10

LA corrente del fiume non era vorticosa, ma i danesi si erano appropriati di una barca sassone, tipicamente larga e pesante, con tre scalmi per lato. Geirmund si affrettò a prendere posto su un banco a prua e a infilare due remi, ma il fiume l’aveva già trascinato un po’ a valle quando i suoi legni si immersero finalmente in acqua.

Per esercitare più forza remò rivolto verso poppa, dando le spalle alla propria rotta e con lo sguardo puntato sull’isola dove Fasti agonizzava o giaceva già morto. Restò in ascolto, temendo di sentire le grida e il trambusto dei danesi che si aprivano un varco tra i rovi, ma dalla sponda dov’erano ormeggiate le altre imbarcazioni tutto taceva, e infine la vegetazione della palude la nascose alla vista.

Solo allora Geirmund si fermò un momento e immerse le mani e il coltello nell’acqua, per lavarli dal sangue. Quand’era partito dal Rogaland credeva che il primo uomo che avrebbe ucciso sarebbe stato un sassone sul campo di battaglia, non un danese nella tenebra di un acquitrino, ma ora si domandò se facesse qualche differenza. Erano le Norne a stabilire la lunghezza del filo della vita, e se quello di Fasti era alla fine lui sarebbe morto comunque, anche senza il suo intervento. Quindi il vero problema non era che Fasti fosse morto, ma se era stato necessario ucciderlo. La sua conclusione fu «sì»: sapeva che, se avesse potuto, l’avrebbe senz’altro risparmiato. E rendendosene conto giurò a se stesso di scegliere sempre l’onore, anche quando agiva soltanto come strumento del destino.

Sentì un fruscio tra le canne alla sua sinistra e si girò a guardare, facendo appena in tempo a scorgere un pallido volto femminile. Se era una vættr del fiume, Geirmund non poteva permettersi di passare per uno dei danesi che avevano profanato il suo regno riempiendolo di cadaveri, ma come offerta per placare la sua ira aveva soltanto i suoi pezzi d’argento. Ne lasciò cadere uno nella corrente, per scaramanzia, poi, con un brivido, riprese a remare con più foga, deciso ad allontanarsi prima possibile da quel luogo.

Pian piano il primo chiarore del giorno illuminò la palude, e tra i banchi di nebbia intravide un sole pallido e opaco. Poco dopo raggiunse un’ansa da cui un altro canale più ampio si gettava nel fiume, e non lontano da lì incontrò un secondo abitato.

Era più grande di Ancarig, ma a sua volta era stato messo a ferro e fuoco, sebbene in tempi meno recenti. Doveva trattarsi di Medeshamstede, la cittadina con un tempio di pietra cui aveva accennato Fasti. A mano a mano che si avvicinava, Geirmund notò che questa volta non tutti gli edifici erano stati bruciati, e non tutti i sassoni trucidati. In lontananza, tra gli alberi, spuntava ancora qualche capanno rotondo, e c’era gente lungo la sponda, a lavarsi, attingere acqua, spingere barche nel fiume. Al suo passaggio alzarono la testa, ma i loro occhi erano troppo vuoti, troppo rassegnati per contenere ancora paura o interesse.

Nel giro di poco avvistò un molo di legno costruito con la stessa tecnica della passerella di Ancarig, con ogni probabilità si trattava del punto di approdo di commercianti e viaggiatori che venivano in visita al villaggio o al tempio cristiano. Geirmund decise di concedersi una breve sosta, per comprare del cibo, ammesso di trovarne in vendita, e magari chiedere la strada per Readingum. Si avvicinò a forza di remi, poi legò la sua barca a un ormeggio e si tastò la tunica, per accertarsi che il bracciale di Völund fosse ancora al suo posto.

Superato il molo imboccò uno sterrato, attraversò un boschetto di ontani e salici e sbucò in un’ampia radura dominata dai resti del tempio. Il fuoco aveva divorato il tetto, ma, per quanto annerite, le mura avevano resistito e svettavano ancora alte e salde dai contrafforti.

Notando un accampamento poco lontano dall’arco dell’ingresso, Geirmund si fermò un momento a scrutarne gli abitanti. C’erano cinque uomini con le lunghe tonache dei preti, altri tre con l’aspetto di guerrieri sassoni, e infine un ragazzo giovane e biondo. Uno dei sacerdoti lavorava con uno scalpello un grosso blocco di pietra bianca, riempiendo l’aria con il suono secco e regolare dei suoi colpi, ma era troppo distante per distinguere cosa stesse scolpendo.

Un prete notò Geirmund al margine della radura e lanciò un grido, poi un altro si fece avanti, affiancato da due sassoni, entrambi armati di bastoni. Avanzando verso di lui il religioso sollevò le mani, per dimostrare di non avere armi, ma intanto scuoteva rabbiosamente la testa resa calva dalla tonsura.

«No, no, no», ripeteva. «L’argento l’avete già preso. Avete saccheggiato le nostre scorte di viveri. Vi siete presi la vita dell’abate e di tutti i monaci, risparmiando soltanto noi e quel giovane novizio. Cos’altro vuoi, danese?»

«Io non sono danese», rispose Geirmund.

«Allora perché sei qui?»

«Per prima cosa, vorrei comprare del cibo e della birra.»

Il prete restò a bocca aperta. «Vorresti... tu vorresti...» Batté le palpebre, poi alzò la voce. «Guardati intorno, danese! Guarda cos’ha fatto la tua gente! E hai il coraggio di chiedere viveri e ospitalità? A te non venderemo né cibo né birra!»

«Perché non volete o perché non ne avete?» rilanciò lui.

«Nel tuo caso il risultato non cambia. Sei un pagano e un demone, e qui non troverai conforto. Vattene.»

Geirmund era affamato, assetato e stanco di remare. «Vedo che avete perso molto», disse, «ma potreste perdere ancora di più, perciò vi consiglio di frenare la lingua.» I guerrieri sassoni che affiancavano il prete lo guardarono con odio, e lui rimpianse di avere con sé soltanto il coltello. «Sono venuto in pace, prete, e voglio comprare, non rubare. Quando è capitato a me di incontrare uno di voi, io gli ho dato da bere.»

«Non m’importa.» Il prete gli puntò contro un dito. «L’unica acqua che otterresti da me è quella del battesimo.» Si zittì per un momento. «Anzi, ora che ci penso...» Si girò a guardare l’accampamento, annuendo tra sé. «Se rinunci ai tuoi dei pagani e diventi cristiano, qui e ora, sarò felice di condividere con te quanto ci è rimasto.»

Geirmund non sapeva se l’offerta fosse sincera o se il prete l’avesse avanzata contando su un suo rifiuto, ma in ogni caso rispose con una risata. Poi domandò: «Cosa scolpisce il tuo compagno su quella pietra?»

Il prete s’impettì. «L’immagine di Cristo e dei suoi seguaci.»

Geirmund fece correre lo sguardo sul tempio annerito. «Perché continuate a rendergli onore? Il vostro dio non ha protetto né il suo tempio né le vite dei suoi sacerdoti. Perché vi ostinate a pregarlo?»

Il prete diventò paonazzo. «Siamo pochi, ma comunque in grado di uccidere un danese disarmato, e sarebbe un’opera meritoria.»

Geirmund non credeva che nessuno di quei religiosi potesse ucciderlo, ma i guerrieri ci avrebbero senz’altro provato, e comunque se non avevano nulla da vendere non aveva alcun senso trattenersi là, senza contare che Odmar avrebbe potuto seguirlo. Chinò il capo e cominciò ad arretrare, a mani alzate. «Calmati, prete. Non serve versare altro sangue.»

Il sacerdote rimase in silenzio e non diede cenno di volerlo fermare, perciò Geirmund lasciò la radura, riattraversò il boschetto e tornò da dove era venuto. Poco prima del molo sentì un trapestio alle sue spalle e ruotò di colpo su se stesso, pronto a difendersi. Ma era solo un altro prete che gli porgeva un pezzo di pane.

«È duro come la pietra», disse, «ma è tuo se lo vuoi. E senza bisogno di diventare cristiano.»

Geirmund scrutò tra gli alberi e restò in ascolto, ma l’uomo sembrava solo. Così lo raggiunse e accettò il dono, pensando che avrebbe dovuto intingerlo in qualcosa per riuscire a masticarlo. «Perché me l’hai offerto?»

«Il mio Dio comanda che si dia da mangiare agli affamati.»

«I miei dei invece no. Comunque grazie.»

«Tu non sei danese», riprese lo sconosciuto. «Vieni dal Finland? Dal Bjarmaland?»

«Mia madre veniva dal Bjarmaland.» Sorpreso che il prete conoscesse quei luoghi, Geirmund lo scrutò con più attenzione. Era basso di statura, con i capelli castani tagliati corti, le guance glabre, e un naso affilato come un’accetta. «Come sai del Bjarmaland?»

«Dai libri. Ne esistono molti che parlano delle tue terre, e i tuoi tratti corrispondono alle descrizioni di quelle genti, o dei finni.»

«Non vengo dal Finland, ma dal Rogaland.»

«Dalla Norðrvegr, dunque.» Il volto del prete si incupì. «Non un danese, ma malvagio quanto loro, almeno a quanto dicono.»

Geirmund sogghignò. «Molto peggio.»

«Io mi chiamo John.»

Era un nome piuttosto comune tra i franchi, e ricordando i mercanti venuti dal Sud, Geirmund ne rivide i modi e le fattezze nel sacerdote. «Tu non sei sassone» disse.

«Lo sono, invece», puntualizzò John. «Però le mie radici affondano nelle terre dei franchi, perciò qui mi considerano un sassone ‘antico’. Tu come ti chiami?»

«Geirmund.»

«Benvenuto a Medeshamstede, Geirmund di Rogaland.»

«L’accoglienza non è stata un granché», ribatté lui. «Persino il vostro dio sembra avervi abbandonati.»

John chinò la testa in modo quasi impercettibile e sorrise senza rispondere, come se avesse goduto il sapore delle sue parole più del loro suono. «Nella radura avevi detto di volere del cibo ‘per prima cosa’. Qual era l’altra?»

«Volevo chiedervi la strada per un posto chiamato Readingum.»

«Nel Wessex?» John aggrottò la fronte. «È a quasi cento miglia da qui.»

«Sai come ci si arriva?»

L’altro annuì. «Sì. Seguendo il fiume verso ovest, dopo circa cinque miglia troverai...» Si interruppe e si guardò alle spalle, in direzione del tempio distrutto. «Aspetta qui. Torno subito.» Ciò detto corse via, sparendo tra gli alberi.

Geirmund restò a guardarlo frastornato. Il sassone «antico» di nome John non gli sembrava pericoloso, ma nutriva poca simpatia per i cristiani, compresi quelli amichevoli, e decise di non aspettarlo.

Era già risalito sulla barca e si preparava a partire quando John emerse di corsa dagli alberi con un fagotto di pelle sulla spalla. Chiamò Geirmund, sbracciandosi mentre si avvicinava al fiume, e infine si arrestò sul molo.

«Avevo detto che tornavo subito», ansimò. «Sto andando nella tua stessa direzione. Volevo accompagnarti e mostrarti la strada.»

Sorpreso dall’offerta, Geirmund indicò il tempio con un cenno del capo. «E loro ti lasciano partire?»

«Lasciarmi?» Perplesso, John si girò a guardare il luogo da cui era venuto. «Oh! Non mi considerano uno di loro. Io non sono un monaco.»

«Un monaco?»

«Sì. Gli uomini delle abbazie. Preti che vivono e pregano insieme fino al giorno della loro morte.»

Forse anche i preti di Ancarig erano stati monaci. «Ma allora tu cosa sei?»

«Un prete libero di andare ovunque Dio voglia inviarlo.»

«E come sai che vuole mandarti da qualche parte?»

«Spesso lo capisco solo dopo esserci arrivato. Per questo il mio bagaglio è sempre pronto.» Ciò detto, gettò il suo fagotto dentro la barca. «Adesso però sono certo che voglia mandarmi con te.»

Quando era arrivato nella palude, Geirmund si era augurato di trovare una barca e una guida. Ora le aveva ottenute entrambe, perciò forse non era stato il dio dei cristiani a mandargli quel prete, ma il destino. «Forza, sali», disse.

John chinò il capo in segno di gratitudine, poi scese dal molo e salì a bordo, vacillando prima di sedersi pesantemente sul banco centrale. «Hai una bella scorta di remi», commentò, notando il mucchio sul fondo dello scafo.

«I remi non sono mai troppi», rispose lui, usandone uno per spingersi via dal molo e verso la corrente.

«Vero.» John inclinò la testa e nascose un sorriso, ripetendo il gesto di poco prima. «Cinque giorni fa una grossa compagnia di danesi ha lasciato Medeshamstede con parecchie barche come questa.» Indicò di nuovo il mucchio di remi. «Chissà se loro ne avevano a sufficienza.»

Geirmund sedette e cominciò a vogare. «Speriamo di no.»

«Posso chiederti da dove arrivi?»

«Da Ancarig.»

«È un luogo sacro», fece John. «Come stanno i suoi monaci?»

«Molto peggio che qui», rispose lui. «Tutti trucidati, tranne uno chiuso in un capanno, di nome Torthred.»

«Torthred? Ne ho sentito parlare. Dicono sia un santo. Aveva un fratello e una sorella, Tancred e Tova. Loro li hai visti?»

«Non ho visto nessun altro prete», rispose Geirmund, pensando che forse la sorella l’aveva vista e, se era davvero lei, aveva pure sprecato un pezzo di buon argento. «Torthred era vivo quando l’ho lasciato, ma non resisterà ancora a lungo.»

«È lui il prete che hai dissetato?»

«Sì.» Raggiunto il centro del fiume, Geirmund sentì il calore del sole sulla fronte. «Però era uno sciocco. Avrebbe dovuto lasciare il suo capanno e diventare un prete libero come te.»

John restò in silenzio, poi sospirò. «Questi danesi sono calati su di noi come una notte oscura, ma resta ancora qualche candela accesa, e la loro luce fa il possibile per dissipare la tenebra.»

Non era chiaro se, parlando di luci, il prete intendesse Torthred o se stesso, o magari persino Geirmund, ma il giovane preferì non chiederlo. «Prima hai fatto riferimento a un posto a cinque miglia da qui?» domandò invece.

«Sì», rispose John, indicando il fiume alle spalle di Geirmund. «C’era una cittadina laggiù, circondata da mura e con una fortezza. I romani la chiamavano Durobrivæ. Adesso però non esiste più. Quasi tutte le sue pietre sono state usate per costruire l’abbazia di Medeshamstede.»

«E allora perché ci andiamo?»

«Perché, oltre alle fortezze, i romani costruivano anche le strade, e adesso sono i danesi a usarle. A Durobrivæ c’è il bivio per Earninga Street, che verso sud conduce a Readingum.»

«Capisco», fece Geirmund. «Grazie.»

John alzò lo sguardo verso il cielo, ora più azzurro e limpido di quando sovrastava le paludi. Anche le terre a nord e sud del fiume erano diventate più asciutte, tramutandosi in brughiere e foreste.

«Forse dovrei essere io a ringraziare te», riprese il prete.

«Per quale motivo?»

«Perché mi hai consentito di accompagnarti nel tuo viaggio.»

Colto alla sprovvista, Geirmund smise un momento di vogare. «È da poco che sono in Inghilterra», disse, «ma immagino sia raro che un prete scelga di accompagnarsi a un pagano.»

John annuì. «In effetti è così, ma questo territorio sta cambiando. Avevo lasciato il Northumbria per sfuggire all’invasione danese, ma quando sono arrivato nell’Anglia orientale l’ho trovata già occupata. Temo che la prossima a cadere sarà la Mercia, dopodiché resterà solo il Wessex. Comincio a pensare che tra non molto un prete che non vuole accompagnarsi ai pagani dovrà rassegnarsi a viaggiare da solo.» Inclinò la testa di lato. «E comunque io non viaggerei con un pagano qualsiasi.»

«Solo con quelli senza spada», suggerì Geirmund.

«A proposito...» John frugò nel suo fagotto. «Credo che questa sarà più utile a te che a me», disse, sfilando dalla sacca un fodero di cuoio. Era un seax, troppo lungo per un pugnale e troppo corto per una spada, con un’impugnatura di legno sormontata da un semplice pomello di ferro. «La lama non è stata forgiata dai franchi, ma fa il suo dovere.»

Più tempo passava con il prete e meno Geirmund riusciva a capirlo. Cominciava a pensare che fosse completamente matto. «Vuoi consegnare un’arma al tuo nemico?»

«Non pensavo fossimo nemici», rispose quello, appoggiandosi il fodero di traverso sulle ginocchia. «Sassoni e danesi saranno anche nemici, ma questo non significa che debbano esserlo anche John e Geirmund. Io non considero nessun uomo un mio nemico.»

Il giovane restò colpito da quelle parole. John dimostrava molte meno estati di suo padre, ma parlava con la saggezza di un anziano. «Mi ricordi uno scaldo di mia conoscenza», mormorò. «Bragi Boddason.»

«Era un tuo amico?»

Non era la parola che Geirmund avrebbe scelto per descriverlo, ma in fondo non era sbagliata. «In un certo senso sì.»

«E cosa ti consiglierebbe Bragi Boddason se fosse qui?»

Geirmund impiegò qualche colpo di remo a trovare una risposta. «Mi rammenterebbe che io non ho una spada, e che tu me ne hai offerta una. Mi direbbe che magari sei uno sciocco, ma che le tue intenzioni non sono cattive.»

«Quasi tutto vero», commentò John, poi indicò la spada. «E questa adesso appartiene a te.»

A sud un piccolo falco spiccò il volo dall’erba e lanciò un grido prima di sparire. Geirmund lo guardò allontanarsi, rimpiangendo di non poter guardare il mondo dall’alto come lui. «Se intendi viaggiare con me», disse, «dovresti sapere che vado a combattere i sassoni.»

«Sarò anche uno sciocco, Geirmund di Rogaland, ma fin qui ci arrivavo anche da solo. Per questo non intendo accompagnarti fino a Readingum. Proseguendo per due giorni verso sud troveremo un posto chiamato Roisia, e un altro bivio. Tu imboccherai Icknield Way, che conduce nel Wessex, mentre io proseguirò verso sud, andando a Lundenwic.»

«Intendi Lunden? Perché? Che cosa ti aspetta là?»

«Una nave, spero, che mi riporti a casa, in Sassonia. Salvo che Dio abbia in mente di mandarmi altrove.»

«Immagino lo capirai solo una volta arrivato.»

«Di solito è così.»

Il fiume si snodò in una serie di ampie anse, ma infine avvistarono Durobrivæ. Il prete aveva detto il vero. Le mura cittadine, che un tempo dovevano essere imponenti, adesso erano basse quanto il muretto di cinta intorno a un pascolo. Ma imboccato il canale dietro l’ultima ansa e giunto alla sponda meridionale, Geirmund notò che il ponte romano era rimasto indenne. Scesi a terra, lui e John nascosero la barca nel fitto delle canne, poi si arrampicarono sull’argine.

Si concessero una sosta all’ombra del ponte, e dopo averlo ammorbito nell’acqua, mangiarono qualche boccone del pane raffermo offerto dal prete. Poi Geirmund si legò il seax alla cintura, John mise in spalla il suo fagotto, e insieme ripresero il cammino.

John gli spiegò che a destra la strada superava il ponte e puntava a nord fino a Jorvik. A sud passava sotto un arco, bianco come un osso, che un tempo segnava l’ingresso nelle mura, e poi, dritta come una freccia, attraversava la città, tagliandola esattamente a metà.

«Avevi mai visto le costruzioni romane prima d’ora?» domandò il prete quando si inoltrarono tra le rovine.

«No», rispose lui, quasi sottovoce.

Gli edifici erano diroccati, ma tra i cespugli e gli alberi che li avevano invasi si vedevano ancora le fondamenta. Le linee e le forme dei muri sembravano tracciare enormi rune nel terreno, ma parlavano una lingua che lo lasciò interdetto. Alcuni di quei palazzi dovevano essere stati ben più imponenti della dimora di Hjörr, sostenuti da colonne larghe come querce, e la città si estendeva per almeno cinquanta acri. Eppure John l’aveva definita una «cittadina». Persino la strada che stavano percorrendo era diversa da tutte quelle che aveva visto. Era larga sei braccia e lastricata di pietre quasi perfettamente lisce, salvo per qualche solco superficiale. A mano a mano che avanzava, a Geirmund sembrava di avvertire intorno a sé la presenza degli antichi costruttori. Per questo camminava con cautela e parlava a bassa voce, per timore di risvegliare i morti che forse infestavano ancora le rovine.

Proseguirono per quasi mezza lega prima di arrivare all’estremità opposta, e quando uscirono dalla porta sud, Geirmund tirò un sospiro di sollievo, finalmente libero dal peso di quella sensazione opprimente e ben felice di lasciarsi la città fantasma alle spalle.

«Io ho visto Roma», disse John, guardandosi indietro, «e posso garantirti che al confronto questo era soltanto un piccolo avamposto.»

A Geirmund sembrava impossibile, ma il prete non aveva l’aria di essere un bugiardo. «È un luogo di spiriti», mormorò.

«Credi che i morti possano farti del male?»

«Sì», rispose. «Tu no?»

«No.»

«Però avevi detto che i danesi usano le strade romane.»

«Infatti.»

«Be’, allora mi sembra proprio che i romani morti ti facciano del male, facilitando l’avanzata del nemico.»

John sorrise e annuì. «Questo è vero. E forse non dovrebbe sorprendermi. In fondo anche i romani erano pagani.»