- Ma Rhett... voi... non ci accompagnate? -

- No. Vi lascio qui. -

Ella si guardò attorno con uno sguardo folle; guardò il cielo livido, gli alberi neri che sembravano le pareti di una prigione, le figure spaventate nel carro, e finalmente lui. Era impazzita? O non aveva udito bene?

- Ci lasciate? E dove... dove andate? -

- Cara figliola, vado con l'esercito.-

Ella sospirò, sollevata e irritata. Perché scherzava in questo momento? Rhett nell'esercito! Dopo tutto quello che aveva sempre detto...

- Che gusto spaventarmi così! Andiamo! -

- Non sto scherzando, mia cara. E sono dolente che voi non accettiate con spirito migliore il mio sacrificio. Dov'è il vostro patriottismo, il vostro amore per la Nostra Causa Gloriosa? Ora sarebbe il momento di dirmi che debbo tornare vittorioso o morto. Ma fate presto, perché a me occorre un po' di tempo per farvi un bel discorsetto prima di partire per la guerra. -

Era la solita voce beffarda. Egli la scherniva e in certo modo, scherniva anche se stesso. Non era possibile che parlasse sul serio. E non era credibile che pensasse di lasciarla su quella strada buia con una donna che poteva essere moribonda, un neonato, una piccola imbecille negra e un bimbo atterrito; non poteva lasciarle il compito di portarli attraverso miglia e miglia di campi di battaglia, in preda a mille pericoli.

- Scherzate, Rhett! -

Gli afferrò il braccio e lacrime di terrore le sgorgarono dagli occhi. Egli sollevò la sua mano e glie la baciò leggermente.

- Egoista sino alla fine, non è vero, mia cara? Pensate soltanto alla vostra preziosa salvezza e non alla valorosa Confederazione. Immaginate invece, come saranno rincorate le nostre truppe da questa mia comparsa all'ultima ora! - Nella sua voce era una maliziosa tenerezza.

- Oh, Rhett, come potete farmi questo? Perché mi volete abbandonare? -

- Perché? - egli rise gaiamente. - Forse a causa di quella stupida sentimentalità che è appiattata in fondo a tutti noi meridionali. Forse... Forse perché mi vergogno. Chi lo sa? -

- Vergognarvi? Dovreste morire di vergogna a lasciarci qui, sole, senza aiuto...-

- Cara Rossella! Voi non siete senza aiuto, Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. -

Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno.

- Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. -

Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero.

- "Non ho potuto amarti, cara, più di quanto amassi l'onore." Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. -

La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude.

- Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. -

Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: "Mi lascia, mi lascia." Ma non provava emozione.

Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentì i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose.

- Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. -

Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata così. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare così. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura.

- Tesoro - mormorò egli - tesoro...-

Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udì la vocetta acuta di Wade.

- Mamma! Wade ha paula! -

Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia.

- Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. - Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpì sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso.

- Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso.

- Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! -

- Cara ragazza, come siete inopportuna! -

- Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai più! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che...-

- Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà.-

Lo udì ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udì parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania.

- Mrs. Wilkes? -

La voce spaventata di Prissy rispose:

- Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro.-

- Non è morta? Respira? -

- Sì, signore. Respirare. -

- Allora, è meglio così. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota. -...Cerca di non essere più stupida di quello che sei. -

- Sì, signore. Grazie, signore. -

-Addio Rossella. -

Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udì il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udì allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano.

Perché se n'era andato così, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa.

Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.

 

NOTE.

NOTA 1: "Confederated States of America."

24

IL bagliore del sole del mattino che brillava fra gli alberi destò Rossella. Per un momento, irrigidita dalla posizione scomoda in cui aveva dormito, non si ricordò dov'era. Il sole l'accecava, le assi del carretto le facevano male, e sulle gambe sentiva un peso che le impediva di muoversi. Cercò di sollevarsi e vide che Wade, addormentato, aveva la testa sulle sue ginocchia. Vide anche i piedi nudi di Melania quasi sul proprio viso e, sotto il sedile del carretto, Prissy rannicchiata come un gatto nero, col bimbo coricato fra lei e Wade.

Allora si ricordò. Si trasse a sedere e si guardò attorno. Grazie a Dio, nessun yankees in vista! Il loro nascondiglio non era stato scoperto durante la notte. Ricordò tutto; il viaggio tormentoso come un incubo, dopo che l'eco dei passi di Rhett si era spenta, la notte interminabile, la strada nera piena di radici e di buche sulle quali si trabalzava, i solchi profondi in cui il carretto scivolava, la forza quintuplicata dal terrore con la quale lei e Prissy erano riuscite a trarre le ruote da quei solchi. Ricordò con un brivido quante volte aveva spinto il cavallo nolente attraverso campi e boschi, quando sentiva avvicinarsi dei soldati, non sapendo se erano amici o nemici... ricordò anche la paura che un colpo di tosse, uno sternuto, i singulti di Wade rivelassero la loro presenza agli uomini in marcia.

Oh, quella strada nera su cui gli uomini sembravano fantasmi senza voce; solo il calpestio nella polvere soffice, e il debole ticchettio delle briglie! E il momento terribile in cui il cavallo aveva rifiutato di entrare nel bosco, e soldati di cavalleria e carri di artiglieria leggera erano passati oltre, nel buio che le nascondeva, così vicini che ella avrebbe potuto quasi toccarli e che l'odore del loro sudore giungeva alle sue nari!

Finalmente, quando era giunta in prossimità di un crocevia, aveva visto ardere dei fuochi da campo; erano gli ultimi resti della retroguardia di Steve Lee che aspettavano l'ordine di ritirarsi. Si era allora messa per un campo arato finché gli ultimi riflessi dei fuochi erano scomparsi. Ma aveva perduto l'orientamento nell'oscurità e aveva singhiozzato non potendo ritrovare la piccola strada carreggiabile che conosceva così bene. Quando finalmente era riuscita a trovarla, il cavallo era caduto a terra e aveva rifiutato di muoversi, di rialzarsi, anche quando lei e Prissy l'avevano percosso.

Lo aveva staccato; quindi, disfatta dalla stanchezza, si era trascinata fino alla parte posteriore del carretto dove si era arrampicata a fatica. Ricordava vagamente di avere udito prima di chiudere gli occhi, una debole voce che anche quando pregava, si scusava: - Rossella, per favore, posso avere un po' d'acqua? -

- Non ce n'è - aveva risposto; e si era addormentata di colpo.

Ora era mattina; e il mondo era calmo e sereno, verde e oro sotto i raggi del sole. Nessun soldato in vista. Aveva fame e sete; era indolenzita e piena di sudore per il fatto che lei, Rossella O'Hara, che non poteva dormire se non fra lenzuola di lino e su materasso di piume, aveva dormito sulle tavole come una misera schiava.

Volse gli occhi abbacinati dal sole su Melania e sussultò inorridita. La povera donna era così pallida e immobile che Rossella credette che fosse morta. Sembrava una vecchia, coi lineamenti stirati, su cui le ciocche di capelli neri cadevano in disordine. Ma con un respiro di sollievo vide il lievissimo sollevarsi e abbassarsi del seno: Melania respirava ancora.

Rossella si fece visiera con la mano e si guardò attorno. Evidentemente avevano trascorso la notte sotto gli alberi del cortile di accesso di qualche casa perché dinanzi a lei era un viale inghiaiato fiancheggiato da cedri.

"Ma è la piantagione di Mallory" pensò; e il suo cuore balzò di gioia all'idea di trovare amici e aiuto.

Ma nella piantagione era un silenzio di tomba. L'erba e gli arbusti del prato erano strappati e calpestati, come se zoccoli, ruote, piedi, avessero camminato freneticamente avanti e indietro finché il suolo non era stato completamente sconvolto. Guardò verso la casa, e invece del vecchio edificio bianco col tetto coperto di latta che conosceva così bene, scorse un lungo rettangolo di pietre di granito annerite; quelle delle fondamenta; e in mezzo agli alberi due grossi mucchi di mattoni fumiganti.

Si sentì stringere il cuore, Troverebbe così anche Tara, rasa al suolo, silenziosa come la morte?

“Non devo pensare a questo adesso” si disse in fretta. “Non devo. Altrimenti sarò ripresa dal terrore.” Ma suo malgrado il cuore ricominciò a batterle precipitosamente e ogni battito sembrava dirlo: “A casa! Presto! A casa! Presto!”

Bisognava muoversi. Ma prima occorreva trovare qualche cosa da mangiare e dell'acqua; specialmente acqua. Svegliò Prissy la quale si guardò attorno con gli occhi spaventati.

- Oh Dio, miss Rossella. Io credere di non svegliarmi mai più se non nella Terra Promessa. -

- C'è tempo, per quella, - rispose Rossella cercando di respingersi indietro i capelli, scarmigliati. Si sentiva sudicia e già bagnata di sudore. Gli abiti erano sgualciti; non si era mai sentita così poco pulita - le sembrava quasi di emanare cattivo odore! - e così stanca. Muscoli che ignorava di possedere le dolevano per l'insolito esercizio a cui li aveva sottoposti la notte prima; ed ogni movimento acutizzava le sue sofferenze.

Guardò Melania e vide che i suoi occhi neri erano aperti. Erano brillanti di febbre e cerchiati da occhiaie profonde. Le labbra aride si socchiusero e bisbigliarono: - Acqua. -

- Alzati, Prissy - ordinò Rossella. - Andiamo al pozzo a prendere un po' d'acqua. -

- Ma, miss Rossella, forse esserci qualche morto e...-

- Scendi subito, ti ho detto; altrimenti... - E Rossella, che non era in vena di discutere, discese faticosamente a terra. Pensò allora al cavallo. Dio! Se fosse morto durante la notte! Sembrava prossimo a dare l'ultimo respiro quando lei gli aveva tolto i finimenti. Girò attorno al carretto e lo vide sdraiato. Se fosse morto, lei maledirebbe Dio e morrebbe. Era successo a qualcuno nella Bibbia, che aveva maledetto Dio ed era morto. Ne comprendeva perfettamente i sentimenti, ora. Ma il cavallo era vivo. Respirava con fatica, ma era vivo. Un po' d'acqua farebbe bene anche a lui.

Prissy discese riluttante dal carretto e con molti gemiti seguì timorosamente Rossella per il viale. Dietro alle rovine le file delle capanne degli schiavi imbiancate a calce, erano mute e deserte sotto gli alberi. Fra il quartiere degli schiavi e le fondamenta fumiganti, trovarono il pozzo; sospeso alla sua tettoia era ancora il secchio. Svolsero la fune e quando il secchio tornò in alto pieno di acqua fredda, Rossella lo portò alle labbra e bevve lungamente rumorosamente, spruzzandosi d'acqua dappertutto.

Bevve finché la voce petulante di Prissy: - Anche io avere sete, miss Rossella! - le ricordò che anche gli altri avevano bisogno di bere.

- Sciogli la corda, porta il secchio al carretto e dai da bere a miss Melania e a Wade; il resto dallo al cavallo. Non credi che miss Melania dovrebbe allattare il piccolo? Morirà di fame. -

- Oh, miss Rossella, miss Melania non avere latte e non potere neanche avere! -

- Come lo sai? -

- Avere visto troppe donne come lei. -

- Non darti delle arie con me. Lo abbiamo visto ieri, come te ne intendi di bambini! Sbrigati. Io vado a cercare qualche cosa da mangiare. -

La ricerca fu vana, finché nell'orto trovò alcune mele. I soldati erano passati prima di lei e sugli alberi non vi era più nulla. Quelle che trovò a terra erano per la maggior parte marce. Sollevando la gonna, si riempì il grembo delle migliori e tornò verso il carretto, sentendo che nelle scarpine le penetravano terriccio e sassolini. Perché non aveva pensato a mettere delle scarpe più pesanti, iersera? Perché non aveva preso il cappello da sole? Perché non aveva portato qualche cosa da mangiare? Si era comportata come una stupida. Ma aveva creduto che a tutte quelle cose pensasse Rhett.

Rhett! Sputò a terra, per il disgusto di quel nome. Come lo odiava! Com'era stato spregevole! E lei si era lasciata baciare... i suoi baci le erano quasi piaciuti. Doveva essere pazza... Che individuo abbietto!

Giunta al carretto, divise le mele e gettò quelle che avanzavano nella parte posteriore del veicolo. Il cavallo ora era in piedi, ma pareva che l'acqua non lo avesse ravvivato molto. Di giorno sembrava anche più miserevole che di notte. Aveva tutte le ossa fuori e il dorso era ridotto una sola piaga. Nel mettergli i finimenti, Rossella si ritraeva per non toccarlo e quando gli mise il morso in bocca vide che era completamente sdentato. Così vecchio? Non avrebbe potuto, Rhett, dal momento che rubava un cavallo, rubarne uno migliore?

Salì sulla cassetta e lo frustò col ramo di noce americano. La bestia si avviò, respirando con difficoltà; ma così lentamente che Rossella si disse che certo avrebbe progredito più velocemente a piedi. Se non avesse dovuto occuparsi di Melania e di Wade, di Prissy e del pupo! Avrebbe percorso a passo veloce la distanza che la separava da Tara e dalla mamma.

Non potevano esservi più di quindici miglia; ma col passo di quella rozza sfiancata ci vorrebbe tutto il giorno, perché sarebbe necessario fermarsi ogni tanto per farla riposare. Tutto il giorno! Guardò la strada rossigna e i solchi profondi prodotti dalle ruote dei carriaggi e delle ambulanze. Passerebbero delle ore prima di sapere se Tara esisteva ancora e se Elena vi era. Lunghe ore prima di terminare quel viaggio sotto il sole ardente.

Guardò Melania che giaceva con gli occhi chiusi sotto quel sole; sciolse i nastri del suo cappello e lo porse a Prissy.

- Mettiglielo sul viso. Almeno le riparerà gli occhi. - E sentendo il calore violento sul capo scoperto pensò: "Prima di sera sarò piena di lentiggini come un uovo di faraona".

Non era mai stata al sole senza cappello o velo, non aveva mai tenuto le redini senza guanti, per proteggere la candida pelle delle sue mani. Eppure adesso era esposta al sole in un carretto sconquassato, con un cavallo bolso; assetata, affamata, lorda di polvere e di sudore, incapace di fare altro se non di procedere a passo lento per quella landa deserta. E dire che poche settimane prima era così sicura e tranquilla, nella certezza che Atlanta non sarebbe mai caduta e la Georgia non sarebbe mai invasa!

Chi sa se Tara era ancora in piedi? O se anch'essa era stata spazzata via dal vento che si era scatenato sulla Georgia?

Percosse con la frusta il dorso del cavallo e cercò di fargli affrettare il passo, mentre le ruote sconnesse sbalzavano lei e gli altri da un lato all'altro del carretto.

 

C'era la morte nell'aria. Sotto i raggi del sole pomeridiano campi e boschi erano silenziosi, di un silenzio disumano che colmava di sgomento il cuore di Rossella. Ogni casa smantellata, ogni camino che sembrava far da sentinella a rovine annerite dal fumo, aumentava il suo spavento. Dalla sera prima non avevano visto un essere umano o un animale vivente. Uomini morti sì; e carogne di cavalli e di muli coperti di mosche; ma non una creatura viva. Non una voce di animale, non un canto di uccello, non uno stormire di foglie mosse dal vento. Solo lo stanco zampeggiare del cavallo e il debole vagito del bimbo di Melania rompevano il silenzio.

La campagna sembrava sotto un tremendo incantesimo. "O, anche peggio" pensò Rossella con un brivido: somigliava al caro volto di una mamma, finalmente tranquillo dopo un'orrenda agonia. I boschi che un tempo le erano stati famigliari erano adesso pieni di fantasmi. I morti nella battaglia che era stata combattuta nelle vicinanze di Jonesboro erano migliaia. E popolavano quei boschi in cui il sole brillava di sbieco paurosamente attraverso il fogliame immobile; erano amici e nemici che la guardavano nel suo carretto sconquassato, con occhi accecati dal sangue e dalla polvere rossa: occhi ardenti e orribili.

- Mamma! Mamma! - sussurrò. Oh, poter giungere a Tara, percorrere il viale di cedri, vedere il dolce viso di sua madre, nascondere il capo nel suo grembo! La mamma saprebbe che cosa fare. Farebbe in modo che Melania e il suo bimbo non morissero. Scaccerebbe tutti gli spettri e tutti i timori col suo tranquillo: "Ssst! Ssst!". Ma la mamma era ammalata; forse, chi sa?, morente.

Frustò ancora il cavallo. La strada era interminabile. Fra poco sarebbe notte ed esse sarebbero sole in quella desolazione che somigliava tanto alla morte. Strinse le redini con le mani che le dolevano, e con quelle frustò il dorso del cavallo con quanta forza aveva.

Il cavallo non reagì alle percosse ma continuò a trascinare le zampe inciampando nei sassi e barcollando come se stesse per cadere in ginocchio. Ma, col crepuscolo, giunsero finalmente all'ultima parte del lungo viaggio. Girarono una breve curva e sboccarono sulla strada principale che conduceva a Tara: a un miglio di distanza.

Si distingueva chiaramente la massa oscura della siepe di sassifraghe che segnava il confine della proprietà di McIntosh. Un po' più avanti, Rossella tirò le redini dinanzi al viale di querce che conduceva dalla strada alla casa del vecchio McIntosh. Guardò verso la casa. Nessun barlume di luce. Aguzzando gli occhi, riuscì a discernere qualche cosa che durante quella tremenda giornata le era divenuto famigliare: due alti camini simili a gigantesche pietre tombali, al disopra del secondo piano rovinato, e finestre smantellate che sembravano, sui muri, occhiaie vuote senza palpebre.

- Hallò! - gridò, raccogliendo tutte le sue forze. - Hallò! -

Prissy si aggrappò a lei in una frenesia di terrore.

- Non gridare, Miss Rossella! Ti prego, non gridare! - bisbigliò con voce tremante. - Non sapere cosa poter rispondere. -

“Dio mio!" pensò Rossella con un brivido. "Ha ragione. Di là potrebbe uscire qualsiasi cosa!”

Frustò ancora il cavallo con le redini. La vista della casa dei McIntosh le aveva tolto l'ultimo rimasuglio di speranza. Incendiata, rovinata, deserta come tutte le piantagioni dinanzi a cui era passata. E Tara era solo a mezzo miglio, sulla stessa strada, battuta dall'esercito. Anche Tara era rasa al suolo! Troverebbe soltanto i mattoni anneriti, i muri scoperchiati, Elena e Geraldo partiti, le ragazze partite, Mammy e i negri partiti, Dio sa per dove; e questa calma spaventosa dovunque.

Perché si era messa in questa folle avventura, contro ogni senso comune, trascinandosi dietro Melania e il bambino? Meglio morire ad Atlanta che aver la tortura di questa giornata di sole ardente nel carretto traballante, per andare a morire a Tara.

Ma Ashley le aveva affidato Melania. Ed ella aveva promesso. Perché si era legata con questa promessa, ancor più impegnativa ora che Ashley non c'era più? Anche nel suo stato di esaurimento detestava Melania, detestava il vagito sempre più fievole del bambino. Ma aveva promesso ed essi le appartenevano, con Wade e Prissy, ed ella doveva lottare per loro finché aveva forza e respiro. Avrebbe potuto lasciarli ad Atlanta, mettendo Melania in ospedale e abbandonandola. Ma se l'avesse fatto, non avrebbe mai più potuto guardare in faccia a Ashley, in questo mondo o nell'altro.

Oh Ashley! Dove era stasera mentre lei si affannava per quella strada infestata dagli spiriti, portando seco sua moglie e il suo bambino? Era vivo e pensava a lei, o era morto di vaiolo già da qualche mese, assieme a centinaia di altri confederati?

I nervi tesi di Rossella la fecero sobbalzare a un rumore improvviso che venne dal sottobosco. Prissy urlò e si gettò sul fondo del carretto, quasi schiacciando il bambino. Melania si agitò debolmente e le sue mani cercarono il bimbo, mentre Wade si copriva gli occhi, troppo spaventato per piangere. Quindi i cespugli scricchiolarono sotto un pesante calpestio e alle loro orecchie giunse un cupo muggito.

- Non è che una mucca - disse Rossella ancora sgomenta. - Non fare la stupida, Prissy. Hai schiacciato il bambino e spaventato miss Melly e Wade. -

- E' uno spettro - lamentò Prissy nascondendosi il viso.

Rossella si volse risoluta, sollevando il ramo d'albero che adoperava come frusta, e percosse con quello il dorso di Prissy.

- Stai su, stupida, altrimenti te lo rompo addosso. -

Prissy alzò la testa lamentandosi, e guardando al di sopra del lato del carretto, vide che era proprio una mucca a chiazze rosse e bianche, che le guardava con grandi occhi spauriti, e che aperse ancora la bocca in un basso muggito lamentoso.

- E' ferita? Non mi sembra un muggito normale. -

- Io credere che avere pieno di latte e bisogno di essere munta. - disse Prissy riacquistando un po' di coraggio. - Essere certo mucca di Mist' MacIntosh che negri avere portato nei boschi e yankees non avere rubato. -

- La portiamo con noi - decise Rossella vivamente. - Così avremo un po' di latte per il bimbo. -

- Come potere portare una mucca con noi, Miss Rossella? Non potere. Mucche non camminare se non essere state munte. Mammelle ciondolare e pesare. Per questo lei lamentarsi. -

- Giacché ne capisci tanto, levati la sottoveste e con quella legala al carretto. -

- Miss Rossella, tu sapere che io non avere sottoveste da un mese e se io avere non sprecare per quella. E io non sapere trattare mucche. Io avere paura. -

Rossella posò le redini e si sollevò la gonna. La sottoveste ornata di merletto era l'ultimo indumento elegante e intatto che le rimaneva. Sciolse il nastro della cintura e lasciò cadere la sottana a terra. La raccolse risolutamente, ne prese un lembo fra i denti e tirò finché la tela cedette. Tirò furiosamente, lacerò con ambo le mani e dopo poco la sottana era ridotta a strisce. Le annodò con le dita tremanti e insanguinate, tutte vesciche.

- Passagliela sopra le corna - ordinò a Prissy. Ma questa si ritrasse.

- Io avere paura di mucche. Avere mai avuto da fare con loro. Io non essere negra contadina, essere negra domestica. -

- Tu sei negra idiota, e la peggior cosa che ha fatto mio padre è stato il giorno in cui ti ha comprato - rispose Rossella lentamente, troppo stanca per adirarsi.

Prissy roteò gli occhi guardando prima la sua padrona e poi la mucca che muggiva lamentosamente. Fra le due, Rossella sembrava la meno pericolosa; perciò Prissy rimase dov'era, aggrappandosi al fianco del carretto.

Rossella scese faticosamente dal sedile: ogni movimento era un tormento per i suoi muscoli indolenziti. Prissy non era la sola ad aver paura delle mucche. Anche Rossella le aveva sempre temute: ma ora non vi era tempo per queste piccole paure quando ve ne erano tante altre più grandi. Fortunatamente la mucca era remissiva. Nella sua sofferenza aveva cercato aiuto presso gli esseri umani, e quindi non fece alcun movimento minaccioso quando Rossella le gettò attorno alle corna il nodo scorsoio fatto con la striscia di tela. Legò l'altra estremità al carretto il più saldamente che poté. Mentre si avviava per tornare al sedile, si sentì prendere da capogiro e si afferrò al bordo del carretto per non cadere.

Melania aperse gli occhi e vedendo Rossella mormorò: - Cara.. siamo a casa? -

A casa! Lacrime ardenti riempirono gli occhi di Rossella. La casa.

Melania non sapeva che non vi era più casa e che erano sole in un mondo pazzo sole desolato.

- Non ancora - disse tanto dolcemente quanto la sua gola contratta glielo permise. - Ma vi saremo tra poco. Ho trovato una mucca, così avremo un po' di latte per te e il piccino. -

- Povero piccino - mormorò Melania, cercando di agitare la mano verso il piccolo, ma lasciandola subito ricadere.

Rossella dovette ricorrere a tutta la forza che le rimaneva per arrampicarsi sul carretto. Quando vi fu riuscita raccolse le redini, ma il cavallo con la testa china fino a terra rifiutò di muoversi. Rossella usò la frusta senza pietà, sperando che Dio le perdonasse la sua crudeltà verso un animale stanco.

Infine si avviò lentamente; il carretto scricchiolava e la mucca gemeva lugubremente ad ogni passo. La voce di quell'animale urtava talmente i nervi a Rossella che ella fu tentata di fermarsi per scioglierla. A che le servirebbe se a Tara non vi era nessuno? Ella era incapace di mungerla; se anche avesse saputo farlo, certo la bestia avrebbe calciato contro chiunque le toccasse i capezzoli indolenziti. Ma giacché l'aveva, tant'era tenerla.

I suoi occhi si velarono quando finalmente giunsero ai piedi della collinetta, sulla cui sommità era la piantagione di Tara. Quell'animale decrepito non riuscirebbe mai ad arrampicarsi. Il pendio le era sempre sembrato così dolce, quando ella cavalcava la sua veloce giumenta. Possibile che fosse diventato così ripido? Il cavallo non potrebbe mai salire, gravato da tanto peso.

Discese faticosamente e lo prese per la briglia.

- Scendi, Prissy - ordinò - e prendi Wade. Portalo in braccio, oppure fallo camminare. Metti il bimbo accanto a miss Melania. -

Wade ruppe in singhiozzi e lamenti fra i quali Rossella distingueva:

- Buio... buio... Wade ha paula! -

- Miss Rossella, io non poter camminare. Avere piedi con vesciche e scarpe rotte... e Wade essere tanto pesante...-

- Scendi subito! Altrimenti ti tiro giù io! E ti lascio qui sola, nell'oscurità! Svelta! -

Prissy nicchiò, guardò gli alberi cupi ai due lati della strada alberi che potevano avanzarsi ad afferrarla se lasciava il riparo del carretto. Ma depose il bimbo accanto a Melania, scese e prese in braccio Wade. Questi singhiozzò abbracciando stretta la sua bambinaia.

- Fallo tacere. Non posso sopportarlo - disse Rossella prendendo il cavallo per la briglia e tirandolo per farlo muovere. - Sii un omino coraggioso, Wade, e finiscila di piangere se non vuoi essere sculacciato. -

"Perché Dio aveva inventato i bambini?" pensò ferocemente nel momento in cui si storceva una caviglia. "Una vera calamità: inutili, sempre fra i piedi, sempre a piagnucolare, sempre bisognosi di cure!"

- Miss Rossella - bisbigliò Prissy afferrandola per il braccio- non andare a Tara. Non esserci nessuno. Essere tutti andati via. Forse morti, tutti quanti. -

L'eco dei propri pensieri irritò Rossella che si svincolò dalle dita che la stringevano convulsamente.

- Allora dammi la mano di Wade. Tu puoi rimanere qui. -

- No, badrona! No! -

- E allora, taci! -

Come camminava adagio il cavallo! Sulla mano sentiva gocciolare la bava della povera bestia; e la sua mente ripeteva fino all'ossessione poche parole di una canzone che cantava, una volta con Rhett; non ricordava il seguito:

 

"Ancora pochi giorni per portare il pesante fardello..."

 

"Ancora un passo... - ripeteva il suo cervello stanco - ancora un passo... per portare il pesante fardello..."

Finalmente raggiunsero la sommità: dinanzi a loro erano le querce di Tara, una massa cupa contro il cielo buio. Nessuna luce.

- Se ne sono andati! - E improvvisamente il cuore le pesò come se fosse diventato di piombo.

Volse il capo del cavallo verso l'imboccatura del viale; i cedri unendo i loro rami in alto immersero il gruppo lamentevole in una completa oscurità. Aguzzando gli occhi, sembrò a Rossella di distinguere - o era allucinazione? - vagamente la forma della casa. La sua casa, la sua casa! I cari muri bianchi, le finestre con le tendine leggere, le larghe verande... tutto ciò era veramente dinanzi a lei? O le tenebre nascondevano pietosamente orrori come quelli della casa dei MacIntosh?

Il viale sembrò interminabile; il cavallo inciampava ad ogni passo. Ansiosamente gli occhi di Rossella scrutavano nel buio. Il tetto sembrava intatto. Era possibile? Possibile? No, non poteva essere. La guerra non si fermava dinanzi a nulla; neanche dinanzi a Tara, costruita per durare cinquecento anni.

La massa incerta cominciò a prender forma. Rossella trascinò il cavallo più in fretta. I muri bianchi si vedevano ora distintamente; e non erano neanche anneriti dal fumo. Tara era salva! La sua casa! Lasciò cadere le briglie e corse in avanti, con folle desiderio di stringere fra le braccia quelle mura. E vide una forma, un'ombra, emergere dall'oscurità del porticato, in cima alla breve gradinata. Tara non era dunque abbandonata! C'era qualcuno in casa!

Un grido di gioia le salì alla gola, ma rimase soffocato. La casa era buia e silenziosa, eppure la figura non si muoveva. Che cosa era successo? Ma ecco: l'ombra si era mossa; scendeva lentamente i gradini.

- Babbo? - mormorò Rossella, rauca, quasi dubitando che fosse lui. - Sono io...Caterina Rossella. Sono tornata. -

Geraldo avanzò verso di lei, come un sonnambulo, trascinando la gamba rigida. Le giunse accanto, la fissò stranamente come se credesse che fosse un sogno. Poi le posò una mano sulla spalla. Rossella lo sentì tremare, come se fosse stato svegliato da un incubo e non avesse ancora il senso completo della realtà.

- Figlia... - mormorò con sforzo - Figlia mia. -

Poi tacque.

"E' un vecchio!" pensò Rossella.

Geraldo aveva le spalle curve. Nel volto, che ella scorgeva confusamente, non era più nulla della vitalità che ricordava in suo padre, e i suoi occhi avevano quasi l'espressione sgomenta di quelli del piccolo Wade. Era un piccolo vecchio accasciato.

Lo spavento di mille cose ignorate la afferrò; ed ella rimase a fissarlo, con un fiume di domande che le urgevano in gola e non riuscivano a formularsi.

Dal carretto giunse di nuovo il vagito lieve e Geraldo si volse con sforzo.

- E' Melania col suo bimbo - sussurrò Rossella rapidamente. - Sta molto male. L'ho portata a casa. -

Geraldo lasciò cadere la mano che le teneva sul braccio e cercò di raddrizzare le spalle mentre si dirigeva a passi lenti verso il carretto. Era lo spettro dell'antico padrone di casa che si recava a dare il benvenuto agli ospiti.

- Cugina Melania! - La voce di Melania mormorò indistintamente.

- Cugina Melania, questa è casa vostra. Le Dodici Querce sono state bruciate. Dovete stare con noi. -

Il pensiero della prolungata sofferenza di Melania spinse Rossella all'azione, insieme alla necessità di mettere lei e il suo piccino in un letto morbido, e di fare per lei ciò che si poteva.

- Bisogna portarla. Non può camminare. -

Si udì un fruscio di piedi e dal porticato emerse una figura scura. Pork scese i gradini di corsa.

- Miss Rossella! Miss Rossella! - gridò.

Rossella gli afferrò le braccia. Pork, parte di Tara, caro quanto le sue pietre e i freschi corridoi! Sentì le lagrime di lui scorrerle sulle mani, mentre egli l'accarezzava goffamente esclamando:

- Tanto contento tu essere tornata! Tanto...-

Prissy era scoppiata in lacrime e balbettava parole incoerenti: - Pork! Pork! Caro! - E il piccolo Wade, incoraggiato dalla debolezza dei grandi, cominciò a piagnucolare: - Wade ha sete! -

Rossella prese la direzione.

- Miss Melania è nel carretto col suo bambino. Devi prenderla in braccio, Pork, e portarla di sopra, nella stanza degli ospiti in fondo al corridoio. Prissy, porta dentro il piccolo e Wade, e dai a Wade un sorso d'acqua. C'è Mammy? Dille che ho bisogno di lei, Pork. -

Galvanizzato dall'autorità di quella voce, Pork si avvicinò al carretto.

Un gemito uscì dalle labbra di Melania quando egli la sollevò dal materassino di piume su cui giaceva da tante ore. E poi fu nelle forti braccia di Pork, con la testa sulla sua spalla. Prissy, col bimbo in braccio e tenendo Wade per mano, lo seguì e scomparve nelle tenebre del vestibolo.

Le dita infiammate di Rossella cercarono la mano di suo padre.

- Come stanno, babbo? -

- Le ragazze si stanno rimettendo. -

Nel silenzio che seguì, un'idea troppo mostruosa per essere detta in parole prese forma. No, ella non poteva costringere le sue labbra ad aprirsi. Inghiottì a più riprese, ma la sua gola era arida come pergamena. Era dunque quello il significato dello spaventoso enigmatico silenzio di Tara? Come per rispondere al suo spirito, Geraldo parlò.

- La mamma... - disse; e si fermò.

- La mamma? -

- E'... è morta ieri. -

Col braccio di suo padre stretto al suo, Rossella attraversò il grande vestibolo nel quale, malgrado l'oscurità, sapeva muoversi senza esitazione. Evitò le sedie ad alta spalliera, la vecchia credenza con le zampe sporgenti, la rastrelliera vuota, e si sentì portata dall'istinto allo studietto dove Elena sedeva sempre riordinando la sua interminabile contabilità. Certo la troverebbe dinanzi alla scrivania; e la vedrebbe alzarsi in un fruscio di gonne che sapevano di verbena, per andare incontro alla figlia così stanca, ed esausta. Elena non poteva essere morta, benché il babbo avesse detto e ripetuto, come un pappagallo che sa una sola frase: - E' morta ieri... è morta ieri... è morta ieri.-

Strano: non sentiva altro, ora, che una stanchezza che le inceppava le membra come catene di ferro e una fame che le faceva tremare le ginocchia. Alla mamma penserebbe più tardi. Doveva allontanarla dalla sua mente in questo momento, altrimenti si metterebbe a balbettare stupidamente come Geraldo o a singhiozzare come Wade.

Pork ridiscese frettolosamente le scale, ansioso di avvicinarsi a Rossella come un animale che ha freddo si avvicina al fuoco.

- Luce? - chiese Rossella. - Perché tutta la casa è così buia, Pork? Porta delle candele. -

- Loro avere preso tutte le candele, miss Rossella, meno una che adoperare per lavori più fini ed essere quasi finita. Mammy adoperare stracci in un piatto di grasso di porco per potere curare miss Carolene e miss Susele. -

- Porta quello che è rimasto della candela - ordinò. - Portala nello studio della... nello studio. -

Pork trotterellò verso la stanza da pranzo e Rossella penetrò nella stanzetta e si lasciò cadere sul divano. Il braccio di suo padre era ancora sotto al suo, aggrappato disperatamente, supplichevole, come possono esserlo soltanto le mani dei giovanissimi e dei vecchi.

"E' invecchiato e stanco" pensò di nuovo; e vagamente si stupì che non gliene importasse nulla.

La luce penetrò nella stanza quando Pork entrò portando una candela consumata a metà in un piattino. L'ambiente si ravvivò: il vecchio divano logoro su cui sedeva, la grande scrivania con la fragile sedia intagliata dietro ad essa, gli scaffali ancora pieni di carte scritte dalla mamma, il tappeto consunto... tutto, tutto era come prima; soltanto Elena non vi era, Elena con la lieve fragranza di verbena e la dolce espressione dei suoi occhi dagli angoli tirati in basso. Rossella provò una leggera stretta al cuore, come se i nervi, lesi da una profonda ferita, cercassero di riprender vita. Ma non poteva lasciarli rivivere adesso: c'era davanti a lei tutto il resto della sua vita per soffrire! Non adesso, Dio, non adesso!

Guardò Geraldo e per la prima volta in vita sua lo vide non raso, col viso non più florido irto di setole grige. Pork collocò la candela nel candeliere e le venne accanto. Se fosse stato un cane, le avrebbe posato il muso in grembo, aspettando una carezza.

- Pork, quanti negri ci sono? -

- Miss Rossella, quei mascalzoni negri essere scappati e alcuni essere andati con yankees e...-

- Quanti ne sono rimasti? -

- Rimasti io e Mammy. E poi Dilcey. Mammy aver curato signorine tutto giorno e Dilcey tutta notte. Noi tre, miss Rossella. -

"Noi tre", mentre erano cento. Rossella alzò la testa con sforzo; il collo le doleva. Bisognava che la voce non le tremasse! Ma, con sua sorpresa, parlò freddamente e naturalmente, come se non vi fosse mai stata la guerra ed ella avesse potuto, con un cenno, chiamare una decina di schiavi.

- Pork, muoio di fame. C'è qualche cosa da mangiare? -

- No, miss. Loro avere portato via tutto. -

- E nell'orto? -

- Loro avere fatto camminare dentro cavalli che aver pestato tutto. -

- Anche le patate dolci? -

Qualche cosa come un sorriso si disegnò sulle grosse labbra del negro.

- Miss Rossella, io avere dimenticato patate dolci. Credo che essere ancora. Yankees non conoscere queste e credere che essere radici inutili... -

- A momenti si leverà la luna. Andrai a scavarne un certo numero e le farai cuocere. Non c'è grano saraceno? Piselli secchi? -

- No, badrona. Niente. I polli che non aver potuto mangiare avere portato via legati a loro selle. -

Non vi era dunque cosa che non avessero fatto, coloro? Non bastava avere incendiato e ucciso? Avevano anche lasciato donne e bambini a morir di fame nei luoghi che avevano devastati?

- Miss Rossella, io avere alcune mele che Mammy aver seppellito dietro alla casa. Oggi esserci nutriti con quelle. -

- Portale prima di andare a scavare le patate. E...Pork, mi sento tanto debole. C'è vino in cantina, magari di amarasche? -

- Oh, miss Rossella, in cantina essere andati per prima cosa! -

Una nausea fatta di fame, di esaurimento, di sbalordimento la assalì improvvisamente, ed ella si drizzò aggrappandosi alla scrivania.

- Non c'è vino - ripeté con voce opaca, rivedendo le file di bottiglie nella cantina. Un ricordo le balenò.

- E quel whisky di grano che babbo mise in un bariletto di quercia e che sotterrò ai piedi dell'albero di noce moscata? -

Un altro barlume di sorriso illuminò il viso nero.

- Oh, miss Rossella, io non dimenticare quel bariletto. Ma whisky non essere buono. Essere lì sotto da quasi un anno e non essere buono per signorine! -

Com'erano stupidi i negri! Non avevano mai l'idea di nulla, se uno non glielo diceva. E gli yankees volevano liberarli! - Sarà buono per questa signorina e per babbo. Svelto, Pork, vai a dissotterrarlo e portaci due bicchieri, un po' di zucchero e qualche foglia di menta. -

- Non essere zucchero a Tara da un pezzo. E cavalli aver mangiato tutta la menta; e loro aver rotto tutti bicchieri. -

"Se dice 'loro' ancora una volta, non potrò fare a meno di urlare!" pensò Rossella. Poi, disse: - Va bene; corri a prendere il whisky. Lo berremo puro. E... aspetta. Mi pare di dover pensare a tante cose... Ah, sì. Ho portato a casa un cavallo e una mucca. Questa ha bisogno di essere munta. E bisogna togliere i finimenti al cavallo e dargli da bere. Di' a Mammy di occuparsi della mucca. Che la metta in qualche posto. Il bimbo di Melania morirà se non gli si dà un po' di latte. -

- Miss Melania... non avere...? - Pork si interruppe per delicatezza.

- No, non ha latte. - Dio mio, se la mamma la sentisse parlare così!

- Allora, miss Rossella, mia Dilcey occuparsi del pupo di miss Melania. Mia Dilcey avere avuto anche lei bambino e avere abbastanza latte per due. -

- Tu hai un altro bimbo, Pork? -

Bambini, bambini, bambini. Perché Dio metteva al mondo tanti bambini? Ma no, non era Dio che li metteva al mondo: era la gente stupida.

- Sì, badrona: grosso bambino nero. E... -

- Vai a dire a Dilcey che lasci per un poco le ragazze. Che si occupi del bimbo di miss Melania e faccia anche per miss Melania quello che occorre. Di' a Mammy che provveda per la mucca e metti nella stalla quel povero cavallo. -

- Non esservi stalla. Loro avere demolito per fare legna da ardere. -

- Non dirmi più nulla di ciò che "loro" hanno fatto. Ripeti a Dilcey quello che ti ho detto. E poi vai a prendere il whisky e qualche patata. -

- Non potere scavare al buio. -

- Non puoi accendere un pezzo di legno e con la fiamma...? -

- Non avere legna. Loro... -

- Fai quello che ti pare. Arrangiati. Ma fai quello che ti ho ordinato e sbrigati. -

Pork si affrettò fuori della stanza e Rossella rimase sola con Geraldo. Gli accarezzò dolcemente una gamba; e notò che i muscoli saldi si erano afflosciati. Bisognava fare qualche cosa per toglierlo da quell'apatia... ma non poteva chiedergli della mamma. Più tardi...

- Perché non hanno incendiato Tara? -

Geraldo la fissò un momento come se non avesse compreso e Rossella ripeté la domanda.

- Perché... - mormorò - hanno fatto qui il loro quartier generale. -

- Gli yankees... in questa casa? -

Ebbe la sensazione che fosse stata compiuta una profanazione. Quelle mura, sacre perché vi aveva vissuto Elena... e coloro vi erano penetrati!

- E' stato così. Avevamo visto il fumo delle Dodici Querce prima che giungessero qui. Ma Lydia e Gioia si erano rifugiate a Macon, con alcuni schiavi, perciò non ce ne preoccupammo. Noi non ci potevamo muovere. Le ragazze stavano molto male... e la mamma... Non potevamo muoverci. I nostri negri fuggirono... non so dove. Rubarono i carri e i muli. Mammy, Dilcey e Pork... non sono fuggiti. Le ragazze... e la mamma... impossibile trasportarle. -

- Sì, sì. - Non doveva parlare della mamma. Qualunque altra cosa; magari dirle che il generale Sherman in persona aveva usato quella stanza, lo studio della mamma, per il suo quartier generale. Qualunque altra cosa.

- Gli yankees marciavano su Jonesboro, per tagliare la ferrovia. E attraversarono il fiume... migliaia e migliaia... coi cannoni e i cavalli... a migliaia... ed io andai a riceverli sotto il porticato. -

"Valoroso piccolo Geraldo!" pensò Rossella sentendosi venir meno. Geraldo che andava a ricevere il nemico sui gradini di Tara, come se avesse dietro un esercito, anziché dinanzi.

- Mi dissero di andar via, perché volevano incendiare la casa. Risposi che l'avrebbero bruciata con me dentro. Non potevamo partire... le ragazze... la mamma...-

- E allora? - Possibile che tornasse sempre a parlare di Elena?

- Dissi che vi erano ammalati in casa; il tifo; e che farli muovere sarebbe stato ucciderli. Bruciassero pure il tetto sulle nostre teste. Non potevo partire... lasciare Tara... -

La sua voce si spense; egli guardò le pareti e Rossella comprese. Troppi antenati irlandesi erano morti combattendo sino alla fine, piuttosto che lasciare le case dove avevano vissuto, lavorato, amato, generato dei figliuoli.

- Dissi che vi erano tre donne moribonde: bruciassero pure la casa con loro dentro. Il giovine ufficiale era... era un gentiluomo. -

- Uno yankee gentiluomo? Andiamo, via, babbo! -

- Un gentiluomo. Se ne andò al galoppo e tornò dopo poco con un capitano medico che visitò le ragazze... e la mamma. -

- Hai lasciato entrare in camera loro un maledetto yankee? -

- Aveva dell'oppio. Noi non ne avevamo. Salvò le tue sorelle. Susele aveva un'emorragia. Era un brav'uomo. E quando andò a riferire che erano... ammalate... rinunciarono a incendiare la casa. Entrarono, il generale e il suo Stato Maggiore, e occuparono le stanze, meno quella delle ammalate. E i soldati... -

Si interruppe di nuovo, come se fosse troppo stanco per continuare. Il mento gli ricadde pesantemente sul petto, formando delle pieghe di carne floscia. Poi fece uno sforzo per parlare ancora.

- Si accamparono intorno alla casa, dovunque, nel cotone, nel grano. I campi erano turchini delle loro uniformi. Quella notte vi furono mille fuochi di bivacco. Strappavano le barriere e le bruciavano per cucinarvi sopra il loro cibo; e così le tettoie e le stalle. Uccisero le mucche, i maiali, i polli... perfino i miei tacchini. - I preziosi tacchini di Geraldo. - Presero tutto; i quadri, le porcellane... -

- L'argenteria? -

- Non so che cosa ne hanno fatto Pork e Mammy; messa nel pozzo... non mi ricordo. - La voce di Geraldo era stizzosa. - E poi iniziarono la battaglia da qui... da Tara... Uno strepito infernale, gente che galoppava e calpestava tutto. E più tardi, le cannonate a Jonesboro; sembravano tuoni... Anche le ragazze le sentivano, benché stessero tanto male...-

- E... la mamma? Ha saputo che c'erano gli yankees in casa? -

- Non ha mai saputo nulla. -

"Dio sia ringraziato!" pensò Rossella. Almeno, questo era stato risparmiato alla mamma. Non aveva saputo, non aveva udito il nemico nelle stanze, non aveva sentito i cannoni a Jonesboro, non aveva sofferto perché la terra cara al suo cuore era sotto ai piedi degli yankees.

- Li ho visti poco perché stavo al piano di sopra con le ragazze e con la mamma. Ho visto più di tutti il giovine medico. Era tanto buono, tanto! Dopo aver lavorato tutto il giorno intorno ai feriti, veniva a sedersi di sopra, con loro. Ha anche lasciato qualche medicina. Nel partire mi disse che le ragazze sarebbero guarite, ma la mamma... Era così fragile... troppo fragile per resistere a questo. Disse che aveva abusato delle sue forze... -

Nel silenzio che seguì, Rossella vide sua madre come doveva essere stata in quegli ultimi tempi; il sostegno di Tara, sempre pronta ad assistere, a lavorare, senza dormire e senza mangiare, perché gli altri potessero mangiare e dormire.

- E poi, se ne sono andati. -

Tacque a lungo, poi cercò la mano di lei.

- Sono contento che tu sia tornata. -

Dal porticato posteriore giunse uno scalpiccio. Il povero Pork, abituato da quarant'anni a pulirsi le scarpe prima di entrare in casa, non dimenticava di farlo neanche in questi momenti. Entrò, portando con precauzione due piccole borracce di zucca e con lui entrò un forte sentore di grappa.

- Averne sprecato parecchio, miss Rossella. Essere difficile fare entrare grosso getto in piccola zucca.-

- Va bene, Pork; grazie. - Gli prese di mano la zucca sgocciolante, torcendo il naso per il disgusto di quell'odore forte.

- Bevi, babbo - disse ponendogli in mano lo strano recipiente e prendendo dalle mani di Pork la seconda zucca, piena d'acqua. Geraldo, ubbidiente come un bambino, bevve rumorosamente. Ella gli porse l'acqua, ma Geraldo crollò il capo.

Riprese la borraccia e se la portò alle labbra; e nel far questo vide che gli occhi di lui la seguivano, con una vaga espressione di disapprovazione.

- So che le signore non bevono liquori - disse brevemente. - Ma oggi non sono una signora; e stasera c'è da lavorare, babbo. -

Sollevò il recipiente, trasse un profondo respiro e bevve. Il liquore le bruciò la gola e lo stomaco, soffocandola e facendola lacrimare. Trasse un altro respiro e sollevò di nuovo la zucchetta.

- Caterina Rossella - fece Geraldo; e nella sua voce era la prima nota di autorità che ella avesse udito dopo il suo ritorno, - ora basta. Non sei abituata all'alcool e ti renderebbe brilla. -

- Brilla? - E rise di un riso cattivo. - Spero che mi ubriachi addirittura. Mi piacerebbe ubriacarmi e dimenticare tutto questo. -

Bevve ancora, sentendosi scorrere entro le vene un calore che giunse fino alla punta delle dita. Che piacevole sensazione, quel calore benefico! Le parve che penetrasse fino al suo cuore ghiacciato e le desse nuova forza. Vedendo il viso perplesso di Geraldo lo accarezzò di nuovo sforzandosi al sorriso che egli amava.

- Come vuoi che mi ubriachi, babbo? Non sono tua figlia? Non ho ereditato la testa più salda della Contea di Clayton? -

Anche Geraldo abbozzò quasi un sorriso. Il whisky stava risollevando anche lui. Rossella gli porse nuovamente la borraccia.

- Bevi ancora un poco; poi ti porterò di sopra e ti metterò a letto. -

Fu stupita. Quello era il modo in cui parlava a Wade; non poteva parlare nella stessa maniera a suo padre! Era poco rispettoso. Ma egli pendeva dalle sue labbra.

- Sì, ti metterò a letto - proseguì leggermente - e ti darò ancora da bere... forse tutta la borraccia; così dormirai. Hai bisogno di dormire; e qui ora c'è Caterina Rossella e non devi preoccuparti di nulla. Bevi.-

Egli bevve di nuovo, ubbidiente; quindi, passando il suo braccio sotto a quello di lui, ella lo fece alzare in piedi.

- Pork...-

Pork s'impadronì della borraccia con una mano e del braccio di Geraldo con l'altra.Rossella prese la candela e tutti e tre si avviarono lentamente per il vestibolo e poi per le scale fino alla stanza di Geraldo.

 

La camera in cui Susele e Carolene giacevano gemendo e agitandosi nello stesso letto, aveva un odore nauseabondo, dato dal cencio attorcigliato che ardeva in un piatto di grasso e che costituiva l'unica fonte di illuminazione. Quando Rossella aperse la porta, l'atmosfera densa dell'ambiente, con tutte le finestre chiuse e il sentore combinato dei medicinali, del grasso e della malattia, la fece quasi svenire. I medici avevano un bel dire che l'aria fresca era fatale nelle camere degli ammalati; ma se lei fosse dovuta rimanere in quella stanza, sarebbe morta per mancanza d'aria. Aperse le tre finestre, lasciando penetrare l'odore delle querce e della terra; ma l'aria immota era insufficiente a disperdere il fetore accumulato da tante settimane nella stanza chiusa.

Carolene e Susele, pallide ed emaciate, dormivano di un sonno interrotto, svegliandosi ogni tanto e lamentandosi, mentre fissavano con gli occhi spalancati l'ampio letto nel quale, in altri tempi, avevano tante volte passato le ore ridendo e bisbigliando. Nell'angolo della stanza era un lettino a un posto; un letto francese, stile Impero, che Elena aveva portato da Savannah. In quello era stata Elena ammalata.

Rossella sedette accanto al letto grande, fissando stupidamente le due sorelle. Il whisky, bevuto a stomaco vuoto, le faceva degli strani scherzi. A volte le ragazze le sembravano piccine piccine, lontanissime e la loro voce le giungeva come il ronzio di un insetto. Altre volte le vedeva enormi e le pareva che si gettassero sopra di lei con la velocità del lampo.

Era stanca da morire. Avrebbe voluto dormire per giornate intere. Si sarebbe poi destata sentendo Elena che la scuoteva dolcemente dicendole: - E' tardi, Rossella. Non devi essere tanto pigra. - Ma no; questo non accadrebbe mai più. Non c'è più nessuno, nessuno più vecchio di lei, nel cui grembo posare il capo, nessuno sulle cui spalle ella potesse deporre il suo grave fardello!

La porta si aperse piano lasciando entrare Dilcey, col bimbo di Melania attaccato al seno, e la borraccia del whisky in mano. Nella luce fumosa e incerta, sembrò a Rossella più sottile di quando l'aveva vista l'ultima volta; e il sangue indiano era più evidente sul suo volto. Gli zigomi erano più sporgenti, il naso aquilino più aguzzo e la pelle color del rame più chiara. La veste di calicò scolorito era aperta davanti e lasciava vedere il suo seno florido. Stretto contro di lei, il bimbo di Melania aveva attaccato avidamente la sua boccuccia pallida al capezzolo bruno e succhiava, premendo i piccoli pugni contro la carne morbida, come un gattino nella calda pelliccia del ventre materno.

Rossella si alzò faticosamente e pose una mano sul braccio di Dilcey.

- Sei stata buona a rimanere, Dilcey. -

- Come potere io andar via con quella canaglia negra, miss Rossella, quando tuo padre essere stato tanto buono da comprare me e la mia piccola Prissy e anche tu essere stata così buona? -

- Siediti, Dilcey. Dunque, il bambino succhia? E come sta miss Melania? -

- Il bambino non ha niente; soltanto è affamato. E quando io prendere un bimbo affamato, lui dopo stare bene. Miss Melania va bene. Non morire; non dover temere, miss Rossella. Vedute tante, bianche e negre, come lei. Molto stanca e nervosa e spaventata per il bambino. Ma io averla lavata e dato poco liquore rimasto borraccia. Ora lei dormire. -

Così, il whisky di grano era servito a tutta la famiglia! Rossella pensò istericamente che forse sarebbe bene a darne un sorso al piccolo Wade, per vedere se cessasse i suoi singulti... E Melania non morrebbe. E al ritorno di Ashley... se tornasse... No, anche a questo penserà più tardi. Quante cose da pensare... più tardi! Improvvisamente sobbalzò sentendo un rumore stridente e un ritmico "ker-bunk, ker-bunk..." che interruppe il silenzio esterno.

- Mammy tirare su acqua per fare spugnature alle badroncine - spiegò Dilcey, posando la borraccia sulla tavola fra boccette di medicinali e bicchieri. - Avere bisogno di bagnare spesso. -

Rossella rise improvvisamente. Doveva avere i nervi molto scossi se il cigolio del mulinello del pozzo, legato ai suoi ricordi più lontani, poteva spaventarla. Dilcey la fissò col viso immobile; ma Rossella sentì che quella la comprendeva. Ricadde sulla sua sedia. Se potesse togliersi il busto stretto, il colletto che la soffocava, le scarpine piene di terriccio e di sassolini che le facevano male ai piedi!

Il mulinello cigolava più lentamente man mano che la fune vi si avvolgeva, portando il secchio più vicino all'orlo. Fra poco Mammy sarebbe con lei.. la sua Mammy, la Mammy di Elena. Sedette silenziosa, senza badare a nulla, mentre il bimbo sazio di latte, si lamentava piano per essere stato allontanato dalla mammella. Dilcey, senza parlare, guidò la bocca del piccino, acquetandolo, mentre Rossella ascoltava il lento avvicinarsi dei passi di Mammy attraverso il cortile posteriore. Com'era calma la notte!

Le scale gemettero sotto il peso di Mammy; ed eccola nella stanza: Mammy con le spalle tirate giù dal peso di due secchi di legno, col suo buon viso nero triste della incomprensibile tristezza di un viso di scimmia.

I suoi occhi si illuminarono alla vista di Rossella, i suoi denti bianchi brillarono mentre deponeva i secchi; e Rossella corse a lei, posando il capo sul largo seno su cui tante teste, bianche e nere, si erano posate. Ecco finalmente qualche cosa dell'antica vita che era rimasta immutata. Ma le prime parole di Mammy dissiparono le sue illusioni.

- Essere tornata a casa, la bambina di Mammy! Oh miss Rossella, che cosa fare ora che miss Elena essere morta? Oh, almeno io essere morta insieme a lei! Io non potere stare senza miss Elena. Non essere rimasto altro che guai e miserie. Fardelli troppo pesanti, tesoro, troppo pesanti! -

Rossella alzò il capo e le accarezzò il volto rugoso.

- Ma tu essere spellata! - Mammy afferrò le manine con le sue grosse zampe e le guardò inorridita. - Ma come, miss Rossella, io averti sempre detto che dovere stare attenta alla tua pelle... e anche tutto il viso bruciato dal sole! -

Povera Mammy, pensava ancora a queste cose così poco importanti, benché la morte e la guerra le fossero passate accanto! A momenti direbbe che le signorine con le mani spellate e il volto macchiato di lentiggini non trovavano marito. Ma non le diede tempo di fare l'osservazione.

- Mammy, voglio che mi racconti di mia madre. Non ho potuto sopportare che il babbo me ne parlasse. -

Gli occhi di Mammy si riempirono di lacrime mentre ella si chinava a prendere i secchi. Li portò senza far parola accanto al letto; quindi, tirando giù le lenzuola, cominciò a rialzare le camicie da notte di Carolene e di Susele. Rossella vide che Carolene aveva una camicia pulita ma a brandelli, e che Susele era avvolta in una vecchia vestaglia di tela bruna, guarnita di pesante trina d'Irlanda. Mammy piangeva silenziosamente mentre bagnava i due corpi, servendosi di un vecchio grembiule come asciugamani.

- Miss Rossella, essere stati gli Slattery, quei rifiuti, straccioni, buoni-a-niente, abbietti Slattery che avere dato malattia a miss Elena. Io avere detto che non fare bene a occuparsi di quella gente, ma miss Elena così buona che non poter mai dire di no a chi aver bisogno di lei.-

- Slattery? - chiese Rossella stupita. - E come mai sono venuti qui? -

- Essere ammalati di quella malattia - e Mammy accennò col cencio alle due ragazze ignude e bagnate. - La figlia di vecchia miss Slattery, Emma, essersi messa a letto, e giovine miss Slattery essere venuta di corsa a chiamare badrona, come sempre fare quando qualche cosa andar male. E miss Elena essere andata a curare miss Emma. E stare poco bene già da un pezzo; essere indebolita, troppo da fare con commissario che rubare tutto quello che noi coltivare. E sempre mangiare come un uccellino. Io aver detto di lasciare bianchi straccioni soli, ma lei non darmi retta. Beh, quando miss Emma cominciare a star meglio, miss Carolene essersi ammalata. Sì, badrona, tifo arrivare qui e colpire miss Carolene e poi miss Susele. E miss Elena cominciare a curare anche loro. Con tutta battaglia e yankees che attraversare fiume e noi non sapere cosa poter succedere di noi, io sentirmi impazzire. Ma miss Elena sempre fredda come un cocomero. Essere soltanto preoccupata perché non potere avere medicine per badroncine. E una sera, dopo avere fatto spugnature circa dieci volte, dire a me: "Mammy, se io poter vendere mia anima, venderei per un pezzo di ghiaccio da mettere sulla testa di mie figlie". E non voler lasciare entrare Mist' Geraldo e neanche Rosa e Tina, soltanto io, perché avere già avuto il tifo. E poi essersi ammalata lei e io avere visto subito che esserci niente da fare. -

Mammy si irrigidì e si asciugò gli occhi col grembiule.

- Essere stato molto rapido; e anche quel bravo dottore yankee non aver potuto far niente. Non capire più niente; io parlare e chiamare, ma lei non riconoscere più nemmeno sua Mammy.-

- Mi ha mai... nominata... mi ha mai chiamata? -

- No, gioia. Credere di essere una ragazza, di nuovo a Savannah. Non avere chiamato nessuno per nome. -

Dilcey si voltò, posando il bimbo sulle sue ginocchia.

- Sì, badrona. Aver chiamato qualcuno. -

- Tu stare zitta, negra-indiana! - Mammy si era voltata con minacciosa violenza verso Dilcey.

- Zitta, Mammy! E chi chiamò? Il babbo? -

- No. Non tuo babbo. Essere stato quella notte che bruciare cotone...-

- Hanno bruciato il cotone? Dimmi subito! -

- Sì, tutto. I soldati avere rotolato le balle nel cortile e aver dato fuoco gridando e cantando.-

Tre annate di cotone messe in serbo: centocinquantamila dollari In una fiammata!

- E le fiamme fare luce come se essere giorno; noi avere paura che bruciare anche la casa ed essere tanto chiaro in questa camera che vedere come di giorno col sole. E quando luce brillare, miss Elena essersi come svegliata e drizzata sul letto e gridare forte: "Filippo! Filippo!" Io non avere mai sentito questo nome, ma lei averlo chiamato. -

Mammy fissava Dilcey pietrificata, ma Rossella si lasciò cadere il capo fra le mani. Filippo... chi era e che cos'era stato per la mamma, se lei era morta chiamandolo?

 

Il lungo cammino da Atlanta a Tara era finito; terminata contro un muro bianco, la strada che doveva finire fra le braccia di Elena. Mai più Rossella potrebbe dormire tranquilla come una bimba, sotto il tetto di suo padre, protetta dall'amore di sua madre che la avvolgeva come morbida coltre di piume. E non vi era più nessuno a cui potersi appoggiare con sicurezza. Suo padre era vecchio e sbalordito, le sue sorelle ammalate, Melania debole, i bambini fragili; e i negri, con la loro fede infantile, si attaccavano a lei perché era la figlia di Elena e quindi credevano che anch'essa sarebbe per tutti un rifugio com'era stata Elena.

Attraverso la finestra, alla fievole luce della luna nascente, Tara si stendeva dinanzi a lei: vuota di schiavi, coi suoi campi desolati, le tettoie crollate, come un corpo sanguinante sotto i suoi occhi. La fine della lunga via: vecchiaia tremante, malattia, bocche affamate, mani deboli aggrappate alle sue gonne. E lei, Rossella O'Hara Hamilton, a diciannove anni vedova con un bambino.

Che fare? Zia Pitty e i Burr, a Macon, potrebbero raccogliere Melania e il suo bambino. Se le ragazze guarivano, la famiglia di Elena dovrebbe prenderle, volente o nolente. E lei e Geraldo potrebbero rivolgersi agli zii, Giacomo e Andrea.

Guardò le forme macilente che si agitavano sotto le lenzuola bagnate. Non voleva bene a Susele. Se ne rendeva conto adesso: non gliene aveva mai voluto. E non aveva uno speciale affetto per Carolene: non poteva amare le persone deboli e fiacche! Ma erano del suo sangue; facevano parte di Tara. Non poteva lasciarle vivere in casa delle zie, come parenti povere. Una O'Hara che viveva di carità! No, mai!

Il suo cervello lavorava a fatica. Tese le mani come se si trovasse nell'acqua e prese la borraccia. Vi era dentro ancora del whisky; non capì quanto ve ne fosse. Strano che ora l'odore non le desse noia! Bevve lentamente, ma questa volta il liquido non la bruciò; le diede solo un senso di calore.

Posò la borraccia vuota e si guardò attorno. Tutto era un sogno: la stanza piena di fumo; le ragazze scheletrite; Mammy, un fagotto senza forma accovacciato presso il letto; Dilcey, un'immobile statua di bronzo con quel cosino rosso addormentato contro il suo seno oscuro...tutto un sogno da cui si sveglierebbe sentendo l'odor del lardo che frigge in cucina, udendo la risata gutturale dei negri, il cigolio dei carri che vengono dai campi e la dolce mano di Elena che la scuote leggermente.

Poi si accorse di essere nella propria stanza, nel suo letto, con Mammy e Dilcey che la svestivano. Il busto non la torturava più, ed ella poteva ora respirare profondamente a pieni polmoni, dilatando tutto l'addome a suo agio. Sentì che le venivano tolte le calze e udì Mammy mormorare parole indistinte di conforto mentre bagnava i piedi infiammati e dolenti. Com'era fresca l'acqua e com'era bello essere coricata in un letto morbido, come una bimba. Sospirò abbandonandosi; e dopo uno spazio di tempo che poteva essere un anno o un minuto, si trovò sola; la stanza era illuminata dalla luna che gettava i suoi raggi sul letto.

Non sapeva di essere ubriaca; ubriaca di stanchezza e di whisky. Sapeva soltanto di aver lasciato chi sa dove il suo corpo stanco e di galleggiare in un luogo ove non era sofferenza né stanchezza; e il suo cervello vedeva le cose con una chiarezza non umana.

Vedeva ogni cosa con occhi nuovi, poiché, nella lunga strada che la avvicinava a Tara, aveva lasciato tutto ciò che era la sua infanzia. Non era più una creta molle che riceveva una nuova impronta ad ogni nuova esperienza. La creta si era indurita. Stasera per l'ultima volta era stata assistita come una bambina.

Ormai era una donna e l'adolescenza era finita.

No, non poteva e non voleva rivolgersi alle famiglie di Elena e di Geraldo. Gli O'Hara non accettavano l'elemosina. Ella porterebbe il proprio fardello, poiché le sue spalle erano ora abbastanza forti da sorreggerlo; poteva sopportare tutto, avendo già sopportato il peggio. Non poteva abbandonare Tara; apparteneva a quella terra rossa com'essa apparteneva a lei. Rimarrebbe e troverebbe modo di far vivere suo padre, le sue sorelle, Melania e il bimbo di Ashley e i negri. Domani... oh, domani! Domani metterebbe il collo sotto il giogo. Vi erano tante cose da fare. Andare alle Dodici Querce e alla piantagione di MacIntosh e vedere se negli orti abbandonati era rimasta qualche cosa; andare alle paludi e batterle per rintracciare polli e maiali smarriti, andare a Jonesboro e a Lovejoy coi gioielli di Elena... Doveva essere pure rimasto qualcuno che vendeva roba da mangiare! Domani... domani... La parola si agitava nel suo cervello come il battito di un orologio, sempre più lentamente; ma la chiarezza della visione persisteva.

Dai vecchi racconti che aveva ascoltato nella sua infanzia, qualche cosa emergeva chiaramente. Geraldo, senza un soldo, aveva costruito Tara; Elena aveva superato qualche misterioso dolore; il nonno Robillard, sopravvivendo alla caduta di Napoleone, aveva fondato nuovamente la fortuna della sua famiglia sulla fertile costa della Georgia; il bisnonno Prudhomme si era fatto un piccolo regno nella giungla di Haiti, lo aveva perduto, e poi aveva vissuto abbastanza per vedere il suo nome onorato a Savannah. Vi erano le Rosselle che avevano combattuto coi volontari irlandesi per la libera Irlanda e gli O'Hara che erano morti sul Boyne combattendo fino all'ultimo respiro per difendere la loro proprietà.

Tutti avevano sopportato le più grandi sventure. Non erano stati abbattuti dal crollo di imperi, di rivolte di schiavi, guerre, proscrizioni, confische. Il fato maligno aveva spezzato la loro vita, a volte, ma non i loro cuori. Non avevano ceduto; avevano lottato. Tutta quella gente il cui sangue scorreva nelle sue vene sembrava muoversi silenziosamente nella stanza inondata dal chiaro di luna. E Rossella non era sorpresa di vederli, quegli antenati che avevano avuto il peggio che il destino può assegnare e lo avevano trasformato nel meglio. Tara era il suo destino, la sua lotta, ed essa doveva vincere.

Si voltò pigramente su un fianco; a poco a poco il suo spirito naufragava nell'oscurità. Erano davvero presenti, i fantasmi, e le mormoravano parole incoraggianti, o questo faceva parte del suo sogno?

- Siate o non siate qui - mormorò sonnacchiosa - vi do la buona notte... e vi ringrazio.-

25

La mattina seguente il corpo di Rossella era così rigido e indolenzito che ogni movimento le strappava un gemito. Il viso era rosso per la scottatura del sole e le palme delle mani tutte vescicate e scorticate. Si sentiva la lingua melmosa e la gola che le bruciava come se fosse stata arsa; e per quanto bevesse non riusciva a togliersi la sete. Non poteva tenere alta la testa; e perfino girare gli occhi le dava fastidio. Una nausea tremenda le ricordava i primi tempi della sua gravidanza e le rendeva insopportabile fin l'odore delle patate dolci che erano state preparate per la colazione. Geraldo avrebbe potuto dirle che queste sono le normali sofferenze che seguono la prima esperienza di chi ha bevuto troppo; ma Geraldo non si accorgeva di nulla. Sedeva a capotavola con gli occhi assenti fissi sull'uscio e il capo teso leggermente in avanti per udire il fruscio delle gonne di Elena, per sentire il lieve profumo di verbena.

Quando Rossella sedette, egli borbottò - Bisogna aspettare la signora O'Hara; è in ritardo. - Ella alzò la testa indolenzita e lo osservò incredula e sgomenta, ma incontrò gli occhi supplichevoli di Mammy che era in piedi, dietro la sedia di Geraldo. Si alzò faticosamente portandosi la mano alla gola e guardò suo padre. Anch'egli la guardò vagamente ed essa si accorse che le mani di lui e la testa erano agitate da un tremito.

Fino a quel momento ella aveva inconsciamente fatto assegnamento su Geraldo per assumere la direzione di tutto e dirle che cosa doveva fare ed ora... Eppure ieri sera non le era sembrato ridotto in quello stato. Certo non aveva più nulla della sua antica vivacità; ma almeno le aveva raccontato tutto l'accaduto. Ed ora non si ricordava neppure che Elena era morta. L'impressione provata per l'invasione degli yankees contemporanea alla morte di sua moglie lo aveva istupidito.

Aperse la bocca per parlare, ma Mammy crollò la testa con veemenza, e si asciugò gli occhi col grembiule.

“Possibile che papà abbia smarrito il senno?" pensò Rossella; e le parve che la sua povera testa non potesse contenere anche questa preoccupazione. "No, no. È soltanto stordito da tutto questo. È come se fosse stato ammalato. Gli passerà. Che farei se non gli passasse? Non voglio pensarci adesso. Non voglio pensare ne a lui né alla mamma né a nessuna di queste orrende tristezze. Ho troppe altre cose a cui debbo pensare.. cose a cui debbo provvedere."

Uscì dalla sala da pranzo senza aver mangiato, e andò nel portico posteriore dove trovò Pork, scalzo e coi resti laceri della sua migliore livrea, seduto sui gradini e occupato a schiacciare pistacchi. Il solo sforzo di tener alta la testa le costava una enorme fatica, ed ella parlava il più brevemente possibile, tralasciando le usuali forme di cortesia che sua madre le aveva insegnato ad usare anche coi negri.

Cominciò a rivolgergli delle domande bruscamente e a dargli degli ordini in tono così deciso, che Pork alzò le sopracciglia stupito. Miss Elena non aveva mai parlato così con nessuno, nemmeno quando li sorprendeva a rubare pollame e meloni. Gli chiese nuovamente informazioni sui campi, sui giardini e su tutto, e i suoi occhi verdi avevano una luce dura che Pork non vi aveva mai veduto.

- Sì, badrona, cavallo essere morto; mentre io avergli messo secchio sotto il naso. No, badrona, mucca non essere morta. Non sapere? Avere fatto vitello stanotte, perciò muggire tanto. -

- Sarà una brava levatrice, la tua Prissy, - notò causticamente Rossella: - Ha detto che muggiva perché aveva bisogno di essere munta. -

- Veramente, badrona, Prissy non pensare di essere levatrice per mucche - rispose Pork pieno di tatto. - Dovere essere contenti perché vitello volere dire mucca piena di latte per badroncine, e dottore yankee avere detto che avere molto bisogno di questo. -

- Va bene. Andiamo avanti. Non c'è nessuna provvista? -

- No, badrona. Niente. Solamente una maiala con suoi porcellini. Io averla cacciata dentro palude il giorno che essere venuti yankees, ma Dio sa come fare per riprenderla. -

- La riprenderemo benissimo. Tu e Prissy andrete subito e inizierete la caccia. -

Pork fu stupito e indignato.

- Miss Rossella questo non essere affare per noi. Noi essere negri domestici. -

Una piccola fiamma apparve negli occhi di Rossella.

- Voi due andrete a prendere il branco di maialini con la madre... altrimenti ve ne andrete di qui come hanno fatto gli altri negri.-

Negli occhi di Pork tremarono due lacrime. Oh, se ci fosse miss Elena! Ella comprendeva queste cose e si rendeva conto dell'abisso che era fra i doveri di un negro contadino e quelli di un negro domestico.

- Prenderli, miss Rossella? E come fare? -

- Non lo so e non me ne importa. Ma chiunque a Tara non vuol lavorare può andarsene dagli yankees. Dillo pure agli altri. -

- Sì, badrona. -

- Ora, dimmi del grano e del cotone. -

- Grano? Dio mio, miss Rossella. Loro aver fatto pascolare cavalli nel grano e aver portato via quello che cavalli non hanno mangiato o calpestato. E avere trascinato carriaggi di cannoni sopra il cotone fino ad aver ridotto tutto un massacro, eccetto pochi jugeri nell'insenatura del fiume, di cui non si sono accorti. Ma non essere molto buon cotone, perché rendere soltanto tre balle, circa. -

Tre balle. Rossella pensò alle decine di balle che Tara produceva abitualmente; e la testa le fece ancor più male. Tre balle. Poco più di quanto producevano quegli straccioni degli Slattery.

A peggiorare le condizioni c'era anche la faccenda delle tasse. Il governo confederato prendeva il cotone invece di danaro, per le imposte; ma tre balle non bastavano neanche a coprirne l'importo.

“Beh, non voglio pensare neanche a questo” disse tra sé. “La faccenda delle tasse non riguarda una donna. Dovrebbe occuparsene il babbo... ma non voglio pensare al babbo adesso. La Confederazione aspetterà. Quel che ci vuole adesso è qualche cosa da mangiare.”

- Pork, nessuno di voi è stato alle Dodici Querce o dai MacIntosh a vedere se negli orti è rimasto qualche cosa? -

- No, badrona. Noi non avere lasciato Tara. Paura che yankees prenderci. -

- Manderò Dilcey alla piantagione dei MacIntosh. Forse troverà qualche cosa. E io andrò alle Dodici Querce. -

- E con chi? -

- Da sola. Mammy deve assistere le ragazze e Mister Geraldo non può...-

Pork emise una esclamazione che la esasperò. Potevano esservi alle Dodici Querce degli yankees o dei negri mascalzoni. Lei non doveva andare sola.

- Basta, Pork. Di' a Dilcey che vada subito. E tu e Prissy andate a cercare la scrofa coi maialini - ordinò brevemente, e voltò i tacchi.

Il vecchio cappello da sole di Mammy, scolorito ma pulito, era sospeso a un attaccapanni; e Rossella se lo mise sul capo ricordando come una cosa di un altro mondo il cappello con la piuma verde che Rhett le aveva portato da Parigi. Prese un cestino di corteccia di quercia e si avviò per la scala posteriore; a ogni gradino che scendeva, sentiva ripercuotersi dai calcagni lungo la spina dorsale un colpo che le faceva dolere tutte le ossa.

La strada verso il fiume era rossa e riarsa dal sole fra i campi sconvolti. Non vi erano alberi che facessero ombra e i raggi ardenti penetravano attraverso il cappello di Mammy, come se questo fosse stato di velo, anziché di fitto tessuto di cotone. La strada era tutta buche e solchi entro cui erano stati trascinati i pesanti cannoni. Le piante erano calpestate dove la cavalleria e la fanteria avevano marciato, costrette a cedere la strada all'artiglieria. Qua e là si vedevano sul terreno fibbie, pezzi di cuoio, cassette sfasciate dagli zoccoli, ruote di carriaggi, bottoni, berretti blu, scarpe vecchie, cenci insanguinati, tutto il disordine lasciato da un esercito in marcia.

Ella oltrepassò il gruppo di cedri e il muretto di mattoni che segnava il sepolcreto di famiglia, cercando di non pensare alla nuova tomba che era accanto alle tre dei suoi fratellini. Oh, Elena... Discese la collina, passò dinanzi al mucchio di ceneri che segnava il luogo dove era stata la casupola degli Slattery, e si augurò con furore che tutta la loro tribù fosse fra quelle ceneri. Se non fosse stato per gli Slattery... Se non fosse stato per quella ripugnante Emma che aveva avuto un bastardo dal loro sorvegliante, Elena non sarebbe morta.

Una pietra tagliente le entrò nella scarpa ed ella emise un gemito. Ma che stava facendo? Perché Rossella O'Hara, la bella della Contea, l'orgoglio di Tara, camminava barcollando, quasi scalza, per quella strada disuguale? I suoi piedini erano fatti per ballare non per zoppicare; e i suoi scarpini sottili per apparire sotto agli abiti di seta, e non per riempirsi di sassolini e di polvere. Ella era nata per essere accarezzata e servita e invece eccola malata e cenciosa, trascinata dalla fame a cercare qualche cosa da mangiare negli orti dei suoi vicini.

Ai piedi della collina scorreva il fiume; com'erano freschi e tranquilli gli alberi che si specchiavano nell'acqua! Si accasciò sulla riva bassa e strappandosi i resti delle scarpine e delle calze immerse i piedi ardenti nell'acqua ristoratrice. Come sarebbe bello poter rimanere lì tutto il giorno ad ascoltare il fruscio del fogliame e il mormorio dei piccoli vortici! Con riluttanza si rimise le calze e le scarpe e si avviò nuovamente. Gli yankees avevano bruciato il ponte, ma ella conosceva a un centinaio di metri più in giù una passerella gettata attraverso un punto in cui il fiume era più stretto. La attraversò guardinga e percorse l'altro mezzo miglio che la separava ancora dalla Dodici Querce.

I dodici alberi erano tuttora eretti com'erano stati fin dai tempi degli indiani; ma le loro foglie erano abbruciacchiate e i rami arsi e contorti. Nel centro erano le rovine della casa di John Wilkes, i resti della casa che aveva incoronato la collina con le sue bianche colonne: la fossa profonda che era stata la cantina, le fondamenta di pietra annerita e due grandi comignoli segnavano il luogo. Una lunga colonna mezza combusta era caduta attraverso il prato, schiacciando i cespugli di gelsomini.

Rossella sedette sulla colonna, troppo abbattuta per proseguire. Questa desolazione la colpiva più di tutto il resto. Era l'orgoglio dei Wilkes polverizzato, la fine della casa ospitale ove era sempre stata la benvenuta, la casa di cui nei suoi futili sogni aveva aspirato ad essere la padrona. Qui ella aveva ballato, pranzato e civettato; e qui, col cuore geloso e ferito, aveva osservato Melania che sorrideva ad Ashley; qui, nelle fresche ombre delle querce, Carlo Hamilton le aveva stretto la mano con gioia quando ella aveva accettato di sposarlo.

"Oh, Ashley!" pensò. "Spero che siate morto. Non potrei sopportare che voi doveste vedere questo."

Ashley si era sposato qui; ma suo figlio e il figlio di suo figlio non porterebbero mai la loro sposa in questa casa. Non vi sarebbero più unioni e nascite sotto il tetto che lei pure aveva amato e che aveva sognato di dirigere. La casa era morta e, per Rossella, era come se anche tutti i Wilkes fossero morti nelle sue ceneri.

- Non voglio pensarvi adesso. Non posso sopportarlo; vi penserò più tardi, - disse ad alta voce volgendo gli occhi altrove.

Per giungere all'orto, zoppicò attorno alle rovine, passando vicino all'aiuola di rose che le ragazze Wilkes avevano tanto curato; attraversò il cortile posteriore e calpestò le ceneri della dispensa, delle tettoie e dei pollai. La palizzata intorno all'orto era stata divelta e le file, un tempo così ordinate, delle piante avevano subito lo stesso trattamento di quelle di Tara. La terra morbida era piena di impronte di zoccoli, di solchi di ruote pesanti; e i legumi erano stati distrutti e calpestati. Non vi era nulla da raccogliere.

Riattraversò il cortile e si incamminò per il sentiero verso la fila silenziosa di baracche imbiancate a calce: il quartiere degli schiavi; emise un - Hello! - ma nessuna voce le rispose. Neanche l'abbaiare di un cane. Evidentemente i negri di Wilkes avevano preso la fuga o avevano seguito gli yankees. Sapeva che ogni schiavo aveva il proprio minuscolo orto e sperò che almeno questi fossero stati risparmiati.

La sua ricerca fu ricompensata; ma ella era troppo stanca per rallegrarsi alla vista delle rape e dei cavoli, un po' afflosciati per la mancanza d'acqua ma non ancora disseccati, e dei fagioli ingialliti ma ancora mangiabili. Sedette in un solco e cominciò a scavare la terra riempiendo lentamente il suo cesto. Stasera si mangerà bene a Tara, malgrado la mancanza di un po' di carne da far bollire coi legumi. Forse si potrà adoperare come condimento un po' del grasso che Dilcey usa per l'illuminazione. Bisognerà ricordarsi di dire a Dilcey che adoperi per quest'uso la resina dei pini e risparmi il grasso per cucinare.

Accanto alla soglia di una capanna trovò una fila di ramolacci; subitamente provò lo stimolo della fame. Senza neanche nettarla dal terriccio, addentò avidamente una radice dal gusto asprigno, e la inghiottì in fretta. Era così forte che le fece venir le lacrime. Ma il suo stomaco vuoto si ribellò a quel cibo; coricata nel terreno molle, ella rigettò faticosamente. Il fetore di negro che proveniva dalla capanna aumentava la sua nausea; senza forza per combatterla, ella continuò a vomitare, mentre le capanne e gli alberi pareva danzassero una sarabanda attorno a lei.

Rimase a lungo coricata sul suolo, come se fosse in un soffice letto; la sua mente vagolava qua e là debolmente. Era proprio lei, Rossella O'Hara, sdraiata a terra dietro alla capanna di un negro, in mezzo alle rovine, senza forza per muoversi; e nessuno al mondo lo sapeva o se ne curava. Lei che non si era mai chinata a raccogliere un fazzoletto o a togliersi le calze... lei, che per un piccolo mal di capo si era sempre fatta accarezzare e consolare...

Era lì prostrata; troppo debole per scacciare i ricordi e le preoccupazioni che ora l'assalivano in folla. Non aveva più la forza di dire: - Penserò alla mamma, al babbo, ad Ashley più tardi... quando potrò sopportarlo. - Non poteva sopportarlo, adesso; eppure era costretta a pensarvi. E rimase a lungo sotto il sole scottante, ricordando cose e persone morte, ricordando un modo di vivere finito per sempre... e guardando verso il triste e cupo avvenire.

Quando si rialzò e vide nuovamente le rovine delle Dodici Querce, le parve che gioventù e bellezza l'avessero abbandonata per sempre. Il passato era passato. I morti erano morti. La beata indolenza di altri tempi era sparita e non tornerebbe più. Impossibile indietreggiare: bisognava andare avanti.

Per cinquant'anni negli Stati del Sud vi sarebbero donne desolate che guarderebbero indietro; che rievocherebbero i loro morti e i ricordi della vita trascorsa, sopportando orgogliosamente la povertà, perché ricche di memorie. Ma Rossella non guarderebbe mai più indietro.

Fissò le pietre annerite e per l'ultima volta rivide le Dodici Querce com'erano una volta, simbolo di una razza e di un sistema di vita. Poi riprese la strada verso Tara, col cestino pesante che le affaticava il braccio.

La fame le torturava nuovamente lo stomaco vuoto, ed ella disse ad alta voce: - Dio mi è testimone che gli yankees non mi abbatteranno. Supererò questo; e quando sarà passato, non soffrirò mai più la fame. Né io né i miei. Dovessi rubare o uccidere... Dio mi è testimone che non soffrirò la fame mai più.-

 

Nei giorni che seguirono, Tara fu simile all'isola di Robinson Crusoe, tanto era silenziosa e isolata dal resto del mondo. Con la morte del cavallo ogni mezzo di collegamento con gli altri luoghi era scomparso, e non vi era il tempo né la forza occorrente per percorrere a piedi tante miglia.

A volte, nei momenti di pausa del lavoro estenuante, della lotta disperata per provvedere da mangiare e per curare le tre giovani ammalate, Rossella si sorprendeva a tendere l'orecchio come se avesse dovuto udire dei rumori familiari: le risa acute dei bambini negri nel quartiere degli schiavi, il cigolio dei carretti che tornavano dai campi, il nitrito dello stallone di Geraldo, le voci allegre di un gruppo di vicini che veniva a scambiare due chiacchiere. Ma ascoltava invano. La strada era silenziosa e deserta e neanche la più piccola nube di polvere rossa annunciava l'avvicinarsi di un visitatore.

Eppure esistevano famiglie che mangiavano e dormivano tranquille nelle loro case. Dovevano esservi ragazze che vestivano elegantemente, che ballavano, cantavano, come lei stessa faceva fino a poche settimane fa. E vi era una guerra, e dei cannoni che tuonavano e città incendiate e uomini che affollavano gli ospedali in mezzo a un sentore dolciastro e nauseante. E vi era un esercito scalzo e con le uniformi lacere che marciava e combatteva, sonnacchioso, affamato e debole di quella debolezza che sopraggiunge quando ogni speranza è perduta. E in qualche parte della Georgia le colline erano azzurre di soldati yankee, ben nutriti e montati su cavalli col pelo lustro.

Lontano da Tara - dove? - era la guerra... e il mondo. Ma nella piantagione non esistevano se non i ricordi che bisognava scacciare quando, nei momenti di esaurimento, si presentavano in folla. Non poteva occuparsi d'altro che del modo di riempire stomachi che reclamavano cibo.

Come mai lo stomaco aveva una memoria così vigile? La mattina, quando Rossella era ancora nel dormiveglia, prima che le tornasse il ricordo della guerra e della fame, le sue narici cercavano di percepire il noto odore di lardo fritto e di focacce. E ogni mattina, lo sforzo di annusare la svegliava completamente.

Sulla tavola di Tara vi erano mele, patate dolci, latte e pistacchi; ma anche questi alimenti primitivi erano in quantità insufficiente. Vedendoli tre volte al giorno, la mente ricorreva ai pranzi degli antichi tempi, con la tavola illuminata e il buon odore di vivande che profumava l'aria.

Che prodigalità, che sciupio vi era allora! Focacce, crostini, biscotti, cialdoni gocciolanti di burro, tutto ad un pasto solo. Prosciutto ad un'estremità della tavola e pollo arrosto all'altra, cavoli che nuotavano nel condimento, fagioli ammucchiati nei piatti di porcellana a fiori, zucchine fritte, piselli al forno, carote alla crema, una crema densa da tagliarsi col coltello. E dolci di tre qualità, perché ognuno potesse scegliere: di cioccolata, biancomangiare alla vainiglia e torta ripiena di marmellata. Il ricordo di quei pranzi succulenti le faceva venire le lagrime, cosa che non avevano fatto la guerra e la morte; e il suo stomaco sempre affamato era assalito da nausee. Ma l'appetito che Mammy aveva sempre deplorato, il sano appetito dei diciannove anni, non le veniva meno; anzi era aumentato dalle fatiche che ella non aveva mai conosciute prima.

E non lei sola era affamata a Tara: ovunque si volgesse erano visi famelici - bianchi o negri. Fra poco Carolene e Susele avrebbero l'insaziabile fame dei convalescenti di tifo. E già il piccolo Wade piagnucolava monotonamente: -Wade non ama patate dolci. Wade ha fame. -

Anche gli altri si lagnavano:

- Miss Rossella, se io non avere un poco più da mangiare, non poter curare badroncine. -

- Miss Rossella, se non avere qualche cosa di più nello stomaco, non potere spaccare legna. -

- Agnellino mio, non vedere l'ora di mangiare un vero pasto. -

- Figliuola, non c'è altro che patate dolci? -

Solo Melania non si lamentava; Melania che diventava sempre più sottile e più pallida e che gemeva anche nel sonno.

- Non ho fame, Rossella. Dai la mia parte di latte a Dilcey; Ne ha bisogno per allevare due bimbi. Gli ammalati non hanno mai fame. -

Questa sua dolcezza irritava Rossella più che le lamentele degli altri. Contro gli altri poteva gridare e rivolgere loro dei sarcasmi; ma contro l'altruismo di Melania era impotente; impotente e piena di risentimento. Geraldo, i negri e Wade erano adesso molto attaccati a Melania perché era dolce e gentile; cosa che Rossella non era davvero.

Wade specialmente era sempre in camera di Melania. Il bimbo non stava bene; ma Rossella non aveva tempo di scoprire di che cosa soffrisse. Mammy disse che erano vermi, e Rossella gli diede la mistura di erbe secche e cortecce che Elena soleva dare ai bambini negri. Ma il vermifugo non fece che rendere il piccino più pallido. E per Rossella, Wade rappresentava solo un'altra preoccupazione, un'altra bocca da nutrire. Più tardi, quando questo tremendo periodo fosse passato, ella potrebbe giocare con lui e insegnargli l'abbecedario; ma per ora non ne aveva né il tempo né la voglia. E siccome le veniva intorno sempre quando aveva più da fare, sovente essa gli parlava sgarbatamente.

Le dava fastidio che il più piccolo rimprovero desse agli occhi del fanciullo quell'espressione di terrore che lo faceva sembrare stupido. Rossella non capiva che il bambino viveva in uno stato di spavento troppo terribile perché un grande potesse comprenderlo; una paura che gli scrollava l'anima e la notte lo faceva piangere. Un rumore inatteso lo faceva sussultare perché nella sua mente ogni rumore era collegato con gli yankees. Prima dell'assedio, egli non aveva conosciuto che una vita tranquilla; anche se sua madre si occupava poco di lui, tutti gli dicevano parole dolci e lo accarezzavano. E una notte si era svegliato e aveva visto il cielo in fiamme ed era stato assordato dalle esplosioni. In quella notte e nel giorno seguente era stato per la prima volta battuto da sua madre e aveva udito la sua voce pronunciare parole aspre. Della fuga da Atlanta non aveva compreso nulla, se non che gli yankees lo inseguivano; ed ora viveva nel continuo spavento che lo trovassero e lo facessero a pezzi. Se Rossella alzava la voce in un rimprovero, Wade impallidiva perché la sua vaga memoria infantile lo riportava al tremendo momento in cui l'aveva udita per la prima volta parlare con quel tono.

Rossella si accorgeva che il bimbo la evitava e, nei rari momenti in cui i suoi interminabili doveri le lasciavano il tempo di pensarvi, quest'idea la tormentava. Era peggio che averlo sempre attaccato alle gonne, ed il fatto che egli cercasse rifugio presso il letto di Melania dove rimaneva tranquillo a giocare secondo i suggerimenti di lei o ad ascoltare le favole che essa gli raccontava la offendeva e la irritava. Wade adorava "Zietta" che aveva una voce dolce, che sorrideva sempre e non diceva mai: - Zitto, Wade, mi fai venire mal di capo! - oppure: - Stai fermo, Wade, per l'amor di Dio! -

Un giorno che Rossella, la quale provava questo nuovo senso di gelosia, lo trovò accanto al letto di Melania e lo vide gettarsi sopra di lei, lo rimproverò: - Non sai far niente di meglio che tormentare la zia che è ammalata? Via, svelto, vai a giocare in cortile e non tornare più qui.-

Ma Melania trasse a sé il bimbo. - Rimani pure, Wade; non mi tormenti! Davvero, Rossella, non mi dà noia. Lascialo stare qui. Non posso fare altro che occuparmi un poco di lui; tu hai troppo da fare per avere anche il pensiero del bambino! -

- Non fare la sciocca, Melania. Tu non stai ancora bene; e avere Wade che si butta sul tuo stomaco non può farti del bene. Andiamo, Wade. E se ti trovo ancora una volta attorno al letto della zia, vedrai che cosa ti capita! E finiscila di tirar su col naso! -

Wade fuggì singhiozzando a nascondersi. Melania si morse le labbra e gli occhi le si riempirono di lacrime; e Mammy che aveva assistito alla scena guardò con cipiglio. Ma nessuno osava contraddire Rossella in quei giorni. Tutti avevano paura della sua lingua tagliente, della nuova personalità che si era sviluppata in lei.

Rossella regnava adesso su Tara; e, come accade a tante persone che giungono improvvisamente all'autorità, tutti i suoi istinti tirannici vennero a galla. Non che fosse fondamentalmente cattiva. Ma era così sgomentata, e così poco sicura di sé, che diventava crudele per tema che gli altri si accorgessero delle sue manchevolezze e non rispettassero la sua autorità. D'altronde, era anche piacevole gridare e accorgersi che gli altri avevano paura! Era un sollievo per i nervi eccessivamente tesi. Ricordava che Elena le diceva sempre: - Sii gentile con gli inferiori, specialmente coi negri; - ma sapeva che se fosse stata gentile, quelli sarebbero rimasti tutto il giorno a sedere in cucina, a parlare dei bei tempi in cui non si pensava che un "negro domestico" dovesse fare il lavoro di un negro agricoltore.

- Ama le tue sorelle e sii affettuosa con loro - diceva Elena. - Mostra della tenerezza agli afflitti, a coloro che sono ammalati e turbati. -

Non poteva amare le sue sorelle che erano soltanto un peso morto per lei. Quanto ad essere affettuosa, non le lavava, pettinava, non dava loro da mangiare, anche a costo di dover fare ogni giorno parecchie miglia per trovar dei legumi? Non stava imparando a mungere la mucca, anche se si sentiva il batticuore quando l'animale le mostrava le corna?

Ora le ragazze erano convalescenti, ma rimanevano ancora a letto, deboli e indolenzite. Durante la loro malattia che le aveva tenute incoscienti, il mondo era mutato. Erano venuti gli yankees, i negri erano fuggiti, la mamma era morta. Tre avvenimenti incredibili, che il loro cervello stentava ad afferrare. A volte credevano di essere ancora in delirio. Anche Rossella era così cambiata che non poteva esser vera. Quando si appoggiava alla spalliera del letto e prospettava il lavoro che esse dovrebbero fare una volta guarite, la guardavano come se fosse uno spirito folletto. Non riuscivano a concepire che non vi erano più cento schiavi per lavorare. E non concepivano che una signora O'Hara dovesse fare un lavoro manuale.

- Ma, sorella - diceva Carolene, col suo dolce visino infantile costernato - come vuoi che io possa preparare le fascine per il fuoco! Mi rovinerei tutte le mani! -

- Guarda le mie - rispondeva Rossella con un sorriso acido, mostrandole il palmo delle sue, scorticate e incallite.

- E' una cattiveria parlare così con me e con la piccola! - gridava Susele. - Dici delle bugie per spaventarci. Se ci fosse la mamma, non ti permetterebbe di parlare così. Spaccare la legna e preparar le fascine! -

Susele guardava la sorella maggiore, convinta che questa parlasse solo per malvagità. Si sentiva così sola, Susele, dopo la morte della mamma; e avrebbe avuto bisogno di essere accarezzata e trattata con dolcezza. Invece Rossella si limitava ad apparire ogni giorno ai piedi del letto, apprezzando il loro miglioramento con una nuova luce odiosa nei suoi occhi verdi; e parlava di rifare i letti, preparar da mangiare, portare i secchi dell'acqua e spaccare la legna. E sembrava che si divertisse a dire queste orribili cose.

Effettivamente, Rossella provava in questo una certa gioia. Tiranneggiava i negri e lacerava il cuore delle sue sorelle non solo perché era troppo preoccupata e stanca per fare diversamente; ma anche perché questo la aiutava a dimenticare la propria amarezza nel constatare che tutto quello che sua madre le aveva detto intorno alla vita era errato.

Ciò che la mamma le aveva insegnato non valeva nulla; ed il cuore di Rossella era conturbato e perplesso. Non pensava che Elena non poteva prevedere il crollo della civiltà nella quale ella aveva allevato le sue figliuole e che nell'insegnarle ad essere gentile e graziosa, buona, modesta e fedele, ella aveva guardato verso un futuro tranquillo, simile agli anni monotoni della propria vita. Elena affermava che la vita era buona verso le donne che sapevano mettere a profitto queste lezioni.

Disperata, Rossella pensava: "Niente, niente di quello che mi ha insegnato può servirmi! Che farmene della bontà? Che valore ha la dolcezza? Meglio sarebbe che io avessi imparato ad arare o a coltivare il cotone come un negro! Oh, mamma, come hai sbagliato!"

Era un mondo completamente diverso; un mondo in cui tutte le proporzioni e tutti i valori erano sovvertiti; e quindi ella pure doveva mutare per affrontare questa nuova vita a cui non era preparata.

Solo il suo sentimento per Tara non aveva subito cambiamenti. Ogni volta che ella tornava a casa stanca e, attraversando i campi, vedeva da lontano il bianco edificio, sentiva il cuore balzare di gioia. E quando dalla finestra contemplava i prati verdi e l'argilla rossa dei campi e la foresta al di là della palude, il senso di questa bellezza le colmava l'anima. Il suo amore per quella terra era una parte di lei stessa che rimaneva immutata anche quando tutto il resto si trasformava.

Guardando Tara comprendeva, in parte, la ragione delle guerre. Rhett aveva torto dicendo che gli uomini combattevano per il denaro. No, essi combattevano per i campi solcati dall'aratro, per i prati verdi di erba tenera, per i fiumi gialli e sonnolenti, e per le case bianche e fresche fra le magnolie. Queste erano le sole cose per cui valeva la pena di combattere; la terra rossa che era loro e che sarebbe dei loro figliuoli, la terra rossa che produrrebbe il cotone per i loro figli e per i figli dei loro figli.

I campi calpestati di Tara erano tutto ciò che le era rimasto ora che la mamma e Ashley erano scomparsi, ora che Geraldo era rimbambito per il dolore, ora che il denaro, i negri, la sicurezza e la posizione erano svaniti per sempre. Ricordava come un sogno una conversazione con suo padre a proposito della terra e si stupiva di essere stata così giovane e così ignorante da non aver compreso quando egli le aveva detto che la terra era la sola cosa al mondo per cui valesse la pena di combattere.

"...Perché questa è la sola cosa nel mondo che duri... e per chiunque ha nelle vene una sola goccia di sangue irlandese, la terra su cui vive è come una madre... è la sola cosa per cui valga la pena di lavorare, di combattere, di morire."

Sì, valeva la pena di combattere per Tara; ed ella accettò semplicemente e senza esitare la battaglia. Nessuno le toglierebbe Tara. Nessuno spingerebbe lei ed i suoi ad accettare la carità dei parenti. Ella terrebbe Tara, anche se dovesse fiaccare le ossa di tutti coloro che vi erano rimasti.

26

Rossella era a casa da due settimane, quando la vescica più grande del suo piede cominciò a suppurare facendole gonfiare l'estremità in modo che le era impossibile mettere la scarpa e che riusciva a camminare solo appoggiandosi al calcagno.

La disperazione s'impadronì di lei. Se l'arto fosse andato in cancrena come le ferite dei soldati, ed ella dovesse morire così, senza un medico? Per quanto la vita fosse amara, ella non desiderava lasciarla. E poi, chi si occuperebbe di Tara se ella moriva?

In un primo tempo aveva sperato che Geraldo tornasse in sé e prendesse la direzione della casa; ma in quelle due settimane la speranza era svanita. Oramai la piantagione e i suoi abitanti erano affidati alle sue mani inesperte, poiché Geraldo rimaneva lunghe ore seduto, come assente dalla vita; e quando ella gli chiedeva qualche consiglio rispondeva: - Fai come ti sembra meglio, figliola. - O, peggio ancora: - Domanda alla mamma, gattina. -

Senza dubbio egli non muterebbe più; e Rossella comprendeva che fino alla morte Geraldo continuerebbe ad attendere Elena, convinto che ella fosse in un'altra stanza.

Quella mattina la casa era tranquilla perché tutti, eccetto Rossella, Wade, e le tre inferme, erano andati nella palude alla caccia della scrofa. Perfino Geraldo si era avviato attraverso i campi malconci, appoggiando una mano sul braccio di Pork e tenendo nell'altra un pezzo di fune.

Susele e Carolene avevano tanto pianto che si erano addormentate, come facevano almeno due volte al giorno, quando pensavano ad Elena e le lacrime inondavano le loro guance smunte. Melania, che si era alquanto sollevata sui guanciali per la prima volta in quel giorno, aveva i due pargoli uno su ogni braccio. Wade sedeva ai piedi del letto, ascoltando una fiaba.

Per Rossella il silenzio di Tara era insopportabile, perché le ricordava troppo acutamente la quiete mortale della desolata campagna attraversata nel venire da Atlanta. La mucca e il vitello non si facevano sentire da qualche ora. Non vi erano uccelli che cinguettassero fuori dalla finestra, e perfino la rumorosa famiglia dei merli, che da tanti anni viveva nella magnolia, quel giorno era taciturna. Ella aveva trascinato una sedia bassa accanto alla finestra aperta della sua stanza, e guardava il viale d'accesso col mento appoggiato sulle braccia posate sul davanzale. Accanto a lei, sul pavimento, era un secchio d'acqua nel quale ella immergeva ogni tanto il piede ammalato.

Era di pessimo umore. Proprio quando aveva bisogno di tutte le sue forze, quel piede si metteva a suppurare! Era sicura che quegli stupidi negri non riuscirebbero a catturare la scrofa. Avevano impiegato una settimana a prendere i porcellini, uno ad uno, e la madre era ancora in libertà. Se fosse andata lei nella palude, insieme a loro, si sarebbe alzata le gonne fino alle ginocchia e avrebbe lanciato il nodo scorsoio in men che non si dica...

Ma anche dopo aver preso quella bestia... se si prendeva... Che fare dopo aver mangiato quella e i porcellini? La vita continuerebbe e l'appetito pure. L'inverno si avvicinava e non c'era più nulla da mangiare; anche i poveri rimasugli dei legumi dei vicini stavano per finire. Occorrevano piselli secchi, orzo, farina, riso,... tante, tante cose! E poi grano e semi di cotone per la semina della primavera e anche nuovi abiti. Dove prendere tutto questo, e come pagarlo?

Aveva frugato nelle tasche di Geraldo e nella sua cassa, e tutto ciò che aveva trovato erano pacchetti di titoli della Confederazione e tremila dollari in banconote della Confederazione stessa. Bastavano giusto per un pasto completo per tutti, pensò ironicamente, ora che il denaro della Confederazione valeva quasi meno che nulla. Ma anche se avesse del denaro e potesse comprare delle provviste, come potrebbe portarle a Tara? Perché Dio aveva fatto morire il vecchio cavallo? Perfino quell'animale malandato sarebbe stato prezioso per loro. Oh, i bei muli muscolosi, e i bei cavalli, e la sua piccola giumenta, i ponies delle ragazze e lo stallone di Geraldo... Oh, avere solo una di quelle bestie, magari il più caparbio dei muli!

Comunque, quando il piede sarà guarito, andrà a Jonesboro. Sarà la più lunga passeggiata della sua vita, ma la farà. Anche se gli yankees hanno bruciato completamente la città, vi sarà qualcuno nel vicinato che potrà dirle dove è possibile procurarsi dei viveri. In quel momento ebbe la visione di Wade piagnucoloso. Non gli piacevano le patate dolci, ripeteva; voleva del riso col sugo e poi voleva anche un bastone per il tamburo.

La luce del sole improvvisamente si oscurò. Rossella lasciò ricadere la testa sulle braccia e lottò contro le lacrime. Piangere era inutile; il solo momento in cui le lacrime potevano servire, era quando un corteggiatore chiedeva qualche cosa. In quel momento fu colpita da uno scalpitio di zoccoli; ma non alzò la testa. Troppo spesso le era parso di udire quel rumore, nello stesso modo in cui aveva immaginato di udire il fruscio delle gonne di Elena. Sentì battere il cuore più velocemente, come sempre, prima di avere il tempo di dire a se stessa: "Non essere stupida".

Ma il rumore di zoccoli rallentò assumendo il ritmo di una passeggiata; si sentì la ghiaia scricchiolare. Un cavallo... i Tarleton, i Fontaine! Alzò gli occhi. Era un soldato di cavalleria yankee.

Automaticamente si trasse dietro la tenda e lo guardò affascinata, e così sgomenta, che le mancò il respiro.

L'uomo, grosso, rozzo, con una barba nera incolta che gli scendeva sulla tunica sbottonata, cavalcava piegato in avanti. Gli occhi piccoli e socchiusi per il sole abbagliante, osservavano tranquillamente la casa, da sotto la visiera del berretto azzurro. Scese lentamente e attorcigliò le redini sul pomo della sella; frattanto Rossella sentì che il respiro le ritornava, improvviso e doloroso come dopo aver ricevuto un colpo nello stomaco. Uno yankee, uno yankee con una lunga pistola al fianco! E lei era sola in casa con tre ammalate e due lattanti!

Mentre egli percorreva il viale con la mano sulla pistola e guardando vivamente a destra e a sinistra, un caleidoscopio di immagini spaventose le passò dinanzi agli occhi: storie raccontate da zia Pittypat di attacchi a donne indifese, di gole tagliate, di case incendiate, di bambini sventrati; tutti gli indicibili orrori inseparabili dal nome di "yankee".

Il suo primo impulso fu di nascondersi nel gabinetto, di scivolare sotto al letto, di fuggire per la scala posteriore e correre urlando verso la palude; qualunque cosa pur di sfuggirgli. Ma udì il suo passo guardingo sui gradini dell'ingresso, e la sua andatura pesante nel vestibolo; e comprese che ogni via di scampo era ormai preclusa.

Irrigidita dallo spavento, lo udì passare di camera in camera a pianterreno, con passo che diventava sempre più sicuro a misura che si accorgeva che la casa era deserta. Ora si trovava nella sala da pranzo; fra poco andrebbe in cucina. Al pensiero della cucina una rabbia subitanea invase Rossella. E lo spavento diede luogo a un furore strapotente. La cucina! Quivi, sul fornello, erano due casseruole: una piena di mele al forno e l'altra di minestrone fatto coi legumi portati faticosamente dalle Dodici Querce e dall'orto di MacIntosh; un pranzo che doveva servire per nove persone affamate ed era appena sufficiente per due. Rossella dominava il suo appetito da qualche ora, aspettando il ritorno degli altri; e il pensiero che lo yankee potesse divorare il loro magro pasto la fece tremare di collera.

Dio li maledica tutti! Erano discesi come delle cavallette, distruggendo tutto, ed ora tornavano ancora per rubare i miseri rimasugli. Ah no, per Dio, ecco uno yankee che non ruberebbe più nulla a nessuno!

Si tolse l'altra scarpa e, a piedi scalzi, andò velocemente al cassettone senza neanche più sentire il dolore della sua ferita. Aperse senza far rumore il cassetto superiore e afferrò la pesante pistola che aveva recata da Atlanta: l'arme che Carlo aveva portata, ma con la quale non aveva mai sparato. Frugò nella borsa di cuoio sospesa alla parete sotto la sua sciabola e trasse una cartuccia che insinuò nell'arme con mano che non tremava. Rapidamente e silenziosamente corse fuori dalla stanza e scese le scale reggendosi alla ringhiera con una mano e tenendo con l'altra la pistola fra le pieghe della gonna.

- Chi va là? - chiese una voce nasale. Ed ella si fermò a metà delle scale, col sangue che le ronzava nelle orecchie in modo così violento che quasi non le faceva udire la voce dell'uomo. - Fermi, o sparo! - gridò ancora la voce.

Era fermo sulla soglia della stanza da pranzo, con la pistola in una mano e nell'altra la cassettina da lavoro di legno rosa in cui erano il ditale d'oro, le forbicine e l'agoraio d'oro.

Rossella sentì agghiacciarsi le gambe, ma l'ira le fece avvampare il volto. La scatola da lavoro di Elena in quelle mani! Volle gridare: "posatela subito! Posatela subito, brutto..." ma le parole non uscirono. Rimase a guardarlo al di sopra della ringhiera e vide il suo volto mutare la sua espressione di turbamento e di tensione in un sorriso fra sprezzante e grazioso.

- Dunque c'è qualcuno in casa - disse rimettendo la pistola nel fodero e attraversando il vestibolo fino a trovarsi proprio sotto a lei.

- Tutta sola, bella signorina? -

Con la rapidità del lampo ella sollevò l'arme al di sopra della ringhiera in direzione del viso barbuto. Prima che egli potesse portare la mano alla cintura, Rossella fece scattare il grilletto. Il rinculo della pistola la fece indietreggiare, mentre il fragore dell'esplosione le riempiva le orecchie, e il fumo acre le penetrava nelle narici. L'uomo cadde all'indietro con una violenza che fece tremare il mobilio. La scatola gli sfuggì dalle mani spargendo attorno il contenuto. Senza neanche accorgersi di ciò che faceva, Rossella scese le scale di corsa e fu accanto a lui, guardando ciò che era rimasto di quel volto al di sopra della barba; un buco sanguinoso al posto del naso, gli occhi bruciati dalla polvere. Due rivoli di sangue cominciarono a scorrere sul pavimento, uno proveniente dal viso, l'altro dal capo.

Era morto. Senza alcun dubbio. Aveva ucciso un uomo.

Il fumo saliva in lente volute al soffitto e il rigagnolo rosso si allargava. Per un tempo incalcolabile ella restò immobile, e nel calore della mattina d'estate ogni minimo rumore e profumo sembrò ingigantire il battito del suo cuore, il fruscio delle foglie di magnolia, il lontano lamento di un uccello di palude, la lieve fragranza dei fiori fuori della finestra.

Aveva ucciso un uomo, lei che non era mai rimasta sino al termine di una caccia, che non sopportava le stride dei maiali al macello, il guaito di un coniglio in trappola. "Ucciso!" pensò stupidamente. "Ho commesso un assassinio. E' impossibile."

I suoi occhi corsero alla mano tozza e villosa che posava sul pavimento, vicino alla scatola da lavoro, e improvvisamente ebbe la sensazione di essere nuovamente viva, viva gioiosamente, di una fredda gioia da tigre. Avrebbe affondato con piacere il tallone nella larga ferita che era al posto del naso di quell'uomo, e il sangue caldo sul piede nudo le avrebbe dato piacere. Aveva colpito per vendicare Tara... ed Elena.

Sul pianerottolo superiore udì un calpestio affrettato e incerto; poi una pausa; quindi nuovi passi, lenti e strascicati, accompagnati da un rumore metallico. Riprendendo coscienza del momento e del luogo, Rossella alzò gli occhi e vide in cima alla scala Melania vestita solo dell'accappatoio cencioso che funzionava da camicia da notte; il suo debole braccio era tirato in basso dal peso della sciabola di Carlo. Gli occhi di Melania afferrarono la scena nel suo insieme; il corpo vestito di azzurro nella pozza di sangue, la scatola da lavoro, Rossella scalza e pallida con la pistola stretta nella mano convulsa.

I suoi occhi incontrarono quelli di Rossella. Un raggio di orgoglio feroce illuminava il suo volto generalmente dolce; nel suo sorriso era un'approvazione e una gioia che uguagliavano il tumulto che agitava il seno della giovine temeraria.

"E' come me!" pensò Rossella. "Comprende i miei sentimenti! Avrebbe fatto lo stesso!"

Con un brivido, guardò la fragile donna per la quale non aveva mai provato che disprezzo e antipatia. Ora, lottando contro l'odio per la moglie di Ashley, nasceva in lei un sentimento di ammirazione e di cameratismo. In un lampo, si accorgeva che sotto la voce gentile e gli occhi di colomba di Melania si celava una lama d'acciaio infrangibile; e sentì pure che nel sangue tranquillo di Melania erano squilli e fanfare di intrepido ardimento.

- Rossella! Rossella! - gridarono le voci sgomente di Carolene e di Susele, soffocate dall'uscio chiuso; e la vocetta di Wade urlò: -Zietta! Zietta! - Melania pose rapidamente un indice sulle labbra e posando la sciabola sul primo gradino, attraversò faticosamente il pianerottolo e aperse la porta delle ammalate.

- Non abbiate paura, bambine! - La sua voce era scherzosa. - Vostra sorella ha voluto pulire la pistola di Carlo e involontariamente ha fatto partire un colpo che le ha fatto una paura terribile!... Pensa, Wade, che la mamma ha sparato con la pistola del tuo papà! Quando sarai grande, sparerai anche tu. -

"Con che freddezza sa mentire!" pensò Rossella con ammirazione. "Io non avrei avuto l'idea... Ma perché mentire? Bisogna che sappiano quello che ho fatto."

Guardò nuovamente il corpo; ora la sua ira e il suo terrore svanivano e la reazione le faceva vacillare le ginocchia. Melania si trascinò nuovamente sino alla sommità della scala e cominciò a scendere reggendosi alla ringhiera, mordendosi il pallido labbro inferiore.

- Torna a letto, sciocca; ti ammazzerai! - esclamò Rossella; ma Melania la raggiunse nel vestibolo.

- Rossella - bisbigliò - dobbiamo portarlo fuori e seppellirlo. Non può essere che sia solo; e se lo trovano qui...-

- Dev'essere solo - replicò Rossella. - Non ho visto nessun altro dalla finestra. Sarà uno sbandato. -

- Anche se è solo, bisogna che nessuno sappia...I negri potrebbero parlare, e tu potresti essere arrestata. Dobbiamo nasconderlo prima che gli altri tornino dalla palude.-

Spinta ad agire dall'insistenza di Melania, Rossella rifletteva.

- Potrei seppellirlo nell'angolo del giardino, sotto il noce... Il terreno dev'essere morbido, perché Pork ha scavato per dissotterrare il bariletto di whisky. Ma come portarlo fin là? -

- Prendiamo una gamba per ciascuna e trasciniamolo - disse Melania con fermezza.

L'ammirazione di Rossella aumentò.

- Tu non puoi – riprese. - Lo trascinerò io. Torna a letto. Ti ammazzerai. Non tentare di aiutarmi, altrimenti ti porto su in braccio. -

Il volto pallido di Melania abbozzò un sorriso di comprensione. - Sei molto buona, Rossella - e le sfiorò la guancia con le labbra. Poi, prima che Rossella si fosse riavuta dalla sorpresa, proseguì: - Se tu puoi trascinarlo da sola, io pulirò intanto il... sì, il pavimento prima che gli altri tornino a casa; e... senti...-

- Di'? -

- Credi che sarebbe... disonesto frugare nella sua giberna? Potrebbe esservi qualcosa da mangiare. -

- Hai ragione - rispose Rossella, seccata di non avere avuto lei stessa quell'idea. - Tu guarda nella giberna; io esaminerò le tasche. -

Chinandosi sul morto con disgusto, finì di sbottonargli la tunica e cominciò sistematicamente a frugare nelle tasche.

- Dio mio! - mormorò tirando fuori una saccoccia rigonfia avvolta in uno straccio. - Melania...Melly, questa è piena di denaro! -

Melania non rispose, ma sedette a un tratto sul pavimento e si appoggiò alla parete.

- Non badarci - mormorò - mi sento un po' debole. -

Rossella tolse il cencio e allargò le pieghe del cuoio con mano tremante.

- Guarda, Melly... guarda! -

Melania guardò e i suoi occhi si dilatarono. Ficcate dentro alla rinfusa erano una quantità di banconote degli Stati Uniti, insieme a denaro della Confederazione, e in mezzo a quelle erano una moneta d'oro di dieci dollari e due da cinque.

- Non metterti a contare adesso - riprese Melania mentre Rossella cominciava a sfogliare i biglietti di banca. - Non abbiamo il tempo...-

- Capisci, Melania, che questo denaro significa che potremo mangiare? -

- Sì, cara. Lo so; ma ora non abbiamo tempo. Guarda nelle altre tasche mentre io frugo nella giberna.-

Le tasche dei calzoni contenevano soltanto un mozzicone di candela, un temperino, una borsa da tabacco e un pezzo di spago. Melania trasse dalla giberna un pacchetto di caffè che annusò come se fosse il più soave dei profumi, un rimasuglio di galletta e la miniatura di una bambina in una cornicetta d'oro ornata di perline, una spilla di granati, due larghi braccialetti d'oro, due catenelle e un ditale anche d'oro, una tazza d'argento da bambino, un anello con un solitario, un paio di forbici d'oro e un paio di pendenti di brillanti a forma di pera che anche ai loro occhi inesperti sembrarono essere non meno di un carato ciascuno.

- Un ladro! - mormorò Melania ritraendosi con ribrezzo. - Deve aver rubato tutto questo! -

- Senza dubbio. Ed era venuto qui sperando di rubare ancora qualche altra cosa. -

- Hai fatto bene a ucciderlo - e i dolci occhi di Melania s'indurirono. - Ma ora bisogna sbrigarsi.-

Rossella si chinò e afferrò i piedi del morto. Ma com'era pesante e come si sentì improvvisamente debole! E se non riuscisse a smuoverlo? Si volse di spalle e mettendosi sotto le braccia quei piedi, cominciò a tirare. Il suo piede ammalato che nell'eccitazione aveva dimenticato, ora le dava una sofferenza che le faceva stringere i denti, costringendola a portare tutto il proprio peso sul calcagno. Sforzandosi e sudando riuscì a trascinarlo per tutto il vestibolo, lasciandosi dietro una traccia rossa.

- Se fa sangue nel cortile, non potremo nasconderlo - disse rabbrividendo. - Dammi il tuo accappatoio, Melania, glie lo avvolgerò intorno alla testa. -

Il volto pallido di Melania divenne vermiglio.

- Non fare la sciocca, nessuno ti guarda. Se io avessi una sottoveste o delle mutandine, le adoprerei.-

Accoccolandosi presso la parete, Melania si sfilò l'accappatoio cencioso e lo porse a Rossella, cercando di coprirsi il seno alla meglio con le braccia.

"Meno male che io non ho tanto pudore" pensò Rossella sentendo più che vedere, l'imbarazzo di Melania, mentre ella avvolgeva la tela attorno al viso in poltiglia. Riuscì a trascinare il corpo fino al porticato posteriore e, fermandosi per asciugarsi la fronte col dorso della mano, diede un'occhiata verso Melania che era rannicchiata contro la parete con le ginocchia piegate contro il petto nudo. "Era proprio il momento di stare a pensare al pudore!" disse fra sé Rossella; ma subito dopo si vergognò. Dopo tutto... dopo tutto Melania si era trascinata fuori dal letto per venire in suo aiuto con un'arme troppo pesante per lei. C'era voluto del coraggio, quella specie di coraggio che Rossella riconosceva lealmente di non possedere; quel coraggio tutto d'un pezzo che aveva caratterizzato Melania nella terribile notte della resa di Atlanta e durante il lungo viaggio verso casa.

Era l'intangibile, incrollabile coraggio dei Wilkes, qualità che Rossella non possedeva, ma a cui rendeva omaggio.

- Torna a letto - le disse voltandosi. - In questo modo arrischi la vita. Pulirò io dopo averlo sepolto. -

- Ma no; strofinerò con uno di quei tappeti vecchi - sussurrò Melania guardando la pozza di sangue col viso sconvolto.

- Ah, be', se vuoi proprio star male, io poi non verrò a curarti! Piuttosto, se qualcuno ritorna prima che io abbia finito, trattienilo in casa e digli che il cavallo è venuto qui non si sa da dove. -

Melania rimase rannicchiata contro la parete e si coperse le orecchie per non udire la serie di colpi prodotti dalla testa del morto che batteva contro i gradini.

Nessuno domandò da dove era venuto il cavallo; era ovvio che fosse un superstite della recente battaglia e tutti furono troppo contenti di averlo.

Nessuno spettro si levò dalla tomba scavata da Rossella per spaventarla durante le lunghe notti in cui la stanchezza le impediva di dormire. Nessun sentimento di orrore o di rimorso l'assaliva; e ciò la stupiva perché ella sapeva che fino a un mese prima sarebbe stata incapace di quel gesto. La graziosa e giovane signora Hamilton, con le sue fossette e i suoi pendenti sempre in moto, che riduceva in poltiglia il viso di un uomo e poi lo seppelliva in una fossa scavata frettolosamente! Rossella sogghignò pensando alla costernazione che una simile idea avrebbe dato a coloro che la conoscevano.

- Non voglio più ricordarmene - decise. - Oramai la cosa è fatta e sarei stata molto stupida se non l'avessi ammazzato. Ma credo di essere cambiata parecchio da quando sono tornata a casa, altrimenti non avrei potuto. -

Era effettivamente cambiata più di quanto non immaginasse, e la corazza che aveva cominciato a formarsi attorno al suo cuore quel giorno in cui ella giaceva nell'orto degli schiavi alle Dodici Querce, si andava a poco a poco indurendo.

Ora che aveva un cavallo, Rossella poteva pensare a informarsi di quel che fosse accaduto ai vicini. Da quando era arrivata a casa si era chiesta disperatamente mille volte: "Ma siamo proprio i soli rimasti nella Contea? Tutto è stato incendiato, tutti si sono rifugiati a Macon?"

Con la memoria fresca della rovina delle Dodici Querce e delle abitazioni dei MacIntosh e degli Slattery, aveva paura, quasi, di apprendere la verità. Ma era meglio sapere il peggio che ignorarlo. Decise quindi recarsi prima alla casa dei Fontaine, non perché fossero i più vicini, ma perché poteva esservi il vecchio dottor Fontaine; e Melania aveva bisogno di un medico. Non si andava rimettendo come avrebbe dovuto e Rossella era spaventata del suo pallore e della sua debolezza.

Non appena il suo piede le permise d'infilare una scarpina, ella montò quindi il cavallo dello yankee. Con un piede in una staffa accorciata e l'altra gamba di traverso sul pomo della sella, ella si avviò attraverso i campi, verso Mimosa. Con sua sorpresa e piacere vide che la casa giallo-pallido era ancora ritta fra gli alberi di mimosa. Una felicità che le fece quasi venire le lacrime la invase quando vide uscire dalla casa le tre signore Fontaine che le diedero il benvenuto con baci ed esclamazioni di gioia.

Ma quando i primi saluti affettuosi furono scambiati, e tutte si riunirono nella sala da pranzo, Rossella ebbe un brivido. Gli yankees non erano arrivati a Mimosa, perché questa era lontana dalla strada principale; perciò i Fontaine avevano ancora la loro casa e le loro provviste. Ma a Mimosa regnava lo stesso strano silenzio che opprimeva Tara e tutta la regione. Tutti gli schiavi, ad eccezione di quattro serve, erano fuggiti, spaventati dall'avvicinarsi degli yankees. Non un uomo in casa a meno che non si volesse calcolare come tale il bambino di Sally, il piccolo Joe appena fuori dalle fasce. Nella grande casa erano sole la nonna Fontaine, ormai settantenne, sua nuora che era sempre stata chiamata la signora giovane, benché avesse compiuto i cinquant'anni, e Sally che ne aveva appena compiuto venti. Quantunque isolate e prive di qualsiasi protezione, non mostravano terrore; probabilmente, - pensò Rossella - perché Sally e la signora giovane troppo temevano l'indomabile nonna che aveva sempre avuto occhi e lingua ugualmente acuti, per osare lamentarsi.

Fra le tre donne non esisteva parentela di sangue, ed esse erano di età assai diversa; ma pure erano unite da un legame di spirito e di esperienza. Tutte portavano abiti neri tinti in casa, tutte erano tristi, preoccupate e amareggiate; ma questi sentimenti non trapelavano dai loro sorrisi e dalle loro parole. I loro schiavi erano fuggiti, il loro denaro non valeva nulla, il marito di Sally era morto a Gettysburg e anche la signora giovane era vedova, essendo il giovane dottor Fontaine morto di dissenteria a Vicksburg. Gli altri due ragazzi, Alex e Toni, erano nella Virginia, e nessuno sapeva se erano vivi o morti; il vecchio dottor Fontaine era rimasto con la cavalleria di Wheeler.

- E quel vecchio pazzo, a settantatré anni cerca di fare il giovinotto benché sia pieno di reumatismi - disse la nonna, fiera di suo marito, con gli occhi che smentivano le parole aspre.

- Sapete nulla di ciò che sta succedendo ad Atlanta? - chiese Rossella dopo che si furono messi a sedere. - Noi a Tara siamo completamente privi di ogni notizia. -

- Qui siamo nella stessa condizione, figliola - rispose la vecchia. - Sappiamo soltanto che Sherman si è finalmente impadronito della città. -

- Ed ora che sta facendo? Dove sta combattendo? -

- Come vuoi che tre povere donne isolate in campagna sappiano qualche cosa della guerra, quando da settimane non abbiamo visto né una lettera né un giornale? - replicò la vecchia aspramente. - Uno dei nostri negri ha parlato con un altro che ne aveva visto un terzo che era stato a Jonesboro. Hanno detto che gli yankees si erano acquartierati ad Atlanta per far riposare uomini e cavalli; ma non so se sia vero.-

- Pensare che eravate a Tara e non lo sapevamo! - esclamò la signora giovane. - Come mi rimprovero di non essere mai venuta a vedere! Ma qui c'è tanto da fare dopo che i negri sono andati via, che non mi sono mai potuta muovere. Avrei pur dovuto trovare il tempo; era un dovere. In verità credevamo che gli yankees avessero bruciato Tara, come hanno fatto per le Dodici Querce e per la casa di MacIntosh, e che i vostri si fossero rifugiati a Macon. Non immaginavamo mai che voi, Rossella, foste tornata. -

- E come potevamo pensare diversamente, se i negri del signor O'Hara, quando passarono di qui, erano tutti spaventati e ci dissero che gli yankees stavano per incendiare Tara? Una sera, poi, vedemmo i riflessi del fuoco da quella parte, e durarono per delle ore; e i nostri stupidi schiavi si spaventarono tanto che fuggirono. Che cosa fu bruciato? -

- Tutto il nostro cotone: un valore di centocinquantamila dollari - rispose Rossella amaramente.

- Ringrazia Dio che non abbiano bruciato la tua casa - replicò la nonna, appoggiando il mento al suo bastone. - Il cotone si può coltivare ancora, mentre la casa non si ricostruisce. A proposito, avete cominciato a raccogliere il cotone, voialtri? -

- No, - rispose Rossella; - ma è quasi tutto rovinato. Non credo che ve ne sia più di tre balle. E poi, tutti i nostri negri contadini se ne sono andati e non c'è nessuno per raccoglierlo. -

- Dio mio, tutti i contadini andati via e nessuno per raccoglierlo! - scimmiottò la nonna, lanciando a Rossella uno sguardo satirico. - E le tue belle manine, e quelle delle tue sorelle? -

- Io raccogliere il cotone? - esclamò Rossella inorridita, come se la nonna avesse suggerito un delitto. - Come una contadina? Come una stracciona? Come le donne di Slattery? -

- Straccioni! Dio mio, com'è delicata e signorile questa generazione! Ti dirò che quando io ero una bambina, mio padre perse tutto il suo patrimonio, e io non ebbi paura di lavorare con le mie mani, anche nei campi, finché papà non mise assieme abbastanza denaro per comprare degli altri schiavi. Ho zappato la terra, ed ho raccolto il cotone, e se sarà necessario, lo farò ancora. -

- Ma allora - esclamò la nuora lanciando sguardi imploranti alle due ragazze perché la aiutassero a lisciare le penne rabbuffate della vecchia, - erano altri tempi, e adesso tutto è cambiato! -

- I tempi non cambiano mai quando c'è bisogno di lavorare - affermò la vecchia senza lasciarsi addolcire. - Ed io mi vergogno per te, Rossella, di sentirti parlare come se il lavoro onesto fosse una cosa indegna. -

Per cambiare argomento Rossella si affrettò a chiedere: - E che notizie dei Tarleton e dei Calvert? Si sono rifugiati a Macon? Hanno avuto la casa incendiata? -

- Gli yankees non sono arrivati a casa Tarleton, perché come la nostra, è lontana dalla strada maestra; ma sono andati dai Calvert e hanno rubato tutte le provviste e il pollame, e hanno fatto fuggire tutti i negri.-

Era Sally che aveva cominciato a parlare, ma la nonna l'interruppe. - Sicuro! Promisero a tutte le negre abiti di seta e orecchini d'oro! E Catina Calvert ha raccontato che alcuni soldati son partiti portando in groppa delle stupide negre. I risultati saranno dei bambini gialli, e non credo che il sangue yankee migliorerà. -

- Oh, mamma! -

- Non fare quella faccia scandalizzata, Giovanna. Siamo tutte maritate, no? E Dio sa che abbiamo visto dei bambini mulatti anche prima di ora! -

- Come mai non hanno bruciato la casa dei Calvert? -

- La casa è stata salvata per gli sforzi combinati della seconda signora Calvert e di quel suo sorvegliante yankee, Hilton - rispose la vecchia signora, la quale parlava sempre della ex-governante come della "seconda signora Calvert" benché la prima fosse oramai morta da venti anni.

- "Noi siamo simpatizzanti con l'Unione" - continuò con voce nasale e strascicata rifacendo l'accento yankee. - Ed affermò che tutti i Calvert erano yankees. Pensare che il signor Calvert è morto nel Wilderness! E Raiford a Gettysburg e Cade è nella Virginia, con l'esercito! Catina era così mortificata che avrebbe preferito che la casa fosse incendiata! Disse che Cade diventerebbe idrofobo il giorno in cui, tornando a casa, venisse a saperlo. Ma questo è ciò che accade quando un uomo sposa una yankee: né orgoglio né dignità; non pensano che alla loro pelle... Ma come mai non hanno incendiato Tara, Rossella? -

Per un attimo Rossella tacque. Sapeva che la domanda seguente sarebbe: "E come state tutti? Come sta la cara mamma?" E non poteva, no, non poteva dire che Elena era morta. Sapeva che se avesse pronunciato quella parola dinanzi a quelle donne simpatiche sarebbe scoppiata in lacrime; e non doveva piangere. Non aveva pianto da quando era arrivata a casa; ed era certa che se aprisse la via alle lacrime, tutto il suo coraggio svanirebbe. Ma capiva anche che se taceva, le Fontaine non le perdonerebbero mai di aver loro nascosto quella notizia.

- Suvvia, parla - proseguì con asprezza la vecchia. - Non lo sai? -

- Ecco: io sono arrivata a casa l'indomani della battaglia - rispose in fretta - e gli yankees erano andati via. Il babbo mi disse che... non avevano bruciato la casa perché Susele e Carolene stavano tanto male che non si poteva trasportarle altrove. -

- E' la prima volta che sento dire che uno yankee si è comportato come si deve. - La vecchia signora sembrava si rammaricasse di dovere riconoscere un sentimento umano negli invasori. - E ora come stanno le ragazze? -

- Molto meglio; ma sono debolissime. - Poi, vedendo la domanda sulle labbra della vecchia signora, si affrettò a cambiare conversazione. - Volevo appunto... volevo chiedervi se potete prestarci qualche cosa da mangiare. Gli yankees hanno distrutto tutto, come uno stormo di cavallette. Ma se siete poco provviste, ditemelo francamente e...-

- Manda Pork con un carretto e ti daremo la metà di quello che abbiamo: riso, farina, prosciutto, qualche pollo. -

- No, questo è troppo! Io...-

- Non una parola! Non voglio sentirla. Altrimenti, perché si sarebbe vicini? -

- Siete così buona che non so... Ma ora debbo andare. A casa saranno preoccupati di non vedermi ancora tornare. -

La nonna si alzò bruscamente e prese Rossella per un braccio.

- Voi due rimanete qui - disse alle altre. - Debbo dire una parola a Rossella. Aiutami a scendere gli scalini, Rossella. -

La signora giovane e Sally salutarono Rossella, promettendo di andare presto a trovarla. Erano divorate dalla curiosità di sapere di che cosa dovesse parlare la nonna; ma sapevano che questa non lo avrebbe mai detto.

Con la mano sulla briglia del cavallo, Rossella attendeva, col cuore angosciato.

- Ora dimmi: - cominciò la vecchia - che cosa c'è che non va bene a Tara? Che cosa ci nascondi? -

Rossella fissò gli occhi acuti che la guardavano e comprese che potrebbe parlare senza piangere. Nessuno piangeva dinanzi alla nonna Fontaine, a meno che non ne avesse il permesso da lei.

- La mamma è morta - disse piano.

La mano appoggiata al suo braccio si strinse e le palpebre grinzose ebbero un battito.

- L'hanno uccisa gli yankees? -

- E' morta di tifo. Il giorno prima del mio arrivo. -

- Non ci pensare. - La voce era severa; e Rossella vide che la nonna inghiottiva con sforzo. - E tuo padre? -

- Il babbo è... il babbo non è più lo stesso.-

- Che vuoi dire? E' ammalato? -

- Il colpo... è così stranito... non è...-

- Non dirmi che non è più in sé. Il colpo gli ha toccato il cervello? -

Fu un sollievo per lei udire enunciare così schiettamente la verità. Com'era buona la vecchia a non dirle parole di simpatia che l'avrebbero fatta piangere!

- Sì - rispose con tristezza - ha perduto il senno. Sembra come addormentato e a volte non si ricorda che la mamma è morta. Rimane delle ore ad aspettarla pazientemente, lui che era così impaziente! Ma è peggio quando si ricorda... Improvvisamente balza in piedi e corre fuori di casa, fino al nostro cimitero. Ritorna trascinandosi, con gli occhi pieni di lacrime e dice: "Caterina Rossella, la mamma è morta. La mamma è morta". E lo ripete all'infinito, tanto che mi par di impazzire. Di notte, qualche volta, sento che la chiama; allora scendo dal letto e vado a dirgli che è andata a trovare uno schiavo ammalato. E lui brontola perché dice che si strapazza sempre per curare gli altri. È difficile farlo tornare a letto: è come un bambino. Come vorrei che il dottor Fontaine fosse qui! So che farebbe qualche cosa per il babbo. E anche Melania ha bisogno del medico. Non si è rimessa come dovrebbe dopo il parto e...-

- Melly... un bambino? Ed è con te? -

- Sì. -

- E perché non è a Macon con sua zia e i suoi parenti? Non mi pareva che tu avessi gran simpatia per lei, benché fosse sorella di Carlo. Andiamo, via, raccontami. -

- E' un po' lungo, nonna Fontaine. Non volete rientrare in casa e mettervi a sedere? -

- Posso stare in piedi - fu la breve risposta. - E se racconti la storia dinanzi alle altre, si mettono a piangere e ti fanno commuovere e dopo ti senti male. Avanti, racconta. -

Rossella cominciò semplicemente a narrare l'assedio e lo stato di Melania; e mentre andava avanti, trovava negli occhi che la fissavano le parole di sgomento e di orrore che da principio le erano mancate. Tutto le tornò in mente: il calore estenuante della giornata in cui era nato il bimbo, il terrore, la fuga, l'abbandono di Rhett. Parlò dell'oscurità della notte, dei fuochi che potevano essere di amici o di nemici, degli uomini e dei cavalli morti che aveva incontrato lungo la strada, delle rovine fumiganti, della fame, della desolazione, della paura che anche Tara fosse bruciata.

- Credevo che arrivando a casa avrei deposto il tremendo fardello. Credevo che mi fosse già accaduto quanto di peggio poteva accadere; ma quando seppi che era morta, compresi che cosa era veramente il peggio. -

Abbassò gli occhi e attese che la nonna dicesse una parola. Il silenzio era così prolungato che temette di non essere stata compresa. Finalmente udì la voce; parlava con un tono di bontà assolutamente nuovo.

- Figliuola, è male per una donna trovarsi di fronte al peggio che le può accadere, perché dopo di questo non ha più paura di nulla.. Ed è male, per una donna, non aver paura di nulla. Credi che non capisca tutto quello attraverso cui sei passata? Ho capito benissimo. Avevo circa la tua età quando avvenne la rivolta degli indiani, dopo il massacro del Forte Mims... - la sua voce era stranamente lontana - e riuscii a nascondermi fra i boschi e vidi la nostra casa incendiata e i miei fratelli e sorelle scotennati dagli indiani. E io non potevo fare altro che supplicare il Cielo perché la luce delle fiamme non rivelasse il mio nascondiglio. Trascinarono fuori mia madre e la uccisero a pochi metri dal luogo dove io ero sdraiata nel sottobosco. E anche a lei tolsero il cuoio capelluto; e ogni indiano le ficcava il suo tomahawk nel cranio. Io ero la beniamina della mamma... e vidi tutto questo. La mattina mi avviai all'accampamento più vicino, che era a circa trenta miglia. Mi ci vollero tre giorni, attraverso le paludi e gli indiani; i nostri, quando li trovai, mi credettero pazza... Là conobbi il dottor Fontaine, che si occupò di me. Sono passati cinquant'anni; e da allora non ho mai più avuto paura di nulla, perché sapevo che nulla di peggio potrebbe ormai accadermi. Dio vuole che le donne siano creature timide; in una donna che non ha paura è qualche cosa di innaturale... Rossella, cerca che ti rimanga sempre qualche cosa di cui temere... e cerca che ti rimanga qualche cosa da amare...-

Tacque e rimase con gli occhi fissi, come se rivedesse il giorno in cui aveva avuto paura, mezzo secolo prima. Rossella si mosse impaziente. Aveva creduto che la nonna l'avrebbe compresa e forse l'avrebbe aiutata a risolvere i suoi problemi. Ma, come tutti i vecchi, si era messa a parlare di cose avvenute tanto e tanto tempo prima; cose che non interessavano nessuno. Si pentì di essersi confidata a lei.

- Ora vai, bambina; altrimenti a casa staranno in pensiero - riprese a un tratto la vecchia signora. - Manda Pork col carretto oggi nel pomeriggio... E non credere di poter deporre il tuo fardello, perché non lo puoi. Lo so.-

 

I giorni di novembre furono piacevoli per gli abitanti di Tara. Il peggio era ormai passato. Ora avevano un cavallo per potersi muovere; avevano uova fritte per colazione e prosciutto per cena, onde variare la monotonia delle patate dolci, pistacchi e mele secche; e nei giorni di festa, anche un pollo arrosto. La vecchia scrofa era finalmente stata catturata; lei e la sua schiatta grufolavano beatamente nel cortile posteriore dove erano stati domiciliati. A volte grugnivano così forte che nessuno in casa riusciva a far sentire la propria voce; ma era un suono piacevole. Voleva dire che vi sarebbe carne fresca per i bianchi e interiora per i negri, quando fosse venuto il tempo di uccidere i maiali; e provviste per tutto l'inverno.

La visita ai Fontaine aveva dato forza a Rossella; il sapere di avere dei vicini, e che qualcuno degli amici era sopravvissuto, aveva scacciato il tremendo senso di solitudine che l'aveva oppressa dopo il suo arrivo a Tara. E i vicini - Fontaine e Tarleton - erano molto generosi nel dividere con Tara il poco che avevano. Era tradizione nella Contea che i vicini si aiutassero a vicenda, e nessuno volle mai accettar denari da Rossella; le dicevano che certamente lei avrebbe fatto altrettanto; e d'altronde li pagherebbe in natura, l'anno venturo, quando Tara fosse nuovamente in grado di produrre.

Rossella era dunque fornita di viveri; aveva un cavallo, denaro e gioielli tolti allo sbandato yankee; la cosa più necessaria erano adesso degli abiti nuovi per tutti. Sapeva che mandare Pork a fare degli acquisti sarebbe un rischio poiché il cavallo potrebbe essere catturato da yankees o da confederati. Ma almeno aveva il denaro occorrente per comprare, oltre ai vestiti, anche un altro cavallo e un carretto. E poi, forse Pork potrebbe compiere il viaggio senza esser catturato. Sì, il peggio era ormai passato.

Ogni mattina Rossella ringraziava Dio per il cielo azzurro e il sole caldo, perché ogni giornata di bel tempo ritardava il momento in cui sarebbero stati necessari gli abiti pesanti. E ogni giorno di bel tempo vedeva aumentare il cotone immagazzinato nel quartiere degli schiavi: l'unico luogo che potesse essere utilizzato come magazzino. Ed era più di quello che Pork aveva stimato: forse quattro balle.

Rossella non aveva avuto l'intenzione di raccogliere il cotone, anche dopo l'aspra osservazione della vecchia Fontaine. Ciò avrebbe posto lei, la padrona di Tara, allo stesso livello della scarmigliata signora Slattery e di Emma. Avrebbero dovuto farlo i negri quel lavoro da contadini, mentre lei e le ragazze si sarebbero occupate della casa. Ma si trovò di fronte un sentimento di casta più forte del suo. Pork, Mammy e Prissy gettarono alte grida all'idea di lavorare nei campi. Ripetettero che erano negri domestici, non contadini. Specialmente Mammy, che era nata nella casa dei Robillard (neanche nel quartiere degli schiavi!) ed era cresciuta nella camera della padrona, dormendo su un materassino collocato ai piedi del letto di questa. Solo Dilcey non disse nulla, ma fissò Prissy con uno sguardo inequivocabile.

Rossella rifiutò di ascoltare le proteste e li trascinò tutti nel campo. Ma Mammy e Pork lavoravano così lentamente e con tante lamentele che la padroncina rimandò Mammy in cucina a occuparsi del pranzo e Pork nei boschi e presso il fiume con trappole per i conigli e le sarighe, e ami per pescare. Raccogliere il cotone era al disotto della dignità di Pork; ma cacciare e pescare erano cose che poteva fare.

Rossella aveva allora tentato con le sue sorelle e con Melania, ma non avevano davvero lavorato meglio. Melania aveva raccolto il cotone velocemente e silenziosamente per un'ora; poi era svenuta ed era dovuta rimanere a letto per una settimana. Susele, lamentevole e piagnucolosa, aveva finto di svenire anche lei, ma era tornata in sé strepitando come un gatto arrabbiato quando Rossella le aveva gettato sul viso un bicchiere d'acqua.

- Non voglio lavorare nei campi come una negra! - gridò finalmente. -Non puoi pretenderlo. Che direbbero i nostri amici se lo sapessero? Se... il signor Kennedy venisse a saperlo? Oh, se ci fosse la mamma...-

- Se nomini la mamma ancora una volta, ti batto! - esclamò Rossella. - La mamma ha lavorato più di qualsiasi schiavo e tu lo sai benissimo, madamigella Lasciatemi-Stare! -

- Non è vero! Perlomeno, non nei campi. E tu non puoi costringermi. Lo dirò al babbo e lui non lo permetterà! -

- Guardati ben dal tormentare il babbo con le nostre beghe! -

- Ti aiuterò io, sorellina - si interpose docilmente Carolene. - Lavorerò per lei e per me. Susele non sta ancora bene e non dovrebbe esporsi al sole. -

- Grazie, pupa d'oro - disse Rossella con gratitudine; ma la guardò preoccupata. Carolene che era stata sempre bianca e rosa come un fiore, non aveva più colore. Da quando aveva ripreso conoscenza e aveva saputo che Elena era morta, era rimasta taciturna, turbata di vedere il mondo mutato, e la necessità di un lavoro continuo. Non riusciva a capire la ragione di tutto questo, e girava per l'ara come una sonnambula, facendo esattamente ciò che le dicevano di fare.

Quando non lavorava secondo gli ordini di Rossella, era sempre col rosario fra le mani e le sue labbra si muovevano in preghiere interminabili per sua madre e per Brent Tarleton. Rossella non aveva compreso che la morte di quest'ultimo era stato un fiero colpo per la giovinetta che ella continuava a considerare come la "pupa", e che era troppo giovine per avere nella sua vita un serio amore.

E avrebbe voluto, Rossella, avere una sorella che riunisse l'energia di Susele con la dolcezza e la remissività di Carolene. Questa raccoglieva il cotone con diligenza e serietà; ma quando aveva lavorato un'ora, era evidente che lei, e non Susele, non stava ancora abbastanza bene per compiere quel lavoro. E così Rossella la rimandò in casa.

Nei lunghi solchi rimanevano dunque con lei soltanto Dilcey e Prissy. Questa raccoglieva con pigrizia, lamentandosi del dolore ai piedi, della stanchezza, di un sacco di mali interni, finché sua madre prendeva un arbusto e la percuoteva in modo da farla gridare. Dopo di che lavorava un po' meglio, cercando però di non essere troppo vicina a sua madre.

Dilcey lavorava instancabilmente, silenziosamente, come una macchina, e Rossella col dorso e le spalle indolenzite dal peso del cotone che portava nel magazzino, pensava che veramente quella donna valeva il suo peso d'oro.

- Dilcey - le diceva - quando torneranno i bei tempi, non dimenticherò quello che hai fatto. Sei stata molto buona. -

La donna non sorrideva come gli altri negri alla lode. Volgeva a lei un viso immobile e diceva: - Grazie, badrona. Ma mist' Geraldo e miss Elena sono stati buoni con me. Mist' Geraldo comprò la mia Prissy ed io non lo dimentico. Io avere sangue indiano, e indiani non dimenticare benefici. Mi dispiace che mia Prissy non valere nulla. Sembra che essere tutta sangue negro come suo padre. -

Malgrado l'impossibilità di trovare aiuto per la raccolta e la fatica di dover lavorare duramente, Rossella si sentiva rianimare man mano che vedeva aumentare il quantitativo del cotone.

Tara era giunta alla ricchezza mediante il cotone, come tutti gli Stati del Sud; e Rossella era troppo meridionale per non essere convinta che Tara e il Sud risorgerebbero.

Certo quel cotone non era molto, ma era qualche cosa. Le darebbe un po' di denaro, permettendole di risparmiare per più tardi quello che aveva trovato nella saccoccia dello yankee.

In primavera cercherebbe di ottenere dal Governo che le rimandassero il grosso Sam e gli altri negri-contadini; e se il Governo non volesse rilasciarli, allora si servirebbe del denaro dello yankee per noleggiare dei contadini dai vicini. E in primavera pianterebbe tanto cotone... Si raddrizzò e vide dinanzi a sé i campi che in primavera sarebbero verdi e ricchi. In primavera... Forse allora la guerra sarebbe finita e gli antichi tempi tornerebbero. E anche se la Confederazione perdesse, tutto sarebbe preferibile al continuo pericolo di incursioni dell'uno o dell'altro esercito. Il giorno in cui la guerra fosse finita, una piantagione ricomincerebbe a produrre di che vivere per i suoi abitanti. Se finisse, la guerra, e si potesse avere la possibilità di seminare con la certezza di raccogliere!

Questa era la speranza. La guerra non poteva durare per sempre. E lei aveva un po' di cotone, aveva dei viveri, un cavallo, e il suo piccolo risparmio. Sì, il peggio era passato!

27

Un giorno della metà di novembre, la famiglia O'Hara era seduta attorno alla tavola del pranzo meridiano, terminando di mangiare un dolce fatto da Mammy con farina di meliga, sorbe selvatiche secche e sorgo come dolcificante. L'aria s'era rinfrescata e Pork, che era dietro la sedia di Rossella, le chiese stropicciandosi le mani:

- Quando bensare di uccidere porco, badroncina? -

- Non vedi l'ora di mangiare le interiora, eh? - fece Rossella con un piccolo riso. - Beh, anch'io non vedo l'ora di mangiare un po' di carne fresca; e se il tempo dura così per qualche giorno, penso che...-

Melania la interruppe, rimanendo col cucchiaio sospeso a mezz'aria.

- Ascolta! Sta venendo qualcuno! -

Attraverso la nitida aria autunnale giunse uno scalpitio come di un cavallo che galoppasse spaventato, e un voce femminile alta e acuta che gridava: - Rossella! Rossella! -

Per un attimo tutti si guardarono sgomenti, prima di balzare in piedi respingendo le sedie. Malgrado lo spavento, Rossella riconobbe la voce di Sally Fontaine con la quale, soltanto un'ora prima nel recarsi a Jonesboro si era fermata a scambiare due chiacchiere. Ora, mentre tutte si affollavano alla porta, la videro giungere a gran carriera su un cavallo coperto di schiuma, col cappello sul dorso e i capelli scompigliati. Non tirò le redini ma galoppò come una pazza verso di loro, agitando il braccio verso la direzione da cui era venuta.

- Stanno arrivando gli yankees! Li ho visti! Sono sulla strada...Gli yankees! -

Tirò violentemente le briglie, in tempo per impedire al cavallo di salire i gradini. Lo videro volgere velocemente, girare attorno alla casa e udirono i suoi zoccoli nel cortile posteriore e nello stretto sentiero fra le capanne degli schiavi; compresero così che tagliava attraverso i campi per tornare a Mimosa.

Per un momento rimasero paralizzate; poi Susele e Carolene cominciarono a singhiozzare convulsamente. Il piccolo Wade sembrava radicato al suolo, tremante, incapace di piangere. Ciò che aveva temuto da quando aveva lasciato Atlanta ora accadeva. Gli yankees venivano a prenderlo.

- Gli yankees? - fece Geraldo vagamente. - Ma sono già stati qui, gli yankees! -

- Madre di misericordia! - esclamò Rossella incontrando, con lo sguardo gli occhi atterriti di Melania. Per un attimo rivide gli orrori di Atlanta, e ricordò i racconti uditi, di stupri, torture, assassinii. Rivide il soldato yankee nel vestibolo con la scatola da lavoro di Elena fra le mani. E pensò: "Morirò. Credevo che tutto fosse finito. Morirò. Non posso più resistere".

Poi i suoi occhi caddero sul cavallo sellato che aspettava per condurre Pork a casa dei Tarleton per una commissione. Il suo unico cavallo! Gli yankees lo prenderebbero; e anche la mucca e il vitello...E la scrofa coi maialini... Quante ore ci erano volute per riprenderla! E prenderebbero il gallo e le galline e le anatre che le avevano dato le Fontaine. E le mele, le patate dolci, la farina, il riso, i piselli secchi... E anche il denaro che era nel portamonete del soldato morto. Porterebbero via tutto e li lascerebbero morir di fame.

- Non l'avranno! - gridò forte e tutti si volsero spaventati, temendo che perdesse il senno. - Non voglio morir di fame! Non li avranno! -

- Che cosa, Rossella? Che cosa? -

- Il cavallo! La mucca! I porci! Non li avranno! Non voglio! -

Si volse ai quattro negri che erano rimasti sulla soglia: il loro volto avere un particolare color di cenere.

- La palude - disse rapidamente.

- Che palude? -

- Quella del fiume, imbecilli! Tutti quanti. Presto. Tu, Pork, e Prissy andate a tirar fuori i porci. Susele e Carolene, riempite i cestini con più viveri che potete e andate nel bosco. Mammy, rimetti l'argenteria nel pozzo. Ascoltami, Pork! Non stare lì come un idiota! Porta con te il babbo. Non chiedermi dove! Dovunque. Vai con Pork, babbo. Da bravo.-

Anche in quel momento di frenesia, capiva che effetto poteva produrre la vista degli abiti azzurri sulla mente sconvolta di Geraldo. Si torse le mani; il singhiozzo di Wade aggrappato alle gonne di Melania aumentò il suo spavento.

- Che debbo fare, Rossella? - La voce di Melania era calma in mezzo allo scompiglio generale. Benché fosse pallidissima, la fermezza della sua voce diede animo a Rossella, rivelandole che tutti aspettavano da lei ordini e direzione.

- La mucca e il vitello - disse in fretta. - Sono nel vecchio pascolo. Prendi il cavallo e conducilo nella palude e...-

Prima che avesse finito la frase, Melania si era svincolata dalla stretta di Wade, aveva sceso i gradini e correva verso il cavallo. Rossella ebbe una rapidissima visione di gambe sottili e di sottovesti; Melania era già in sella, a cavalcioni, cercando le staffe. Raccolse le redini e percosse coi calcagni i fianchi del cavallo; ma improvvisamente lo trattenne, col riso convulso dall'orrore.

- Il bimbo! Lo uccideranno! Dammelo! -

La sua mano era sul pomo della sella. Stava per scendere quando Rossella gridò:

- Vai! Vai! Prendi la mucca! Penso io al bambino! Vai, ti dico! Credi che lascerò toccare il bambino di Ashley? Vai! -

Melly guardò disperatamente indietro; martellò i fianchi del cavallo e con un forte scricchiolio di ghiaia scomparve verso il pascolo.

Rossella pensò: "Non avrei mai immaginato di vedere Melly Hamilton a cavalcioni!" E corse in casa, con Wade alla calcagna, singhiozzante e che cercava di aggrapparsi alle sue gonne. Salì i gradini a tre per volta e vide Susele e Carolene, munite di canestri, correre verso la dispensa; e Pork che, senza troppe cerimonie, trascinava Geraldo per un braccio verso il portico posteriore. Geraldo cercava di ribellarsi borbottando.

Udì la voce stridula di Mammy: - Prissy! Correre qui dietro alla casa ad aiutarmi per maialini! Io essere troppo grossa per infilarmi nel porcile! -

- E dire che mi era sembrata una grande idea quella di tenere i porcellini dietro alla casa perché nessuno li rubasse! Quanto avrei fatto meglio a fabbricare un recinto per loro nella palude! -

Corse nella sua camera, aperse il primo cassetto del canterano e frugò fra gli abiti finché trovò la saccoccia dello yankee. In fretta tolse l'anello col solitario e gli orecchini di brillanti dal cestino da lavoro dove li aveva celati e li ficcò nella saccoccia. Ma ora dove nasconderla? Sotto ai materassi? Sul camino? Gettarla nel pozzo? Cacciarla in seno? No, questo mai! La protuberanza del portamonete sarebbe visibile attraverso il suo corpetto; e se gli yankees se ne accorgessero, la spoglierebbero per frugarla.

"Morirei se facessero questo!" pensò rabbrividendo.

In basso sentiva un pandemonio di piedi in corsa e di voci singhiozzanti. Anche in quel momento di frenesia, Rossella si augurò di aver Melania con sé, Melania con la sua voce tranquilla, e che era stata così intrepida il giorno in cui ella aveva ucciso lo yankee. Ma a proposito, che le aveva detto Melania? Ah sì, il bambino.

Stringendosi al petto la saccoccia di cuoio, Rossella corse alla camera dove il piccolo Beau dormiva nella sua culla. Lo prese fra le braccia ed egli si svegliò agitando le braccine.

Udì Susele gridare: - Vieni, Carolene! Non possiamo portare di più! Presto, corri! - Vi furono ancora grida e grugniti; precipitandosi alla finestra, Rossella vide Mammy che attraversava in fretta il campo di cotone con un maialino sotto ad ogni braccio. Dietro a lei era Pork che portava anche lui due porcelli e incalzava Geraldo.

Sporgendosi dalla finestra Rossella gridò: - Prendi la scrofa, Dilcey! Falla tirar fuori da Prissy. Puoi cacciarla davanti a te attraverso i campi. - Dilcey alzò gli occhi; il suo viso di bronzo era tormentato. Nel suo grembiule era un mucchio di argenteria da tavola.

- La scrofa ha morsicato Prissy che adesso ha paura.-

"Ha fatto bene" pensò Rossella. Tornò nella stanza e trasse dal loro nascondiglio i gioielli che aveva trovato sul soldato morto. Ma dove metterli? Posò il bimbo un attimo sul letto; e il piccino emise un vagito. In quel momento le venne un'idea. Quale nascondiglio migliore delle fasce di un bimbo? Rapidamente lo voltò sottosopra, gli tirò su il vestitino e ficcò il portafogli tra le fasce vicino al dorso. Il piccino gridò più forte ed ella si affrettò a stringere il triangolo di tela fra le gambe.

"Ora," pensò respirando profondamente "alla palude!"

Tenendo il bimbo che piangeva sotto a un braccio e stringendo contro di - sé i gioielli con l'altro, scese le scale di corsa. Si fermò sentendosi piegare le ginocchia dallo spavento. Com'era silenziosa la casa! Se n'erano andati tutti senza aspettarla? Sobbalzò sentendo un lieve rumore, e voltandosi rapidamente vide aggrappato alla ringhiera suo figlio che aveva dimenticato e che la fissava con gli occhi ingranditi dal terrore, senza poter parlare.

- Alzati, Wade - gli ordinò rapidamente. - Vieni e cammina. La mamma non ti può portare. -

Il bimbo corse a lei come una bestiola spaventata e afferrando le larghe sottane cercò di attaccarsi alle sue gambe. Ella cominciò a camminare, ma il passo le era impedito da quelle manine che la trattenevano. Cercando di svincolarsi gli gridò: - Lasciami, Wade! Lasciami e cammina. - Ma il bimbo si stringeva sempre di più.

Nell'ampio vestibolo i mobili sembrarono sussurrarle: "Addio! Addio!" Un singhiozzo le strinse la gola. La porta dello studio dove Elena aveva lavorato così assiduamente era aperta ed ella scorgeva un angolo della vecchia scrivania. Nella stanza da pranzo le sedie erano in disordine attorno alla tavola e nei piatti erano avanzi di cibo. Sul pavimento erano i tappeti che Elena aveva tinto e intessuto. E poi vi era il vecchio ritratto della nonna Robillard col seno seminudo e i capelli raccolti in alto e l'aspetto aristocratico. Tutto ciò che faceva parte dei suoi più vecchi ricordi sembrava dirle: "Addio! Addio, Rossella O'Hara!”

Gli yankees brucerebbero tutto... tutto!

Questa era l'ultima visione della sua casa; eccetto quella che avrebbe visto dal suo nascondiglio nei boschi o nella palude: i comignoli avvolti di fumo e il tetto crollante tra le fiamme.

- Non posso lasciarti - disse fra sé battendo i denti. - Non posso. Il babbo non ti lascerebbe. Ha detto che piuttosto dovrebbero bruciarti sul suo capo. Ebbene, ti bruceranno sul mio, perché io non posso lasciarti. -

Con questa decisione le parve che il suo terrore diminuisse; rimase soltanto nel suo seno un senso di freddo, come se ivi si fossero congelati speranza e timore. Udì giungere dal viale uno scalpitar di cavalli, un tintinnare di barbazzali e di sciabole; e una voce rauca ordinò: - A terra! - Si chinò velocemente sul bimbo accanto a lei e con voce pressante ma stranamente dolce, gli disse: - Lasciami, Wade, gioia! Corri giù per le scale, attraversa il cortile e vai alla palude. Vi troverai Mammy e zia Melly. Corri presto, tesoro, e non aver paura. -

Udendola mutar tono, il bimbo la guardò e Rossella fu sbigottita dall'espressione di quegli occhi, simili a quelli di un coniglio preso in trappola.

- Madre di Misericordia! - supplicò. - Non fategli avere una convulsione. No... non davanti agli yankees. Non debbono sapere che abbiamo paura. - E poiché il bimbo continuava a stringerle la sottana, gli disse: - Sii un bravo omino, Wade. Non è altro che un pugno di maledetti yankees. -

E discese i gradini per andare a incontrarli.

 

Sherman stava marciando attraverso la Georgia, da Atlanta al mare. Dietro a lui erano rimaste le rovine fumanti della città, a cui era stato appiccato il fuoco appena l'esercito azzurro ne era uscito. E dinanzi a lui erano trecento miglia di territorio virtualmente indifeso, poiché non vi era che pochissima milizia di Stato e i vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale.

Ecco la regione fertile, cosparsa di piantagioni in cui erano ancora ricoverati donne e bambini, vecchi e negri. Per una larghezza di ottanta miglia gli yankees saccheggiavano e bruciavano. Centinaia di case erano in fiamme. Ma per Rossella, che osservava le uniformi azzurre penetrare nel vestibolo, non si trattava di una cosa che riguardasse tutto il paese; era una faccenda assolutamente personale, un'azione perversa compiuta contro lei e contro i suoi.

Rimase in piedi in fondo alle scale, col lattante fra le braccia e Wade stretto a lei, col capo nascosto fra le sue gonne, mentre gli yankees sciamavano per la casa, spingendola da parte per salire al piano superiore, trascinando i mobili sotto al porticato, ficcando baionette e pugnali nelle imbottiture in cerca di valori nascosti. Al piano di sopra laceravano guanciali e materassi, sicché in breve il vestibolo fu pieno di piume che ondeggiavano lievemente sul suo capo.

Un'ira impotente riempiva il suo cuore, mentre ella vedeva coloro che rubavano, saccheggiavano e rovinavano.

Il sergente che li comandava era un omino grigio, con le gambe arcuate, e un grosso pezzo di tabacco in bocca. Raggiunse Rossella prima di qualunque dei suoi uomini, e sputando tranquillamente sul pavimento, le disse: - Fatemi vedere quello che avete in mano, signora. -

Rossella aveva dimenticato i gingilli che aveva avuto l'intenzione di nascondere, e con un disprezzo che sperò fosse tanto eloquente quanto quello espresso dal ritratto della nonna Robillard, gettò gli oggetti sul pavimento e quasi si divertì della lotta rapace che seguì.

- Vi disturberò a chiedervi quell'anello e quei pendenti. -

Rossella strinse il bambino più forte sotto al braccio in modo che rimase con la faccia all'ingiù, rosso e urlante, e si tolse gli orecchini di granate che erano stati il dono di nozze di Geraldo a Elena. Quindi si sfilò il grande zaffiro che Carlo le aveva dato come anello di fidanzamento.

- Non li gettate. Dateli a me - disse il sergente avanzando la mano. - Quei bastardi hanno già avuto abbastanza. Che altro avete? - I suoi occhi fissarono acutamente il suo corpetto.

Per un attimo Rossella credette di venir meno, sentendo già quelle mani rozze che frugavano nel suo seno.

- Non ho altro; ma immagino che abbiate l'abitudine di spogliare le vostre vittime. -

- Oh, vi crederò sulla parola - rispose il sergente tranquillo, e sputando mentre se ne andava. Rossella raddrizzò il bambino e cercò di calmarlo tenendo la mano nel punto dov'era nascosto il portafogli e ringraziando Dio che Melania avesse un bimbo in fasce.

Sentiva al piano superiore pesanti scarponi scalpicciare sul pavimento. Sentiva i cassetti gettati sul pavimento, lo strepito delle porcellane e degli specchi infranti, le maledizioni perché non si trovava nulla di valore.

Dal cortile giunsero grida: - Prendili, non farli scappare! E lo schiamazzo disperato delle galline, delle anatre e delle oche. - Sussultò sentendo un grugnito doloroso che fu subito acquetato da un colpo di pistola; e comprese che la scrofa era morta. Maledetta Prissy, era scappata via lasciandola. Se almeno i maialini fossero salvi! E se la famiglia avesse raggiunto la palude! Ma non vi era modo di saperlo.

Rimase tranquilla nel vestibolo mentre i soldati si agitavano intorno a lei gridando e bestemmiando. Le dita di Wade stringevano terrorizzate la sua gonna. Ella sentiva quel corpicino scosso da un tremito, ma non aveva la forza di parlargli per rassicurarlo. Né riusciva a rivolgere una parola agli yankees, sia pure di lamento, di protesta o di collera. Poteva soltanto ringraziare Dio perché le sue ginocchia continuavano a sorreggerla, perché il suo collo era abbastanza forte da permetterle di tenere la testa eretta. Ma quando un gruppo di uomini barbuti discese la scala portando un vero assortimento di oggetti rubati e fra le mani di uno di costoro ella vide la sciabola di Carlo, allora gridò.

Quella sciabola era di Wade. Era stata di suo padre e di suo nonno e Rossella l'aveva regalata al piccino per il suo compleanno. Ne avevano fatto una vera cerimonia, e Melania aveva pianto lacrime di orgoglio dicendogli che doveva crescere per essere un soldato coraggioso come suo padre e suo nonno. Wade era molto fiero di questa sua proprietà e spesso si arrampicava sulla tavola al disopra della quale era sospesa per accarezzarla. Rossella poteva sopportare di veder la propria roba uscir dalla casa fra le mani odiose di quegli stranieri, ma non questo. Questo era il vanto del suo bambino. Wade, sogguardando dalle pieghe della gonna al suo grido, trovò la forza di emettere una parola in un singhiozzo. Stendendo una mano, gridò:

-Mia! -

- Non potete prendere questo! - gridò Rossella tendendo anche lei la mano.

- Non posso? - sogghignò il piccolo soldato che la teneva. - Sicuro che posso! È la spada di un ribelle!-

- No... non lo è. È una spada della Guerra Messicana. Non potete prenderla: è del mio bambino. Era di suo nonno. Oh, capitano - esclamò volgendosi al sergente - vi prego, fatemela restituire! -

Il sergente, soddisfatto della promozione, si avanzò di un passo.

- Fammi vedere quella spada, ragazzo - disse.

Riluttante, il piccolo cavalleggero gliela porse. - Ha l'impugnatura d'oro massiccio - disse.

Il sergente la osservò, la mise contro il sole per leggere l'iscrizione che vi era incisa.

"Al colonnello Guglielmo R. Hamilton" decifrò. "Dal suo Stato Maggiore, per il suo valore. Buena Vista 1847."

- Oh, signora! Anch'io ero a Buena Vista.-

- Davvero? - fece Rossella freddamente.

- Sicuro. E vi assicuro che ci faceva caldo! Non ho mai visto in questa guerra una battaglia come quella... Dunque questa spada era del nonno di quel ragazzino? -

- Sì. -

- Allora bisogna lasciargliela - disse il sergente che era abbastanza soddisfatto per i gioielli che aveva annodati nel fazzoletto.

- Ma è d'oro massiccio - obiettò il soldato.

- Gliela lasceremo per nostro ricordo - e il sergente sogghignò.

- Oh, penserò io a lasciarglielo, un ricordino! - replicò il cavalleggero.

Rossella prese la spada senza neanche ringraziare. Perché avrebbe dovuto ringraziare quei ladri che le restituivano ciò che era sua proprietà? Tenne la spada stretta al petto mentre il piccolo cavalleggero discuteva col sergente.

Rossella cominciava a respirare. Non aveva sentito parlare di incendiare la casa. Non le avevano detto di andarsene perché volevano appiccare il fuoco. Forse... forse... Gli uomini rientrarono nel vestibolo e discesero dal piano di sopra.

- C'è qualche cosa? - chiese il sergente.

- Un porco, qualche pollo e poche anatre. -

- Un po' di grano, di patate dolci e di fagioli. Quella strega che abbiamo visto a cavallo deve aver dato l'allarme. -

- Avete scavato sotto alla dispensa? Di solito è lì che nascondono i valori...-

- Non c'è dispensa.-

- E nelle capanne dei negri? -

- Solo del cotone. Lo abbiamo incendiato. -

Rossella rivide le lunghe giornate ardenti nel campo di cotone, sentì nuovamente il tremendo dolore alla schiena e alle spalle. Tutto invano. Il cotone era distrutto.

- Non siete molto provvista, eh, signora? -

- Il vostro esercito è già stato qui, prima - rispose ella freddamente.

- Infatti. Eravamo in questi paraggi nel settembre - disse uno degli uomini rigirando tra le mani qualche cosa. - Me n'ero dimenticato. -

Rossella vide che era il ditale d'oro di Elena. Quante volte lo aveva visto brillare mentre Elena lavorava! Ed eccolo nella mano callosa e sudicia di uno yankee e fra breve nel dito di una donna yankee che sarebbe fiera di usare una cosa rubata! Il ditale di Elena!

Rossella chinò la testa perché il nemico non la vedesse piangere, e le sue lacrime caddero sul capo del piccino. Come attraverso una nebbia vide gli uomini muovere verso la porta, udì i comandi del sergente. Se ne andavano e Tara era salva... Ma tormentata dal ricordo di Elena, non riuscì ad esserne contenta. Il rumore delle sciabole e degli zoccoli le diede scarso sollievo ed ella si sentì improvvisamente stanca ed abbattuta, mentre la pattuglia percorreva il viale, tutti gli uomini carichi di oggetti di vestiario, coperte, quadri, galline ed anatre; e la scrofa.

Alle sue narici giunse un odore di fumo ed ella si volse, troppo stanca per preoccuparsi del cotone. Attraverso le finestre aperte della sala da pranzo vide il fumo alzarsi pigramente dalle capanne dei negri. Era il cotone che ardeva. Il denaro delle tasse e parte del denaro che doveva aiutarli a trascorrere quel terribile inverno. Non vi era nulla da fare: solo guardare. Aveva visto altre volte ardere del cotone, e sapeva com'era difficile spegnerlo, anche con l'aiuto di parecchi uomini. Grazie a Dio, il quartiere degli schiavi era abbastanza lontano dalla casa! E non vi era vento che portasse le scintille sul tetto di Tara!

A un tratto balzò in piedi irrigidita, fissando con orrore l'estremità del vestibolo, dove sboccava il passaggio coperto che conduceva alla cucina. Da quella parte veniva del fumo!

Posò un attimo il bambino. Si liberò dalla stretta di Wade, balzò nella cucina piena di fumo, indietreggiò tossendo, con gli occhi pieni di lacrime. Entrò di nuovo, tenendosi la gonna contro il naso: la stanza, illuminata solo da una finestrella, era quasi buia; il fumo era talmente denso che non si vedeva nulla attraverso. Però udiva i crepitio delle fiamme, e cercando di ripararsi gli occhi con la mano, scorse sottili lingue di fiamme che dal pavimento correvano verso le pareti. Qualcuno aveva sparso per la stanza i pezzi di legno che ardevano nel focolare, e il pavimento di legno di pino si stava bruciando rapidamente.

Tornò di corsa nella sala da pranzo e afferrò un grosso tappeto, facendo cadere con fracasso due sedie.

- Non riuscirò a spegnerlo...Dio, Dio se ci fosse qualcuno per aiutarmi! Tara è finita... finita! Dio, Dio! - Ecco che cos'era il ricordo che le aveva lasciato quel farabutto...- Avrei fatto meglio a lasciargli la spada! -

Riattraversando il vestibolo vide suo figlio giacente nell'angolo con la sua spada: aveva gli occhi chiusi e il suo visino aveva un'espressione di pace indicibile.

"Dio mio! E' morto! Morto di paura!" penso con angoscia. Ma balzò al secchio d'acqua che era sempre nel corridoio. Immerse nell'acqua l'estremità del tappeto e trattenendo il respiro penetrò nuovamente nella stanza piena di fumo, sbattendo la porta dietro di sé. Due volte le sue lunghe gonnelle presero fuoco, ed ella spense le fiamme stringendole tra le mani. Sentiva l'odore dei suoi capelli che ardevano, perché le forcine erano cadute e le trecce le ondeggiavano sulle spalle. Le fiamme correvano intorno a lei, verso i muri del passaggio coperto, serpenti rossi che si contorcevano e balzavano; vinta dall'esaurimento, comprese che non vi era più speranza.

L'uscio si spalancò e il soffio d'aria fece balzare le fiamme più in alto. Mezza accecata, Rossella vide Melania che calpestava le fiamme, le batteva con qualche cosa di oscuro e di pesante. La vide vacillare, la sentì tossire, vide il suo corpicino agitarsi. Per un'altra eternità lottarono, fianco a fianco; e Rossella vide che le strisce di fiamma diventavano più brevi. A un tratto Melania si volse verso di lei e con un grido la percosse violentemente tra le spalle. Poi Rossella cadde in un vortice di fumo e di oscurità.

Quando riaperse gli occhi, era coricata nel porticato posteriore, col capo posato sulle ginocchia di Melania; sul suo volto brillava il sole pomeridiano. Le capanne degli schiavi erano avvolte in dense nuvole di fumo e l'odore del cotone che bruciava era intollerabile. Rossella vide nuvolette di fumo levarsi anche dalla cucina e fece per alzarsi freneticamente. Ma fu respinta dalla voce tranquilla di Melania.

- Resta coricata, cara. Il fuoco è spento. -

Rimase quieta per un momento, sospirando di sollievo, con gli occhi chiusi, e udì accanto a sé il gemito sottile del piccino e il rassicurante singulto di Wade. Non era morto, grazie a Dio! Aperse gli occhi e guardò Melania. Aveva i riccioli abbruciacchiati e il viso nero di fuliggine, ma i suoi occhi brillavano di eccitazione e la bocca sorrideva.

- Sembri una negra - mormorò Rossella riappoggiando il capo sul morbido guanciale.

- E tu, uno spazzacamino. -

- Perché mi hai battuta? -

- Perché avevi il dorso in fiamme. Non pensavo che saresti svenuta, benché oggi tu ne abbia sopportate abbastanza da far morire chiunque... Sono tornata indietro appena ho messo tutto in salvo nel bosco. Mi sentivo morire, sapendoti sola qui col piccolo...Ti... ti hanno fatto male? -

- Se intendi che mi abbiano violentata, posso assicurarti di no. - Ed emise un gemito mentre tentava di sollevarsi a sedere. Il grembo di Melania era morbido, ma il pavimento del porticato era tutt'altro che comodo. - Ma hanno rubato tutto, tutto. Abbiamo perduto tutto... Ma perché hai quell'aria contenta? -

- Perché ci siamo ancora noi, una per l'altra, e abbiamo i nostri bimbi... e un tetto. E nessuno al giorno d'oggi può sperare di aver di più... Dio mio, Beau è bagnato! Immagino che avranno rubato anche i suoi pannolini di ricambio... Ma... che diamine c'è nelle sue fasce, Rossella? -

Spaventata, ficcò la mano tra le fasce del piccolo e trasse il portafogli. Per un attimo lo guardò come se non lo avesse mai visto; poi cominciò a ridere, a ridere di un riso isterico.

- Nessun altro sarebbe stato capace di pensarlo! - esclamò e gettando le braccia al collo di Rossella la baciò. - Sei un vero tesoro! -

Rossella si lasciò abbracciare perché era troppo stanca per lottare; perché le parole di lode erano un balsamo per il suo cuore e perché, nella cucina piena di fumo, aveva provato un immenso rispetto per sua cognata, e uno stretto senso di solidarietà.

"Bisogna ammettere" disse fra sé rimuginando "che è sempre presente quando c'è bisogno di lei."

28

Il freddo giunse improvviso. Soffi gelidi si insinuavano nelle fessure delle porte, scrollavano le finestre sconnesse con un cigolio monotono. Le ultime foglie cadevano dai rami nudi; solo i pini rimanevano vestiti, freddi e neri contro il cielo pallido. Le strade rosse erano indurite dal gelo e la fame cavalcava sul vento attraverso la Georgia.

Rossella ricordò con amarezza la sua conversazione con la nonna Fontaine. Come le sembrava lontano quel pomeriggio di due mesi fa, in cui aveva detto che "tutto il peggio le era accaduto"... Invece... Prima della venuta degli uomini di Sherman, ella aveva la sua piccola riserva di viveri e di denaro; aveva dei vicini più fortunati di lei, e un po' di cotone che l'avrebbe aiutata ad arrivare alla primavera. Ora il cotone era bruciato, i viveri scomparsi, il denaro inutile perché non si poteva comprar nulla, e i vicini in condizioni peggiori delle sue. Almeno, lei aveva salvato la mucca e il vitello, e i vicini non avevano se non quel poco che erano riusciti a nascondere nei boschi e nel terreno!

Fairhill, la casa dei Tarleton, era stata bruciata dalle fondamenta; la signora Tarleton e le quattro ragazze abitavano nella casa del sorvegliante. Anche la casa dei Munroe, presso Lovejoy, era stata distrutta. L'ala di Mimosa costruita in legno era stata bruciata; solo le grosse mura del corpo principale avevano resistito, aiutate dall'opera frenetica delle signore Fontaine e delle loro schiave che si erano affannate con coperte bagnate a spegnere le fiamme. La casa dei Calvert era stata nuovamente risparmiata, per intercessione di Hilton, il sorvegliante yankee; ma non vi era rimasto un capo di bestiame, un pollo, un pugno di granturco. Per Tara e per tutta la Contea, il problema era il vitto. La maggior parte delle famiglie non aveva che il residuo del raccolto di patate dolci e di pistacchi, e quel po' di selvaggina che si poteva catturare nei boschi. E ciascuno divideva quello che aveva con gli amici meno fortunati. Ma ben presto non vi fu più nulla da dividere.

A Tara si mangiavano conigli, sarighe e pesce-gatto, quando Pork era fortunato. Gli altri giorni, l'alimentazione consisteva in poco latte, noci, ghiande abbrustolite e patate dolci. Erano sempre affamati. Rossella aveva l'impressione di vedere continuamente mani tese, occhi supplichevoli. Questa vista la faceva impazzire, perché anche lei era non meno affamata.

Ordinò di uccidere il vitello, perché consumava troppo latte; e il giorno in cui mangiarono carne a volontà, ebbero tutti quanti l'indigestione. Si poteva uccidere un maialino; ma Rossella rimandava di giorno in giorno, aspettando che fossero più grossi. Uccidendoli adesso vi sarebbe stato troppo poco da mangiare; mentre più tardi avrebbero rappresentato una buona quantità di carne e di grasso. La sera Rossella discuteva con Melania sull'opportunità di mandare Pork fuori della regione con un po' di denaro a cercare se fosse possibile comprare dei viveri; ma il timore che potessero confiscargli il cavallo e rubargli i quattrini le tratteneva. Non si sapeva dove erano gli yankees. Potevano essere a mille miglia di distanza o subito al di là del fiume. Una volta Rossella, disperata, pensò di andare lei stessa in cerca di viveri; ma i clamori isterici di tutta la famiglia paurosa degli yankees la indussero ad abbandonare il progetto.

Pork si assentava a volte fino alla sera, e Rossella non gli chiedeva mai dov'era stato. Certi giorni tornava con un po' di cacciagione, altre volte con qualche pannocchia di granturco, con un sacchetto di piselli secchi. Portò anche un gallo che disse di aver trovato nei boschi. La famiglia lo mangiò con piacere misto a un senso di rimorso, perché tutti sapevano che Pork lo aveva rubato, come aveva rubato i piselli e il granturco. Una sera, poco tempo dopo, bussò alla porta di Rossella quando tutti quanti già dormivano e le mostrò timidamente una gamba crivellata di pallini. Mentre la padroncina lo fasciava, spiegò goffamente che mentre cercava di entrare in un pollaio a Fayetteville, era stato scoperto. Rossella non gli chiese di chi era il pollaio, ma gli accarezzò dolcemente la spalla con le lacrime agli occhi. I negri erano irritanti, qualche volta; stupidi e indolenti; ma la loro fedeltà era impagabile e anche la loro dedizione ai padroni bianchi, che li spingeva ad arrischiare la vita per procurare dei viveri per la loro tavola.

In altri tempi i ladrocini di Pork sarebbero stati una cosa molto seria, che probabilmente avrebbe richiesto una buona frustata. Elena le aveva sempre detto: - Ricordati che tu sei responsabile del morale come del benessere fisico degli schiavi che Dio ha affidato alla tua cura. Devi pensare che sono come dei bambini; e, come ai bambini, bisogna sempre dar loro il buon esempio. -

Ma ora, Rossella non ebbe cuore di rimproverare il negro fedele. Il fatto di incoraggiare il furto non le pesava sulla coscienza, che, d'altronde, non era mai stata troppo severa. Le dispiacque soltanto che fosse stato ferito.

- Devi stare attento, Pork. Non ti vogliamo perdere. Che cosa faremmo senza di te? Sei stato buono e fedele; e quando avremo denaro ti comprerò un bell'orologio d'oro e ci farò incidere sopra un versetto della Bibbia. -

Pork scivolò fuori dalla camera ed ella rimase pensierosa. Era stupita che la vita fosse oggi così semplice, mentre una volta tempi passati e lontani! - era piena di complicazioni. Vi era stato il problema di conquistare l'amore di Ashley e di tenersi attorno una dozzina di spasimanti rendendoli infelici. E piccole mancanze di contegno da nascondere ai genitori, amiche gelose da placare, abiti da scegliere... Ora la sola cosa che importava era il poter mangiare a sufficienza per non morire d'inedia, vestirsi in modo da ripararsi dal freddo e avere un tetto che non vacillasse troppo.

In quei giorni Rossella cominciò ad avere un incubo che poi la ossessionò per degli anni. Era sempre lo stesso sogno, i cui particolari non mutavano, ma che la spaventava ogni volta di più; e il terrore la tormentava anche quando era sveglia. Ricordava benissimo gli incidenti del giorno in cui il sogno le era apparso per la prima volta.

Pioveva da una settimana, e la casa era piena di freddo e di umidità. I ceppi nel camino era bagnati e fumosi e davano poco calore. Non si era mangiato nulla, dopo la colazione consistente in poco latte, perché la provvista di patate dolci era esaurita e le trappole e le reti di Pork non avevano prodotto niente. Bisognava decidersi a uccidere un porcellino, se si voleva avere qualcosa da mangiare. Visi tirati e affamati, bianchi e neri, la fissavano, chiedendole con gli occhi di provvedere un po' di cibo. Bisognava decidersi a mandar via Pork a cercare di comprare qualche cosa. Per di più, c'era Wade col mal di gola e la febbre; e non vi era medico né medicine.

Affamata e stanca di vegliare il bimbo, Rossella lo aveva affidato a Melania e si era gettata sul letto per fare un sonnellino. Coi piedi gelati, si voltava e rivoltava senza riuscire ad addormentarsi. Pensava e ripensava: "Che debbo fare? A chi rivolgermi? Non c'è nessuno al mondo che possa aiutarmi?" Perché non vi era una persona che la sollevasse da quel fardello troppo pesante per lei? E con questi pensieri, cadde in una sonnolenza irrequieta.

Si vide in un luogo sconosciuto, denso di nebbia sicché non distingueva nulla a un palmo di distanza. Sotto ai piedi la terra era ineguale: una landa silenziosa in cui ella era smarrita, atterrita come un bimbo nella notte. Aveva freddo e fame; avrebbe voluto gridare ma non poteva. Nella nebbia erano cose o esseri che stendevano le dita ad afferrarle le gonne, per trascinarla entro la terra che tremava; mani silenziose, irrequiete, spettrali. Eppure, sapeva che al di là di quell'atmosfera opaca era un rifugio, un porto dove potrebbe riparare al caldo. Ma dov'era? Riuscirebbe a raggiungerlo prima che le mani la trascinassero entro le sabbie mobili?

E improvvisamente si metteva a correre nella nebbia come una pazza, urlando, lanciando avanti le braccia, senza afferrare altro che aria e nebbia umida. Dov'era il rifugio? C'era, ma non riusciva a trovarlo... Lo sgomento le faceva piegare le ginocchia, la fame la faceva svenire. Lanciò un grido disperato e si svegliò per vedere chino sopra di sé il viso preoccupato di Melania che la scuoteva per destarla.

Il sogno si ripeté ogni volta che andava a dormire con lo stomaco vuoto. E questo avveniva sovente. La spaventava talmente che aveva perfino timore di addormentarsi, benché continuasse a ripetere febbrilmente a se stessa che non vi era alcun motivo d'aver paura. Nulla; eppure l'idea di quella landa nebbiosa la sgomentava tanto che cominciò a dormire con Melania, la quale la destava non appena i suoi gemiti le rivelavano com'ella fosse nuovamente caduta fra le grinfie dell'incubo.

Era diventata magra e pallida. La graziosa rotondità del suo viso era scomparsa; gli zigomi si erano accentuati, rendendo più obliqui i suoi occhi verdi, dandole un'espressione di gatto affamato in cerca di preda.

 

A Natale giunse Franco Kennedy con una piccola pattuglia, mandata dal Commissariato, inutilmente, in cerca di grano e di animali per l'esercito. Era un'orda cenciosa, montata su cavalli zoppi e bolsi, evidentemente non più utilizzabili per altri servizi. Come i loro animali, gli uomini erano stati rimandati indietro dal fronte di battaglia; eccetto Franco, tutti avevano un braccio o un occhio di meno o le articolazioni irrigidite. In maggioranza indossavano soprabiti azzurri tolti ai prigionieri yankees e, per un breve istante di terrore, gli abitanti di Tara credettero a un ritorno degli uomini di Sherman.

Rimasero alla piantagione una notte, dormendo sul pavimento del salotto, felici di stendersi sul tappeto di velluto, perché da molte settimane non dormivano sotto a un tetto e non avevano avuto giaciglio più soffice della nuda terra e degli aghi di pino. Malgrado le barbe lunghe e gli abiti laceri, erano persone di buona famiglia, piacevoli come conversazione e felici di passare la vigilia di Natale in una grande casa, circondati da belle donne come in altri tempi. Non vollero parlare della guerra, raccontarono enormi panzane per far ridere le ragazze e portarono nella casa nuda e malinconica il primo barlume di gaiezza che vi fosse apparso ormai da tempo.

- Sembra quasi di essere tornate ai nostri ricevimenti di una volta, vero? - sussurrò Susele felice a Rossella. Susele era ai sette cieli all'idea di avere di nuovo in casa un corteggiatore tutto per sé, e non toglieva gli occhi di dosso a Franco Kennedy. Rossella fu stupita nel vedere che sua sorella riusciva ad essere quasi carina, malgrado la magrezza conseguente alla malattia. Aveva le guance rosse e gli occhi soavemente luminosi.

"Deve essergli proprio affezionata" pensò con un lieve disprezzo. "E scommetto che diventerebbe quasi umana se avesse un marito; magari anche quel vecchio chiacchierone di Franco."

Anche Carolene era più animata. Aveva trovato uno dei militari che aveva conosciuto Brent Tarleton e si trovava con lui il giorno in cui era stato ucciso; quindi si ripromise una lunga conversazione dopo cena.

A tavola Melania li stupì tutti, cercando di uscire dalla sua timidezza e riuscendo ad essere quasi vivace. Rise e scherzò e fece quasi - ma non completamente! - la civetta con un soldato monocolo, il quale ricambiò allegramente i suoi sforzi con stravaganti galanterie. Rossella comprese lo sforzo di Melania, la quale - oltre ad essere naturalmente timida - era lungi dal sentirsi bene.

Rossella fu la sola che la presenza degli ospiti non allietò.

Questi avevano aggiunto la loro razione di pannocchie arrostite e di carne secca alla cena di piselli secchi, mele al forno e pistacchi che Mammy aveva ammannito, dichiarando che era il miglior pasto che avessero fatto da parecchi mesi. Rossella li guardava mangiare ed era inquieta. Non solo contava i bocconi che mettevano in bocca, ma era sulle spine per timore che venissero a scoprire che Pork aveva ucciso un porcellino il giorno prima. L'animale era sospeso nella dispensa e Rossella aveva cupamente assicurato che graffierebbe gli occhi a chiunque ne facesse parola agli ospiti, o accennasse alla presenza degli altri maialini nella palude. Quegli affamati divorerebbero tutto il porcellino in un pasto solo e se sapessero dell'esistenza degli altri, li requisirebbero per l'esercito. Temeva anche per il cavallo e la mucca, e avrebbe voluto che questi pure fossero nascosti nella palude anziché essere impastoiati in fondo al pascolo. Se il commissario si impadroniva delle loro riserve, Tara non potrebbe sopravvivere, non essendovi mezzo di sostituirle.

La cena fu abbastanza gaia; Geraldo, seduto a capotavola, cercò di rievocare dal fondo della sua mente offuscata qualche cosa dei modi di un padrone di casa con un sorriso incerto. Gli uomini chiacchieravano, le donne sorridevano... ma Rossella volgendosi improvvisamente a Franco Kennedy per chiedergli se conosceva zia Pittypat, vide sul suo volto un'espressione che le fece dimenticare ciò che voleva dire.

I suoi occhi avevano lasciato Susele e vagavano per la stanza: dal volto inespressivo di Geraldo al pavimento, spoglio di tappeti, al caminetto privo di ornamenti, ai mobili imbottiti in cui erano penetrate le baionette degli yankees, allo specchio spaccato sulla "consolle", ai punti della parete scoloriti dove erano stati sospesi i quadri prima della venuta dei predoni, al servizio da tavola scompagnato, agli abiti delle ragazze, decenti ma rammendati, all'abitino di Wade ritagliato in un sacco da farina.

Franco ricordava la Tara che aveva conosciuto prima della guerra e nel suo viso era un'espressione di collera impotente. Egli amava Susele voleva bene alle sue sorelle, rispettava Geraldo e aveva un vero interesse per la piantagione. Da quando Sherman era penetrato nella Georgia, Franco aveva veduto molti spettacoli dolorosi, ma nessuno lo aveva colpito come la vista di Tara. Avrebbe voluto poter fare qualche cosa per gli O'Hara, specialmente per Susele, ma non poteva far nulla. Inconsciamente crollava la testa impietosito, quando incontrò lo sguardo di Rossella. Vide in esso una fiamma di orgoglio indignato e abbassò in fretta gli occhi, un po' confuso.

Le ragazze avevano sete di notizie. Da quattro mesi - dalla caduta di Atlanta - non vi era più servizio postale ed esse ignoravano dov'erano gli yankees, che cosa faceva l'esercito confederato, che cosa era accaduto a tanti vecchi amici. Franco poteva informarle meglio di un giornale, essendo parente o amico di quasi tutti e potendo quindi fornire una quantità di notizie personali. Per nascondere il suo imbarazzo nell'essere stato sorpreso da Rossella, si lanciò in un lungo racconto. Atlanta era stata ripresa; ma non valeva più nulla, dopo che le truppe di Sherman l'avevano completamente incendiata.

- Ma credevo che fossero stati i nostri a bruciare Atlanta, la notte in cui partii! - esclamò Rossella stupita.

- Oh no, miss Rossella! - esclamò Franco scandalizzato. - Noi non avremmo mai bruciato una città nostra col nostro popolo ancora dentro! Ciò che voi avete visto ardere erano i magazzini di viveri e di munizioni che non volevamo che cadessero fra le loro mani. Ma quando Sherman entrò in città, le case erano ancora in piedi. E lui vi acquartierò i suoi uomini. -

- Ma gli abitanti? Che cosa ne fece... li uccise? -

- Ne uccise alcuni - sogghignò il soldato monocolo - ma non coi proiettili. Appena entrato in Atlanta disse al sindaco che tutti gli abitanti dovevano abbandonare la città. E vi erano vecchi e ammalati che non potevano muoversi; e donne che... insomma, neanche loro si potevano muovere. E lui li scacciò ugualmente durante uno spaventoso temporale e quando furono nei boschi mandò a dire al generale Wood di andarli a raccogliere. Una quantità di gente morì di polmonite. -

- Ma perché? Non potevano fargli alcun male! - esclamò Melania.

- Disse che aveva bisogno della città per far riposare i suoi uomini e i suoi cavalli - replicò Franco. - Infatti vi rimasero sino alla metà di novembre; e prima di partire diedero fuoco alla città e distrussero tutto. -

- Tutto! - esclamarono le ragazze sgomente.

Sembrava impossibile che la città piena di vita che esse conoscevano, coi suoi bei palazzi e i grandi negozi, fosse distrutta!

- Insomma, quasi tutto - si corresse frettolosamente Franco, turbato dall'espressione dei loro volti. Cercò di apparire allegro perché non voleva affliggere delle signore.

Non raccontò ciò che aveva visto l'esercito quando aveva attraversato Atlanta nel ritirarsi; i comignoli rimasti dritti fra le ceneri, i mucchi di rottami mezzo bruciati e di mattoni frantumati che ingombravano le strade, i vecchi alberi disseccati dal calore. Ricordava la sua sofferenza a quello spettacolo e le maledizioni dei confederati. Sperava che le signore non sarebbero mai venute a sapere gli orrori compiuti al Cimitero, in cui erano sepolti anche Carlo e i genitori di Melania. Era una visione che gli dava ancora l'incubo. Sperando di trovare dei gioielli sepolti insieme ai morti, i soldati yankee avevano scoperchiato le tombe, avevano derubato i cadaveri, strappando dalle bare le targhe d'oro e d'argento coi nomi, le borchie e le maniglie pure d'argento. Gli scheletri erano rimasti alla rinfusa fra le loro bare vuote e sconquassate, esposti alle intemperie.

E Franco non poté neppure raccontare dei cani e dei gatti: migliaia di animali affamati, abbandonati quando i loro padroni erano stati così bruscamente evacuati e che erano diventati quasi selvaggi per la paura, il freddo e la fame.

Franco cercò nella sua mente qualche informazione meno spaventosa da fornire alle signore.

- Vi sono alcune case ancora in piedi; case che erano lontane dalle altre e a cui il fuoco non si è comunicato. Sono rimaste anche le chiese e la Sala Massonica. E qualche negozio. Ma il quartiere degli affari nei pressi della ferrovia e dei Cinque Punti... tutto quello è raso al suolo. -

- Allora - esclamò Rossella amaramente - il magazzino che mi aveva lasciato Carlo vicino alla ferrovia è stato distrutto? -

- Se era presso alla ferrovia certamente non c'è più; ma... -

A un tratto sorrise. Come mai non ci aveva pensato prima? - Allegre signore! La casa di vostra zia Pitty è ancora in piedi. Magari un po' danneggiata, ma esiste. -

- E come mai? -

- E' di mattoni e è quasi l'unico tetto di ardesia che vi sia ad Atlanta; questo ha evitato che le scintille comunicassero il fuoco. Poi è quasi l'ultima casa a nord della città. Quando ho visto miss Pitty la settimana scorsa a Macon...-

- L'avete vista? E come sta? -

- Benone. Quando le ho detto che la sua casa era ancora in piedi ha subito pensato di ritornarvi. Cioè... se il vecchio negro Pietro glie lo avesse permesso. Molta gente di Atlanta è tornata, perché si teme che a Macon arrivino i soldati di Wilson, e questi sono peggiori di quelli di Sherman. -

- Ma che idea, tornare mentre non vi sono case! Dove abitano? -

- In attendamenti e capanne di legno, e sistemandosi in sei o sette famiglie nelle poche case rimaste. E tentano di ricostruire. Non dite che sono sciocchi, miss Rossella. Voi li conoscete come li conosco io. Sono attaccati alla loro città e scusatemi, miss Melly - cocciuti come muli quando si tratta di Atlanta. Non capisco il perché; ma sarà perché io sono nato in campagna e non amo alcuna città. E i primi tornati sono i più fortunati; gli ultimi invece non troveranno neanche una pietra, perché tutti quanti si riforniscono di quello che trovano per poter fabbricare. L'altro ieri ho visto Mrs. Merriwether con Maribella e la loro vecchia negra che caricavano delle pietre su un biroccino. E Mrs. Meade mi disse che appena il dottore fosse di ritorno, avrebbe, col suo aiuto, fabbricato una capanna di legno. Ha già vissuto in una capanna tanti anni fa, quando giunse ad Atlanta che si chiamava ancora "Marthasville"; e non le importa nulla di ripetere la stessa esperienza. Certo non parlava sul serio; ma questo dimostra la loro maniera di pensare. -

- Senza dubbio, sono pieni di energia - replicò Melania con orgoglio; - non è vero, Rossella? -

Rossella annuì, fiera essa pure della sua città di adozione.

- Se zia Pitty torna ad Atlanta - proseguì Melania - forse faremo bene a tornarvi anche noi; altrimenti, se sta sola, muore di paura! -

- Come potrei lasciar qui tutto adesso? - ribatté Rossella sgarbatamente. - Ma se vuoi andare, vai; io non ti trattengo. -

- Non volevo dir questo, tesoro! - esclamò Melania desolata, arrossendo. - Non avevo pensato... Certo tu non puoi lasciare Tara; e... forse zio Pietro e la cuoca avranno cura di zia Pitty. -

- Ma non c'è nulla qui che ti impedisca di andare - ritorse ancora brevemente e con asprezza Rossella.

- Sai che non voglio lasciarti. E... senza di te avrei troppa paura! -

- Come vuoi. Del resto, vedrai che appena Sherman saprà che è stata ricostruita qualche casa, tornerà a incendiarla. -

- Non tornerà - intervenne Franco; e, malgrado i suoi sforzi, il suo volto si oscurò. - Oramai ha attraversato lo Stato per impadronirsi della costa. Savannah è caduta in questa settimana; e pare che ora gli yankees siano diretti alla Carolina del Sud. -

- Savannah è caduta! -

- Sì. Non era possibile tenerla: vi erano troppo pochi uomini, benché siano stati mobilitati tutti quelli che potevano reggersi in piedi. Sapete che quando gli yankees marciavano su Milledgeville furono chiamati tutti i ragazzi delle Scuole Militari e furono perfino aperti i penitenziari per procurarsi delle truppe fresche? Sicuro: tutti i detenuti ebbero la possibilità di recarsi a combattere, con la promessa del condono della pena se uscivano salvi dalla guerra. Vi assicuro che c'era da rabbrividire a vedere quei ragazzi nelle stesse file con dei ladri e degli assassini! -

- E di questa gente hanno fatto dei soldati!

- Non vi spaventate, miss Rossella; del resto hanno dimostrato di essere degli ottimi combattenti. -

- Ma dov'era l'esercito del generale Hood? -

- Il generale Hood è rimasto a combattere nel Tennessee per cacciare gli yankees dalla Georgia.-

- Ha fatto un bell'affare! - esclamò Rossella con sarcasmo. - Ha lasciato quei maledetti yankees spadroneggiare qui, facendoci proteggere soltanto da ragazzi di scuola, detenuti e Guardia Nazionale! -

- Non si parla in questo modo, figliuola interruppe Geraldo. - Dai un dispiacere a tua madre.-

- Sono maledetti, gli yankees! - ripeté Rossella con calore. - E non potrò mai usare altre parole per loro. -

Il ricordo di Elena mise tutti a disagio, e la conversazione improvvisamente cessò. Fu Melania a riprenderla.

- E a Macon avete visto Lydia e Gioia Wilkes? Avevano... avevano saputo nulla di Ashley? -

- No, miss Melania. Sapete che se avessi avuto notizie di Ashley sarei corso qui a spron battuto per informarvene. Ma non dovete essere troppo preoccupata per lui. Come volete che dia notizie di sé chi è in prigionia? E nelle prigioni yankee si sta assai meglio che nelle nostre. Vi è da mangiare in abbondanza e sono fornite di medicinali e di coperte...-

- Oh, lo so che sono ben provvisti! - esclamò Melania con amarezza. - Ma non danno niente ai prigionieri. E voi lo sapete, Mister Kennedy; ma parlate così per tranquillizzarmi. Se si potessero fare scomparire gli yankees dalla faccia della Terra! Che volete, sono certa che Ashley è...-

- Non lo dire! - gridò Rossella col cuore in gola. Finché nessuno diceva che Ashley era morto, in lei sussisteva una debole speranza che egli vivesse ancora; ma le sembrava che se quelle parole fossero pronunciate, in quel momento egli morrebbe.

- Non vi preoccupate per vostro marito, Mrs. Wilkes - intervenne il monocolo. - Io fui catturato nei primi tempi e poi fui scambiato; e mentre ero in prigione mangiavo polli e focacce...-

- Bugiardo! - E Melania accennò a un sorriso. E poi, per cambiare argomento: - Se vogliamo andare in salotto, vi canterò qualche canzone di Natale. Il pianoforte è la sola cosa che gli yankees non hanno potuto portar via. Dev'essere terribilmente stonato; vero, Susele? -

- Terribilmente - rispose Susele, sorridendo a Franco.

Si alzarono per passare nell'altra stanza; sulla soglia Franco trattenne Rossella per la manica. - Posso parlarvi un momento a quattr'occhi? -

Per un attimo ella ebbe il timore che l'ufficiale volesse chiederle le sue provviste di vettovaglie; e si preparò a mentire coraggiosamente.

Rimasero soli dinanzi al caminetto; e tutta la falsa gaiezza che aveva animato il volto di Franco Kennedy scomparve. Rossella ebbe l'impressione di trovarsi dinanzi a un vecchio. Egli si tirò un momento le fedine grige e si raschiò la gola prima di parlare.

- Mi dispiace molto di vostra madre, miss Rossella..-

- Non ne parliamo, vi prego! -

- E vostro padre... è così da quando...? -

- Sì... non è più in sé... Ma vi supplico...-

- Scusate, miss Rossella. - E stropicciò i piedi nervosamente.- Ma il fatto è... Insomma, volevo dire qualche cosa a vostro padre, ma capisco che è inutile. -

- Forse potete parlare con me, Mister Kennedy. Oramai... sono io il capo di casa. -

- Ecco... - e Franco ricominciò a tirarsi la barba. - Volevo... volevo chiedergli la mano di miss Susele.-

- Ma come! - esclamò Rossella stupita. - Non gliel'avevate ancora chiesta? E le fate la corte da tanti anni! -

Egli arrossì e sorrise imbarazzato, come un ragazzo timido.

- Ma... non sapevo se... se vostra sorella era disposta...Io sono molto più vecchio di lei...E c'erano tanti giovinotti che giravano qui intorno...-

"Bah!" pensò Rossella. "Venivano per me, non per lei!"

- E non so neanche adesso se... se mi vuole. Non gliel'ho mai domandato, ma... credo che lei sappia qual è il mio sentimento. Miss Rossella, io non ho più nulla. Avevo molto denaro, scusatemi se ne parlo, ma non mi è rimasto altro che il mio cavallo e l'abito che ho addosso. Quando mi arruolai vendetti la maggior parte della mia proprietà e investii il denaro in titoli della Confederazione; e voi sapete che cosa valgono oggi. Meno della carta su cui sono stampati. D'altronde, non ho neppure questi, perché sono andati bruciati quando gli yankees incendiarono la casa di mia sorella. So che ho torto a chiedere miss Susele oggi, ma... Non so che cosa succederà di noi quando la guerra sarà finita. Mi sembra la fine del mondo: non siamo sicuri di nulla. Però... penso che potrebbe essere un conforto per me e forse anche per lei se fossimo fidanzati. Non chiedo di sposarla finché non potrò essere in grado di mantenerla; e non so quando ciò potrà accadere. Ma se il vero amore può equivalere alla ricchezza, vi assicuro che Susele, da questo punto di vista, sarà ricca come nessun'altra al mondo. -

Disse queste ultime parole con una dignità che commosse Rossella, benché le sembrasse strano che qualcuno potesse amare sua sorella. Questa le sembrava un mostro di egoismo e di perversità.

- Va bene Mister Kennedy - rispose tranquilla. - Credo di potervi rispondere a nome di mio padre. Egli ha sempre avuto simpatia per voi ed era sicuro che Susele vi avrebbe sposato. -

- Davvero? - esclamò Franco, felice.

- Senza dubbio - e nascose un sorriso ricordando quante volte Geraldo aveva brontolato perché lo spasimante di Susele non si decideva a manifestare le sue intenzioni.

- Le parlerò stasera - proseguì egli, con le labbra un po' tremanti. Poi prese la mano di Rossella e la strinse. - Siete molto buona, miss Rossella. -

- Adesso ve la mando - e Rossella si avviò verso il salotto, da cui giungeva il suono del pianoforte e la voce di Melania che cantava un inno. Bruscamente si volse verso Kennedy.

- Che avete voluto significare dicendo che vi pare la fine del mondo? -

- Vi parlerò con franchezza - cominciò Franco lentamente - ma non vorrei che spaventaste le altre signore ripetendo loro quello che vi dirò. La guerra non può più durare a lungo: non abbiamo più uomini e i disertori sono numerosissimi; molto più di quanto si voglia riconoscere. Non vi sono viveri, e senza mangiare non si può combattere. Lo so perché sono addetto appunto al vettovagliamento. Ho percorso in tutti i sensi questa regione da quando abbiamo ripreso Atlanta: non vi è di che nutrire un uccellino. E lo stesso è per trecento miglia a sud di Atlanta. Il popolo muore di fame; le ferrovie sono distrutte; non abbiamo più fucili, le munizioni si stanno esaurendo e non vi è cuoio per le scarpe... Perciò, siamo alla fine. -

La fine delle speranze della Confederazione turbò Rossella meno delle notizie sulla scarsità di viveri. Se quanto diceva Franco era vero, era inutile mandare Pork col denaro degli Stati Uniti a cercare di procurare qualche cosa...

Ma Macon non era caduta. A Macon dovevano esservi dei viveri. Appena il commissario del dipartimento fosse ripartito, ella manderebbe Pork a Macon. Pazienza: correrebbe il rischio che il cavallo fosse requisito dall'esercito! Ma valeva la pena di tentare.

- Bene, non parliamo di cose spiacevoli stasera, Mister Kennedy - disse.

- Andate nello studietto della mamma; vi manderò Susele, così potrete... insomma, avrete un colloquio con lei. -

Sorridendo, rosso di emozione, Franco uscì dalla stanza: Rossella lo seguì con lo sguardo.

"Peccato che non possa sposarla adesso" pensò. "Sarebbe una bocca di meno in casa."

29

Nell'Aprile successivo, il generale Johnston, che aveva riunito gli ultimi resti del suo vecchio esercito, si arrese, nella Carolina del Nord, e la guerra ebbe termine. Ma la notizia giunse a Tara solo due settimane dopo. Vi era troppo da fare, a Tara, per andare in giro a raccogliere chiacchiere; e poiché i vicini erano altrettanto occupati, le visite erano rade e le notizie si diffondevano lentamente.

Si stava procedendo all'aratura e alla seminagione con le sementi che Pork aveva portato da Macon. Dopo il suo viaggio, il negro era taciturno, talmente era fiero di essere tornato sano e salvo col suo carretto carico di oggetti di vestiario, sementi, pollame, prosciutto, carne secca e farina. A poco a poco raccontò la storia delle sue piccole fughe: i sentieri reconditi, le strade trasversali e poco frequentate, le vecchie tracce, le scorciatoie che aveva preso per tornare a Tara. Era stato via cinque settimane: settimane angosciose per Rossella. Ma non lo rimproverò al suo ritorno, felice del risultato della gita e contenta che egli riportasse buona parte del denaro che aveva ricevuto. Sospettava vagamente che egli non avesse comprato tutto quello che aveva portato; specialmente i polli: Pork si sarebbe vergognato di spendere il denaro quando trovava lungo la via tanti pollai incustoditi e tante dispense a portata di mano.

Ora che avevano da mangiare, tutti quanti a Tara cercavano di rendere alla vita una certa normalità. Vi era da lavorare per tutti; anche troppo. Gli steli disseccati del cotone dell'anno prima dovevano essere estirpati per dar posto alla nuova seminagione; e il cavallo, non abituato al lavoro dell'aratura, trascinava mal volentieri il vomere attraverso i campi. Dall'orto bisognò strappare la gramigna; e a poco a poco si cominciò anche a ricostruire le miglia e miglia di palizzate che gli yankees avevano bruciate. Le trappole per i conigli furono visitate due volte al giorno, e vennero ricollocati gli ami per pescare nel fiume. Vi erano materassi da rifare, pavimenti da riattare; e poi cucinare, rigovernare, dar da mangiare ai maiali e ai polli, raccogliere le uova. Bisognava mungere la mucca e farla pascolare presso la palude; occorreva che vi fosse di guardia qualcuno, per tema che tornassero gli yankees o gli uomini di Franco Kennedy a catturarla. Perfino il piccolo Wade aveva le sue incombenze. La mattina usciva col suo cestino a raccogliere rametti e schegge di legno per accendere il fuoco.

Furono i giovani Fontaine - i primi uomini della Contea che tornarono a casa - che portarono la notizia della resa: Alex, che aveva ancora le scarpe, camminava; e Toni, scalzo, cavalcava un muletto a dorso nudo. Erano più bruni che mai, dopo quattro anni di vita all'aperto, esposti al sole e al maltempo; più magri e muscolosi; la barba nera che avevano lasciato crescere li faceva sembrare stranieri.

In cammino per Mimosa, e ansiosi di giungere a casa, si fermarono un attimo per abbracciare le ragazze e diedero la notizia della resa: Tutto era finito; e sembrava che avessero poca voglia di parlarne. Volevano soltanto sapere se Mimosa era stata incendiata. Sospirarono con sollievo nell'udire che la loro casa era stata risparmiata e risero quando Rossella raccontò loro la selvaggia cavalcata di Sally e come aveva scavalcato la loro barriera.

- E' una ragazza in gamba - affermò Toni; - ed è proprio una disgrazia per lei che Joe sia stato ucciso. Avete un po' di tabacco da masticare, Rossella? -

- Ho solo un po' di tabacco da pipa: lo fuma il babbo...-

- Ah, non sono ancora arrivato così in basso! Ma probabilmente ci arriverò...-

- E Dimity Munroe come sta? - chiese Alex con avidità ma con un leggero imbarazzo; e Rossella ricordò vagamente che egli si era sempre mostrato premuroso verso la sorellina di Sally.

- Sta bene. È dalla zia, a Fayetteville. La loro casa a Lovejoy è stata incendiata; e il resto della famiglia sta a Macon. -

- Ma non capite - fece Toni, divertendosi delle occhiate furibonde che gli lanciava suo fratello - che vuole soltanto sapere se Dimity ha sposato qualche bravo colonnello della Guardia Nazionale? -

- Ma no; non si è sposata affatto - rispose Rossella divertita.

- Forse avrebbe fatto meglio - brontolò Alex. - Come diamine...Scusate, miss Rossella; ma come può un uomo chiedere a una ragazza di sposarlo quando non ha più la croce di un quattrino, non ha uno schiavo, non ha nulla di nulla da offrirle? -

- Sapete benissimo che Dimity non ci farebbe caso - rispose Rossella. Non le costava nulla dir bene di Dimity, perché Alex Fontaine non era mai stato un suo spasimante.

- Fa lo stesso. Se non ci fa caso lei, ci faccio caso io...-

Mentre Rossella discorreva coi giovinotti nel porticato anteriore, Melania, Susele e Carolene erano scivolate silenziosamente in casa, appena udita la notizia della resa. Rientrando, dopo che i Fontaine si erano avviati attraverso i campi verso Mimosa, Rossella udì le ragazze singhiozzare; erano tutt'e tre sedute sul divano nello studio di Elena. Tutto era finito: crollato il bel sogno che avevano amato e per cui avevano sperato; perduta la Causa che aveva portato via amici, innamorati, mariti, aveva ridotto in povertà le loro famiglie.

Ma per Rossella, non vi erano lacrime. Il suo primo pensiero era stato : "Ringraziamo Dio! Ora nessuno potrà più rubare la mucca. Il cavallo è salvo. Possiamo togliere l'argenteria dal pozzo e tutti possono avere un coltello e una forchetta".

Che sollievo! Non avrebbe più il batticuore sentendo uno scalpitar di zoccoli. Non si sveglierebbe più la notte trattenendo il respiro e tendendo l'orecchio chiedendosi se era realtà o sogno il tintinnar di finimenti che sentiva nel cortile, il tramestio e gli aspri comandi degli yankees. E, soprattutto, Tara era salva! Il suo tremendo incubo non si avvererebbe mai più.

Sì; la Causa era perduta; ma la guerra le era sempre sembrata una follia e la pace era assai migliore. Ella non aveva mai contemplato con gli occhi sbarrati le Stelle e le Strisce che salivano su un'asta, e mai aveva provato un brivido sentendo suonare "Dixie". E nelle sue privazioni non era stata sostenuta dal pensiero della Causa per la quale si poteva sopportare qualsiasi sacrificio.

Tutto era finito! Finita la guerra che sembrava interminabile, che aveva spezzato la sua vita con una frattura così netta da rendere difficile perfino il ricordare i giorni precedenti, liberi e sereni. Non le sembrava di esser lei, la graziosa Rossella con gli scarpini verdi, con cento schiavi, con la ricchezza di Tara accumulata dietro di sé, e coi genitori pronti a soddisfare ogni suo capriccio. La giovinetta di quattro anni prima era scomparsa e al suo posto era una donna con gli occhi verdi penetranti, che contava il denaro e costringeva le sue manine a molti lavori faticosi, una donna a cui dal naufragio non era rimasto nulla, se non la terra rossa su cui posava i piedi.

Mentre ascoltava i singhiozzi delle ragazze, la sua mente lavorava attivamente.

"Pianteremo molto più cotone. Domani manderò Pork; a Macon a prendere altra semente. Il cotone arriverà alle stelle quest'anno!"

Entrò nello studio e, senza guardare le ragazze piangenti, sedette alla scrivania e prese la penna per calcolare il prezzo della semente e quanto denaro contante rimaneva in cassa.

"La guerra è finita!" pensò; e a un tratto lasciò cadere la penna, sentendo un'ondata di felicità correrle per le vene. Ashley... Se Ashley era vivo, ora tornerebbe a casa. Chi sa se Melania aveva pensato a questo, nel suo dolore per la Causa perduta!

Ma i giorni e le settimane passarono senza notizie di Ashley. Il servizio postale era malsicuro; e nei distretti rurali non esisteva affatto. Un viaggiatore occasionale proveniente da Atlanta portò un biglietto piagnucoloso di zia Pitty che chiedeva alle ragazze di tornare. Ma nessuna notizia di Ashley.

 

Dopo la resa, una lite continua a proposito del cavallo sorse tra Rossella e Susele. Quest'ultima aveva voglia, ora che non vi erano più pericoli, di andare a far visita ai vicini; non foss'altro, per accertarsi che essi non erano in condizioni migliori degli abitanti di Tara. Ma Rossella fu irremovibile. Il cavallo occorreva per i lavori: per trascinare l'aratro, per portare i tronchi di legna dei boschi, per essere cavalcato da Pork quando questi andava a fare degli acquisti. La domenica aveva bene il diritto di pascolare e di riposare. Se Susele aveva voglia di andare in giro, poteva andare a piedi.

Susele non aveva mai camminato per più di cento metri; perciò rimase in casa protestando e brontolando. Una volta disse: - Ah, se ci fosse la mamma! - ed ebbe il ceffone promessole da Rossella; così veemente che la fece andare a sbattere contro il letto, gridando, e cagionò grande costernazione in tutti gli altri. Dopo questo episodio, Susele non piagnucolò più; almeno in presenza di sua sorella.

Dicendo che bisognava lasciar riposare il cavallo, Rossella era sincera; ma solo per metà. Nel primo mese dopo la resa, ella aveva fatto un giro di visite nella Contea e la vista dei vecchi amici e delle vecchie piantagioni aveva scosso il suo coraggio più di quanto volesse ammettere.

I Fontaine, grazie alla famosa cavalcata di Sally, avevano salvato qualche cosa di più degli altri ma la loro situazione era fiorente solo se la si paragonava a quella degli altri vicini. La nonna Fontaine non si era mai rimessa completamente dall'attacco cardiaco che l'aveva colpita quando, dirigendo le altre donne della sua famiglia, aveva tentato di spegnere le fiamme e aveva salvato la casa. Il vecchio dottore si andava rimettendo lentamente dopo l'amputazione di un braccio. Alex e Toni si sforzavano goffamente ad arare e zappare. Scavalcarono la staccionata, quando Rossella andò a trovarli, per stringerle la mano e risero del suo carro sgangherato; ma il loro riso era pieno di amarezza. Rossella chiese loro di comprare del granturco per semente ed essi lo promisero; e da qui vennero a discutere su problemi di fattoria. Avevano dodici polli, due mucche, cinque porci e il mulo che avevano portato a casa dalla guerra. Uno dei porci era morto e ora temevano di perdere gli altri. Ascoltando questi discorsi così seri in bocca di giovinotti per i quali, una volta, il pensiero più serio era se una cravatta fosse o no di moda, Rossella rise; e questa volta fu il suo riso ad essere amaro.

Le fecero le più cordiali accoglienze e insistettero per regalarle il granturco invece di venderglielo; quando essa posò un biglietto di banca sulla tavola, il loro temperamento vivace si infiammò, ed essi rifiutarono recisamente ogni pagamento. Rossella prese il granturco e fece scivolare di nascosto, nella mano di Sally, il biglietto da un dollaro. Sally era ben diversa dalla donna che ella aveva visto otto mesi prima, alla sua prima visita. Era pallida e triste, anche allora; ma aveva una certa vivacità che adesso era scomparsa, come se la sconfitta le avesse tolto ogni speranza.

Mentre stringeva il biglietto bisbigliò: - Oh, Rossella, qual è stato lo scopo di tutto questo? Perché abbiamo combattuto? Il mio povero Joe? Il mio povero bimbo! -

- Non so perché abbiamo combattuto - rispose Rossella - e non me ne importa. Non mi ha mai interessato. È cosa che riguarda gli uomini, non le donne. Quello che m'importa, adesso, è di fare un buon raccolto di cotone. Ora prendi questo dollaro e compra un vestitino al piccolo che ne ha bisogno.- Malgrado tutta la cortesia di Alex e di Toni, non intendo di privarvi del vostro granturco.

I giovinotti l'accompagnarono al carro, l'aiutarono a salire, cortesi malgrado i loro stracci, gai con la volubile gaiezza dei Fontaine; ma ella partì da Mimosa portando dinanzi agli occhi il quadro della loro indigenza.

Cade Calvert era a casa; nel salire le scale della casa dov'era salita tante volte a ballare, Rossella vide che egli aveva la morte scritta sul viso. Era emaciato e tossiva, sdraiato in una poltrona al sole, con uno scialle sulle ginocchia; ma i suoi occhi si illuminarono quando la videro. Cercò di alzarsi per salutarla, dicendo che aveva un po' di bronchite, dovuta all'aver dormito sotto la pioggia. Ma guarirebbe presto e darebbe anche lui una mano a lavorare.

Catina Calvert uscì dalla casa udendo le voci; Rossella incontrò il suo sguardo al disopra della testa del fratello e vi lesse un'amara disperazione. Forse Cade ignorava, ma Catina sapeva. La casa aveva un'aria desolata e trascurata; Catina era magra e sciupata.

Nella casa vivevano, oltre a loro due, le quattro piccole sorellastre, la matrigna yankee e il sorvegliante Hilton, per il quale Rossella aveva sempre nutrito la stessa antipatia che nutriva per il proprio sorvegliante, Giona Wilkerson. Lo trovò anche più antipatico adesso che venne fuori a salutarla come un uguale. Prima aveva lo stesso misto di servilismo e di impertinenza di Wilkerson; ma ora, con la morte del signor Calvert e di Raiford, e con Cade ammalato, il servilismo era scomparso. La seconda signora Calvert non era mai riuscita a farsi rispettare dai suoi negri; non ci si poteva dunque aspettare che si facesse rispettare da un bianco.

- Il Signor Hilton è stato molto buono a rimanere con noi in questi momenti difficili - disse nervosamente la signora Calvert, lanciando rapide occhiate alla sua silenziosa figliastra. - Molto buono. Avrete saputo che ha salvato la nostra casa due volte quando Sherman è stato qui. Non so come avremmo fatto senza di lui, prive di denaro e...-

Rossella vide una vampa di rossore salire al viso di Cade; Catina abbassò le palpebre mentre la sua bocca s'induriva; per entrambi era un'atroce sofferenza il dovere gratitudine al loro sorvegliante yankee. La signora Calvert era lì lì per piangere. Aveva commesso una goffaggine, come sempre. Non riusciva ancora a comprendere i meridionali, benché vivesse in Georgia da vent'anni. Non sapeva mai come doveva parlare. Si augurò silenziosamente di poter tornare al Nord presso i suoi, portandosi le sue bambine e lasciando questi stranieri rigidi e incomprensibili.

Dopo queste visite, Rossella non ebbe più alcun desiderio di recarsi dai Tarleton. Sapeva che la loro casa era bruciata, i quattro ragazzi morti e la famiglia ridotta a vivere nella casetta del sorvegliante; tutto ciò le toglieva il coraggio di andare. Ma le sue sorelle la pregarono e Melania disse che era il loro dovere di vicine; quindi una domenica si decisero e andarono.

Fu la visita più penosa. Avvicinandosi alle rovine della casa, videro Beatrice Tarleton, vestita di una logora amazzone, con un frustino sotto il braccio, seduta su una delle sbarre superstiti della palizzata che correva intorno al prato; aveva gli occhi fissi nel vuoto. Accanto a lei era arrampicato il piccolo negro con le gambe storte che si era sempre occupato dei suoi cavalli e che appariva cupo come la sua padrona. Il pascolo, una volta pieno di giumente e di cavallini, era vuoto; non vi era che un mulo; quello su cui il signor Tarleton era tornato a casa.

- Giuro che non so più che cosa fare ora che i miei cari sono tutti morti - disse la signora Tarleton scendendo dalla palizzata. Un estraneo avrebbe potuto credere che parlasse dei suoi figli; ma le ragazze di Tara sapevano che pensava ai suoi cavalli. - Tutti morti. E Nellie! La mia povera Nellie! Almeno mi fosse rimasta lei! Soltanto quel maledetto mulo... Maledetto... - E lo guardava indignata. - E' un insulto alla memoria dei miei purosangue, avere un simile animale nel loro pascolo. I muli sono dei bastardi e non bisognerebbe allevarli.-

Giacomo Tarleton, completamente trasformato da una barba cespugliosa, uscì dalla casa del sorvegliante per venire a salutarle; attorno a lui sciamarono le quattro ragazze coi capelli rossi vestite di abiti rammendati, accompagnate dagli abbaiamenti di una dozzina di cani neri pezzati di marrone. In tutta la famiglia era un'aria di voluta e decisa allegria che fece scorrere il freddo nelle ossa di Rossella, più che non avessero fatto l'amarezza di Mimosa e l'attesa della morte nella casa Calvert.

I Tarleton insistettero perché le ragazze rimanessero a pranzo, dicendo che non vedevano mai nessuno ed erano desiderosi di notizie. Rossella non si sarebbe voluta trattenere, perché quell'atmosfera la opprimeva; ma Melania e le sue sorelle desiderarono prolungare la visita, e quindi tutt'e quattro rimasero a pranzo e mangiarono parcamente la carne secca e i piselli che furono serviti.

Si rise delle porzioni misurate, e le ragazze Tarleton scherzarono sulla mancanza di vestiti, come se fosse una cosa divertentissima. Melania le assecondò, con grande stupore di Rossella parlando di quello che si faceva a Tara con inattesa vivacità. Rossella invece non riusciva quasi a spiccicar parola. Il luogo sembrava deserto senza i quattro ragazzoni che fumavano, giocavano, chiacchieravano. E se sembrava vuoto a lei, che cosa doveva essere per i Tarleton che mostravano alle loro vicine un volto sorridente?

Carolene aveva parlato poco durante il pranzo; ma quando ebbero finito scivolò accanto alla signora Tarleton e le disse sottovoce qualche cosa. Il sorriso scomparve dalle labbra della signora, la quale pose un braccio intorno alla vita sottile della giovinetta. Lasciarono la stanza, e Rossella, non potendo più oltre sopportare quell'atmosfera, le seguì. Presero il sentiero che attraversava il giardino e Rossella vide che si dirigevano al sepolcreto. Avrebbe voluto fermarsi, ma era troppo tardi. Che idea, però, quella di Carolene, di trarre la signora Tarleton, che cercava di mostrarsi così coraggiosa, alla tomba dei suoi ragazzi?

Vi erano due nuove lapidi di marmo; così nuove che la pioggia non le aveva ancora insudiciate di fango rossigno. - Le abbiamo avute la settimana scorsa - disse con orgoglio la signora Tarleton. - Mio marito le ha riportate da Macon nel carrozzino. -

Due pietre tombali! Rossella sentì diminuire la sua compassione per i Tarleton. Chi poteva sciupar denaro a comprare delle lapidi mentre i viveri erano tanto cari, non meritava compatimento. E vi erano molte righe incise su ogni lapide: tante righe, tanto denaro di più. Senza contare quello che doveva esser costato il trasporto delle salme di tre ragazzi. Il corpo di Boyd non si era ritrovato.

Fra le tombe di Brent e di Stuart era una pietra su cui era inciso: "Furono in vita, simpatici ed affettuosi, e la morte non li ha divisi".

Sull'altra lapide erano i nomi di Boyd e di Tom, seguiti da parole latine che cominciavano "Dulce et..."; naturalmente Rossella non ne comprese un'acca, perché all'accademia di Fayetteville si era ben guardata dal seguire i corsi di latino.

Gli occhi di Carolene brillavano stranamente.

- Mi piace - disse indicando la prima pietra.

Sicuro: a Carolene piaceva tutto ciò che era sentimentale.

- Sì - mormorò la signora Tarleton con voce dolce. - Ci è sembrata la cosa più adatta...Sono morti quasi insieme: prima Stuart e poi Brent che impugnava la bandiera. -

Nel ritorno a casa, Rossella tacque a lungo, ripensando a ciò che aveva visto nelle diverse case, e ricordando la Contea quando era nella sua gloria, con le case affollate di ospiti, i negri che si accalcavano nei quartieri degli schiavi e i fertili campi bianchi di cotone.

"Un altr'anno vi saranno dei piccoli pini intorno a questi campi" pensò guardando verso la foresta che li circondava. "E' impossibile fare andare avanti una grande piantagione senza negri; vi saranno molti campi che rimarranno incolti e i boschi torneranno a estendersi sui terreni. Nessuno può coltivare molto cotone; e allora che cosa faremo? Che cosa avverrà dei proprietari campagnoli? Quelli di città riescono sempre a cavarsela. Ma noi torneremo indietro di cento anni, come all'epoca dei primi pionieri, con qualche capanna e pochi iugeri di terreno coltivato; tanto da strappare la vita."

"No" continuò poi a riflettere; "questo non deve avvenire per Tara. Tutta la regione, tutto lo Stato può lasciarsi invadere dai boschi; ma non permetterò che lo sia Tara. E non sciuperò il denaro a comprare delle lapidi, né il mio tempo a piangere per la guerra. So che si potrebbe fare qualche cosa se gli uomini non fossero tutti morti. La perdita dei negri non è il peggio, in tutto questo. Peggio di tutto è la morte degli uomini, dei giovani."

Un altro pensiero la colpì. Se avesse voluto rimaritarsi? Certo non ne aveva alcun desiderio: ne aveva avuto abbastanza di una volta. Del resto, il solo uomo che avesse mai desiderato era Ashley; e questi, se anche viveva ancora, era sposato. Ma se volesse rimaritarsi... chi la sposerebbe? Era un pensiero atroce.

- Melly - esclamò - che cosa accadrà delle ragazze del Sud? -

- Che vuoi dire? -

- Non c'è più nessuno che possa sposarle. Tutti i giovinotti sono morti; vi saranno migliaia di ragazze che moriranno zitelle. -

- E che non avranno bambini - aggiunse Melania per la quale questa era la cosa più importante.

Evidentemente questo pensiero non era nuovo per Susele la quale cominciò a piangere. Da Natale non aveva più avuto notizie di Franco Kennedy. Non sapeva se era colpa del servizio postale che non funzionava, oppure se egli l'aveva dimenticata. O forse era stato ucciso negli ultimi giorni di guerra! Avrebbe preferito quest'ultima ipotesi a quella di essere stata dimenticata; perché almeno vi era una certa dignità nell'aver perduto il fidanzato, come Carolene e Gioia Wilkes, piuttosto che essere stata abbandonata.

- Sssst! - fece Rossella.

- Già, tu puoi parlare - singhiozzò Susele - perché tu sei stata sposata e hai un bambino e tutti sanno che hai avuto la tua parte... Ma venire a farmi capire che morirò zitellona! Sei odiosa, ecco! -

- Smettila! Com'è insopportabile la gente che piange sempre! Sai benissimo che il tuo vecchio non è morto e che tornerà per sposarti. Quantunque, io personalmente preferirei rimaner zitella piuttosto che sposarlo! -

Vi fu un silenzio durante il quale Carolene cercò di confortare la sorella accarezzandola ma con lo spirito assente, tutta al ricordo delle sue cavalcate di tre anni prima con Brent Tarleton accanto.

- Ah - sospirò Melania - che cosa sarà il Sud senza tutti i nostri bei ragazzi? Pensa, invece, se potessimo usare il loro coraggio, la loro energia, i loro cervelli! Tutte noi che abbiamo dei bambini, Rossella, dobbiamo educarli per prendere il loro posto, per essere bravi e coraggiosi come loro. -

- Come loro non ve ne saranno mai più - disse Carolene sottovoce. - Nessuno può sostituirli.-

E percorsero il resto della strada in silenzio.

Dopo non molto tempo, un giorno, verso il tramonto, giunse a Tara Catina Calvert. La sua sella da donna era affibbiata sul più miserabile mulo che Rossella avesse mai visto: un animale zoppo e sfiancato; e Catina non aveva un aspetto molto migliore della sua cavalcatura. Indossava un abito di cotonina scolorita, di quelli che un tempo portavano solo le domestiche, e il suo cappello da sole era legato sotto al mento con un pezzo di spago. Si fermò dinanzi al porticato ma senza smontare; a Rossella e Melania scese ad incontrarla apparve pallida come Cade il giorno in cui Rossella era stata a trovarli. Ma aveva il dorso eretto e la testa alta.

Improvvisamente Rossella ricordò il giorno del banchetto dai Wilkes, quando lei e Catina avevano parlato di Rhett Butler. Com'era graziosa quel giorno, vestita di organza azzurra, con un mazzo di rose fragranti alla cintura e gli scarpini di velluto nero! Non vi era più traccia di quella bella creatura nella rigida figura che sedeva sul mulo.

- Non scendo, grazie - disse. - Sono venuta soltanto per dirvi che mi sposo. -

- Davvero?! -

- E con chi? -

- Che bellezza, Catina! -

- Quando? -

- Domani - rispose tranquilla Catina; e nella sua voce era qualche cosa che smorzò il loro entusiasmo. - Sono venuta a dirvi che mi sposo domani a Jonesboro... e che non vi invito. -

La guardarono perplesse. Poi Melania parlò.

- E' una persona che conosciamo, cara? -

- Sì. E' il signor Hilton.-

- Il signor Hilton? -

- Sì; il nostro sorvegliante. -

Rossella non trovò neanche voce sufficiente per fare "Oh!"; ma Catina, guardando improvvisamente Melania, proruppe con voce bassa e selvaggia: - Se piangi, Melly, non resisterò. Morirò! -

Melania tacque, ma accarezzò il piede coperto da una scarpa fatta in casa, che sporgeva dalla staffa. Teneva il capo chino.

- E non accarezzarmi! Non posso sopportare neanche questo! -

Melania lasciò ricadere la mano, senza rialzare il capo.

- Ora vado. Sono venuta soltanto per dirvelo. - Aveva ripreso la sua maschera immobile e pallidissima mentre raccoglieva le redini.

- Come sta Cade? - chiese Rossella non sapendo che dire, ma volendo ad ogni costo interrompere il silenzio che era caduto fra loro.

- Sta morendo - rispose brevemente Catina. La sua voce sembrava priva di ogni sentimento. - E morirà in pace, se riesco a dargli la tranquillità che qualcuno penserà a me quando lui non ci sarà più. La mia matrigna e le mie sorellastre partono domani per il Nord...Ora debbo andare. -

Melania alzò gli occhi e incontrò lo sguardo duro di Catina. Sulle ciglia di Melania brillavano le lagrime e i suoi occhi erano pieni di comprensione: dinanzi ad essi la bocca di Catina si torse come quella di una bimba coraggiosa che si sforza a sorridere per non piangere. Tutto ciò era sbalorditivo per Rossella che non riusciva ancora ad afferrare l'idea che Catina Calvert potesse sposare un sorvegliante; Catina, figlia di un ricco piantatore, Catina che, dopo Rossella, era stata la più corteggiata fra le ragazze della Contea.

Catina si curvò e Melania si sollevò in punta di piedi. Si baciarono. Quindi Catina allentò le redini e il vecchio mulo si mosse.

Melania la seguì con lo sguardo, col viso inondato di lacrime. Rossella la fissò, ancora sbalordita.

- Ma è pazza, Melania? Non può essere che lo ami...-

- Amarlo? Oh, Rossella, non pensare nemmeno una cosa tanto orribile Povera Catina! Povero Cade! -

- Storie! - esclamò Rossella cominciando a irritarsi. Le seccava che Melania avesse l'aria di afferrare le situazioni sempre meglio di lei. La condizione di Catina le sembrava più stupefacente che catastrofica. Certo, non era piacevole sposare uno yankee, che per di più era un "rifiuto bianco"; ma dopo tutto, una ragazza non poteva vivere sola in una piantagione; un marito per farla andare avanti era necessario.

- E' come ti dicevo l'altro giorno, Melly. Non ci sono uomini; e le ragazze debbono pure maritarsi! -

- Ma no! Non è affatto vergognoso essere una zitellona! Guarda zia Pitty! Oh, preferirei che Catina morisse; e anche Cade lo preferirebbe; ne sono sicura! E' la fine dei Calvert. Pensa... pensa che cosa saranno i suoi bambini! Di' a Pork che selli subito il cavallo e raggiungila; valle a dire che piuttosto venga a vivere con noi! -

- Dio mio! - esclamò Rossella scandalizzata della indifferenza con cui Melania offriva l'ospitalità di Tara. Stava per dire che non aveva l'intenzione di aggiungere un'altra bocca, ma qualche cosa nel volto di Melly la colpì.

- Non verrebbe - disse allora correggendo ciò che avrebbe voluto dire. - E' troppo orgogliosa e avrebbe l'impressione di ricevere l'elemosina.-

- E' vero, è vero! - fece Melania distrattamente guardando la piccola nube di polvere rossa che andava scomparendo sulla strada.

"E tu sei con me da tanti mesi" pensò Rossella guardando torva sua cognata "e non ti è mai venuto in mente che vivi di carità. Tu sei una di quelle persone che la guerra non ha mutate e che continuano ad agire e pensare come se non fosse accaduto nulla... come se fossimo ancora ricchi e avessimo tante provviste da non sapere che farne. Certo ti avrò sulle spalle per tutta la vita. Ma non intendo avere anche Catina!

30

In quella calda estate che succedette alla pace, l'isolamento di Tara cessò all'improvviso. E per mesi e mesi turbe di individui laceri, barbuti, coi piedi feriti e sempre affamati salirono la collinetta rossa e vennero a riposare sui gradini ombreggiati, chiedendo qualcosa da mangiare e l'alloggio per la notte. Erano soldati confederati che tornavano alle loro case. La ferrovia aveva portato i resti dell'esercito di Johnson dalla Carolina del Nord ad Atlanta; da qui essi avevano cominciato il loro pellegrinaggio a piedi. Dopo l'ondata degli uomini di Johnson, arrivarono i veterani dell'esercito della Virginia e poi quelli delle truppe occidentali; tutti andavano verso il Sud, verso case che forse non esistevano più, verso famiglie che forse erano morte o disperse. In maggioranza erano a piedi; certuni cavalcavano qualche macilento animale, che le condizioni della resa avevano loro permesso di conservare; ma anche l'occhio meno sperimentato vedeva che non avrebbero mai potuto arrivare sino alla Florida o alla Georgia meridionale.

A casa! A casa! Era l'unico pensiero dei soldati. Alcuni erano tristi e taciturni, altri allegri e sprezzanti; ma tutti erano sorretti dal pensiero che la guerra era finita e che si tornava a casa. Pochi erano amareggiati; questo sentimento restava l'appannaggio delle donne e dei vecchi. Essi avevano combattuto coraggiosamente, erano stati battuti, e ora contavano di mettersi pacificamente a lavorare la terra all'ombra della bandiera contro la quale avevano combattuto.

A casa! A casa! Non parlavano d'altro; non di battaglie né di ferite, non di prigionia né di avvenire. Più tardi racconterebbero ai loro figli e nipoti le battaglie, le scorrerie e le cariche, le marce forzate, la fame, le ferite; ma non adesso. Qualcuno era privo di un braccio o di una gamba o di un occhio; molti avevano cicatrici che li avrebbero fatti soffrire del maltempo, anche se vivessero settant'anni; ma tutto questo sembrava adesso poco importante. Più tardi, sarebbe diverso.

Vecchi e giovani, chiacchieroni e taciturni, ricchi piantatori e miserabili straccioni, tutti avevano in comune due cose: i pidocchi e la dissenteria. I soldati confederati erano così abituati alla presenza dei parassiti che non se ne preoccupavano affatto, e si grattavano indifferentemente anche dinanzi alle signore. Quanto alla dissenteria - il "flusso sanguigno" lo chiamavano delicatamente le signore! - sembrava che non avesse risparmiato nessuno, dal soldato al generale. Quattro anni di nutrimento scarso, di viveri grossolani, spesso andati a male, avevano prodotto il malanno; e tutti quelli che passavano dinanzi a Tara ne erano ammalati o convalescenti.

Mammy somministrava a tutti quanti il decotto di radici di more che Elena aveva sempre usato come rimedio sovrano per quella malattia ed essi bevevano ubbidienti, facendo una smorfia, ricordando forse altri severi volti neri, altre inesorabili mani nere che porgevano cucchiaiate di medicinali.

Per le "bestioline" Mammy era ugualmente inflessibile. Nessun soldato pidocchioso doveva entrare. Essa li avviava dietro a una macchia folta, li faceva svestire, dava loro un grande catino d'acqua e sapone da bucato per lavarsi e li forniva di coperte per nascondere la loro nudità mentre essa faceva bollire i loro panni nella tinozza della cenerata. Le ragazze avevano un bel protestare che una simile condotta umiliava i soldati; Mammy rispondeva che esse sarebbero molto più umiliate se avvenisse loro di trovare i pidocchi nelle proprie vesti.

Quando i soldati cominciarono a giungere quasi ogni giorno, Mammy si dolse perché veniva loro concesso l'uso delle stanze da letto. Temeva sempre che qualche parassita le fosse sfuggito. Per non sentirla più discutere, Rossella trasformò in dormitorio il salotto col grande tappeto di velluto. Mammy strepitò ugualmente perché si permetteva ai soldati di dormire sul tappeto di miss Elena, ma Rossella fu irremovibile. Bisognava pure che quei disgraziati dormissero in qualche luogo.

A tutti quanti chiedevano avidamente di Ashley; Susele domandava di Kennedy. Ma nessuno dei soldati aveva mai udito quei nomi o voleva parlarne. A loro bastava essere vivi; non avevano voglia di ricordare le migliaia di tombe senza nome in cui erano sepolti quelli che non tornerebbero mai più a casa.

La famiglia cercava di dar coraggio a Melania dopo ognuna di queste delusioni. Certamente Ashley non era morto in prigionia. Se questo fosse avvenuto, qualche cappellano yankee lo avrebbe scritto.

Senza dubbio, la località era tanto lontana; ci volevano dei giorni per arrivare, specialmente se doveva venire a piedi, come tanti di quegli uomini... Perché non aveva scritto? Dio mio, la posta è ancora così irregolare... E se fosse morto mentre era in cammino per venire a casa?... Ma no, Melania, qualche donna yankee lo avrebbe scritto... Una donna yankee? Bah!... Ma sì, Melania; vi sono delle brave donne anche fra loro... Ti ricordi, Rossella, quella che conoscemmo a Saratoga...? Era simpatica; dillo a Melly...

- Simpatica?! - rispose Rossella. - Sicuro: mi chiese quanti cani tenevamo per far rigare dritto gli schiavi! No, no, sono d'accordo con Melania. Non ho mai visto uno yankee simpatico; né uomo né donna. Ma non piangere, Melly! Ashley tornerà. La strada è lunga, e forse... forse non ha scarpe. -

Al pensiero di Ashley scalzo, Rossella avrebbe pianto. Zoppicassero pure gli altri soldati, coi piedi avvolti negli stracci; ma non Ashley! Egli doveva tornare a casa su un purosangue, vestito di abiti eleganti, con una piuma sul cappello! Era troppo degradante per lei l'idea che Ashley fosse ridotto nelle stesse condizioni di quei soldati che vedeva quotidianamente...

Un pomeriggio di giugno, mentre tutti radunati sotto al porticato dietro la casa osservavano con interesse Pork che tagliava il primo melone semi-maturo della stagione, si sentì rumor di zoccoli sulla ghiaia del viale d'accesso. Prissy si alzò pigramente per andare al cancello, mentre quelli rimasti discutevano calorosamente se bisognava nascondere il melone o conservarlo per la cena, nel caso che il visitatore fosse un soldato.

Melly e Carolene suggerirono di offrirne al soldato; ma Rossella, appoggiata da Susele e da Mammy, sussurrò a Pork di nasconderlo in fretta.

- Non fate le sciocche, ragazze! Basta appena per noi; e se vi fossero due di questi affamati, non riusciremmo neanche ad assaggiarlo.-

Mentre Pork era rimasto col melone in mano, ancora incerto sulla decisione definitiva, si udì la vocetta di Prissy gridare.

- Dio di misericordia! Miss Rossella! Miss Melania! Venire presto! -

- Chi è? - gridò Rossella balzando in piedi e attraversando di corsa il vestibolo seguita da Melania e dagli altri che gridavano confusamente.

"Ashley!" pensò. "Oh, forse..."

- Zio Pietro! Zio Pietro di miss Pittypat! -

Corsero al porticato anteriore e videro il brizzolato despota della casa di Pitty scendere da un ronzino che aveva come bardatura delle strisce di vecchie coperte. La dignità abituale della larga faccia nera era temperata dalla gioia di rivedere dei vecchi amici, col risultato che la fronte era aggrottata mentre la bocca era spalancata per la contentezza, col labbro pendulo come quello di un vecchio cane sdentato.

Tutti scesero di corsa i gradini e gli strinsero la mano con effusione, bianchi e negri, rivolgendogli un sacco di domande; ma la voce di Melania si alzò al disopra delle altre.

- La zia non è ammalata, spero? -

- No, badrona. Stare bene, grazie a Dio - e Pietro fissò uno sguardo severo prima su Melania e poi su Rossella, dando loro immediatamente la sensazione di essere colpevoli, senza sapere di che cosa. - Stare bene, ma essere arrabbiata con voi, badroncine; e se non mettere d'accordo, essere arrabbiato anch'io! -

- Come, Zio Pietro! Che diamine...-

- Non dovere cercare di scusarvi. Non avere miss Pitty scritto e riscritto di tornare a casa? Io avere visto lettere e avere visto lei piangere quando voi rispondere che avere troppo da fare in questa vecchia fattoria per tornare a casa! -

- Ma, Zio Pietro! Che diamine...-

- Come potere lasciare miss Pitty sola quando sapere che essere tanto paurosa? Voi sapere che non essere mai vissuta sola e tremare sempre come foglia da quando essere tornati da Macon. E dire a me di dire a voi, chiaro e tondo che lei non capire che voi tutte abbandonare lei in momento di bisogno. -

- Oh basta! - gridò aspramente Mammy, indignata di sentir parlare di Tara come di una "vecchia fattoria". Bisognava essere un ignorante negro cittadino per non sapere la differenza fra una fattoria e una piantagione. - Non avere anche noi momenti di bisogno? Non avere avuto grande bisogno di miss Rossella e di miss Melania? E se miss Pitty aver bisogno di assistenza, non avere suo fratello? -

Zio Pietro le lanciò uno sguardo indignato.

- Noi non avere avuto niente da fare con mist' Enrico da molti anni e non incominciare proprio adesso. - Quindi si rivolse alle ragazze che cercavano di nascondere il loro sorriso. - Voi badroncine dovervi vergognare di lasciare povera miss Pitty sola, con metà di suoi amici morti e altra metà a Macon; e Atlanta piena di soldati yankee e straccioni negri liberati. -

Le due ragazze avevano subito il rimprovero cercando di avere l'aria mortificata; ma l'idea di zia Pitty che mandava il vecchio Pietro per sgridarle e ricondurle ad Atlanta finì col farle scoppiare in una risata. Naturalmente Pork, Mammy e Dilcey fecero eco, felici di vedere il detrattore della loro diletta Tara beffeggiato e schernito. Susele e Carolene si unirono al coro e perfino sul viso di Geraldo si disegnò un vago sorriso. Tutti ridevano, ad eccezione di Pietro, che si dondolava su un piede e sull'altro con crescente indignazione.

- Cosa avere tu, negro? - interrogò Mammy con un sogghigno. - Essere troppo vecchio per proteggere tua badrona? -

Pietro si risentì.

-Io troppo vecchio? No, madama! Io poter proteggere miss Pitty come sempre fatto. Non averla protetta a Macon dove essere rifugiati? E quando yankees essere venuti a Macon e lei svenire continuamente perché avere tanta paura? E non avere cavalcato su questo ronzino per riportare badroncine ad Atlanta? Non per proteggere... - E Pietro si drizzò in tutta la sua altezza come per vendicarsi -... ma per quello che sembrare. -

- Chi, cosa sembrare? -

- Quello che dire gente vedendo miss Pitty vivere sola. Dire cose scandalose sul conto di signorine che vivere sole - continuò Pietro; e i suoi ascoltatori si resero conto che per lui Pittypat era ancora la graziosa fanciulla sedicenne che doveva essere difesa dai pettegolezzi. - E io non volere che gente criticare. E non volere che prendere estranei per compagnia... No, madama. E avere detto: "Finché avere persone di tuo sangue, non dovere far questo". Questo avere detto. E ora persone di suo sangue rinnegarla. Miss Pitty essere una bambina e...-

A questo, Rossella e Melania risero anche più forte e piombarono sui gradini non potendosi più reggere. Finalmente Melly si asciugò le lagrime che il riso convulso aveva fatto sgorgare dai suoi occhi.

- Povero Zio Pietro! Mi dispiace di aver riso. Davvero! Perdonami. Miss Rossella ed io non possiamo venire a casa adesso. Forse io potrò venire in settembre, dopo il raccolto del cotone. La zia non ti avrà mandato con l'idea che tu potessi ricondurci su quel sacco d'ossa? -

A questa domanda il viso rugoso di Pietro espresse la più grande costernazione. Il suo labbro pendulo si ritrasse con la rapidità con la quale una tartaruga ritrae il capo nel guscio.

- Miss Melly, io credere che diventare vecchio, perché avere dimenticato perché avermi mandato, ed essere cosa importante. Io avere una lettera per te. Miss Pitty non averla voluta affidare alla posta e a nessun altro per portartela...-

- Una lettera per me? Di chi? -

- Essere..E miss Pitty dire: "Tu, Pietro, portare Melly" e io dire...-

Melly balzò in piedi con una mano sul cuore.

- Ashley! Ashley! E' morto! -

- No, badrona! No, badrona! - E la voce di Zio Pietro sembrò uno squillo, mentre egli frugava nella tasca della sua giacca. - Essere vivo! Essere sua lettera. Venire a casa. Lui...Dio di misericordia! Sorreggila, Mammy! Lasciarmi...-

- Lasciala stare, vecchio scemo! - tuonò Mammy lottando per impedire a Melania di piombare a terra. - Scimmia pietosa! Prenderla qui, piano. Tu, Pork, prendere piedi. Miss Carolene, reggere sua testa. Mettere su divano in salotto. -

Fu un tumulto: tutti erano attorno a Melania, tranne Rossella, gridando spaventati, correndo in casa a prendere guanciali e acqua. In un istante Rossella e Pietro rimasero soli nel porticato. Ella era immobile, incapace di muoversi, e fissava il vecchio negro che agitava debolmente una lettera. Il viso nero e grinzoso era pietoso come quello di un bimbo rimproverato da sua madre; tutta la sua dignità era scomparsa.

Per un attimo Rossella pensò soltanto: "Non è morto! Ritorna!" e questo non le diede né gioia né eccitazione: solo una stupefatta immobilità. La voce di Zio Pietro le giunse come da lontano, lamentosa e calmante.

- Mist' Willie Burr di Macon che essere nostro parente avere portato a miss Pitty. Mist' Willie essere in stessa prigione di mist' Ashley. Lui avere avuto cavallo ed essere arrivato presto. Ma mist' Ashley venire a piedi e...-

Rossella gli strappò di mano la lettera. Era diretta a Melania e la soprascritta era di mano di Pitty, ma ella non esitò. La aperse in fretta e il biglietto di Pitty che vi era accluso cadde al suolo. Dentro alla busta era un pezzo di carta piegata, sudicia per le molte tasche per cui era passata, sgualcita e con gli angoli strappati. L'indirizzo era di mano di Ashley: "Alla signora Ashley Wilkes, presso la signorina Sara Giovanna Hamilton, Atlanta, oppure alle Dodici Querce, Jonesboro, Georgia".

Con dita tremanti, aperse e lesse:

"Diletta ritorno a casa, accanto a te..."

Le lagrime cominciarono a riempirle gli occhi, sicché non poté più leggere; il cuore le batteva così forte che quasi le toglieva il respiro. Stringendo la lettera, salì di corsa i gradini, attraversò il vestibolo, passò dinanzi al salotto dove tutti gli abitanti di Tara si affollavano a soccorrere Melania, entrò nello studio di Elena. Chiuse la porta a chiave e si gettò sul divano piangendo, ridendo, baciando la lettera.

- Diletta - mormorò - ritorno a casa, accanto a te...-

 

A meno di avere le ali, occorrevano settimane, forse mesi perché Ashley potesse compiere il viaggio dall'Illinois alla Georgia; ma nondimeno i cuori si mettevano a battere follemente appena un soldato entrava dalla strada principale nel viale d'accesso di Tara. Ogni straccione barbuto poteva essere Ashley. E se non era lui, era forse un soldato che poteva avere sue notizie. Bianchi e negri si precipitavano nel porticato ogni volta che si udiva uno scalpiccio di piedi. La vista di un'uniforme bastava a fare accorrere tutti dal pascolo, dalla legnaia, dai campi di cotone. Per un mese, dopo l'arrivo della lettera, il lavoro rimase quasi fermo. Nessuno voleva trovarsi fuori di casa se egli arrivava; e Rossella meno di chiunque altro. E non poteva insistere perché gli altri fossero assidui ai loro doveri, quando ella trascurava i suoi.

Ma visto che, col trascorrere delle settimane, Ashley non giungeva, Tara riprese il suo sistema solito di vita. Nel cuore di Rossella cominciò a sorgere il timore che gli fosse accaduto qualche cosa cammin facendo; Rock Island era molto lontana e poteva darsi che nel momento in cui era stato messo in libertà Ashley fosse debole o ammalato. Per di più era senza denaro e attraversava a piedi un paese dove i confederati erano odiati. Se almeno avesse saputo dov'era, ella gli avrebbe mandato del denaro; tutto quello che era in casa, a costo di lasciar morire di fame la famiglia, perché egli potesse mettersi in treno e affrettare il suo ritorno.

"Diletta, ritorno a casa, accanto a te..."

Nel primo impulso di gioia, quelle parole avevano voluto dire che Ashley tornava a casa, da lei. Ora, ragionando, comprendeva che egli tornava accanto a Melania; a Melania che in quei giorni girava per la casa cantando di gioia. A Rossella avvenne di chiedersi amaramente perché Melania non era morta ad Atlanta, nel dare alla luce il bimbo. Le cose si sarebbero sistemate benissimo; lei avrebbe sposato Ashley dopo un intervallo ragionevole e sarebbe stata una buona matrigna per il piccolo Beau. E quando aveva di questi pensieri, non si affrettava più a pregare Dio perché le perdonasse; Dio non le faceva più paura.

I soldati vennero ancora, isolati o a coppie, e sempre ugualmente affamati. Rossella maledisse l'uso dell'ospitalità che non permetteva, nell'era dell'abbondanza, a nessun viaggiatore di proseguire il suo cammino senza aver avuto alloggio per una notte, cibo per sé e per il suo cavallo e tutta la cortesia che la casa poteva offrire.

Costoro divoravano dei viveri che dovevano nutrire gli abitanti di Tara; legumi per i quali ella aveva faticosamente lavorato la terra, vettovaglie che era andata a comprare a miglia e miglia di distanza. Era difficile procurarsi delle provviste; e il denaro contenuto nel portafogli dello yankee non durerebbe sempre. Rimanevano pochi biglietti, oramai, e due monete d'oro. Perché bisognava continuare a nutrire quell'orda famelica? Diede perciò ordine a Pork che quando vi erano soldati in casa, la tavola fosse servita in modo più scarso. E questo durò finché si accorse che Melania, la quale non si era mai rimessa in forze dopo la nascita di Beau, induceva Pork a mettere nel suo piatto pochissimo cibo, per dividere fra gli ospiti quella che doveva essere la sua porzione.

- No, Melania - la sgridò. - Sei debole; e se non mangi di più ti ammalerai e ci toccherà curarti. Lascia che quegli uomini sopportino la fame; l'hanno sofferta per quattro anni, e qualche giorno di più non farà loro troppo male. -

Melania si volse e sul suo volto era un'emozione che Rossella non aveva mai visto in quegli occhi sereni.

- Non mi sgridare, Rossella! Lasciami fare. Non sai che sollievo è per me. Ogni volta che do la mia parte a un pover'uomo, penso che forse in quel momento c'è una donna che dà al mio Ashley una parte del suo pranzo e questo lo aiuta a tornare accanto a me. -

“Il mio Ashley..."

"Diletta, torno a casa, accanto a te..."

Rossella si volse altrove ammutolita. Dopo d'allora, Melania notò che il pasto era più abbondante quando vi erano ospiti, quantunque Rossella contasse a questi ogni boccone che mettevano in bocca.

Quando i soldati erano troppo sofferenti per proseguire, Rossella li faceva coricare senza troppa buonagrazia. Eran bocche di più da nutrire; e poi qualcuno doveva accudire a loro, ed era un aiuto di meno per la costruzione delle palizzate, per zappare, arare, sarchiare. Un giorno un soldato portò, collocato di traverso sulla sella, un ragazzo biondo, sul cui volto nasceva appena una leggera pelurie, che aveva trovato svenuto a poca distanza da Tara; probabilmente uno dei giovinetti delle scuole militari.

Morì senza riprendere conoscenza; e forse in qualche parte del Sud, una donna era in attesa e si chiedeva perché il suo figliuolo non giungeva ancora a casa; nella stessa maniera in cui lei e Melania guardavano col cuore pieno di speranza ogni figura che s'incamminava lungo il viale dei cedri. Seppellirono il giovinetto nel piccolo cimitero di famiglia, accanto ai tre bimbi O'Hara; e Melania pianse, pensando che forse qualcuno rendeva quest'ultimo estremo servigio al corpo di Ashley.

Un altro soldato lottò lunghi giorni contro una terribile polmonite. Ma poiché era abbastanza robusto, le cure ebbero ragione del male, e un giorno i suoi occhi chiari si fissarono non più offuscati dal delirio su Carolene che era seduta accanto a lui recitando il rosario.

- Dunque non eravate un sogno - mormorò con voce afona. -Spero di non avervi dato troppo disturbo, signora. -

La sua convalescenza fu lunga ed egli trascorse ore interminabili sdraiato accanto alla finestra, a contemplare l'albero di magnolia e dando ben poca noia. Carolene aveva simpatia per lui, a causa dei suoi silenzi tranquilli e privi d'imbarazzo. Ella gli rimaneva seduta accanto durante gli ardenti pomeriggi, facendogli vento senza parlare.

Era molto taciturna, Carolene, e passava lunghe ore a pregare. Quando Rossella entrava in camera sua senza picchiare, la trovava sempre inginocchiata accanto al letto; cosa che la urtava, perché a lei sembrava che il tempo di pregare fosse passato. La religione era sempre una faccenda un po' commerciale, per Rossella: se Dio aveva ritenuto di doverli punire in quel modo, voleva dire che non sapeva che farsene delle loro preghiere. Ella Gli prometteva di essere buona in cambio dei favori che Gli chiedeva; e se Egli non stava ai patti, a lei sembrava di non dovergli più nulla. E quando trovava Carolene a pregare mentre lei aveva lavorato tutto il giorno, sentiva che sua sorella schivava la sua parte di fatica.

Questo diceva a Will Benteen, il convalescente, un pomeriggio in cui egli aveva potuto finalmente alzarsi; e fu stupita di udirgli dire con la sua voce piana: - Lasciatela fare, miss Rossella. È un conforto per lei. -

- Un conforto? -

- Sì; prega per vostra madre e per lui. -

- Chi "lui"? -

Gli occhi azzurri del convalescente la fissarono senza stupore. Nulla lo sorprendeva; e che Rossella ignorasse ciò che era nel cuore di sua sorella non gli sembrò strano. Altrettanto naturale gli parve il fatto che Carolene si fosse sfogata con lui, un estraneo.

- Il suo corteggiatore, quel ragazzo Brent o un nome simile che fu ucciso a Gettysburg. -

- Suo corteggiatore? - fece Rossella brevemente. - Neppur per sogno. Brent e suo fratello facevano la corte a me. -

- Sì, me lo ha detto. Pare che la maggior parte dei giovani della Contea vi corteggiassero. Ma quando voi andaste via, Brent si occupò di lei; e l'ultima volta che venne in licenza si fidanzarono. Dice che non si è mai curata di nessun altro giovine; perciò pregare per lui le dà un po' di conforto. -

- Oh, storie! - esclamò Rossella; ma sentì nel cuore una piccola punta di gelosia.

Guardò curiosamente quell'uomo con le spalle ossute, i capelli rossicci e gli occhi chiari e fermi. Egli sapeva sulla sua famiglia cose che lei non si era presa il disturbo di indagare. Dunque era per questo che Carolene continuava a pregare? Beh, le passerebbe. Tante ragazze avevano perduto l'innamorato, e tante il marito... E lei non aveva forse superato il dolore della morte di Carlo? E conosceva una ragazza di Atlanta che era già vedova per la terza volta, a causa della guerra, eppure era ancora capace di occuparsi degli uomini.

Ne disse tante e tante; ma Will crollò la testa.

- Miss Carolene non è così - disse finalmente.

Era piacevole parlare con Will perché egli diceva poche parole ma era un ottimo ascoltatore. Rossella gli esponeva i suoi problemi sull'aratura, sulla semina e sulla sarchiatura; sull'ingrasso dei maiali e l'alimentazione della mucca; ed egli dava buoni consigli perché era stato proprietario di una piccola fattoria nella Georgia meridionale e di due negri. Sapeva che oramai i suoi schiavi erano liberi e il terreno pieno di gramigna e di ortiche. Sua sorella, la sua unica parente, se ne era andata nel Texas con suo marito diversi anni prima ed egli era solo al mondo. Eppure nessuna di queste cose lo turbava, come non lo turbava l'aver lasciato una gamba nella Virginia.

Sì, Will era un conforto per Rossella nelle giornate più penose, quando i negri brontolavano, Susele si lamentava e piangeva, e Geraldo chiedeva troppo spesso dov'era Elena. A Will poteva dire tutto... Gli raccontò perfino che aveva ucciso lo yankee e fu molto orgogliosa del suo breve commento: - Ben fatto! -

Tutta la famiglia finiva con l'andare in camera di Will a sfogare i propri malumori: perfino Mammy, che da principio era rimasta a distanza perché non le sembrava abbastanza signore, avendo posseduto soltanto due schiavi.

Quando poté cominciare a girare per la casa, Will si diede da fare a intrecciare cestini e ad aggiustare i mobili rovinati dagli yankees.

Sapeva intagliare il legno, e Wade era sempre con lui, perché Will gli fabbricava dei giocattoli, i soli che il piccino avesse mai posseduto. La presenza di Will permetteva a ciascuno di recarsi tranquillamente al proprio lavoro, lasciandogli in custodia Wade e i due bimbi in fasce; soltanto Melly lo superava nel calmare un bimbo piangente bianco o negro che fosse.

- Siete stata molto buona con me, Miss Rossella - le disse un giorno; - per me che sono completamente estraneo. Vi ho dato molto disturbo; e se non vi dispiace, rimarrò qui a lavorare per voi, finché vi avrò compensata, almeno in parte, di ciò che avete fatto per me. Non potrò mai pagarvi completamente, perché non si può ripagare chi ci ha ridato la vita. -

Quindi egli rimase; e a poco a poco, quasi inavvertitamente, gran parte del peso rappresentato da Tara scivolò dalle spalle di Rossella su quelle ossute di Will Benteen.

 

Era settembre; l'epoca di raccogliere il cotone. Will Benteen sedeva sui gradini dell'entrata, ai piedi di Rossella, nel piacevole sole del pomeriggio autunnale; e la sua voce sommessa parlava del costo esorbitante della cernita del cotone nel nuovo stabilimento presso Fayetteville. Però, proprio quel giorno, egli aveva saputo che potrebbe diminuire di un quarto la spesa, noleggiando per due settimane il cavallo e il carretto al proprietario dello stabilimento. Si era riservato di concludere, dopo aver discusso la faccenda con Rossella.

Ella guardava la figura scarna contro una colonna con una pagliuzza in bocca. Indubbiamente, come spesso affermava Mammy, Will era stato proprio inviato da Dio; e Rossella si chiedeva sovente come avrebbe fatto Tara in quegli ultimi mesi senza di lui. Parlava poco, non dimostrava energia, non aveva l'aria d'interessarsi a nulla, ma sapeva tutto ciò che accadeva a Tara e faceva un'infinità di cose silenziosamente, con pazienza e abilità. Benché avesse una sola gamba lavorava più veloce di Pork. E, cosa che sembrava miracolosa a Rossella, riusciva perfino a far lavorare Pork. Quando la mucca ebbe la colica e il cavallo si ammalò di un male misterioso che minacciava di ucciderlo, Will rimase intere notti a vegliarli e li salvò.

Aveva conquistato il rispetto di Rossella, mostrandosi abile commerciante: infatti usciva la mattina con uno o due cestini di mele, patate dolci ed altri legumi e tornava con sementi, stoffe, farina, ed altre cose che ella non sarebbe mai stata capace di procurarsi, per quanto fosse brava.

A poco a poco era diventato un membro della famiglia, e dormiva su una branda nel piccolo spogliatoio che precedeva la camera di Geraldo. Non parlava di lasciare Tara; e Rossella si guardava bene dall'accennarne, per timore di sentirsi rispondere che presto sarebbe partito. Ed era talmente comodo avere un uomo in casa!

Se Carolene avesse avuto un filo di cervello, si sarebbe accorta che Will s'interessava a lei. Rossella sarebbe stata eternamente grata a Will, se egli le avesse chiesto la mano della sua sorellina. Senza dubbio, prima della guerra, Will non sarebbe stato un partito desiderabile. Era un semplice fattore, di educazione mediocre, con scarsa grammatica e ignorante di molte delle finezze che gli O'Hara erano abituati a trovare in un gentiluomo. Rossella si chiese infatti se si poteva chiamarlo un gentiluomo; e decise di no. Melania lo difendeva ardentemente, dicendo che chiunque aveva la bontà di cuore di Will e la sua generosità verso gli altri non poteva che essere di buona famiglia. Certo Elena sarebbe svenuta al pensiero che una sua figliuola sposasse un uomo simile; ma la necessità aveva allontanato Rossella da molti degli insegnamenti di sua madre. Gli uomini erano scarsi, le ragazze si dovevano maritare e Tara aveva bisogno di un uomo. Ma Carolene, sempre più sprofondata nel suo libro di preghiere, trattava Will come un fratello e non gli badava più che tanto.

“Se Carolene avesse un po' di gratitudine per ciò che ho fatto per lei, lo sposerebbe per non farlo andar via" pensava Rossella indignata. "Ma no; deve invece passare il tempo a piangere uno stupido ragazzo che probabilmente non ha mai pensato seriamente a lei."

Will rimase dunque a Tara senza che ella sapesse perché; egli si rivolgeva con deferenza a Geraldo, ma considerava Rossella come il vero capo della casa.

Ella approvò l'idea di noleggiare il cavallo, benché questo per la famiglia volesse dire rimaner temporaneamente privi di un mezzo di trasporto. Susele ne sarebbe particolarmente irritata, perché la sua grande gioia consisteva nell'andare a Jonesboro o a Fayetteville con Will, quando questi vi si recava per affari. Approfittava dell'occasione per far visita ai vecchi amici, e ascoltare tutti i pettegolezzi della Contea; e si sentiva nuovamente la signorina O'Hara di Tara. Afferrava con gioia ogni opportunità di lasciare la piantagione, e di darsi delle arie con le persone che ignoravano che essa rastrellava e preparava i riquadri dei legumi nell'orto.

Melania li raggiunse sulla veranda col bimbo in braccio; e allargando sul pavimento una vecchia coperta vi posò sopra il piccolo Beau.

Benché felice, nell'attesa di Ashley, Melania era sempre eccessivamente magra e pallida. Il vecchio dottor Fontaine aveva detto che si trattava di disturbi femminili; e si trovò d'accordo col dottor Meade nell'affermare che essa non avrebbe mai dovuto aver figli; un secondo parto, poi, la ucciderebbe.

- Oggi a Fayetteville - disse Will - ho trovato una cosa curiosa che ho pensato vi possa interessare, e l'ho portata a casa. - Frugò nella tasca dei calzoni e ne trasse un biglietto di banca della Confederazione.

- Ve ne sono per tremila dollari nel baule del babbo - sospirò Rossella. - E Mammy mi scongiura di darglieli per chiudere le fessure delle finestre e non lasciar passare il vento. Credo che finirò per farlo; almeno serviranno a qualche cosa. -

- No, Rossella. - fece Melania - Conservali per Wade. Un giorno, forse, ne sarà fiero. -

- Oh, io spero che quando Wade sarà grande, avrò delle banconote di valore da dargli, invece di questi stracci. -

Will che si era messo a giocare col piccolo Beau sulla coperta, alzò gli occhi e facendosi schermo con una mano, guardò verso il cancello.

- Arriva gente - disse strizzando le palpebre. - Un altro soldato. -

Rossella seguì il suo sguardo e vide uno dei soliti soldati barbuti, che si avanzava lentamente sotto i cedri; un uomo coperto da una lacera uniforme mista di grigio e di turchino, con la testa china e i piedi che si trascinavano stanchi.

- Speravo che avessimo finito coi soldati - disse Rossella Auguriamoci che questo non sia troppo affamato.

- Avrà fame di certo - disse Will brevemente.

Melania si alzò.

- Dirò a Dilcey di aggiungere un piatto, e pregherò Mammy che non faccia svestire quel disgraziato troppo bruscamente, secondo il suo solito, e...-

Si fermò così improvvisamente che Rossella si volse a guardarla. Melania si era portata la mano alla gola come se si sentisse soffocare. E Rossella vide che il suo volto era pallidissimo e gli occhi neri si erano dilatati enormemente.

"Ora sviene" pensò Rossella balzando in piedi e afferrandola per un braccio.

Ma in un attimo Melania si era svincolata e aveva disceso i gradini. Volò per il viale inghiaiato lieve come un uccello, con le gonne ondeggianti e le braccia protese. E Rossella comprese la verità, con la rapidità della folgore. Indietreggiò per appoggiarsi alla parete della veranda, mentre l'uomo alzava il volto coperto di una sudicia barba bionda e si fermava guardando verso la casa, come se fosse troppo stanco per muovere ancora un passo. Il suo cuore balzò, si fermò, riprese a battere, mentre Melly si gettava fra le braccia del soldato gridando in modo incoerente. Rossella fece due passi in avanti, come rapita, ma fu trattenuta dalla mano di Will che le aveva afferrato la sottana.

- Non li disturbare - disse calmo.

- Lasciatemi, sciocco! Lasciatemi, è Ashley! -

Egli non rallentò la stretta.

- Dopo tutto, è il marito di lei, non è vero? - chiese con calma; e abbassando lo sguardo su di lui in un misto di gioia e di furia impotente, Rossella vide nella tranquilla profondità dei suoi occhi, comprensione e pietà.

PARTE QUARTA

31

In un freddo pomeriggio del gennaio 1866, Rossella sedeva nello studio, scrivendo alla zia Pitty una lettera nella quale le spiegava per la decima volta perché né lei né Melania né Ashley potevano tornare ad abitare ad Atlanta. Scriveva con irritazione, perché era sicura che la zia non avrebbe letto più in là delle prime righe, e avrebbe tornato a scrivere dicendo: "Ma io ho paura a vivere sola!"

Aveva le mani gelate e si interruppe per stropicciarle e per sprofondare meglio i piedi in un pezzo di vecchia coperta in cui li aveva avvolti. Le suole dei suoi scarpini, completamente logorate, erano state sostituite da pezzi di tappeto, che impedivano il contatto col pavimento, ma non davano alcun calore.

Riprese la penna, ma la posò di nuovo sentendo nel vestibolo il tonfo della gamba di legno di Will, che doveva essere tornato in quel momento da Jonesboro ove si era recato a far ferrare il cavallo. Il passo irregolare si fermò dinanzi alla porta dello studio; ma poiché Will non entrava, ella lo chiamò.

Will entrò: aveva le orecchie violacee dal freddo e i capelli rossicci scomposti; si fermò guardandola con un bizzarro sorriso.

- Miss Rossella - furono le sue prime parole - quanto denaro contate avere da parte? -

- Vi proponete di sposarmi per il mio denaro, Will? - chiese Rossella piuttosto sgarbata.

- No; volevo soltanto saperlo. -

Ella lo fissò con aria interrogativa. Sembrava che Will non parlasse sul serio; ma veramente egli non era mai molto serio. Però Rossella ebbe l'impressione che vi fosse qualcosa che non andava bene.

- Ho dieci dollari in oro - rispose. - L'ultimo denaro del soldato yankee. -

- Allora, non basterà. -

- Per che cosa? -

- Per le tasse. - E zoppicando verso il caminetto si chinò e tese alla fiamma le mani intirizzite.

- Le tasse? Per l'amor di Dio, Will! Non le abbiamo già pagate? -

- Sì. Ma dicono che non avete pagato abbastanza. Ne ho sentito parlare oggi a Jonesboro. -

- Non capisco, Will. Che volete dire? -

- Non vorrei darvi maggiori preoccupazioni di quelle che già avete, miss Rossella; ma sono costretto a informarvi. Dicono che dovete pagare molto di più. Stanno facendo la revisione delle imposte; e quelle di Tara arrivano alle stelle. -

- Ma non possono farci pagare ancora, se abbiamo già pagato una volta! -

- Voi non andate spesso a Jonesboro, miss Rossella; e fate benissimo. Non è un luogo adatto per una signora. Ma se vi foste stata, sapreste che da qualche tempo chi governa è un potente nucleo di repubblicani, di rinnegati e di "carpetbaggers" (1). E i marciapiedi sono affollati di negri...-

- Ma che c'entra questo con le tasse? -

- Adesso ve lo dico. Per qualche loro ragione, questi furfanti hanno elevato le tasse di Tara, come se si trattasse di un luogo che produce mille balle di cotone. Avendo avuto sentore di questo, sono andato in giro per i caffè a raccogliere le chiacchiere; e sono venuto a sapere che c'è qualcuno che ha l'intenzione di comprare Tara per quattro dollari, appena sarà messa all'asta. Ciò che avverrà indubbiamente se voi non potrete pagare le tasse straordinarie. Ora, tutti sanno benissimo che voi non siete in grado di pagarle. Non sono riuscito a sapere chi è il presunto acquirente; credo che quel pusillanime di Hilton, quel tale che ha sposato miss Catina, lo sappia, perché ha fatto una stupida risata quando ho cercato di farlo cantare. -

Will sedette sul divano e si stropicciò il moncherino. Questo gli doleva sempre quando il tempo era umido, tanto più che la gamba di legno non era ovattata.

Rossella lo fissò cupamente. Quell'uomo sembrava indifferente, mentre suonava l'agonia di Tara. Vendere all'asta? E dove andrebbero? E Tara dovrebbe appartenere ad estranei! No, non era credibile!

Si era talmente affannata per rendere nuovamente la piantagione produttiva, che non aveva più badato a ciò che accadeva nel mondo esterno. Ora che vi erano Will e Ashley per occuparsi di qualsiasi faccenda a Jonesboro o a Fayetteville, Rossella non si muoveva quasi mai dalla piantagione. E nella stessa maniera in cui in altri tempi aveva ascoltato senza porvi mente i discorsi di suo padre intorno alla guerra, oggi prestava poca attenzione alle discussioni fra Will e Ashley riguardanti gli inizi della Ricostruzione.

Certamente aveva sentito parlare dei rinnegati - meridionali che erano diventati repubblicani per opportunismo - e dei "carpetbaggers" che erano piombati sugli Stati del Sud come avvoltoi portando tutti i loro averi in una borsetta. Ella aveva anche fatto qualche spiacevole esperienza col "Freedmen's Bureau" (Ufficio per gli Emancipati); e aveva inoltre udito dire che alcuni dei negri liberati stavano diventando insolenti. Ciò le sembrava incredibile perché in vita sua non aveva mai visto un negro ribelle.

Ma vi erano molte cose che Will e Ashley avevano cercato di lasciarle ignorare. La tortura della guerra era stata seguita dalla peggior tortura della Ricostruzione. Ella aveva udito Ashley affermare che il Sud veniva trattato come terra di conquista e che la politica dominante dei conquistatori era basata sullo spirito di vendetta. Ma questo non la interessava: la politica riguardava gli uomini. Aveva anche udito Will affermare che sembrava che il Nord non volesse permettere al Sud di rimettersi in piedi; ma ella pensava che gli uomini cercavano sempre qualche cosa di cui preoccuparsi. L'unica cosa da fare era lavorare, senza curarsi del governo yankee. Tanto, la guerra era ormai finita.

Rossella non si rendeva conto che tutte le regole del gioco erano sovvertite e che il lavoro onesto non poteva più avere una onesta ricompensa. La Georgia era virtualmente sotto la legge marziale. I soldati yankee presidiavano tutta la regione e il "Freedmen's Bureau" disponeva di ogni cosa e stabiliva le regole che più gli convenivano.

Questo ufficio, organizzato dal Governo Federale per tutelare gli infingardi ed eccitati schiavi liberti, li trasferiva a migliaia dalle piantagioni nei villaggi e nelle città. L'Ufficio dava loro da mangiare e nel contempo li istigava contro i loro antichi padroni.

L'ex-sorvegliante di Geraldo, Giona Wilkerson, dirigeva la Succursale locale dell'ufficio e aveva come assistente Hilton, il marito di Catina Calvert.

Questi due andavano spargendo ad arte la voce che i meridionali e i democratici aspettavano un'opportunità per rimettere i negri in schiavitù; e che l'unica speranza per i negri di sfuggire a questo fatto era la protezione data a loro dall'Ufficio e dal Partito Repubblicano.

Inoltre Wilkerson e Hilton dicevano continuamente ai negri che essi valevano quanto i bianchi in tutto e per tutto; che ben presto sarebbero permessi i matrimoni fra bianchi e negri, e che le proprietà dei loro antichi padroni verrebbero ripartite in modo che ogni negro ricevesse quaranta jugeri e un mulo. Istigavano i negri con narrazioni fantasiose di crudeltà perpetrate dai bianchi; sicché in questa regione che era sempre stata conosciuta per le relazioni affettuose tra schiavi e padroni, cominciò a diffondersi l'odio e il sospetto.

L'ufficio era governato da militari; i quali avevano emanato numerosi ordini - spesso contradittorii - per regolare la situazione del Paese. Tali ordini concernevano le scuole, gli ospedali, i bottoni che bisognava portare sugli abiti, la vendita delle derrate e quasi tutto il resto. Wilkerson e Hilton avevano il diritto d'intervenire in qualsiasi contratto di compra o di vendita, e potevano fissare i prezzi.

Fortunatamente Rossella aveva avuto ben poco contatto coi due uomini, perché Will l'aveva persuasa a lasciargli trattare la parte commerciale, mentre lei si occupava della produzione. Col suo modo di fare calmo e temperato, Will aveva appianato molte difficoltà di questo genere, senza nemmeno parlarne con Rossella. Ma l'attuale problema era troppo grave. Le tasse supplementari e il pericolo di perdere Tara erano faccende di cui Rossella doveva essere messa al corrente. Ella lo fissò con occhi fiammeggianti.

- Oh, maledetti gli yankees! - esclamò. - Non basta che ci abbiano sconfitti e ridotti alla miseria? Devono anche agire da furfanti? -

La guerra era finita, la pace era stata dichiarata, ma gli yankees potevano ancora derubarla, farla morir di fame, cacciarla dalla sua casa.

- E io credevo che con la fine della guerra, tutti i guai fossero terminati! -

- No, signora. I guai non fanno che cominciare. -

- E quanto vogliono farci pagare di tasse supplementari? -

- Trecento dollari. -

Rimase un attimo come colpita dal fulmine: trecento dollari! Era lo stesso come se avesse detto tre milioni.

- Ma... allora... bisognerà che mettiamo assieme trecento dollari in qualche modo! -

- Sì, signora... e anche un arcobaleno, una luna e un sole. -

- Ma Will! Non possono vendere Tara! In che modo...-

Gli occhi chiari di lui espressero più odio e più amarezza di quanto ella potesse immaginare.

- Non possono? Possono fare tutto ciò che vogliono, e lo faranno! Il paese, cara miss Rossella, è rovinato. Questi politicanti e questi rinnegati hanno il diritto di votare e la maggior parte di noi democratici no. Nessun democratico può votare, se nel 1865 era iscritto nei registri delle tasse per più di 2000 dollari. Così rimangono escluse persone come vostro padre, Mister Tarleton, i McRae e i ragazzi Fontaine. Nessuno che abbia avuto il grado di colonnello o un grado superiore durante la guerra, può votare; e scommetto che qui vi erano più colonnelli che in qualsiasi altro Stato della Confederazione. E sono esclusi tutti coloro che avevano qualche ufficio nel governo confederato: nonché giudici e notai. Insomma, chiunque abbia avuto una carica prima della guerra non ha diritto di voto. Né le persone di qualità, né i ricchi, né l'aristocrazia. Io potrei votare se prestassi il loro maledetto giuramento. Non avevo un soldo nel '65, e non ero colonnello né altro di notevole. Ma non voglio giurare. No, che il diavolo li porti! Se gli yankees avessero agito bene, avrei fatto giuramento di fedeltà; ma non lo farò. Anche se non dovessi mai più votare. Ma gentaglia come Hilton può votare e farabutti come Giona Wilkerson, e proletari come gli Slattery, e gente da nulla come McIntosh; tutti questi possono votare. E dirigere la cosa pubblica. E se vogliono richiedervi delle tasse supplementari anche dieci volte maggiori, sono padroni di farlo. Tale e quale come un negro può uccidere un bianco senza essere impiccato, oppure... - S'interruppe imbarazzato, e il ricordo di ciò che era accaduto a una donna bianca che viveva sola in una fattoria isolata presso Lovejoy apparve ad entrambi... - Codesti negri possono fare contro di noi qualunque cosa; e il "Freedmen's Bureau" e i soldati li proteggono con le armi, mentre noi non abbiamo diritto di votare né di ribellarci. -

- Votare! - esclamò Rossella. - Cosa c'entra il votare con tutto questo? Stavamo parlando delle tasse... Tutti quanti, Will, sanno che Tara è un'ottima piantagione. Possiamo ipotecarla per una cifra sufficiente a pagare le tasse, se è necessario. -

- Miss Rossella, voi non siete stupida; ma a volte parlate come se lo foste. Chi ha del denaro da prestarvi? Chi, eccettuato i "carpetbaggers" che stanno cercando di spodestarvi? -

- Ho gli orecchini di brillanti dello yankee. Potremmo venderli. -

- Ma chi volete che abbia dei quattrini per comprarli? La gente non ha denaro per comprare un po' di carne. Se voi avete dieci dollari in oro, giuro che è più di quanto abbia qualunque altro dei vostri vicini.-

Rimasero nuovamente in silenzio e Rossella ebbe l'impressione di urtare contro un muro di pietra. E questo le era accaduto tante altre volte in quest'ultimo periodo.

- Che dobbiamo fare, miss Rossella? -

- Non lo so - rispose cupamente. E in quel momento le parve che non glie ne importasse nulla. Si sentì improvvisamente così stanca che tutte le sue ossa le dolsero. Perché lavorare e lottare e affaticarsi disperatamente? Al termine di ogni lotta le sembrava che la sconfitta l'attendesse per schernirla.

- Non lo so - ripeté. - Ma non diciamolo al babbo. Si turberebbe. -

- Non lo dirò. -

- L'avete detto a nessuno? -

- No, sono venuto subito da voi. -

Sì, tutti venivano direttamente da lei quando vi erano delle cattive notizie. Ed oramai non ne poteva più.

- Dov'è il signor Wilkes? Forse potrà darci qualche idea. -

Will rivolse verso di lei il suo sguardo dolce ed ella sentì, come nel giorno in cui era giunto Ashley, che egli sapeva tutto.

- E' nell'orto a spaccare legna. Ho sentito il rumore della scure mentre rimettevo il cavallo. Ma certo non ha più denaro di quanto ne abbiamo noi. -

- Se voglio parlare di questo con lui, ne avrò bene il diritto, no? - ribatté aspramente Rossella alzandosi e respingendo con un calcio il pezzetto di tappeto.

Will non si offese, ma continuò a stropicciarsi le mani dinanzi al fuoco. - E' meglio che prendiate il vostro scialle, miss Rossella; fuori fa freddo. -

Ma ella uscì senza mettere nulla sulle spalle, perché lo scialle era al piano di sopra, e il suo bisogno di vedere Ashley per sfogarsi era troppo urgente.

Che fortuna se lo trovasse solo! Da quando era tornato non aveva mai avuto modo di scambiare una parola con lui in particolare. C'era sempre la famiglia intorno; sempre Melania che ogni tanto gli toccava una manica, come per assicurarsi della sua presenza. La vista di quel gesto aveva rianimato in Rossella tutta la gelosia che era rimasta sopita durante i mesi in cui aveva ritenuto che Ashley fosse morto. Ora era decisa a parlare con lui solo e nessuno potrebbe impedirglielo.

 

Attraversò il frutteto sotto gli alberi spogli; e le erbacce umide le bagnarono i piedi. Sentiva i colpi della scure di Ashley che stava riducendo i tronchi, portati dal bosco, in pali di lunghezza uguale. Rifare le palizzate bruciate dagli yankees era un compito lungo e faticoso. Tutto era un compito lungo e faticoso, pensò Rossella; ed essa era stanca di tutto questo, stanca da morirne. Se Ashley fosse suo marito, invece di essere quello di Melania, come sarebbe dolce andare da lui, posargli la testa sulla spalla e piangere e scaricarsi di ogni pena sopra di lui!

Girò attorno a una macchia di melograni e lo vide appoggiato alla scure: si asciugava la fronte col dorso della mano. Indossava i resti dei suoi calzoni d'uniforme e una delle camicie di Geraldo; una camicia che in altri tempi aveva servito per le grandi occasioni e che per lui era troppo corta. Aveva appeso la giacca a un ramo d'albero, perché la fatica lo riscaldava.

Vedendo Ashley vestito di stracci, con una scure tra le mani, il cuore di Rossella ebbe un balzo d'amore e d'ira contro il fato. Non poteva sopportare di vederlo vestito in quel modo e dedito a lavori manuali, il suo indolente e immacolato Ashley. Le sue mani non erano fatte per lavorare; e il suo corpo non era adatto che a portare tele fini e abiti di panno. Dio lo aveva creato per dimorare in una grande casa, per parlare con persone simpatiche, suonare il pianoforte e scrivere delle cose che avevano una piacevole risonanza e nessun significato.

- Dicono che Abe Lincoln ha cominciato col fare il taglialegna - disse il giovine quando ella gli si avvicinò. - Pensate dunque a che altezze posso arrivare io! -

Rossella aggrottò le sopracciglia. Ashley scherzava sempre in quel modo a proposito dei loro disagi che per lei erano tanto seri; e a volte quasi la irritava.

Gli comunicò brevemente la notizia portata da Will, provando un senso di sollievo mentre parlava. Certo egli saprebbe suggerire qualche cosa di utile. Invece tacque; poi, vedendo che ella rabbrividiva, prese la sua giacca e gliela pose sulle spalle.

- Non vi pare - disse Rossella alla fine - che bisognerebbe trovare del denaro in qualche modo? -

- Sì; ma dove? -

- E' quello che vi domando. - Era scontenta. Anche se non sapeva suggerir nulla, Ashley poteva almeno dire una parola gentile; magari soltanto: "Oh, come mi dispiace!"

Egli sorrise.

- In tutti questi mesi da quando sono a casa - disse poi - ho sentito parlare di una sola persona provvista di denaro: Rhett Butler. -

Zia Pittypat aveva scritto la settimana prima a Melania che Rhett era tornato ad Atlanta con una carrozza tirata da due bei cavalli e un portafogli pieno di biglietti di banca. E aggiungeva, zia Pitty, che probabilmente non era denaro acquistato onestamente: tutti dicevano che si trattava di una parte del mitico tesoro della Confederazione.

- Non parliamo di lui - rispose Rossella brevemente. - E' uno sciacallo, se mai ve ne furono! Ma che avverrà di tutti noi? -

Ashley depose la scure e i suoi occhi guardarono lontano; forse verso una contrada dove ella non poteva seguirlo.

- Chi lo sa? - mormorò poi. - Chi sa che cosa avverrà non solo di noialtri a Tara, ma di tutto il Sud?-

Ella ebbe l'impulso di gridare brutalmente: "Che me ne importa del Sud? Parlo di noi!" ma tacque perché si sentiva troppo stanca. E Ashley non poteva in alcun modo aiutarla.

- Succederà - riprese Ashley - quello che succede ogni volta che crolla una civiltà. Chi ha cervello e coraggio se la cava; chi non ne ha cola a fondo. Dopo tutto, è stato interessante, se pur poco comodo, assistere ad un "Götterdammerung". -

- Un... che cosa? -

- Un "crepuscolo degli dei! Disgraziatamente, noi meridionali credevamo di essere degli dei...-

- Per l'amor di Dio, Ashley! Non ditemi delle sciocchezze, quando siamo noi che stiamo per colare a fondo! -

Un po' della sua stanchezza esasperata sembrò penetrare nella mente di lui, richiamandolo dai suoi vagabondaggi, poiché egli le prese le mani con dolcezza e ne guardò le palme callose.

- Queste sono le più belle mani che conosco - disse e le baciò leggermente. - Belle perché sono forti; e ogni callo è una medaglia, Rossella, ogni vescica una ricompensa per il coraggio e l'altruismo. Sono diventate così per tutti noi; per vostro padre, per le ragazze, per Melania, per il piccino, per i negri, per me. Mia cara, so quello che state pensando. Vi state dicendo: "Guarda quest'imbecille che mi racconta delle storielle a proposito degli dei morti quando vi sono le persone vive in pericolo!". Non è vero? -

Ella annuì augurandosi che egli continuasse per sempre a tenere le sue mani; ma Ashley le lasciò cadere.

- E siete venuta da me sperando che io potessi aiutarvi. Ebbene, non posso. -

Fissò amaramente la catasta di tronchi e la scure; poi continuò:

- Non ho più casa né denaro. E non sono capace di nulla al mondo, poiché il mondo di cui facevo parte non esiste più. Non posso aiutarvi, Rossella, se non imparando con la miglior grazia possibile ad essere un grossolano fattore. E questo non basterà per conservarvi Tara. Credete che io non mi renda conto dell'amarezza della nostra situazione di gente che vive qui di elemosina... sì, Rossella, di elemosina. Non potrò mai compensarvi di ciò che, nella bontà del vostro cuore, avete fatto per me e per i miei. Lo capisco ogni giorno di più. E ogni giorno vedo più chiaramente la mia incapacità a fronteggiare la realtà da cui ho sempre rifuggito... Capite ciò che voglio dire, non è vero? -

Rossella annuì. Non capiva molto bene, ma pendeva dalle sue parole quasi senza respirare. Era la prima volta che le parlava di ciò che pensava.

- E' una maledizione - proseguì Ashley - questa assoluta mancanza di desiderio di guardare in faccia la realtà schietta. Finché non è scoppiata la guerra, la vita è sempre stata per me una specie d'ombra proiettata su uno schermo: E la preferivo così. Non mi piacciono i contorni troppo decisi. Mi piacciono un po' confusi, sfumati. -

Si interruppe e sorrise debolmente, rabbrividendo un pochino al vento freddo.

- In altre parole, Rossella, sono un vile.-

Ella non comprese quel discorso di ombre e di contorni confusi, ma le sue ultime parole erano chiare. Ed ella sapeva che egli mentiva. In lui non era vigliaccheria. Ogni particolare del suo corpo rivelava generazioni di uomini forti e coraggiosi e Rossella conosceva perfettamente ciò che Ashley aveva fatto in guerra.

- Ma no, non è vero! Un vile non si sarebbe arrampicato su una sommità a Gettysburg per riordinare le file scompigliate dei suoi uomini! E il generale avrebbe forse scritto personalmente una lettera a Melania, per un vile? E...-

- Questo non è coraggio - rispose egli fiaccamente. - La battaglia è come lo champagne: dà alla testa tanto ai codardi come agli eroi. Qualunque imbecille può diventare temerario sul campo di battaglia quando l'alternativa è essere coraggioso o farsi ammazzare. Ciò di cui parlo io è altra cosa. E la mia viltà è infinitamente peggiore di quanto sarebbe se io fossi fuggito la prima volta che ho udito una cannonata.-

Le sue parole giungevano lentamente, con difficoltà, come se il pronunciarle gli riuscisse doloroso. Se fosse stato un altro uomo a parlare così, Rossella avrebbe creduto che queste affermazioni fossero dettate da modestia beffarda o da desiderio di lode. Ma Ashley sembrava parlasse con sincerità; e nei suoi occhi era un'espressione che le sfuggiva, né timore né giustificazione, ma la tensione per uno sforzo che era inevitabile e schiacciante. Il vento umido le agghiacciava le caviglie ed ella rabbrividì nuovamente; ma questo brivido fu cagionato piuttosto dal terrore che le parole di lui evocavano nel suo cuore.

- Ma di che avete paura, Ashley? -

- Oh, di una quantità di cose senza nome. Cose che messe in parole sembrano sciocche. Sopratutto, è il trovarmi dinanzi all'improvvisa realtà della vita, l'essere stato portato a contatto personale, troppo personale coi semplici fatti di tutti i giorni. Non è che m'importi di spaccare della legna qui nel fango, ma mi chiedo perché lo faccio. Mi turba la perdita della bellezza della vita che amavo. La vita, prima della guerra, era bella. Vi era in essa uno splendore, una perfezione, una simmetria come quella dell'arte greca. Forse non era così per tutti. Adesso lo capisco. Ma per me, alle Dodici Querce, vivere era veramente bello. Ed io facevo parte di quella vita, che ora è finita. In questa vita nuova sono spossato ed ho paura. Ora so che quelle di allora erano ombre su uno schermo. Evitavo tutto ciò che era troppo delineato; persone e situazioni che erano troppo reali e definite. Perciò cercai di evitare voi, Rossella. Eravate troppo piena di vita e troppo reale; ed io fui tanto codardo da preferire le ombre ed i sogni.

- Ma... ma...Melly? -

- Melania è il più dolce dei sogni. E se non vi fosse stata la guerra, io sarei vissuto tranquillamente relegato alle Dodici Querce, contentandomi di osservare la vita che passava, senza mai prendervi parte. Ma allo scoppiar della guerra, la vita vera si è gettata contro di me. La prima volta che presi parte ad un'azione, vidi i miei compagni sfracellati e udii gemere cavalli moribondi, e provai l'orribile sensazione di vedere uomini contorcersi e sputare sangue, perché io li avevo colpiti. Ma queste non furono le cose peggiori della guerra. La peggior cosa furono le persone con le quali mi toccò vivere. Da quando ero nato mi ero tenuto a distanza dalla comunità, scegliendo con cura i miei pochi amici. Ma la guerra m'insegnò che quello era un mondo creato da me e abitato da ombre di sogno. M'insegnò che cosa sono veramente le persone, ma non m'insegnò come vivere con esse. E temo che non l'imparerò mai. So che per mantenere mia moglie e il mio bambino devo farmi strada in un mondo col quale non ho nulla in comune. Voi, Rossella, afferrate la vita per le corna e la sottoponete alla vostra volontà. Ma io dove potrò mai più sentirmi a posto? Vi dico che ho paura.-

La sua voce sommessa proseguiva desolata, pronunciando parole che Rossella cercava di afferrare, senza riuscire a comprenderle. Le sfuggivano dalle mani, come uccelli inquieti.

- Rossella, io non so precisamente in che momento mi sono accorto che i sogni e le ombre della mia vita erano scomparsi. Forse è stato quando ho visto cadere il primo uomo ucciso da me. Oramai non potevo più essere uno spettatore; mi trovavo improvvisamente sulla scena quale attore che prendeva atteggiamenti e faceva gesti inutili. Il mio piccolo mondo interiore era finito, invaso da persone i cui pensieri non erano i miei pensieri, le cui azioni mi erano estranee come quelle di un ottentotto. Costoro avevano calpestato il mio mondo senza lasciarmi un punto ove potermi rifugiare. Quando fui preso prigioniero pensai: "Quando la guerra sarà finita tornerò alla vita di una volta, ai vecchi sogni, ed a guardare la commedia recitata dalle ombre." Ma invece non si ritorna indietro. E ciò che è dinanzi a noi adesso è peggio della guerra, peggio della prigione... e per me è peggio della morte... Sono punito perché ho paura.. -

- Ma no, Ashley - proruppe Rossella sprofondando in un abisso di sgomento. - Se voi avete paura, moriremo tutti, perché... perché...Oh Ashley, in qualche modo aggiusteremo. Ne sono certa! -

Per un attimo gli occhi di lui, di cristallo grigio, la fissarono con un'espressione di ammirazione. Quindi, improvvisamente furono ancora lontani. Ed ella comprese che Ashley non pensava affatto a ciò che la atterriva. Erano sempre come due persone che parlavano lingue diverse. Ma ella lo amava tanto, e quando egli si ritraeva come aveva fatto adesso, le sembrava che il sole scomparisse, lasciandola nelle ombre di un crepuscolo freddo. Desiderava afferrarlo per le spalle e trarlo a sé, per fargli sentire che era di carne e di sangue e che non era un'ombra, né un sogno.

- Essere affamati non è piacevole, - riprese egli. - Lo so, perché ho avuto fame anch'io, ma questo non mi spaventa. Ho paura solo di guardare la vita senza bellezza. -

Rossella pensò disperatamente che Melania lo avrebbe capito. Lui e Melania parlavano sempre di queste sciocchezze: poesia, libri, sogni, raggi di luna e polvere di stelle. Egli non temeva le cose di cui lei aveva paura; i crampi di uno stomaco vuoto, il gelo del vento invernale, l'essere scacciati da Tara. Ciò che lo sgomentava era qualche cosa che ella non conosceva e non immaginava. Perché, che cosa c'era da temere al mondo, più che la fame, il freddo e la perdita di una casa? E aveva creduto che ascoltandolo attentamente sarebbe capace di rispondergli!

- Oh! - esclamò con la delusione del bambino che apre un pacchetto ben fatto e lo trova vuoto. Egli sorrise come per scusarsi.

- Perdonatemi, se vi parlo così. Non posso farmi comprendere, perché voi non conoscete la paura. Avete il cuore di un leone e un'assoluta mancanza di fantasia; due qualità per le quali v'invidio. Non v'importa di guardare in faccia alla realtà e non desiderate fuggirla come io lo desidero. -

- Fuggire! - Era la prima parola comprensibile che egli avesse pronunciato. Come lei, Ashley era stanco di lottare e desiderava fuggire.

- Avete torto, Ashley. Anch'io desidero fuggire! Sono così stanca di tutto! -

Le sopracciglia di lui si alzarono con incredulità, mentre ella gli posava sul braccio una mano febbrile.

- Ascoltatemi - continuò Rossella rapidamente, con le parole che le si affollavano sulle labbra. - Sono stanca di tutto questo. Non resisto più. Ho lottato per procurare cibo e denaro; ho rastrellato, ho seminato, ho raccolto il cotone, ho perfino arato finché ho potuto. Ma non posso più. Il Sud è morto! Gli yankees, i negri liberi e i politicanti se ne sono impadroniti, e per noi non vi è più nulla. Fuggiamo, Ashley! -

Egli la guardò profondamente, abbassando la testa per veder bene il suo volto, ora fiammeggiante.

- Lasciamoli tutti! Sono stanca di lavorare per gli altri! Qualcuno se ne occuperà. Fuggiamo, Ashley, voi ed io. Possiamo andare nel Messico... nell'esercito messicano vi è bisogno di ufficiali; e potremo essere felici. Lavorerò per voi, Ashley. Voi non amate Melania...-

Egli fece per parlare; il suo volto aveva un'espressione dolorosa. Ma Rossella non glie ne diede il tempo.

- Mi diceste che mi amavate più di lei... ricordatevi quel giorno! E so che non siete mutato! E avete detto or ora che essa non è che un sogno...Oh, Ashley, andiamo via! lo posso rendervi felice. E poi - aggiunse velenosamente - Melania non può... il dottor Fontaine ha detto che non potrebbe avere altri bambini, mentre io potrei darvi...-

Egli le afferrò le spalle stringendole così forte che le fece male; Rossella s'interruppe ansando.

- Dovremo dimenticarlo quel giorno alle Dodici Querce! -

- E credete che io lo avrei potuto? Voi lo avete dimenticato? Potete dire onestamente che non mi amate? -

- No, non vi amo. -

- E' una menzogna. -

- Anche se fosse una menzogna - la voce di Ashley era mortalmente tranquilla - è una cosa su cui non si può discutere. -

- Vorreste dire che...-

- E credete che io potrei andarmene lasciando Melania e il bambino, anche se li odiassi? Spezzare il cuore di Melania? Abbandonarli alla carità degli amici? Ma siete pazza, Rossella? Non esiste in voi nessun senso di dignità? Voi non potete lasciare vostro padre e le ragazze. Ne avete la responsabilità come io ho quella di Melania e di Beau; e siate stanca o no, voi non potete lasciarli. -

- Sono pronta a lasciarli... sono stanca di loro... non ne posso più...-

Egli si curvò verso di lei e per un attimo Rossella sentì che il cuore cessava i suoi battiti perché credette che egli l'avrebbe presa fra le braccia. Ma invece egli le accarezzò un braccio e le parlò come a un bambino che si vuol confortare.

- Lo so che siete stanca. Perciò parlate in questo modo. Avete portato un peso che sarebbe grave per tre uomini. Ma io vi aiuterò...Non sarò sempre così inetto...-

- Vi è un solo modo per voi di aiutarmi - mormorò Rossella ostinata. - Ed è portarmi via da qui, per ricominciare altrove a vivere, con la possibilità di essere felici. Non vi è nulla che ci trattenga qui. -

- Nulla... eccetto l'onore. -

Ella lo guardò sbalordita, e vide, come se fosse la prima volta, come il suo capo si drizzava fieramente sul suo collo nudo, e come l'espressione della razza e della dignità persisteva nel suo corpo sottile eretto malgrado i suoi cenci grotteschi. I loro occhi s'incontrarono: quelli di lei supplichevoli, quelli di lui remoti come laghetti montani sotto il cielo grigio.

E Rossella vide in essi il naufragio dei suoi pazzi sogni e dei suoi desideri.