbe più di quello che la mia povera testa può sopportare; e ti assicuro che mi sta scoppiando.-

- E hai detto che io...-

- Gattina, gattina, non essere offesa di quello che ha detto il tuo povero vecchio babbo, che non ne pensava una parola e non ne capisce nulla! Ma sì, sei una figliuola piena di buone intenzioni; questo è certo.-

- E volevi riportarmi a casa in punizione! -

- No, tesoro, non volevo far questo. Era solo per spaventarti e tormentarti un poco. Non dirai niente alla mamma? -

- No - rispose Rossella con franchezza - se tu mi lasci qui e le dici che sono state tutte chiacchiere di quelle vecchie streghe.-

Geraldo guardò cupamente sua figlia.

- E ieri sera è stato un vero scandalo! -

- Beh - cominciò adescandola - dimentichiamo tutto questo. Non credi che una brava signora come Miss Pittypat abbia in casa un po' di acquavite?-

Rossella si volse e attraversò in punta di piedi il vestibolo silenzioso per recarsi in sala da pranzo a prendere la bottiglia di acquavite, che lei e Melly chiamavano segretamente la "bottiglia dello svenimento" perché Pittypat ne prendeva sempre un sorso, quando il suo cuore delicato la faceva svenire, o fingere di svenire. Sul suo volto era scritto il trionfo e non vi era traccia di vergogna per il trattamento poco filiale usato verso Geraldo. Ora, se qualcun altro avesse scritto a Elena delle malignità, Geraldo saprebbe tranquillizzarla. E lei poteva rimanere ad Atlanta. E fare quasi tutto ciò che le piaceva, data la debolezza di Pittypat. Aperse l'armadio dei liquori e rimase un istante con la bottiglia e il bicchiere stretti contro il suo petto. Ebbe una lunga visione di pic-nic sulle acque gorgoglianti del fiumicello che scorreva lungo la Ripa dell'Albero di Pesco, e di banchetti alla Montagna Pietrosa, ricevimenti e balli, pomeriggi danzanti, gite in carrozzino e cene domenicali. Sarebbe stata dovunque, centro d'attrazione di una folla maschile. E gli uomini si innamoravano così facilmente, dopo che si facevano tante piccole cose per loro all'ospedale. Ora non le dispiaceva più andarvi. Gli uomini si lasciano menare per il naso così volentieri quando sono stati ammalati! Cadono ai piedi di una bella ragazza come le pere di Tara cadono solo a scuotere l'albero, quando son mature.

Tornò verso suo padre col liquore vivificante, ringraziando Dio che la testa di O'Hara non fosse stata capace di resistere al bere smodato della sera prima; e a un tratto si chiese se Rhett Butler non entrasse per nulla in quella faccenda.

11

In un pomeriggio della settimana seguente Rossella tornò dall'ospedale stanca e indignata. Era stanca per essere stata in piedi tutta la mattina e irritata perché la signora Merriwether le aveva mosso aspro rimprovero vedendola seduta sul letto di un soldato mentre gli fasciava il braccio ferito. Zia Pitty e Melania con la loro cuffia migliore, aspettavano sotto al portico insieme a Wade e Pressy, pronte per il loro giro settimanale di visite. Rossella le pregò di scusarla se non le accompagnava e salì nella sua stanza.

Svanito il rumore della carrozza, quand'ella fu sicura che la famiglia non era più in vista, si insinuò cautamente nella stanza di Melania e girò la chiave nella serratura. Era una stanzetta semplice e verginale; silenziosa e calda nell'irradiazione del sole pomeridiano. Il pavimento era lucido e nudo ad eccezione di qualche tappeto di tinta viva, e le pareti bianche e disadorne, salvo un angolo nel quale Melania aveva disposto una specie di piccolo altare.

Sotto ad una bandiera della Confederazione graziosamente drappeggiata, era sospesa la sciabola dall'elsa d'oro, la sciabola del padre di Melania durante la guerra messicana, la stessa che Carlo aveva portato con sé partendo per la guerra. Anche la sciarpa e la cintura di quest'ultimo erano sospese alla parete, con la pistola nella fondina. Fra la sciabola e la pistola era un dagherrotipo di Carlo, molto rigido e orgoglioso nella sua grigia uniforme, coi grandi occhi neri che sembravano brillare nella cornice, e un timido sorriso sulle labbra.

Rossella non diede neanche uno sguardo al ritratto, ma attraversò senza esitare la stanza fino al tavolino accanto al letto, sul quale era una scatola quadrata di legno rosa contenente un servizio di scrittoio. Da questa prese un pacchetto di lettere legate con un nastro azzurro, scritte da Ashley a Melania. In cima a tutte era quella arrivata la mattina: e fu questa che la giovane donna aperse. La prima volta che Rossella si era azzardata a leggere nascostamente quelle lettere, aveva avuto tali rimproveri dalla sua coscienza e una così grande paura di essere scoperta, che aveva stentato ad aprire la busta con le mani tremanti. Ora il suo senso di onore, mai eccessivamente scrupoloso, si era smussato col ripetersi dell'offesa; ed anche il timore di essere scoperta era svanito.

A volte pensava, col cuore oppresso: “Che cosa direbbe la mamma se lo sapesse!?”

Sapeva che Elena preferirebbe saperla morta, piuttosto che colpevole di un simile disonore. Da principio questo l'aveva turbata, poiché ella desiderava ancora di essere simile a sua madre. Ma la tentazione di leggere le lettere era troppo grande, ed ella scacciò il pensiero di Elena. Da qualche tempo aveva imparato a dirsi: "Adesso non voglio pensare a questa cosa noiosa. Ci penserò domani." E l'indomani, o il pensiero non le si affacciava più o era così attenuato dal tempo trascorso che non era nemmeno più spiacevole. E così anche la lettura delle lettere di Ashley non le pesava molto sulla coscienza.

Melania era sempre generosa con le lettere di suo marito: ne leggeva buona parte ad alta voce a zia Pitty e a Rossella, ma ciò che tormentava quest'ultima e la trascinava alla lettura nascosta della posta di sua cognata era la parte che le rimaneva ignota. Aveva bisogno di sapere se Ashley, dopo avere sposato sua moglie, era arrivato ad amarla. O se lo fingeva. Chi sa se le scriveva delle parole tenere? Quali sentimenti le esprimeva?

Lisciò la lettera con cura. Le prime parole "cara moglie" le fecero trarre un respiro di sollievo. Non la chiamava "amor mio" né "tesoro". "Cara moglie", mi hai scritto dicendomi che temevi che io ti nascondessi i miei veri pensieri e mi chiedevi che cosa in questi ultimi tempi occupa la mia mente.

"Santissima Vergine!" pensò Rossella terrorizzata. "Nascondere i suoi veri pensieri! Possibile che Melly gli legga in cuore! O legga nel mio? Sospetta forse che lui ed io..."

Le sue mani tremavano di terrore, ma nel leggere il periodo seguente si calmò.

"Cara moglie, se ti ho nascosto qualche cosa è stato perché non volevo aggiungere alle tue preoccupazioni per la mia salute fisica, anche quelle per un mio tormento spirituale. Ma non posso nasconderti nulla, perché tu mi conosci troppo bene. Non aver paura: non sono ferito e non sono neanche stato ammalato. Ho abbastanza da mangiare e anche, ogni tanto, un letto da dormire. Per un soldato è anche troppo. Ma ho dei gravi pensieri, Melania, e voglio aprirti il mio cuore.

"In queste notti estive spesso rimango sveglio, mentre tutto il campo dorme, e guardo le stelle chiedendomi: "perché sei qui, Ashley Wilkes? Per che cosa combatti?"

"Non certamente per l'onore e per la gloria. La guerra è una brutta faccenda, e a me le cose brutte non piacciono. Non sono un soldato e non desidero cercare la fama neppure sulla bocca di un cannone. Eppure sono qui alla guerra; mentre Dio sa che non avevo mai desiderato altro che di essere uno studioso gentiluomo campagnolo. Le trombe non mi fanno bollire il sangue e i tamburi non mi eccitano; e vedo troppo chiaramente che siamo stati trascinati dalla nostra stessa arroganza meridionale, illudendoci che uno di noi potesse abbattere una dozzina di yankees, credendo che Sua Maestà il Cotone potesse governare il mondo. Illusi anche da parole, frasi, pregiudizi e odii che venivano dalla bocca di coloro che erano in alto, di quegli uomini per cui avevamo rispetto e riverenza; parole come "Sua Maestà il Cotone, Schiavismo, Diritti di Stato, maledetti yankees".

"Così, quando sono sdraiato a guardare le stelle e mi chiedo "per che cosa combatto", penso ai Diritti di Stato, al Cotone, ai Negri, ed agli yankees che siamo stati educati a odiare; e so che nessuna di queste è la ragione per cui combatto. Invece vedo le Dodici Querce e ricordo il chiaro di luna attraverso le bianche colonne, il divino aspetto delle magnolie, e le rose rampicanti che ombreggiano il porticato anche nei pomeriggi più ardenti. E vedo la mamma seduta a cucire come quando ero bambino. E sento i negri che tornano cantando dai campi, al crepuscolo, stanchi e pronti per la cena, e il cigolio della carrucola quando il secchio scende nel pozzo fresco e poi vedo la lunga strada verso il fiume, attraverso i campi di cotone, e la nebbia che si alza dalla pianura al tramonto. Ed è per questo che io sono qui, io che non amo la morte né la miseria né la gloria e non odio nessuno. Forse questo è quello che si chiama patriottismo: amore per la propria casa e per il proprio paese. Ma la cosa, Melania, è ben più profonda. Perché quanto ho nominato non è che il simbolo di ciò per cui arrischio la mia vita, il simbolo del genere di vita che amo. Io combatto per i vecchi giorni, per le vecchie abitudini che amo tanto e che temo siano oramai svanite per sempre, comunque si vada a finire. Perché, vincere o perdere, noi perderemo lo stesso.

"Se noi vinciamo questa guerra e abbiamo il Regno del Cotone dei nostri sogni, avremo ugualmente perduto, perché diventeremo diversi e l'antica tranquillità sarà scomparsa. Il mondo sarà alle nostre porte a chiedere il cotone e noi potremo dettare i nostri prezzi. E allora temo che diventeremo come gli yankees di cui oggi scherniamo l'attività per far quattrini e l'abilità commerciale. E se perdiamo, Melania, se perdiamo...

"Non temo il pericolo di essere preso prigioniero o ferito o anche ucciso, se la morte deve venire; ma temo che una volta finita la guerra non torneremo più agli antichi tempi. Non so che cosa ci porterà il futuro, ma certamente non potrà essere così bello come il passato. Guardo i ragazzi che dormono accanto a me e mi domando se i gemelli o Alessandro o Cade hanno gli stessi pensieri. Chi sa se essi sanno che combattono per una Causa che è stata perduta fin dalla prima fucilata. Ma non credo che vi pensino; quindi saranno felici. Non prevedevo questa vita per noi, quando ti chiesi di sposarmi. Pensavo alla vita alle Dodici Querce, tranquilla, facile, immutata, come sempre. Noi ci somigliamo, Melania, perché amiamo le stesse cose; ed io vedevo dinanzi a noi una lunga serie di anni privi di avvenimenti, dedicati a leggere, ascoltar musica e sognare. Ma non questo! Non questo sconvolgimento, questo sangue, questo odio! Né i Diritti di Stato né gli Schiavi né il Cotone meritano questo. Nulla merita ciò che ci sta accadendo e che ci può accadere, perché se gli yankees vincono, il futuro sarà di un incredibile orrore.

"Non dovrei scrivere questo, e neanche pensarlo. Ma tu mi hai chiesto che cosa avevo nel cuore; ed esso è pieno del timore della disfatta. Ti ricordi al banchetto, il giorno in cui fu annunziato il nostro fidanzamento, che un certo Butler suscitò quasi una questione con le sue osservazioni sull'ignoranza dei meridionali? Ricordi che i gemelli volevano ammazzarlo perché egli aveva detto che avevamo poche fonderie, poche fabbriche, poche navi, arsenali e industrie meccaniche? Ti ricordi quando disse che la flotta yankee poteva imbottigliarci così strettamente che noi non avremmo più potuto mandar fuori il nostro cotone? Egli aveva ragione. Noi combattiamo contro i nuovi fucili degli yankees, coi moschetti della Guerra Rivoluzionaria; e fra poco il blocco sarà troppo stretto per lasciar entrare anche i medicinali occorrenti. Dovevano dar retta a un cinico come Butler, che sapeva, invece che ad uomini di Stato che parlavano... e ignoravano. Infatti egli disse che il Sud non aveva nulla con cui iniziare la guerra, se non cotone e arroganza. Il nostro cotone oggi non val nulla ed è rimasto soltanto ciò che egli ha chiamato arroganza. Ma secondo me questa arroganza è coraggio incommensurabile e se..."

Rossella ripiegò attentamente la lettera senza terminarla e la ficcò nella busta, troppo annoiata per continuare la lettura. Inoltre il tono di quelle parole e quegli sciocchi discorsi di disfatta la deprimevano alquanto. Dopo tutto, ella non leggeva la posta per apprendere le idee poco interessanti di Ashley. Ne aveva avuto abbastanza di ascoltarle quando in altri tempi egli sedeva sotto il porticato di Tara.

La sola cosa che ella desiderava conoscere era se Ashley scriveva a sua moglie delle lettere appassionate. Fino ad ora non ne aveva scritte. Ella aveva letto tutte quelle che erano nella scatola di legno e in nessuna di esse era una frase che un fratello non avrebbe potuto scrivere a sua sorella, affettuose, umoristiche, discorsive, ma non certo le lettere di un innamorato. Rossella aveva ricevuto troppe ardenti lettere d'amore per non riconoscere a prima vista l'autentica nota della passione. E questa nota mancava. Come sempre, dopo le sue segrete letture, provò un senso di profonda soddisfazione, sentendosi sicura che Ashley l'amava ancora. La stupiva che Melania non si accorgesse che suo marito le voleva bene soltanto come a un'amica. Evidentemente non si accorgeva di ciò che mancava in quei messaggi; ma Melania non aveva ricevuto altre lettere d'amore per poter fare il confronto.

"Che buffe lettere!" pensò Rossella. "Se un mio marito dovesse scrivermi di queste sciocchezze, mi farei sentire. Perfino Carlo scriveva delle lettere migliori di queste." Fece scorrere i fogli guardando le date e ricordando il loro contenuto. E nessuno di essi conteneva descrizioni di bivacchi e di cariche come quelle che Darcy Meade scriveva ai suoi parenti o il povero Dallas McLure aveva scritto alle sorelle zitellone, Fede e Speranza. I Meade e i McLure leggevano orgogliosamente queste lettere a tutto il vicinato e Rossella aveva spesso provato un segreto senso di vergogna perché Melania non aveva lettere di Ashley da leggere ad alta voce nelle riunioni di lavoro.

Sembrava che nello scrivere a Melania Ashley dimenticasse la guerra e cercasse di tracciare attorno a loro due un cerchio magico fuori del tempo, scrollando lontano da sé tutto ciò che era avvenuto da quando il Forte Sumter era il discorso del giorno. Parlava di libri che egli e Melania avevano letto, di canzoni che avevano cantato, di vecchi amici, di luoghi che egli aveva visitato in Europa. E attraverso le lettere era una malinconica nostalgia delle Dodici Querce; lunghe pagine egli dedicava a rievocare le gelide stelle di un cielo autunnale; i banchetti con la porchetta arrostita, le riunioni di pesca, le quieti notti bagnate di chiaro di luna e il fascino sereno della vecchia casa.

Ella ripensò alle parole di quest'ultima lettera: "non questo!" E le sembrarono il grido di un'anima tormentata dinanzi a qualche cosa che non avrebbe voluto, eppure doveva affrontare. Ma se non temeva le ferite e la morte, che cosa erano i suoi timori? Completamente priva di spirito analitico, ella scrollò da sé questo pensiero complesso.

“La guerra gli dà noia... ed egli detesta le cose che lo annoiano. Per esempio, io... Mi amava, ma ebbe paura di sposarmi perché... forse temeva che io avrei turbato il suo modo di pensare e di vivere. No; neanche precisamente paura. Ashley non è vile. Non può esserlo, dal momento che è citato all'ordine del giorno e che il colonnello Sloan ha scritto a Melly una lettera di elogi per il suo valoroso contegno nel guidare le truppe all'assalto. Quando si è messo in mente di fare una cosa, nessuno è più deciso e più coraggioso di lui, ma.. Vive dentro di sé invece di viver fuori e detesta esser trascinato nel mondo... Mah! Non capisco. Se avessi capito questo allora, sono certa che mi avrebbe sposata.”

Rimase un istante a stringersi le lettere al seno, pensando con nostalgia ad Ashley. I suoi sentimenti verso di lui non erano mutati dal giorno in cui se n'era innamorata. Era la stessa emozione che l'aveva ammutolita quel giorno, aveva quattordici anni quando sotto il portico di Tara lo aveva visto giungere a cavallo, e sorriderle coi capelli che brillavano al sole. Il suo amore era ancora l'adorazione della giovinetta per un uomo che non riusciva a comprendere; un uomo che possedeva tutte le qualità che a lei mancavano; ma che destavano la sua ammirazione. Egli era ancora il Principe Azzurro sognato da una fanciulla, la quale non chiedeva altro guiderdone per il suo amore se non un bacio.

Dopo aver letto quelle lettere, ebbe la sicurezza che egli amava lei, Rossella, benché avesse sposato Melania; e questo era quasi tutto ciò che ella poteva desiderare. Era ancora giovine e intatta. Se Carlo, con la sua goffaggine e inettitudine e con la sua imbarazzante intimità, si fosse imbattuto in una delle vene profonde di passione che erano nascoste entro di lei, i sogni della giovinetta non si sarebbero limitati a desiderare da Ashley un bacio. Ma le poche notti trascorse con Carlo non avevano toccato nulla nel suo intimo né l'avevano minimamente maturata. Suo marito non le aveva fatto comprendere che cosa poteva essere la passione, la tenerezza, la vera intimità del corpo e dello spirito.

La passione a lei sembrava soltanto una servitù a un'inesplicabile follia maschile, non condivisa dalle donne; qualche cosa di doloroso e di imbarazzante che era stato una sorpresa per lei, perché prima delle nozze Elena le aveva fatto comprendere che il matrimonio è una cosa che le donne debbono sopportare con dignità e fermezza; e i commenti bisbigliati dopo la sua vedovanza dalle altre donne, avevano confermato in lei quest'idea. Rossella era dunque ben contenta di non aver più a che fare con la passione e col matrimonio.

Non aveva più a che fare col matrimonio; ma con l'amore sì, perché il suo amore per Ashley era diverso; era qualche cosa di sacro che le toglieva il respiro, un'emozione che andava crescendo durante le lunghe giornate di silenzio forzato, e si nutriva di ricordi e di speranze.

Sospirò nel legare nuovamente il nastro attorno al pacchetto e nel rimetterlo a posto. Allora aggrottò le ciglia perché le venne in mente l'ultima parte della lettera, quella che riguardava il capitano Butler. Strano che Ashley fosse rimasto impressionato da ciò che quel furfante aveva detto un anno fa. Innegabilmente il capitano Butler era un furfante, ma ballava divinamente. Solo un mascalzone poteva dire quello che egli aveva detto della Confederazione quella sera alla vendita di beneficenza.

Si avvicinò allo specchio e si lisciò i capelli soddisfatta di sé. Si sentì sollevata come sempre quando vedeva la sua pelle di magnolia e i suoi occhi verdi, e sorrise per far apparire le due fossette. Quindi scacciò dalla sua mente il capitano Butler, ricordando soltanto che ad Ashley le sue fossette piacevano molto. Nessun rimorso per il fatto di amare il marito di un'altra o di leggere la posta di quest'altra turbò la gioia di vedersi giovine e bella e di sentirsi sicura dell'amore di Ashley.

Riaperse l'uscio e discese a cuor leggero la scala tenuta in una semioscurità che dava un senso di fresco. A metà scala cominciò a cantare: "Quando questa guerra crudele sarà finita".

12

La guerra continuava, generalmente con discreto successo; ma la gente aveva smesso di dire "ancora una vittoria e la guerra è finita", come aveva smesso di dire che gli yankees erano dei vigliacchi. Tutti erano ormai persuasi che non lo erano affatto e che sarebbe necessaria più di una vittoria per sconfiggerli. Vi furono però le vittorie dei Confederati: nel Tennessee, segnata dal generale Morgan e dal generale Forrest, e il trionfo della Seconda Battaglia di Bull Run; ma gli ospedali e le case di Atlanta furono rigurgitanti di feriti e di ammalati, e sempre più numerose furono le donne vestite di nero. Le monotone file di tombe di soldati nel Cimitero di Oakland diventavano sempre più lunghe.

Il denaro della Confederazione era diminuito in modo considerevole, e il prezzo degli alimenti e dei vestiti era aumentato in proporzione. Gli approvvigionamenti richiedevano tal quantità di viveri che le tavole degli abitanti di Atlanta cominciavano a mostrare una certa penuria. La farina era poca e costava così cara che si adoperava generalmente il grano saraceno per biscotti e focacce. Le botteghe dei macellai erano quasi prive di bue e avevano ben poco montone; e questo costava tanto che solo le persone ricche potevano permettersi il lusso di mangiarne. In compenso, erano ancora abbondanti la carne di maiale, il pollame e i legumi.

Il blocco yankee era diventato più rigoroso e alcuni articoli di lusso, come il tè, il caffè, le seterie, le stecche di balena, l'acqua di Colonia, le riviste di moda e i libri erano scarsi e carissimi. Perfino i tessuti di cotone più ordinari erano aumentati di prezzo e le signore erano costrette, loro malgrado, a indossare gli abiti della stagione precedente. Telai, che da anni erano stati relegati in soffitta a riempirsi di polvere tornavano all'onor del giorno e quasi in ogni salotto si trovavano rotoli di stoffa tessuta a mano. Tutti, soldati, borghesi, donne, bambini, negri, cominciavano a portare di queste stoffe. Il cenere, che era il colore delle uniformi della Confederazione, era praticamente scomparso per dar luogo a questi tessuti color bruno grigio.

Gli ospedali cominciavano a preoccuparsi per la mancanza di chinino, di calomelano, di oppio, cloroformio e iodio. Le bende di tela e di cotone erano diventate troppo preziose per esser gettate via dopo averle adoperate; tutte le signore che facevano servizio di infermiera in qualche ospedale portavano a casa cestini di roba insanguinata da lavare e stirare per essere rimessa in uso.

Ma per Rossella, appena uscita dalla crisalide della vedovanza, la guerra non era che un periodo di gaiezza e di divertimento. Anche le piccole privazioni di cibo e di vestiario non le davano noia in quella sua felicità di esser tornata nel mondo.

Quando pensava alle giornate cupe e monotone dell'anno precedente, le sembrava che la vita avesse preso oggi un ritmo velocissimo. Ogni giorno le portava una nuova avventura; nuovi uomini che chiedevano di recarsi a farle visita, che le dicevano che era bella e che combattere e forse morire per lei era un privilegio. Amava Ashley con tutte le forze del suo cuore, ma non poteva fare a meno di invogliare altri uomini a chiederle di sposarla.

La guerra sempre presente nello sfondo, dava alle relazioni sociali una piacevole mancanza di cerimonie, che le persone anziane osservavano allarmate. Le mamme stupivano vedendo che uomini a loro sconosciuti venivano a far visita alle figlie; gente che giungeva senza lettere di presentazione e i cui precedenti erano ignoti. La signora Merriwether, che non aveva mai baciato suo marito prima del matrimonio, non credeva ai suoi occhi quando sorprese Maribella che baciava il piccolo zuavo. E la sua costernazione aumentò quando Maribella rifiutò di sentirsi piena di vergogna. Anche il fatto che lo zuavo chiese immediatamente la mano della fanciulla non giovò a nulla. La signora Merriwether ebbe la sensazione che il paese andasse verso una completa rovina morale e non mancò di dirlo, spalleggiata dalle altre madri.

Ma coloro che si aspettavano di morire fra una settimana o fra un mese non potevano certo attendere un anno per chiedere il permesso di chiamare una ragazza per nome, magari col "Miss" davanti. Né potevano perder tempo in un corteggiamento riguardoso come quello in uso prima della guerra. Al massimo aspettavano un paio di mesi prima di chiederla in moglie; e le ragazze a cui era stato insegnato che bisognava rifiutare almeno tre volte prima di accettare, ora accettavano alla prima domanda.

Tutto ciò divertiva Rossella, la quale - a parte la noia di curare gli ammalati e di preparare le bende - sarebbe stata contenta che la guerra non finisse mai. In verità, ora sopportava ottimamente anche il servizio d'ospedale, perché questo luogo era un buonissimo terreno di caccia. I deboli feriti soccombevano al suo fascino senza lotta. Bastava cambiar le fasciature, sprimacciare i guanciali e sventolarli un pochino, ed ecco che si innamoravano. Era il paradiso, a confronto dell'anno scorso! Rossella era tornata ad essere quella che era prima di sposare Carlo; come se non si fosse mai maritata, non avesse mai avuto la triste notizia della sua morte, non avesse messo al mondo Wade. Guerra, matrimonio, maternità erano passate sopra di lei senza toccare alcuna corda profonda nel suo intimo; e il bambino era così ben curato dagli altri nella casa rossa, che ella quasi dimenticava di averlo. Era nuovamente Rossella O'Hara, la bella della Contea. I suoi pensieri erano identici a quelli di prima, ma il campo delle sue attività si era enormemente ampliato. Incurante della disapprovazione delle amiche di zia Pitty, ella si comportava come si era comportata prima del matrimonio; andava ai ricevimenti, ballava, usciva a cavallo con ufficiali, civettava, insomma faceva tutto ciò che faceva da fanciulla; soltanto non si toglieva il lutto. Sapeva che per Pitty e Melania sarebbe stato un colpo troppo forte.

Si sentiva felice quanto poche settimane prima si era sentita disgraziata; felice di avere i suoi spasimanti, di essere sicura del proprio fascino; felice quanto era possibile esserlo con Ashley marito di Melania e in pericolo. Ma era più facile sopportare il pensiero che egli appartenesse a un'altra, quando era lontano; con le centinaia di miglia che erano fra Atlanta e la Virginia, a volte le pareva che fosse più suo che di Melania.

I mesi d'autunno del 1862 trascorsero velocemente in queste divertenti occupazioni, interrotte da qualche breve visita a Tara. Queste non le davano la gioia che ella si riprometteva quando le pregustava ad Atlanta, perché non vi era il tempo di star seduta accanto ad Elena, mentre questa cuciva, aspirando il lieve profumo di verbena delle sue vesti; ed era impossibile avere lunghe conversazioni con sua madre e sentire le dolci mani di lei sulle sue guance.

Elena, smagrita e preoccupata, era in piedi dalla mattina sino alla tarda sera, molto tempo dopo che tutta la piantagione era addormentata. Le richieste del commissario della Confederazione erano sempre più gravose; ed ella aveva il compito di far produrre a Tara il più possibile. Perfino Geraldo era occupatissimo, per la prima volta da molti anni, perché non aveva trovato un sorvegliante che sostituisse Giona Wilkerson e quindi correva in persona attraverso la piantagione. In queste condizioni, Rossella trovava Tara noioso. Perfino le sue sorelle si occupavano delle proprie faccende, Susele si era messa "d'accordo" con Franco Kennedy e gli cantava "Quando questa guerra crudele sarà finita" con un'intenzione maliziosa che Rossella trovava insopportabile e Carolene fantasticava pensando a Brent Tarleton, sicché non era una compagnia interessante.

Benché Rossella andasse sempre volentieri a Tara, pure era ben contenta quando le inevitabili lettere di zia Pitty e di Melania la supplicavano di tornare. Elena sospirava, attristata dal pensiero che la sua maggior figliuola e l'unico nipotino dovessero lasciarla.

- Ma non debbo essere egoista e trattenerti qui quando c'è bisogno di te come infermiera ad Atlanta – diceva. - Soltanto... mi pare di non avere mai il tempo di parlare con te, tesoro mio, e di sentire che sei di nuovo la mia piccina, come una volta.-

- Sono sempre la tua piccina - rispondeva Rossella; e nascondeva il volto nel seno di Elena, sentendo che la coscienza le faceva dei rimproveri. Non diceva a sua madre che erano i balli e gli spasimanti che la richiamavano ad Atlanta e non il servizio della Confederazione. Vi erano molte cose che ella taceva a sua madre. E soprattutto conservava il segreto sul fatto che Rhett Butler si recava sovente in visita a casa della zia Pitty.

 

Durante i mesi che seguirono la vendita, Rhett andò a trovarla ogni volta che veniva ad Atlanta; e portava a passeggio Rossella nella sua carrozza, le faceva da cavaliere ai balli e alle vendite, la aspettava fuori dell'ospedale per riaccompagnarla a casa. Ella non temeva più che egli tradisse il suo segreto; ma in fondo al suo pensiero rimaneva il tormentoso ricordo che egli l'aveva vista nella peggior luce, e che sapeva la verità riguardo ad Ashley. Era questo che la costringeva a dominarsi quando egli la infastidiva. E ciò avveniva di frequente.

Butler era sui trentacinque anni, più anziano di qualsiasi corteggiatore ch'ella avesse mai avuto, e dinanzi a lui ella si sentiva smarrita come una bimba e incapace di trattarlo come aveva trattato quelli della sua età. La stuzzicava e sembrava che nulla lo divertisse maggiormente che il vederla irritata. Ed ella si lasciava spesso trascinare dalla collera, perché aveva l'ardente temperamento di Geraldo sotto il visino dolce che aveva ereditato da Elena. E d'altronde, non si era mai presa la pena di controllarsi, eccetto in presenza di sua madre. Ora le seccava moltissimo dover ringhiottire le parole per timore di quel sorriso divertito. Se almeno avesse anche lui perduto il controllo dei propri nervi, ella non si sarebbe sentita in stato di inferiorità.

Dopo qualche discussione con lui, dalla quale raramente usciva vittoriosa, ella giurava che era un uomo impossibile, sgarbato, maleducato, col quale non voleva aver mai più nessun rapporto. Ma presto o tardi egli tornava ad Atlanta, veniva a far visita, apparentemente, alla zia Pitty e presentava a Rossella, con esagerata galanteria, una scatola di dolci che le aveva portato da Nassau. O prenotava il posto accanto a quello di lei a un concerto o reclamava una danza; e di solito ella era così divertita della sua sfacciata impudenza, che rideva e dimenticava le liti precedenti, fino alla prossima occasione.

Cominciò ad aspettare le sue visite. In lui era qualche cosa di eccitante che Rossella non analizzava, ma che lo rendeva diverso da tutti gli altri.

"E' quasi come se ne fossi innamorata!" pensò un giorno sbalordita.

Ma il senso di eccitazione persisteva. Quando egli veniva a far visita, la sua completa e schietta virilità faceva sembrare la casa signorile di zia Pitty troppo piccola, incolore e quasi misera. Rossella non era la sola in casa a reagire stranamente alla sua presenza; anche zia Pitty era in un curioso stato di agitazione e di fermento.

Pur sapendo che Elena avrebbe disapprovato quelle visite e pur conoscendo che la società di Charleston lo aveva messo al bando, ella non resisteva ai suoi complimenti e ai suoi baciamano più di quanto una mosca resista a un vasetto di miele. Inoltre, egli le portava sempre da Nassau qualche regalino che le assicurava di essersi procurato espressamente per lei e di aver portato attraverso il blocco arrischiando la vita: cartine di spilli e di aghi, bottoni, rocchetti di seta e forcine per capelli. Era quasi impossibile procurarsi di questi oggetti di lusso in quell'epoca; le signore portavano delle forcine di legno curvato a mano e pezzetti di legno coperti di stoffa come bottoni; e a Pitty mancava la forza morale di rifiutarli. Del resto, aveva una passione infantile per le sorprese e non resisteva al desiderio di aprire i pacchetti contenenti i doni. E una volta aperti, non si sentiva di rifiutarli. Quindi, dopo avere accettato i doni, non aveva il coraggio di dire a Butler che la sua reputazione rendeva scorrette le visite frequenti a tre donne sole prive di un protettore. Zia Pitty sentiva il bisogno di questo protettore ogni volta che Rhett Butler era in casa.

- Non so che cosa sia - sospirava sgomenta. - Ma... sì, credo che sarebbe simpatico se... se uno avesse l'impressione che nel profondo del suo cuore egli rispetta le donne.-

Dopo la restituzione dell'anello, Melania lo riteneva invece un gentiluomo pieno di delicatezza e si irritava a queste osservazioni. Egli era impeccabilmente cortese verso di lei, ma essa si sentiva un po' intimidita; anche perché era generalmente timida con gli uomini che non conosceva sin dall'infanzia. In fondo le faceva pena; sentimento questo che avrebbe molto divertito Butler se ne fosse stato a conoscenza. Era certa che un dispiacere di natura romantica lo aveva reso duro e amaro, e che ciò di cui egli aveva bisogno era l'amore di una donna buona. In tutta la vita ella non aveva mai conosciuto il male e stentava a credere che esistesse veramente; di guisa che quando i pettegolezzi la informarono dell'avventura di Rhett con la fanciulla di Charleston ella rimase scandalizzata e incredula. E questo, invece di renderla ostile a lui, la fece diventare anche più timidamente gentile, a causa del l'indignazione per quella che riteneva una grande ingiustizia sociale.

Rossella era silenziosamente d'accordo con la zia Pitty. Anche lei sentiva che quell'uomo non rispettava alcuna donna, eccetto, forse, Melania. E aveva la sensazione di essere svestita ogni volta che egli la guardava; era quello sguardo insolente che le dispiaceva, come se tutte le donne fossero una sua proprietà di cui egli potesse godere quando gli pareva e piaceva. Solo per Melania non aveva quello sguardo; nessuna espressione beffarda, e nella sua voce, una nota speciale di cortesia, di rispetto, di desiderio di esserle utile.

- Non so perché siate più gentile con lei che con me - disse Rossella con petulanza un giorno, mentre era sola con lui, perché Melania e Pitty sil erano ritirate per il riposo pomeridiano.

Aveva osservato per un'ora Rhett che reggeva a Melania una matassa di lana e aveva notato la sua espressione imperscrutabile mentre questa aveva lungamente e orgogliosamente parlato della promozione di Ashley. Rossella sapeva che Rhett non aveva una grande opinione di Ashley e che non gl'importava proprio nulla che fosse stato fatto maggiore. Eppure rispose gentilmente e mormorò ciò che imponeva la cortesia a proposito del valore del giovine ufficiale.

"E se io faccio tanto da nominare Ashley" pensò irritata "egli inarca subito le sopracciglia e sorride di quell'odioso sorriso d'intesa!"

- Sono molto più bella, io - continuò; - e non capisco perché siate più gentile con lei.-

- Posso osare di sperare che siate gelosa? -

- Oh, non vi illudete! -

- Un'altra speranza distrutta. Se io sono "più gentile" con la signora Wilkes è perché lo merita. È una delle poche persone buone, sincere e disinteressate che ho conosciute. Forse voi non avete notato queste qualità. Inoltre, malgrado la sua giovinezza, è una delle poche gran signore che ho avuto il privilegio di avvicinare.-

- Vorreste dire che io non sono una gran signora? -

- Mi pare che siamo rimasti d'accordo che non eravate affatto signora, fin dal nostro primo incontro.-

- Oh, perché siete così odioso e scortese da riparlarne! Come potete incolparmi per un momento di collera infantile! È passato tanto tempo, e da allora sono diventata una donna; l'avrei bell'e dimenticato se voi non vi accennaste continuamente.-

- Non credo che sia stata collera infantile e non credo che siate mutata. Siete capace adesso come allora di scagliare un portafiori se non ottenete quello che volete. Ma di solito lo ottenete. E quindi non avete bisogno di distruggere i ninnoli.-

- Dio, come siete... vorrei essere un uomo! Vi metterei alla porta e...-

- E vi fareste ammazzare. Faccio centro a cinquanta metri. Meglio servirvi delle vostre armi: fossette, portafiori e simili.-

- Siete un furfante.-

- Vi aspettate di vedermi andare in furia per questo? Mi dispiace di darvi una delusione. Non potrete farmi infuriare dandomi dei titoli che mi spettano. Sicuro, sono un furfante; perché no? Siamo in un paese libero, e un uomo può essere un farabutto, se gli fa comodo. Sono soltanto gli ipocriti come voi, cara signora, (altrettanto neri di cuore ma che cercano di nasconderlo) che si adirano quando uno li chiama col nome adatto.-

Di fronte al suo calmo sorriso e alle sue parole pungenti ella rimase disorientata. Le sue consuete armi a base di scherno, freddezza e impertinenza si spuntavano nelle sue mani, perché nulla di quanto ella poteva dire riusciva a ferirlo. Sapeva per esperienza che il bugiardo è il più ardente difensore della propria sincerità, il codardo del proprio coraggio, il villano della propria signorilità, il farabutto del proprio onore. Ma con Rhett nulla di questo. Egli ammetteva tutto e rideva incitandola a dire ancora di più.

Andò e tornò molte volte in quei mesi, giungendo senza preavviso e ripartendo senza commiato. Rossella non seppe mai con precisione quali affari lo conducessero ad Atlanta, perché pochi altri comandanti del suo genere trovavano necessario allontanarsi tanto dalla costa. Scaricavano la loro mercanzia a Charleston o a Wilmington, dove trovavano a riceverli una quantità di negozianti e di speculatori del Sud che compravano all'asta i generi importati. Le sarebbe piaciuto credere che egli faceva quei viaggi apposta per veder lei; ma perfino la sua enorme vanità si rifiutava a questa supposizione. Se le avesse fatto un po' di corte, se fosse sembrato geloso degli uomini che le si affollavano intorno, se avesse una volta cercato di trattenere la mano di lei fra le sue o le avesse chiesto un ritratto o un fazzolettino da conservare per ricordo, ella avrebbe trionfato vedendolo sedotto dalle sue grazie. Ma egli rimaneva indifferente e sembrava che non si accorgesse neppure di tutte le sue manovre per condurlo alle proprie ginocchia.

Quando egli giungeva in città, fra tutte le donne era un vivo mormorio. Non solo egli interessava per l'aureola romantica che gli dava il fatto di attraversare con grave rischio il blocco yankee, ma vi era anche l'elemento attraente della sua cattiva reputazione. E ogni volta che le signore di Atlanta si radunavano a spettegolare, questa reputazione diventava peggiore, ciò che lo rendeva ancor più affascinante per le fanciulle. Innocenti per la massima parte, esse non sapevano con precisione su che cosa si fondasse tale reputazione; ma sapevano che una ragazza non era sicura quando stava con lui. Ed era strano che, invece, egli non avesse neppur baciato la mano di una ragazza da quando era venuto ad Atlanta per la prima volta. Questo però lo rendeva ancor più misterioso ed eccitante.

Era l'uomo di cui si parlava di più, oltre agli eroi dell'esercito. Tutti sapevano che era stato espulso da West Point per ubriachezza e per "affari di donne". Il terribile scandalo della fanciulla di Charleston compromessa e del fratello ucciso era di dominio pubblico. Lettere da Charleston informarono poi che suo padre, un simpatico vecchio signore dotato di una ferrea volontà, lo aveva messo fuori di casa senza un penny, a vent'anni, e aveva perfino cancellato il suo nome dalla Bibbia famigliare. Dopo di allora egli si era recato in California, coi cercatori d'oro, nel 1849, e poi nell'America del Sud e a Cuba; i resoconti sulla sua attività in quei diversi paesi erano fin troppo saporiti. Ferimenti per causa di donne, omicidi, contrabbando d'armi nell'America centrale e, peggio di tutto, professione di giocatore; tutto questo era nella sua carriera, secondo quanto si narrava ad Atlanta.

Non esisteva famiglia in Georgia che non avesse almeno un membro giocatore, il quale perdeva sul tappeto verde denaro, case, terre e schiavi. Ma la cosa era diversa. Si poteva giocare fino a ridursi sulla paglia rimanendo un gentiluomo; ma un giocatore di professione non poteva essere che un fuoricasta.

Se non vi fossero state le particolari condizioni del tempo di guerra e i suoi servigi al governo della Confederazione, Rhett Butler non sarebbe mai stato ricevuto ad Atlanta. Ma oggi, anche i più restii comprendevano che il patriottismo richiedeva maggior larghezza di vedute. I più sentimentali sostenevano che la pecora nera della famiglia Butler si era pentita e cercava di espiare le sue colpe. Così le signore ritenevano che fosse un dovere incoraggiarlo sulla buona via. Inoltre, tutti sapevano che il destino della Confederazione riposava tanto sull'abilità delle navi che eludevano l'assedio yankee quanto sui soldati che erano al fronte.

Si diceva che il capitano Butler fosse uno dei migliori piloti, assolutamente padrone dei propri nervi. Cresciuto a Charleston conosceva tutte le gole, insenature, baie, recessi, bassifondi della costa della Carolina; ed era come in casa sua anche nelle acque di Wilmington. Non aveva mai perso una nave né mai era stato costretto a buttare a mare un carico. Allo scoppiar della guerra, era emerso dall'oscurità con abbastanza denaro per comprare un veloce brigantino; e ora, guadagnando su ogni carico il duemila per cento, era proprietario di quattro navi. Aveva buoni piloti e li pagava bene; essi uscivano da Charleston e da Wilmington durante le notti buie, portando cotone per Nassau, l'Inghilterra, il Canadà. Le filande inglesi erano inoperose e gli operai morivano di fame; chiunque era capace di eludere il blocco yankee poteva poi chiedere il prezzo che voleva a Liverpool. Le navi di Rhett erano fortunate e riuscivano a portare, al loro ritorno, i materiali di cui il Sud aveva tanto bisogno. Sì, le signore sentivano che si potevano dimenticare e perdonare molte cose ad un uomo così abile e coraggioso.

Era una figura notevole che tutti si voltavano a guardare. Spendeva con larghezza, cavalcava uno stallone nero e portava sempre abiti di ultimissima moda e di taglio perfetto. Questo sarebbe bastato ad attirare l'attenzione sopra di lui, perché le uniformi dei soldati erano adesso logore e macchiate e i borghesi, anche quelli più accurati, mostravano nei loro vestiti abili rammendi. Rossella non aveva mai visto calzoni così eleganti, fulvi, a quadretti o a righe. I suoi panciotti erano una meraviglia, specialmente quello di seta bianca ricamato a fiorellini rosa. E portava questi vestiti ricercati con aria indifferente, come se non si accorgesse neppure della loro eleganza.

Poche donne resistevano al suo fascino quando egli aveva voglia di esercitarlo; e finalmente anche la signora Merriwether si piegò e lo invitò al pranzo domenicale.

Maribella doveva sposare il suo piccolo zuavo alla prossima licenza di questi e piangeva ogni volta che ci pensava, perché si era messa in mente di sposare vestita di raso bianco e nella Confederazione non esisteva neanche un centimetro di questo tessuto. Né poteva farsi prestare il vestito, perché quelli degli anni precedenti erano stati trasformati in bandiere di combattimento. Invano la signora Merriwether cercava di convincerla che la lana tessuta a mano era l'abito ideale per una sposa confederata. Maribella voleva il raso. Era pronta a rinunciare alle forcine, ai bottoni, alle belle scarpine, ai dolci, al tè, per amore della Causa, ma voleva l'abito nuziale di raso.

Rhett, avendo saputo questo da Melania, portò dall'Inghilterra metri e metri di magnifico raso bianco e un velo di trina e li regalò a Maribella come dono di nozze. Lo fece con una tal cortesia che non fu possibile neanche tentare di pagarglieli; e Maribella fu così felice che mancò poco non lo baciasse. La signora Merriwether si rese conto che un dono così costoso - e specialmente un dono di vestiario - non era affatto corretto; ma non trovò modo di rifiutare quando Rhett le disse, in linguaggio fiorito, che nulla era troppo bello per vestire la sposa di uno dei nostri eroi. E la signora lo invitò a pranzo, convinta di pagare largamente il dono con questa concessione.

Oltre ad aver portato il tessuto, egli diede a Maribella ottimi consigli per la fattura del vestito. I cerchi a Parigi erano più larghi, quell'anno, e le gonne più corte. Non più ornate di crespe ma tagliate a festoni che lasciavano vedere le sottovesti ricamate. Disse pure che in istrada non aveva visto mutandine lunghe, sicché immaginava che non si portassero più. La signora Merriwether disse poi alla signora Elsing che temeva che, incoraggiandolo, egli avrebbe addirittura raccontato che specie di calzoncini portavano le parigine.

Se non fosse stato un tipo così schiettamente virile, la sua abilità nel ricordare i particolari degli abiti delle signore lo avrebbero fatto passare per effeminato. Le signore trovavano strano assediarlo di domande concernenti la moda, ma lo facevano ugualmente, isolate com'erano dal mondo dell'eleganza, perché ben pochi libri passavano attraverso il blocco. Perciò Rhett era un ottimo sostituto al "Godey's" per le signore; e ogni volta che arrivava era il centro di gruppi femminili a cui riferiva che le cuffie erano più piccole e collocate più in alto, che si ornavano di piume e non di fiori, che l'Imperatrice dei Francesi aveva abbandonato lo -"chignon" per la sera, e portava i capelli raccolti in alto scoprendo tutte le orecchie, e che le scollature erano di nuovo scandalosamente profonde.

 

Per qualche mese, egli fu l'individuo più popolare e più romantico della città, malgrado la sua precedente reputazione e malgrado le voci che lo dicevano impegnato non solo nei trasporti ma anche in speculazioni sui viveri. Quelli che avevano antipatia per lui dicevano che dopo ogni suo viaggio ad Atlanta i prezzi aumentavano di cinque dollari. Ma ad onta di questi pettegolezzi, egli avrebbe conservato la propria popolarità, se avesse creduto che ne valeva la pena. Invece sembrava che, dopo aver cercato la compagnia dei cittadini seri e patrioti ed essersi conquistato il loro rispetto e la loro simpatia, qualche cosa di perverso nel suo intimo lo spingesse a fare in maniera da offenderli, mostrando loro che il suo contegno era stato soltanto una mascheratura che ormai non lo divertiva più.

Aveva l'aria di disprezzare tutto e tutti nel Sud, specialmente la Confederazione, senza prendersi neanche il disturbo di nasconderlo. Furono le sue osservazioni sulla Confederazione che lo fecero guardare dapprima con stupore, poi con freddezza e finalmente con ardente irritazione. Gli uomini gli si inchinavano con studiata freddezza e le donne cominciavano a trarsi vicino le figliuole quando egli appariva a una riunione.

E si sarebbe detto che non solo gli facesse piacere offendere i sinceri e ardenti abitanti di Atlanta, ma anche presentarsi sotto la peggior luce possibile. Quando gli facevano dei complimenti per il suo coraggio nell'attraversare il blocco, egli soleva rispondere che quando si trovava in pericolo aveva sempre paura; paura come i bravi ragazzi che erano al fronte. Tutti sapevano che non vi era mai stato un soldato pauroso nella Confederazione; quindi le sue affermazioni erano singolarmente irritanti. E quando qualche giovine donna, cercando di civettare, lo ringraziava per ciò che faceva per loro, chiamandolo "eroe", egli si inchinava rispondendo che non era il caso, perché egli avrebbe fatto lo stesso per le donne yankee se si fosse trattato di guadagnare la stessa somma.

Fin dalla prima sera che aveva visto Rossella alla vendita di beneficenza, aveva parlato in questo modo con lei; ma ora, con chiunque parlasse, nella sua conversazione era una leggera sfumatura di derisione. E ripeteva volentieri che se avesse potuto guadagnare altrettanto altrimenti, per esempio coi contratti governativi, avrebbe abbandonato i pericoli del blocco, e si sarebbe messo a vendere alla Confederazione stoffe fatte di stracci, zucchero misto con sabbia, farina guasta, e cuoio d'infima qualità.

A molte delle sue osservazioni era impossibile rispondere. Vi erano già stati degli scandali sulle forniture militari. Lettere di uomini al fronte che si lamentavano che le scarpe non duravano più di una settimana, che la polvere da sparo non valeva nulla, che i finimenti cadevano a pezzi, che la carne era immangiabile e la farina verminosa. Gli abitanti di Atlanta cercavano di persuadersi che chi vendeva roba simile al Governo era gente di Alabama o della Virginia o del Tennessee, e non della Georgia. Non appartenevano forse alle migliori famiglie, i georgiani che avevano dei contratti di forniture? E non erano stati fra i primi a sottoscrivere in favore degli ospedali? L'ira contro i profittatori non era ancora desta e le parole di Rhett erano ritenute una prova della sua malvagità .

Non solo egli offendeva la città con l'accusa di venalità a coloro che occupavano alte posizioni e di codardia agli uomini che erano in campo, ma si divertiva anche a mettere i dignitosi cittadini in posizioni imbarazzanti. Non sapeva resistere alla tentazione di pungere l'ipocrisia, la presunzione e il fiammeggiante patriottismo di quelli che lo circondavano, come un ragazzo che non può fare a meno di ficcare uno spillo in un palloncino gonfio di idrogeno. E lo faceva con tale garbo e tale apparenza di interessamento, che le sue vittime non erano mai sicure di ciò che era accaduto finché non si sentivano chiaramente messe in berlina.

Rossella non aveva illusioni sul conto di quell'uomo. Ella sapeva la mancanza di sincerità delle sue elaborate galanterie e dei suoi madrigali fioriti. Sapeva che recitava la parte dell'eroico sfidatore del blocco unicamente perché ciò lo divertiva. A volte le sembrava fosse uno dei ragazzi insieme ai quali era cresciuta, ma sotto l'apparente leggerezza di Rhett ella sentiva che vi era qualche cosa di malizioso, quasi di sinistro nella sua soave brutalità.

Benché si rendesse perfettamente conto della sua impostura, pure Rossella preferiva vederlo nel ruolo di romantico comandante di un brigantino. Questo, in un primo tempo, giustificava in certo modo la sua cordialità con lui. Perciò fu molto seccata quando egli lasciò cadere la maschera; e le parve che una parte delle critiche contro quell'uomo ricadesse anche sopra di lei.

Fu alla riunione musicale della signora Elsing a beneficio dei convalescenti che Rhett firmò il suo definitivo mandato di ostracismo. Quel giorno la casa Elsing era affollata di soldati in licenza, di convalescenti, di membri della Guardia Nazionale e della Milizia Unitaria; di signore, vedove e fanciulle. La grande coppa di vetro inciso che il maggiordomo degli Elsing teneva fra le mani, accanto all'ingresso, era stata già riempita due volte di monete d'argento: l'offerta individuale di tutti gli intervenuti. Questo rappresentava già un successo, perché ogni dollaro d'argento valeva sessanta dollari di carta.

Ogni giovane donna un po' musicista aveva suonato e cantato e i quadri viventi erano stati accolti da vivissimi applausi. Rossella era molto contenta di sé, perché non solo aveva cantato con Melania il commovente duetto "Quando sui fiori brilla la rugiada", ma era stata scelta per rappresentare nell'ultimo quadro lo Spirito della Confederazione. Era stata affascinante, vestita di tarlatana bianca orlata di rosso e di blu, con le Stelle e le Sbarre in una mano, mentre con l'altra tendeva al capitano Carey Ashburn, di Atlanta, inginocchiato dinanzi a lei, la spada con l'elsa dorata, che aveva appartenuto a Carlo e a suo padre.

Terminato il quadro, cercò gli occhi di Rhett per vedere se egli avesse apprezzato la sua esibizione e vide con un senso di dispetto che egli era tutto intento a discutere e probabilmente non l'aveva neanche notata. Dai volti di coloro che lo circondavano ella comprese che erano furibondi per ciò che Butler stava dicendo.

Rossella si aperse un varco tra la folla e, in uno di quegli strani silenzi che piombano a volte su una riunione, udì Guglielmo Guinan della Milizia dire semplicemente: - Debbo comprendere, signore, che intendete dire che la Causa per la quale sono caduti i nostri eroi non è sacra? -

- Se voi foste maciullato da un treno in corsa, la vostra morte non santificherebbe la Compagnia Ferroviaria, non è vero? - replicò Rhett; e la sua voce sembrava che chiedesse umilmente un'informazione .

- Signore - e la voce di Guglielmo tremava - se non fossimo sotto questo tetto...-

- Io tremo al solo pensiero di ciò che accadrebbe - rispose Rhett. - Perché il vostro coraggio è ben noto.-

Guglielmo divenne scarlatto e tutte le conversazioni cessarono. Tutti erano imbarazzati. Guglielmo era sano e forte e in età da prestar servizio, eppure non era al fronte. Era figlio unico, questo è vero; e poi, bisognava pure che qualcuno rimanesse a casa per proteggere lo Stato. Ma quando Rhett parlò di coraggio, vi furono da parte degli ufficiali convalescenti delle risatine beffarde.

"Ma perché non tace!" pensò Rossella indignata. "Rovina tutto il ricevimento!"

Le sopracciglia del dottor Meade erano minacciose.

- Per voi, giovinotto, non vi è nulla di sacro - cominciò con la voce che usava per i suoi discorsi. - Ma per i patrioti del Sud, uomini e donne, vi sono molte cose sacrosante. Una di queste è la libertà del nostro paese dagli usurpatori; un'altra è il Diritto di Stato, e...-

Rhett ebbe l'aria infastidita.

- Tutte le guerre sono sacre - replicò. - Per quelli che debbono combatterle. Se coloro che cominciano una guerra non la dichiarassero sacra, chi sarebbe tanto sciocco da andare a battersi? Ma checché dicano gli oratori agli idioti che vanno a farsi ammazzare, qualunque sia il nobile scopo che assegnano alla guerra, la ragione di questa è sempre una sola. Il denaro. Tutte le guerre non sono che questioni di quattrini. Ma poca gente se ne rende conto. Le loro orecchie sono troppo piene di squilli di tromba e di rullar di tamburi e delle belle parole degli oratori che rimangono a casa. A volte il grido di guerra è: "Liberiamo il Sepolcro di Cristo dagli Infedeli!"; altre volte "Abbasso il Papato!"; altre volte ancora: "Libertà!" e qualche volta anche: "Cotone, schiavismo e Diritti di Stato!"-

"Che diavolo c'entra il Papa?" si chiese Rossella. "E il Sepolcro di Cristo?"

Ma mentre tentava di raggiungere il gruppo, vide Rhett inchinarsi seccamente e avviarsi alla porta. Tentò di raggiungerlo ma la signora Elsing la trattenne per la gonna.

- Lasciatelo andare! - le disse con una voce chiara che risuonò nella sala improvvisamente silenziosa. - E' un traditore e uno speculatore. E' un serpe che abbiamo nutrito nel nostro seno!-

Rhett, in anticamera e col cappello in mano, udì ciò che era stato detto appunto perché lo udisse e si volse ad esaminare un istante il salone. Fissò impertinentemente il seno piatto della signora Elsing, sogghignò e, facendo ancora un inchino, uscì.

 

La signora Merriwether tornò a casa nella carrozza di zia Pitty; appena le quattro signore furono sedute, esplose.

- Finalmente ci siamo, Pittypat Hamilton! Spero che sarete soddisfatta! -

- Di che cosa? - chiese Pitty in tono apprensivo.

- Del contegno di quel miserabile Butler che voi avete protetto.-

Pitty si agitò, troppo sconvolta dall'accusa per ricordare alla signora Merriwether che Butler era stato anche suo ospite parecchie volte. Rossella e Melania lo pensarono ma, per educazione verso persone più anziane, si trattennero dal fare l'osservazione. Invece guardarono attentamente le proprie mani coperte dai mezzi-guanti.

- Ci ha insultati tutti ed ha insultato anche la Confederazione - continuò la signora Merriwether, e il suo seno abbondante ansimava violentemente sotto la lucente guarnizione di passamaneria del suo corpetto. - Dire che combattiamo per il denaro! Che i nostri capi ci hanno mentito! Bisognerebbe metterlo in prigione. Sì; ne parlerò col dottor Meade. Se fosse vivo il signor Merriwether gliela farebbe scontare! Ora, Pitty Hamilton, state a sentire. Non dovete più permettere che quel mascalzone venga in casa vostra! -

- Oh! - fece Pitty smarrita e guardando, quasi a chiedere il loro soccorso, le due ragazze che tenevano gli occhi bassi; e poi il dorso eretto dello zio Pietro. Sapeva che egli ascoltava tutto quanto si diceva e sperava che si voltasse a prender parte alla conversazione, come faceva di frequente. Ma quegli non si mosse. Pitty sapeva che il vecchio negro non aveva alcuna simpatia per Butler. Quindi sospirò e mormorò: - Mah...Se credete, Dolly...-

- Credo - rispose con fermezza la signora Merriwether. - Intanto non so che idea abbiate avuto fin dal principio di riceverlo. Ma dopo il pomeriggio di oggi non vi sarà in tutta la città una casa onorevole che voglia accoglierlo. Abbiate un po' di abilità e proibitegli di venire in casa vostra.-

Volse alle ragazze un'occhiata penetrante. - Spero che voi due farete tesoro delle mie parole - continuò - perché in parte è colpa vostra. Siete state troppo gentili con lui. Ora dovete dirgli cortesemente, ma decisamente che la sua presenza e i suoi discorsi antipatriottici sono per voi ugualmente spiacevoli.-

Rossella si stava agitando internamente, pronta a reagire come un cavallo che sente la propria briglia toccata da un estraneo. Ma non osò parlare per timore che la signora Merriwether scrivesse un'altra lettera a suo padre.

"Vecchia bufala!" pensò rossa d'ira repressa. "Che gioia sarebbe poterti dire quello che penso di te e del tuo modo di fare!"

- Non avrei mai creduto di udire simili parole contro la nostra Causa - proseguì la signora Merriwether. - E se dovessi credere che voialtre due parlerete ancora con lui... per l'amor di Dio, Melly, che hai?-

Melania era pallida e aveva gli occhi sbarrati.

- Continuerò a parlargli - disse a bassa voce. - Non sarò scortese con lui. Non gli proibirò di venire in casa.-

La signora Merriwether sembrò soffocare; zia Pitty spalancò la bocca e zio Pietro si voltò a guardare.

"Perché non ho avuto io il coraggio di dir questo?" pensò Rossella con un senso di gelosia mista ad ammirazione. "Come fa questo piccolo coniglio ad avere il coraggio di ergersi contro la vecchia Merriwether?"

Le mani di Melania tremavano, ma ella continuò in fretta come se avesse paura che l'ardire le venisse meno.

- Non sarò scortese con lui a causa di ciò che ha detto, perché... ha avuto torto a dirlo forte... è stato sconsigliato... ma... è la stessa cosa che pensa Ashley. Ed io non posso vietare la mia casa a un uomo che la pensa come mio marito. Sarebbe un'ingiustizia.-

La signora Merriwether aveva ripreso fiato ed esplose.

- Melly Hamilton! Non ho mai udito una simile menzogna! Nessuno dei Wilkes è mai stato un codardo...-

- Non ho detto che Ashley è un codardo - e gli occhi di Melania cominciarono a fiammeggiare. - Ho detto che egli pensa le stesse cose che pensa il capitano Butler, soltanto le esprime con parole diverse. E non va in giro a dirle nelle riunioni, spero. Ma a me lo ha scritto.-

La coscienza di Rossella si scosse mentre ella cercava di ricordare che cosa aveva scritto Ashley; ma la maggior parte di ciò che aveva letto le era uscito di mente. Quindi credette che Melania avesse smarrito il cervello.

- Ashley mi ha scritto che non dovremmo combattere contro gli yankees e che siamo stati ingannati dagli uomini di Stato che ci hanno raccontato una quantità di bubbole - continuò Melly rapidamente. - E ha detto che nulla al mondo vale il danno che ci produrrà questa guerra.-

"Ah!" pensò Rossella. "E' quella la lettera...!"

- Non ci credo - replicò la signora Merriwether. - Tu hai frainteso le sue parole.-

- Io capisco perfettamente Ashley - ribatté Melania tranquilla, benché le sue labbra tremassero. - Egli intende esattamente dire quello che dice il capitano Butler, ma detto in altro modo.-

- Dovresti vergognarti di paragonare un uomo come Ashley Wilkes a un farabutto come il capitano Butler! Forse anche tu pensi che la Causa non valga nulla! -

- Io... non so che cosa penso - cominciò Melania incerta, mentre il suo ardore l'abbandonava e una specie di panico s'impadroniva di lei. - Morirei per la Causa... ed anche Ashley. Ma... voglio dire... che questi pensieri vanno lasciati agli uomini.-

- Non ho mai sentito una cosa simile! Fermo, zio Pietro, siamo a casa mia! -

Zio Pietro occupato ad ascoltare la conversazione, stava oltrepassando la casa dei Merriwether. La signora Merriwether discese, coi nastri della sua cuffia che si agitavano come vele al vento.

- Te ne pentirai - disse.

Zio Pietro frustò il cavallo.

- Tu, signorina, vergognarti di mettere Miss Pitty in questo stato, sgridò.-

- Non sono affatto agitata - rispose Pitty con stupore di tutti, perché generalmente sveniva per molto meno di questo. - Melly, tesoro, so che hai voluto difendermi, e sono stata veramente contenta di vedere che qualcuno ha umiliato Dolly. Come hai avuto tanto coraggio? Ma credi di aver fatto bene a dire ciò di Ashley? -

- Ma è vero!- esclamò Melly e cominciò a piangere piano. - E non mi vergogno di dire che egli la pensa così. Egli crede che la guerra sia un errore, ma è pronto a combattere e a morire, e per questo occorre assai più coraggio di quando si combatte per qualche cosa che si crede giusto.-

- Zitta, Miss Melly, non piangere in Strada di Albero di Pesco.- borbottò zio Pietro affrettando il passo del cavallo. - Gente subito pronta a fare chiacchiere. Aspettare di essere a casa.-

Rossella non parlò. Non strinse neanche la mano che Melania aveva messo nella sua per cercare conforto. Ella aveva letto le lettere di Ashley per un solo scopo; per assicurarsi che egli l'amava ancora. Ora Melania aveva dato un nuovo significato a certi punti delle lettere che Rossella aveva appena scorso. La urtava il pensare che qualcuno così perfetto come Ashley, potesse avere dei pensieri in comune con un reprobo come Rhett Butler. Disse fra sé: "entrambi vedono la verità in questa guerra; ma Ashley è pronto a morire e Rhett no. Mi pare che questo dimostri il buon senso di Rhett". Si fermò un attimo, colpita dall'orrore di avere avuto un simile pensiero sul conto di Ashley. "Entrambi vedono la stessa spiacevole verità; ma Rhett ama guardarla in faccia e irritare il pubblico parlandone; mentre Ashley non può sopportarne la vista."

E questo la stupiva molto.

 

13

Sotto lo stimolo della signora Merriwether, il dottor Meade si decise a scrivere al giornale una lettera in cui non nominava Rhett, benché questi fosse facilmente riconoscibile. Il direttore del giornale, intuendo il dramma sociale che si nascondeva sotto quello scritto, lo pose in seconda pagina, ciò che era già una grande innovazione, perché le prime due pagine del giornale erano sempre dedicate ad avvisi pubblicitari per vendite di schiavi, muli, aratri, casse, case da vendere o d'affittare, cure per malattie segrete, rigeneratori per le forze indebolite.

La lettera del dottore fu la prima di un coro d'indignazione che si cominciò a udire in tutta la regione contro speculatori e profittatori. A Wilmington, il principale porto dove si poteva ancora approdare ora che quello di Charleston era praticamente chiuso dalle navi da guerra yankee, la situazione s'era fatta veramente scandalosa. Gli speculatori affollavano la città. E, avendo del denaro contante, compravano interi carichi di mercanzia, e la imboscavano per poter poi rialzare i prezzi. Il rialzo arrivava sempre, perché con la diminuzione crescente del necessario, i prezzi diventavano ogni mese più elevati. I borghesi erano costretti a comprare ai prezzi degli speculatori; i poveri o coloro che erano in condizioni modeste soffrivano di questa carestia. Col rialzo dei prezzi la valuta diminuiva, e la sua rapida caduta segnò il sorgere di una folle passione-per il lusso. Si dava commissione ai comandanti dei brigantini di portare le merci di prima necessità, e si permetteva loro di commerciare in articoli di lusso, solo come accessorio; ma oggi le loro stive erano piene di merci di lusso, con esclusioni di quelle di cui la Confederazione aveva urgente bisogno. A peggiorare la situazione vi era l'unica linea ferroviaria da Willington a Richmond; e mentre migliaia di sacchi di farina e di scatole di lardo andavano a male nei magazzini delle stazioni per mancanza di carri da trasporto, gli speculatori che avevano vini, sete e caffè da vendere, riuscivano sempre a far giungere la loro mercanzia a Richmond, due giorni dopo che questa era sbarcata a Wilmington.

Le voci che prima circolavano sommesse sul conto di Rhett Butler, il quale, a quanto si diceva, non solo speculava con le sue quattro navi, vendendo la mercanzia a prezzi inauditi, ma comprava i carichi di altre navi e li immagazzinava in attesa del rialzo dei prezzi, ora erano diventate argomento di tutti i discorsi. Si diceva che egli fosse il capo di una associazione che impiegava più di un milione di dollari, ed aveva Willington come quartiere generale con lo scopo di comprare ogni mercanzia appena sbarcata. Essi avevano dozzine di magazzini in quella città e a Richmond - si diceva - colmi di viveri e di oggetti di vestiario.

"Vi sono molti uomini coraggiosi e patrioti in quel ramo della nostra Marina che ha il compito di eludere il blocco" diceva la lettera del dottore "uomini disinteressati che arrischiano la loro vita e la loro ricchezza perché la Confederazione possa sopravvivere. Essi sono adorati e onorati da noi tutti. Non è di loro che intendo parlare.

"Ve ne sono altri, veri furfanti, che mascherano sotto la veste del patriottismo la loro avidità di guadagno; ed io chiamo la giusta collera e la vendetta di un popolo che combatte per la più santa delle cause, su- questi avvoltoi umani, che importano rasi e merletti quando i nostri uomini muoiono e i nostri eroi soffrono per mancanza di morfina. Indico all'esecrazione pubblica questi vampiri che succhiano il sangue vitale di coloro che seguono Roberto Lee. Come possiamo sopportare fra di noi facchini in scarpe verniciate, mentre i nostri ragazzi vanno all'assalto coi piedi scalzi? Come possiamo tollerarli col loro champagne e i loro pasticci di fegato d'oca, mentre i nostri soldati rabbrividiscono attorno ai loro fuochi da campo e si nutrono di lardo rancido? Non dubito che ogni leale confederato li scaccerà."

Gli abitanti di Atlanta lessero, seppero che l'oracolo aveva parlato e, come leali confederati, si affrettarono a espellere Butler.

Di tutte le case che l'avevano ricevuto sino alla fine del 1862, quella della signorina Pittypat fu quasi la sola in cui egli continuò ad entrare nel 1863; e se non fosse stato per Melania, probabilmente non vi sarebbe stato ricevuto. Zia Pitty era agitatissima ogni volta che egli era in città. Sapeva benissimo che cosa dicevano i suoi amici, perché ella lo riceveva; ma le mancava il coraggio di dirgli che era male accetto. Ogni volta che egli giungeva ad Atlanta, Pitty faceva la voce grossa e diceva alle ragazze che sarebbe andata sulla porta a proibirgli di entrare. Ed ogni volta che egli arrivava con un pacchettino in mano e un piccolo complimento sulle labbra, ella cedeva.

- Non so che fare - gemeva. - Mi guarda... ed io... ho paura di ciò che potrebbe fare se gli parlassi. Ha una tale reputazione...Se per esempio mi battesse... o... Dio, Dio, se Carlo fosse vivo! Rossella, devi dirglielo tu che non venga più... dirglielo gentilmente. Povera me! Io credo che tu l'incoraggi e tutta la città ne parla; e se tua madre viene a saperlo, che cosa dirà di me? Anche tu, Melly, non devi essere così gentile con lui. Sii fredda e distante ed egli capirà. Forse sarà meglio che io scriva a Enrico pregandolo di parlare col capitano Butler...-

- Non ci penso nemmeno - rispondeva Melania. - E non sarò affatto scortese con lui. Credo che la gente si comporti molto male e dica un sacco di sciocchezze. Non può essere che egli sia tutto quello che dicono il dottor Meade e la signora Merriwether. È impossibile che immagazzini il cibo per far morire di fame la gente. Mi ha dato ultimamente cento dollari per gli orfani; sono sicura che è tanto leale e patriota quanto ognuno di noi, ma è troppo orgoglioso per difendersi.-

Zia Pitty non seppe fare altro che giungere le mani disperatamente. Quanto a Rossella, era da molto tempo rassegnata all'abitudine di Melania di vedere la bontà in tutti. Era una sciocca, Melania; ma a questo non vi era rimedio. Rossella sapeva che Rhett non era affatto patriota; ma a lei questo non importava nulla. La sola cosa che importava erano i regalini che egli le portava da Nassau; coserelle che ogni signora poteva accettare senza compromettersi. Coi prezzi attuali, come le sarebbe stato possibile avere forcine, dolci, aghi, se gli avesse vietato di venire in casa? No: era più comodo lasciare la responsabilità a zia Pitty che, dopo tutto, era la padrona di casa, l'accompagnatrice e l'arbitra di ciò che era o non era normale. Rossella sapeva che la città parlava delle visite di Rhett e anche di lei; ma sapeva anche che agli occhi di Atlanta, Melania Wilkes non poteva conservare un carattere di rispettabilità.

Certo, sarebbe stato preferibile che Rhett non ripetesse le sue eresie. Ella non avrebbe avuto l'imbarazzo di vedere la gente che si voltava deliberatamente dall'altra parte quando la incontrava con lui.

- Anche se pensate queste cose, perché le dite? - lo sgridò un giorno. - Sarebbe tanto più carino se voi, pur pensando ciò che vi pare, teneste la bocca chiusa.-

- Questo è il vostro sistema, non è vero, mia piccola ipocrita dagli occhi verdi! Mi illudevo che foste più coraggiosa. Avevo sempre sentito raccontare che gli irlandesi dicono quello che pensano. Ditemi sinceramente: non vi sentite scoppiare, a volte, a dover tenere la bocca chiusa? -

- Ma... sì - ammise Rossella con riluttanza. - Per esempio, mi annoio mortalmente a sentir sempre parlare della Causa, giorno e notte. Ma se lo confessassi, Dio benedetto, nessuno mi saluterebbe più e nessun giovinotto ballerebbe più con me! -

- Ah sì; e capisco che bisogna ballare ad ogni costo! Ebbene, ammiro la vostra padronanza di voi stessa, ma io non sono all'altezza. Non posso mettere la maschera del patriottismo, per quanto possa esser conveniente la simulazione. Vi sono abbastanza imbecilli che arrischiano fino all'ultimo centesimo e che usciranno dalla guerra poveri come Giobbe; non vi è nessun bisogno di me per aumentare il loro numero. Lasciate pure che abbiano l'aureola; la meritano. Vedete che sono sincero. D'altronde, l'aureola è la sola cosa che resterà loro fra uno o due anni.-

- Come fate a dire queste cose quando sapete che l'Inghilterra e la Francia stanno per venire in nostro aiuto...-

- Ma come, Rossella! Avete letto i giornali! Sono molto stupito. Non fatelo più; è una lettura che genera confusione nel cervello delle donne. Per vostra informazione, vi dirò che sono stato in Inghilterra meno di un mese fa e posso assicurarvi che essa non ha nessuna intenzione di venire in aiuto alla Confederazione. L'Inghilterra non scommette mai sul cane o sul cavallo che è in condizioni di inferiorità; e questa è la sua forza. Inoltre, quella grassa olandese che è sul suo trono è un'anima timorata di Dio e non approva la schiavitù. E' capace di lasciare che migliaia di operai delle filature muoiano di fame perché manca il cotone; ma non sparerà mai un colpo in favore dello schiavismo. Quanto alla Francia, quella pallida imitazione di Napoleone che la governa ha troppo da fare nel Messico per occuparsi di noi. Anzi benedice la guerra, perché ci impedisce di andare a scacciare dal Messico le sue truppe:..No, Rossella; l'idea degli aiuti stranieri è una fola dei giornali per risollevare il morale dei nostri. La Confederazione è agli sgoccioli. Io stesso, penso di non poter continuare i miei viaggi per più di altri sei mesi. Dopo, sarebbe troppo rischioso. E venderò le mie navi a qualche imbecille di inglese che crederà di poter fare quello che ho fatto io. Ma questo non mi preoccupa. Ho guadagnato abbastanza; e il mio denaro è nelle banche inglesi, in oro. Non voglio di questa cartaccia. - Come sempre, le sue parole, che agli altri suonavano tradimento e perfidia, all'orecchio di Rossella apparivano piene di buon senso e di verità. Eppure avrebbe dovuto anche lei essere infuriata e scandalizzata; o perlomeno fingere di esserlo. Sarebbe stato un atteggiamento più degno di una signora.

- Credo che quanto ha scritto di voi il dottor Meade sia giusto, capitano Butler. Il solo modo di redimervi è arruolarvi dopo aver venduto le vostre navi. Siete di West Point e...-

- Parlate come un predicatore battista che tiene un discorso per reclutare degli adepti. E se io non ho nessun desiderio di redimermi? Perché dovrei combattere per difendere un sistema che mi ha scacciato? Sarò invece ben lieto di vederlo distrutto.-

- Non so di che sistema parliate - replicò ella sgarbata.

- No? Eppure ne fate parte, come ne facevo parte io; e sono sicuro che non lo amate più di quanto lo ami io. Perché sono la pecora nera della famiglia Butler? Perché non mi sono adattato a fare tante cose che bisognava fare soltanto perché sono sempre state fatte... Cose innocenti che non bisogna fare per la stessa ragione... Cose che infastidiscono perché sono prive di senso comune... Il non aver sposato una signorina di cui avete forse sentito parlare non è stato altro, per me, che l'ultima goccia che ha fatto traboccare il calice. E perché avrei dovuto sposare una noiosa scioccherella per l'unica ragione che un incidente mi ha impedito di ricondurla a casa prima che annottasse? E perché dovevo permettere a quel selvaggio di suo fratello di ammazzarmi, se io tiravo di pistola meglio di lui? Forse, se fossi stato un gentiluomo mi sarei lasciato uccidere e questo avrebbe cancellato la macchia dal blasone dei Butler. Ma... la vita mi piace. E così sono rimasto vivo e mi son divertito... Quando penso a mio fratello che vive fra le sacre mucche di Charleston ed è pieno di rispetto per esse, e mi ricordo quella donna indigesta che è sua moglie e quei suoi insopportabili balli provinciali... beh, vi assicuro che riconosco che aver troncato i rapporti col sistema ha i suoi compensi. Il nostro modo di vivere negli Stati del Sud, cara Rossella, è antiquato come il sistema feudale del medioevo. Il miracolo è che sia durato tanto. Doveva finire; e siamo vicini a questo. E volete che io mi metta ad ascoltare dei predicatori come il dottor Meade e mi ecciti al rullo dei tamburi ed afferri un moschetto per andare a spargere il mio sangue per Marse Robert? Ma per che imbecille mi prendete? Baciare la mano che mi ha percosso non è nel mio stile. Fra me e il Sud, la partita è regolata. Il Sud mi ha cacciato a morir di fame; non sono morto e ho guadagnato tanto denaro su quella che sarà la morte del Sud, da compensarmi per i diritti di primogenitura che ho perduti.-

- Siete abbietto e venale - ritorse Rossella; ma pronunciò queste parole automaticamente. La maggior parte di quanto egli diceva le entrava in un orecchio e usciva dall'altro, come la maggior parte delle conversazioni che non erano di argomento personale. Ma alcune cose erano giuste. Tutte le sciocchezze che comporta la vita tra persone per bene! Fingere di aver sepolto il proprio cuore mentre non era vero... E veder tutti scandalizzati quella volta che aveva ballato alla festa di beneficenza! E il modo in cui la guardavano ogni volta che diceva o faceva qualche cosa di diverso da tutte le altre... Eppure, rabbrividì udendolo attaccare tutte le tradizioni che le davano maggiormente noia. Aveva vissuto per troppo tempo fra persone che dissimulavano educatamente, per non sentirsi disorientata nell'udire manifestare in parole i propri pensieri.

- Venale? No; sono soltanto lungimirante. Può darsi che questo sia semplicemente sinonimo di venale. Almeno, così dice chi non è previdente. Qualsiasi leale confederato che avesse avuto in cassa mille dollari nel 1861 avrebbe potuto fare quello che ho fatto io; ma pochi sono stati tanto previdenti da approfittare dell'occasione. Per esempio, subito dopo la caduta del Forte Sumter e prima che si stabilisse il blocco, io comprai parecchie migliaia di balle di cotone a bassissimo prezzo e le portai in Inghilterra, dove sono ancora nei magazzini di Liverpool. Non le ho vendute fino ad ora e le terrò finché le filande inglesi ne avranno bisogno e mi pagheranno il prezzo che vorrò. Non sarei sorpreso di ottenerne un dollaro a libbra.-

- Avrete un dollaro a libbra quando Pasqua verrà di maggio! -

- Invece sono persuaso che lo avrò. Il cotone è già arrivato a due cents la libbra. A guerra finita sarò ricco, perché sono stato previdente... pardon, venale. Vi ho già detto una volta che i momenti buoni per guadagnare sono due: quando si costruisce un paese e quando lo si distrugge. Lentamente nel primo caso, rapidamente nel secondo. Ricordatevi le mie parole. Forse un giorno vi potranno servire.-

- Apprezzo molto i buoni consigli - rispose Rossella con tutto il sarcasmo di cui fu capace. - Ma non ne ho bisogno. Credete che il babbo sia povero? Ha già più di quanto può occorrermi; e oltre a questo, ho l'eredità di Carlo.-

- Credo che gli aristocratici francesi pensassero press'a poco lo stesso fino al momento in cui salirono sul carro che li portava alla ghigliottina.-

 

Spesso Rhett faceva notare a Rossella l'inopportunità di vestire in lutto mentre partecipava a tutte le attività sociali. Egli amava i colori smaglianti; e gli abiti funerei di Rossella e il velo di crespo che le giungeva quasi ai talloni lo divertivano e lo urtavano nello stesso tempo. Ma ella vi teneva, perché sapeva che se avesse messo degli abiti di colore prima che fosse passato qualche anno, gli strali della città si sarebbero appuntati contro di lei più di quanto già ne fossero. E poi, come avrebbe spiegato a sua madre?

Rhett le disse francamente che il velo di crespo le dava l'aspetto di una cornacchia e che il nero l'invecchiava di dieci anni. Questa affermazione poco galante la fece precipitare allo specchio per vedere se realmente dimostrava ventotto anni invece di diciotto.

- Dareste prova di maggiore buon gusto togliendovi quello che dimostra un dolore che certamente non avete mai provato. Facciamo una scommessa. Entro due mesi vi sarete tolto quel vestito e quel velo e avrete invece una elegantissima creazione di Parigi.-

- Neanche per sogno; e non parliamone più - ribatté Rossella un po' seccata per l'allusione a Carlo. Rhett, che si disponeva a partire per una nuova gita a Wilmington, si accomiatò con un curioso ghigno.

Qualche settimana dopo, in una magnifica mattinata d'estate, riapparve portando in mano una scatola da cappelli; e trovando Rossella sola in casa, l'aperse. Avvolta nella carta velina era una cuffia che le fece esclamare: - Oh, che bellezza! - Privata da tanto tempo di bei vestiti, le sembrava la più graziosa che avesse mai visto. Era di taffettà verde scuro, foderata di seta leggera verde giada. I nastri che si annodavano sotto il mento erano anch'essi verde chiaro. Sul bordo era appuntato un ciuffetto di piume di struzzo verdi.

- Provatela - sorrise Rhett.

Ella fece un balzo allo specchio e posò la cuffietta sul capo, spingendo indietro i capelli per lasciar vedere gli orecchini e annodandosi il nastro sotto al mento.

- Come mi sta? - chiese facendo una piroetta e scrollando la testa per far muovere la penna. Ma sapeva che le stava bene anche prima di leggerne la conferma negli occhi di lui. Il verde della fodera dava un riflesso di smeraldo ai suoi occhi e li faceva brillare.

- Oh, Rhett, per chi è? Ho voglia di comprarla. A qualunque prezzo.-

- E' vostra. Chi altri potrebbe portare questa sfumatura di verde? Vi pare che mi sia ricordato bene il colore dei vostri occhi? -

- Davvero l'avete fatta fare per me? -

- Senza dubbio; e sulla scatola c'è scritto Rue de la Paix, se non vi dispiace.-

Ella continuava a guardarsi; era il più bel cappello che avesse messo in testa da due anni! Ma un tratto il suo sorriso svanì.

- Non vi piace? -

- Oh, è un sogno! Ma... che rabbia dover coprire questo verde col crespo e far tingere le piume! -

In un attimo egli fu accanto a lei, sciolse il nastro e rimise il cappello nella scatola.

- Che fate? Avevate detto che era mio! -

- Ma non per farlo diventare un cappello da lutto. Troverò qualche altra bella signora con gli occhi verdi che apprezzerà il mio gusto. -