5

LA ferita di Geirmund guarì bene, e anche quella di Hámund, sia pure più lentamente.

L’inizio dell’inverno portò con sé le consuete tempeste stagionali che tenevano gran parte delle imbarcazioni al riparo dei moli. Con meno traffico sulle rotte delle balene, Avaldsnes accoglieva meno viaggiatori e ospiti, e sulla dimora di Hjörr calò una quiete sonnacchiosa. Tranne per Steinólfur, che continuava a portare avanti la sua missione di radunare un equipaggio pronto a votarsi a Geirmund e a salpare con lui al ritorno dell’estate, purché avesse i mezzi per imbarcarlo.

Su quel fronte, però, nessun progresso.

Geirmund era pronto a giocarsi il tutto per tutto nella spedizione, ma il suo patrimonio personale non era sufficiente a comprare o costruire una nave, e comunque restava il problema di come riuscirci all’insaputa di suo padre. Più volte aveva preso in considerazione l’ipotesi di chiedere aiuto a sua madre. Lei possedeva oro e argento, e forse si sarebbe schierata dalla sua parte, ma il rischio di un rifiuto l’aveva convinto a tacere. Come alleato possibile non gli restava che Hámund, ma Geirmund era ancora restio a parlargli del suo piano. Con Steinólfur e Skjalgi si era giustificato dicendo di volerne aspettare la piena guarigione prima di coinvolgerlo, ed era la verità. Ma la sua riluttanza derivava anche da un secondo motivo, che il giovane non osava ammettere né con loro né quasi con se stesso: non era più tanto sicuro di potersi fidare del fratello.

Era cominciato tutto con le pelli di lupo.

Dopo averle pulite e sistemate, Hámund le aveva offerte in dono al padre, con una cerimonia pubblica nella grande sala comune in cui aveva dedicato al re la propria vittoria sul branco. Nel suo discorso non aveva accennato al contributo di Geirmund nella battaglia, e tantomeno al fatto che era stato lui ad abbattere proprio gli esemplari che avevano fornito le pelli. Aveva persino organizzato la cerimonia senza fargliene parola. Geirmund aveva tenuto l’offesa per sé, ma da quel momento aveva cominciato a dubitare della lealtà del gemello.

Infine, secondo il ciclo naturale, l’inverno allentò la sua presa sul mare e sui venti, le navi tornarono a solcare il canale, e ad Avaldsnes giunse l’annuncio dell’arrivo imminente di uno jarl danese di nome Guthrum. Emissario del re Bersi, Guthrum stava visitando tutte le dimore della Norðrvegr, per chiedere ai loro re di unirsi alla flotta danese in partenza per la conquista dell’Inghilterra. Saputa la notizia, Geirmund capì che se voleva una nave doveva sbrigarsi a chiederla, perciò invitò Hámund ad andare a pesca con lui. Sarebbe stata la loro prima uscita insieme dopo la loro ultima e fatidica battuta di caccia.

Non si spinsero troppo lontano, fermandosi in una piccola baia sull’altro lato dell’isola, un paio di leghe a ovest, dove gli alberi erano più radi e gli uccelli marini cantavano a tutto spiano mentre con i lunghi becchi frugavano gli scogli in cerca di cibo. Diversamente da loro, i gemelli parlarono poco, sia durante il tragitto a cavallo sia per qualche tempo dopo l’arrivo. L’acqua della baia era di un blu profondo e il mare era calmo, protetto da vari isolotti che fungevano da frangiflutti, eppure, a dispetto dell’abbondanza di pesce nella zona, a mezzogiorno i loro carnieri erano ancora vuoti.

«A quanto pare Ægir ci è contrario», commentò Hámund, rompendo infine il silenzio. Era ancora smagrito dalla lunga convalescenza, ma il volto olivastro aveva ripreso colore.

«Forse gli dei no, però», rispose Geirmund.

Suo fratello si girò a rivolgergli uno sguardo interrogativo.

«Il mare offre altre risorse oltre alla pesca», proseguì lui. «In Inghilterra ci sono ricchezze da conquistare.»

Hámund abbassò la lenza. Si era levato un vento improvviso da nord, che portava un odore di salmastro e il sentore di terre coperte da ghiacci perpetui. «Di che cosa parli?»

«Hai mai sentito parlare di Guthrum, il danese?» domandò lui.

«Certo, l’intero regno lo conosce. E con questo?»

Geirmund si voltò a scrutare il mare aperto verso ovest, e l’oceano vasto e selvaggio in lontananza. «E se partissimo con lui?»

Hámund gli rivolse un’altra occhiata perplessa. Poi sorrise, come chi d’un tratto coglie la battuta, ma visto che Geirmund non lo ricambiava, anche il suo sorriso svanì, sostituito dalla consapevolezza che il gemello parlava sul serio.

«Potremmo coprirci d’onore con la flotta di Bersi», proseguì lui. «In Inghilterra ci faremmo un nome, come nostro nonno. I figli di Hjörr e di Ljufvina tornerebbero ad Avaldsnes carichi di ricchezze e di fama.»

Il vento del Nord soffiava sempre più forte, spingendo le proprie onde contro quelle che dal mare raggiungevano la baia. Con le trecce spettinate dalle folate, Hámund scrutò il cielo, dove si andava addensando una muraglia di nubi. Poi si chinò a recuperare le sue esche. «Dovremmo rientrare prima che scoppi il temporale.»

«Aspetta, fratello. Ascoltami.» Geirmund superò d’un balzo lo scoglio che li separava. «Guthrum chiederà udienza a nostro padre. Io dispongo già di uomini pronti a giurarci fedeltà. Mi manca solo una nave, e poi potremmo partire.»

«Hai un equipaggio?» Hámund era rimasto immobile, con le lenze tra le dita. «Composto da chi?»

«Uomini liberi. Uomini che vogliono ciò che io posso offrire.»

Suo fratello riprese a ritirare e arrotolare i fili da pesca, senza aggiungere altro. Infine drizzò il busto e chiese: «E cosa avresti da offrire a quegli uomini?»

«Le stesse cose che ora sto offrendo a te. Che ci offrono Guthrum e Bersi. Le terre e le ricchezze dei sassoni.»

«Tranne che ti serve una barca per andarle a prendere.» Hámund lo superò e si chinò a recuperare anche le sue lenze, con una piccola smorfia per la spalla irrigidita. «Ora capisco perché mi hai chiesto di venire a pesca con te.»

«Sì», confermò Geirmund. «Ho bisogno di una nave e mi serve il tuo aiuto per convincere nostro padre a concedermela. A te darà retta.»

«Dunque ti prenderesti una delle sue navi e i suoi uomini? Uomini del Rogaland?»

«Te l’ho detto, sono uomini liberi.»

«Ma giurandoti fedeltà apparterranno a te.»

«Sì.»

Ora le folate erano diventate violente, e le nubi avevano coperto il sole. Arrotolato l’ultimo filo, Hámund si avviò ai cavalli, e Geirmund lo seguì.

«Saranno anche tuoi», precisò, «se verrai con me.»

Suo fratello sistemò le attrezzature da pesca nelle bisacce, tenendo gli occhi puntati sul cielo. Sciolse il proprio cavallo dalla corda che lo teneva legato a un abete e montò in sella. «Dando di sprone dovremmo riuscire a scampare alla pioggia. Ma questa tempesta...»

«Fratello», lo interruppe Geirmund, afferrando il suo cavallo per la briglia. «Sento che è questo il mio destino. Il fato mi chiama. Posso contare sul tuo aiuto?»

Hámund alzò il mento. «Farò il possibile.»

«Non chiedo di più.» Ciò detto anche Geirmund montò in sella e partirono al galoppo, sferzati prima dal vento e infine dal rovescio scoppiato proprio davanti alle porte di Avaldsnes.

Sei giorni dopo Guthrum attraccò al porto con la sua nave di danesi.

Nella grande sala comune vennero accesi i fuochi e gli ospiti sedettero a un banchetto. Ljufvina, avvolta nelle sete acquistate nelle terre dei franchi, impreziosite da monili d’oro e d’argento, porse il corno dell’idromele prima al consorte e poi all’ospite d’onore seduto al suo fianco. Il contrasto tra i due re non poteva essere più netto. Guthrum aveva le dita e i polsi coperti di anelli e bracciali, le spalle da una pelliccia e la tunica di ricami. La cintura era tempestata di pietre preziose, senz’altro il bottino dei suoi molti saccheggi. Dimostrava una quarantina di estati, parecchie delle quali passate in scorrerie, almeno a giudicare dalle cicatrici, e mangiava e beveva con uno slancio pari alla furia che Geirmund gli immaginava in battaglia.

«La fama della nobile signora di Rogaland è meritata», disse. «La tua bellezza e la tua grazia sono conosciute ovunque, mia regina, ma ora che ti vedo con i miei occhi so che la realtà supera di gran lunga i racconti.»

Ljufvina inchinò appena la testa. «Grazie, jarl Guthrum.»

Chiunque varcasse la soglia della dimora di Hjörr si sentiva in dovere di lodare il fascino della regina, ma Geirmund sapeva che in cuor loro guardavano con disappunto e sospetto il colore della sua pelle, i capelli corvini, la forma allungata degli occhi. Guthrum, però, sembrava sincero.

«Se tutte le donne del Bjarmaland sono belle quanto voi», proseguì, «mi stupisce che i vostri figli non siano già tornati là a cercarsi una moglie.»

Lei scoppiò a ridere. «E se voi lusingate le donne di ogni sala in questo modo, io mi stupisco che siate ancora in cerca di navi, jarl Guthrum.»

Lui sogghignò. «Dunque conoscete il motivo della mia visita.»

«Certo che sì», intervenne il re, in tono vagamente risentito. «Ma di questo parleremo dopo mangiato.»

Il danese indicò la sala con un gesto. «Gli uomini e le donne del Rogaland vorranno sentire ciò che sono venuto a dirvi...»

«No», rispose il re, secco. «Ne parleremo in privato.»

Il danese si sfilò un residuo di carne dai denti, poi chinò il capo. «Come desiderate.»

Sentendo Guthrum che accennava alla propria ambasciata, Geirmund rivolse un’occhiata e un cenno quasi impercettibile a suo fratello, come a cercare conferma del loro accordo. Hámund si girò un istante a guardare suo padre, poi ricambiò il cenno.

Bragi, lo scaldo, sedeva accanto a Geirmund, e si chinò verso di lui. «Quando cambiano i re, cambia anche il destino delle armi.»

Geirmund si girò a guardarlo. Il poeta aveva già la barba bianca al suo primo arrivo ad Avaldsnes, e da allora erano passate quattordici estati. Ma gli occhi acquosi e il sorriso svagato erano un inganno. Invece di offuscargli la mente, l’età gli aveva affinato l’astuzia e l’intelligenza, e niente sfuggiva mai alla sua attenzione. Geirmund gli era affezionato, e avrebbe ringraziato in eterno gli dei per averlo condotto nella dimora di suo padre.

«E qual è la tua previsione sul nuovo destino?» gli domandò.

«Non sono un indovino», rispose Bragi, «ma la guerra è come l’agricoltura. Quando arriva l’inverno, né re né schiavi possono pretendere di raccogliere altro da ciò che hanno seminato d’estate.»

«Lo credi davvero?» Geirmund finì la carne di maiale che aveva nel piatto, e con un pezzo di pane di segale ne raccolse il sugo, che sapeva di ghiande e del terriccio oscuro della foresta. «Le guerre raggiungono i re anche senza invito.»

«Questo è vero.» Bragi bevve un sorso di birra. «Neanche le gramigne vengono invitate. Ma un contadino esperto sa come impedire che distruggano il raccolto.»

«E le inondazioni? O le carestie?»

«Ah. Ma tu parli degli dei. Del fato.»

«E come si impedisce il compiersi del destino?»

«Il codardo crede di vivere in eterno evitando le battaglie, ma la morte non dà tregua a nessuno.» Bragi gli posò una mano sulla spalla. «Quando vedi chiaro il tuo destino, non resta che andargli incontro.»

Geirmund rise, e la serata proseguì. Gli ospiti svuotavano i vassoi di carne con la stessa rapidità con cui venivano serviti, la birra e l’idromele scorrevano a fiumi nelle gole e sulle barbe, ma presto venne il momento dell’udienza privata. Il re si alzò da tavola e si avviò verso la sala del consiglio, seguito dalla moglie, da Guthrum e da Hámund. Geirmund stava per avviarsi con loro, ma Bragi lo trattenne per un braccio.

«Quand’ero più giovane», disse, guardando il gruppetto che si allontanava, «anch’io venivo incluso nelle consultazioni.»

Giovane Geirmund lo era ancora, ed era ansioso di partecipare. «Vuoi che chieda a mio padre di...»

«Nemmeno per sogno.» Bragi gli lasciò il braccio. «Un tempo certe faccende mi interessavano. Adesso non più.»

Geirmund aggrottò la fronte. «Ma allora cosa...»

«Vieni a cercarmi domattina. Al tumulo di tuo nonno. All’alba.»

«A cercarti?» Geirmund scosse la testa. «Non capisco.»

«Non è difficile», rispose il vecchio. «Voglio parlarti, ma non subito. Ho qualcosa da darti, ma non qui. E desidero farlo davanti al tumulo di tuo nonno. All’alba.»

Lui annuì, confuso. «D’accordo, allora... Ci sarò.»

«Bene.» Bragi lo liquidò con un gesto. «E ora va’ a parlare del destino.»

Geirmund si congedò, provando un misto di sconcerto, preoccupazione e curiosità, e raggiunse la sala del consiglio. Era pronto a protestare nel caso in cui suo padre avesse cercato di scacciarlo, ma non fu necessario. Seduto al capo opposto del tavolo rispetto al re, Guthrum stava parlando quando lui entrò nella sala, ma al suo arrivo si interruppe.

«Non volevo disturbare», disse lui.

«Non hai motivo di scusarti», replicò Guthrum. «Vieni, unisciti a noi. Ciò che ho da dire dovrebbero sentirlo entrambi i figli del re.»

Geirmund prese posto accanto a sua madre e di fronte al fratello, poi suo padre chiese al danese di proseguire.

L’ospite tese una mano per afferrare la sua birra, ma doveva trattarsi di un gesto dettato dall’abitudine, perché sul tavolo non c’era niente, perciò lui si limitò ad appoggiare le dita aperte sulla tovaglia di lino. «A quanto sembra la ragione che mi ha spinto qui non è un segreto per nessuno», disse. «Sono venuto a parlarvi dell’Inghilterra. Là i danesi con pochi uomini del Nord hanno riportato grandi vittorie sui sassoni in Northumbria. Halfdan Ragnarsson ha espugnato Jorvik, e da lì ha appena conquistato l’Anglia orientale. Presto occuperà la Mercia, e a quel punto resterà da affrontare solo il Wessex.»

«La notizia delle vostre vittorie è giunta anche qui, naturalmente», commentò il re.

«Mercia e Wessex non cadranno facilmente», riprese Guthrum. «Il Wessex è governato da un uomo di polso, chiamato Æthelred. Per questo il mio sovrano, Bersi, sta radunando una flotta, la più grande mai vista, per unirsi ai danesi di Jorvik. Insieme, le forze di Bersi e di Halfdan conquisteranno l’intero territorio sassone, compreso il Wessex.» Puntò lo sguardo su Hámund e poi su Geirmund. «I guerrieri del Rogaland che verranno con noi avranno fama, ricchezze e terre.»

Esattamente quello a cui aspirava Geirmund. Se Avaldsnes era destinata a Hámund, lui doveva trovarsi altre terre e campi, o sarebbe rimasto a mani vuote. Ma sapeva che Guthrum non si sarebbe accontentato della sua spada. Da un figlio di Hjörr ci si aspettava che partisse per la guerra con una propria nave e un intero equipaggio pronto a combattere al suo fianco. Tuttavia il giovane temeva che un intervento troppo affrettato potesse offrire a suo padre il pretesto per escluderlo dalla trattativa. Così restò in attesa del suo momento.

«Conosco la forza della Mercia e del Wessex, e le ricchezze che si possono accumulare con il saccheggio.» Re Hjörr abbracciò la sala con un gesto. «Tutto qui è stato costruito con l’argento delle razzie compiute a Est, nelle terre dei Kur e dei Finni.»

«Le gesta di Half e dei suoi guerrieri sono celebri», fece Guthrum. «La reputazione di tuo padre è ben nota tra i danesi.»

Geirmund drizzò le spalle e alzò la testa per l’orgoglio.

«Quelle gesta però risalgono a molti anni fa», riprese il re, «e appartengono a un altro tempo. Voi ora non parlate solo di un bottino d’oro e d’argento. Parlate di corone. E sappiamo entrambi che se tutti i regni sassoni cadessero nelle mani di Bersi e di Halfdan, saranno le teste danesi a portare le corone d’Inghilterra. Non quelle degli uomini del Nord.»

«Corri troppo, mio re.» Guthrum sciolse le braccia e alzò le mani, facendo brillare gli anelli che portava alle dita. «Bersi e Halfdan sono uomini d’onore, e sanno tributare il giusto compenso sia a chi combatte e sopravvive alla battaglia sia a chi cade sul campo. Ci saranno terre e argento sufficienti a ripagarti di quanto offrirai alla flotta di Bersi. Hai la mia parola.»

«E se in Mercia e in Wessex i danesi non riuscissero a piegare i sassoni?» obiettò Hjörr. «In quel caso gli sconfitti resteranno a litigarsi il Northumbria e le paludi dell’Anglia, non credi?»

«Il tuo scetticismo è un insulto per tutti i danesi.» Guthrum aveva serrato la mandibola, ma mantenne il contegno. «Noi vinceremo.»

«È possibile.» Il re ci rifletté un momento. «Forse persino probabile. Ma il Rogaland non manderà navi e guerrieri ad aiutarvi. Ci servono qui.»

«E per cosa?» L’espressione di Guthrum si indurì e il suo tono diventò caustico. «A fare la guardia ai pesci e alle pecore? O magari ai moli, dove svuotate le tasche agli equipaggi costretti a fermarsi per riparare le navi?» Gli puntò contro il dito. «I tuoi imbrogli sono sotto gli occhi di tutti.»

Geirmund si domandò come avrebbe reagito suo padre, ma fu Hámund a rispondere per lui. «Come pure la tua insolenza, jarl Guthrum. Devo ricordarti che qui sei ospite di mio padre?»

«Non l’ho dimenticato», ribatté lui. «Ma non potevo ignorare la mancanza di rispetto di tuo padre nei confronti di tutti i danesi.»

Se l’improvvisa ostilità di Guthrum l’aveva irritato, Hjörr non lo diede a vedere, conservando la calma sia nella voce sia nell’atteggiamento. «Gira voce che Harald di Sogn intenda muovere guerra ai re della Norðrvegr. Per questo devo respingere l’appello di Bersi a unirmi alla sua flotta. Il Rogaland non può privarsi di navi o guerrieri finché questa minaccia sulle nostre terre incombe.»

«Ah, certo», fece Guthrum. «Re Harald vorrà l’Avaldsnes per gli stessi motivi che hanno reso potenti tuo padre e tuo nonno.» Inarcò le sopracciglia e addolcì la voce, assumendo un tono di falsa solidarietà. «Ma tu cosa farai? Per proteggere le tue terre dovrai scendere in guerra. E attaccare per primo, perché procrastinando rischi che Harald diventi abbastanza forte da sconfiggerti.»

Si diceva che Styrbjorn avesse proposto una strategia analoga durante la sua visita all’inizio dell’inverno, ma Geirmund non ne aveva più sentito parlare dopo quella conversazione con Eivor, e sapeva che re Hjörr avrebbe dichiarato guerra solo se provocato. Ora, ascoltando Guthrum, ripensò alle parole di Bragi sul raccolto e le gramigne, e si chiese se il danese non avesse ragione.

«Di sicuro non puoi più procrastinare», disse Guthrum.

La regina si schiarì la voce. «Con tutto il rispetto, per quale motivo dovremmo seguire i consigli di un danese? Queste non sono le vostre terre o la vostra gente, e non è a voi che Harald intende muovere guerra.»

«Sono danese, questo è vero.» Guthrum si alzò e piantò i pugni sul tavolo, sporgendosi in avanti. «Ma nelle nostre dimore noi non ci siamo rammolliti. La guerra ci è fin troppo familiare. La morte di re Horik ha rinfocolato vecchi rancori e antiche ambizioni, e molto sangue è stato versato.» Già solo il ricordo lo fece tremare di una rabbia che lui non si sforzò minimamente di nascondere. «Da quindici estati non conosco altro che guerra. Per questo vado in Inghilterra. Se guerra deve essere, allora preferisco uccidere i sassoni. Se devo combattere, allora voglio farlo per garantire terre e pace durature ai miei figli e ai figli dei miei figli.»

«Ammiro i tuoi intenti.» Il padre di Geirmund si alzò a sua volta in piedi, composto e rigido come un menhir. «Anch’io desidero le stesse cose. Voglio lasciare ai miei figli e ai miei nipoti un Rogaland forte e duraturo. Per questo i miei uomini e le mie navi non parteciperanno alla vostra spedizione.»

«E se Harald vi sconfigge?» ribatté Guthrum. «Che cosa lascerai ai tuoi figli se lui si prende il Rogaland?»

Geirmund si aspettava che suo padre respingesse anche solo l’ipotesi di una vittoria di Harald, invece restò zitto, e lui si domandò che genere di accordo fosse stato stipulato tra l’Avaldsnes al nord e Stavanger a sud. Guardò sua madre, che fissava il marito come se anche lei attendesse una risposta. Davanti al suo silenzio fu lei a rivolgersi a Guthrum.

«Mi sembrava di averti già detto che Harald non è affar tuo o dei danesi.»

Lui scosse la testa. «Danneggiate i vostri figli...»

«Sta a me decidere cos’è meglio per loro!» sbottò infine Hjörr, giunto al limite della sopportazione. «Non a un danese senza terra e con la smania di combattere.»

Guthrum batté un pugno sul tavolo, e d’istinto Geirmund scattò in piedi, pronto allo scontro. Anche Hámund si alzò, come pure sua madre, con la mano già appoggiata sul pugnale che teneva infilato nella cintura. Ma quasi subito il danese arretrò, e alzò le mani.

«Perdonate il mio caratteraccio», disse, ancora paonazzo per l’agitazione ma con l’aria di mordersi la lingua. «Sono venuto per stringere alleanze, non per crearmi nuovi nemici.»

«Noi non siamo nemici dei danesi», replicò Ljufvina. «E il nostro rifiuto di fornire uomini e navi non dovrebbe renderci tali.»

Guthrum chinò la testa sul petto. «Temo che re Bersi la vedrà diversamente, mia regina. Prenderà il vostro rifiuto come un insulto. Spero siate preparati ad affrontare le conseguenze, con Harald al nord e Bersi al sud.»

Geirmund vide Hámund contrarre i muscoli e stringere i pugni, e ne avvertì la rabbia contro il danese, ma si accorse con sorpresa di non condividerla. Per quanto gli era dato di capire, il danese non aveva cercato di ingannarli. A Bersi servivano navi, e Guthrum stava semplicemente obbedendo agli ordini del suo sovrano. Se fosse toccato a lui svolgere un compito simile in rappresentanza del Rogaland, probabilmente si sarebbe comportato allo stesso modo. Senza contare che era d’accordo con lui sul fatto che la decisione di suo padre lo danneggiava, impedendogli di partire per l’Inghilterra.

«Jarl Guthrum, stai mettendo a dura prova la mia ospitalità.» Il re aveva ritrovato la calma, ma adesso era la calma velenosa di una vipera che si prepara al morso. «Bersi sapeva che in nome suo avresti minacciato un re della Norðrvegr?»

Il danese scoppiò a ridere. «Se incontri un viandante che ti avverte dei pericoli in agguato lungo la strada, la consideri una minaccia? Io non credo. C’è una differenza tra minaccia e avvertimento, e il mio sovrano non mi avrebbe mandato qui se non si fidasse a lasciarmi a parlare in suo nome. Comunque non metterò più a dura prova la tua ospitalità. Mi hai dato la tua risposta, ed è evidente che non cambierai idea. Questa notte io e i miei uomini dormiremo a bordo della nostra nave. Salperemo da Avaldsnes domattina.»

«In quale direzione?» domandò Hámund.

«Perché?» Il danese sogghignò. «Temi che vada direttamente a Sogn? Ti stai chiedendo se Harald accoglierà l’appello di re Bersi?» Si stirò la barba con le dita, fingendo di riflettere. «Fammici pensare. Se Harald invia un contingente in Inghilterra per dare manforte ai danesi, avrà meno guerrieri per attaccare il Rogaland.» Fece una pausa. «Per contro, con l’argento razziato ai sassoni potrebbe comprarsi abbastanza uomini e navi da conquistare tutta la Norðrvegr.»

«Mio figlio l’ha chiesto solo per informarti delle maree», puntualizzò Hjörr. «Quanto alla tua rotta, non dubito che seguirete quella ordinata dal tuo re: a noi non serve sapere altro.»

Guthrum gli rivolse un inchino, ma c’era dell’ironia nel suo gesto. «Infatti: e io obbedirò agli ordini.» Poi si rivolse a Hámund. «Tornerò a sud, Pellaccia-di-Hel. Ho già fatto tappa ad Agðir prima di venire qui e, come tuo padre, anche Kjötve teme le mire di Harald di Sogn. Sarebbe inutile proseguire il viaggio per l’Hordaland fino a quando le genti del Nord non ritroveranno il coraggio dei loro padri. L’uomo che ho incontrato qui non è il figlio di Half.»

Ciò detto, prima che qualcuno potesse ribattere, voltò le spalle, lasciando a passi decisi la sala del consiglio. Hámund lo seguì, e un attimo dopo si sentì la voce del danese sbraitare ai suoi uomini l’ordine di sbaraccare. Loro dovettero obbedire all’istante, perché nel giro di poco Hámund tornò ad avvertire che se n’erano andati.

«È il caso di mandare qualcuno a tenerne d’occhio la nave?» domandò Ljufvina.

Il re, ancora in piedi, si appoggiò al tavolo con una mano e si fermò a riflettere. «Due uomini, come precauzione», sentenziò alla fine. «Se ne mandassimo di più correremmo il rischio di irritarlo ulteriormente, e lui non avrebbe scrupolo a vendicarsi, provocando disordini.»

«Ci pensi tu, Hámund?» chiese la regina.

Lui si girò per uscire di nuovo.

«Aspetta», lo trattenne Geirmund. Aveva bisogno del suo sostegno per ciò che stava per chiedere.

Hámund si fermò e si voltò, rimanendo in attesa di quanto aveva da dire il gemello. Poi sembrò capire cosa intendeva Geirmund e abbassò la voce. «No, non è un buon momento.»

«Mi hai dato la tua parola», ribatté lui.

Ljufvina si avvicinò. «Un buon momento per cosa?»

«Niente», tagliò corto Hámund, a fronte corrugata, scoccando uno sguardo eloquente al fratello. «Giusto?»

Il mare interiore di Geirmund era agitato dalla tempesta, la sua mente sbatacchiata da ondate e folate di dubbi, ma ormai lui aveva stabilito la rotta e scelto una destinazione, perciò non si lasciò sviare. «Partirò con Guthrum», annunciò a gran voce. «Mi unirò a Bersi e andrò in Inghilterra.»

Hámund chiuse gli occhi e abbandonò le braccia lungo i fianchi, mentre i genitori di Geirmund restavano ammutoliti a fissarlo. Infine il re scrollò la testa e guardò sua moglie, a bocca socchiusa per l’incredulità. «Le mie orecchie mi ingannano?» domandò.

«Geirmund», intervenne Ljufvina, in tono sommesso e sfinito, «hai bevuto troppa birra. Ne riparliamo domattina.»

«No», ribatté lui. «Non ho bevuto troppo. E andrò in Inghilterra, dove conquisterò terre sassoni per...»

«Tu non vai da nessuna parte», lo interruppe Hjörr. «Tranne che a letto, come il bambino che sei.»

«Padre, sono un uomo, e so pensare con la mia testa, anche se i miei pensieri sono diversi dai tuoi.» Geirmund abbracciò la sala con un gesto. «Sai bene che qui niente mi appartiene. A che scopo restare? Tu non ti fidi di me, non mi hai mai assegnato alcun compito, nessun incarico, nessuna responsabilità...»

«Posso incaricarti delle funzioni che hai dimostrato di saper svolgere», ribatté il re. «Se vuoi di più, devi darmi la prova che...»

«Non voglio più sottostare ai tuoi ordini. E sono stufo di dover sempre dimostrare qualcosa. Adesso devo andare incontro al mio destino.»

«E come?» chiese sua madre.

«Con una nave. Ho già radunato un equipaggio pronto a seguirmi. Non chiedo altro. Soltanto una nave.» Geirmund deglutì a fatica e rivolse un’occhiata al fratello, che ora fissava risolutamente il pavimento. «Hámund è d’accordo con me. E forse anche lui sceglierà di seguirmi in Inghilterra.»

Il re si girò verso il suo erede a occhi sgranati. «È vero?»

Hámund rialzò il capo, guardando prima suo padre, poi suo fratello. Ma infine tornò a scrutare il pavimento, e Geirmund sentì gelarsi il cuore.

«È vero, ero d’accordo con lui», rispose Hámund. «Geirmund merita l’occasione di seguire il suo destino. So che il Rogaland ha bisogno di difendersi, padre, ma pensavo che avremmo potuto fare a meno di una nave.» Alzò gli occhi sulla madre. «Ma adesso che ho incontrato Guthrum, ho cambiato idea. Quell’uomo ti ha insultato, padre, e ha minacciato il nostro regno. E io mi rifiuto di cedere a lui e ai danesi la minima parte di quanto appartiene al Rogaland, soprattutto il servizio di mio fratello.»

La regina sospirò e annuì, come per ringraziarlo.

«Sei saggio, Hámund», disse Hjörr. «A differenza di tuo fratello. Non avrai né navi né uomini, Geirmund. La questione è chiusa.»

Non lo era per niente, ma sul momento il giovane era troppo allibito dal tradimento del gemello per ritrovare la voce. Restò impalato, in un silenzio attonito. Poi la rabbia cominciò a montargli dentro, e lui comprese che sarebbe sfociata in violenze terribili se fosse rimasto in quella stanza. «Hai violato un giuramento, Hámund», sibilò, e poi gridò: «Guardami, codardo!»

Hámund sussultò e alzò la testa.

«Dopo tutto ciò che abbiamo passato insieme...» Geirmund puntò un dito contro il re e la regina. «Dopo tutto ciò che ci hanno fatto, adesso mi volti le spalle e ti schieri con loro?»

«Fratello, io...»

«Non osare chiamarmi così. Noi non siamo più fratelli.»

Ljufvina restò senza fiato. «Geirmund, come puoi dire una cosa simile!»

«È la verità.» Poi ruotò di scatto verso di lei. «E tu non sei mai stata mia madre.»

A quelle parole Hjörr ululò di rabbia e lo caricò, a pugno alzato, ma lui schivò facilmente il colpo. A quel punto avrebbe potuto colpirlo, invece arretrò. La regina aveva cominciato a piangere, e tremando tendeva le mani verso di lui, ma il marito si avvicinò a trattenerla. Hámund non si era mosso, ma fissava suo fratello con un odio ben superiore a quello manifestato a Guthrum.

«Ora so che tutto questo era inevitabile», concluse Geirmund. «Sono stato uno sciocco a sperare in qualcosa di diverso. Il destino mi aveva reso figlio di una schiava, poi ha stabilito che fossi il secondogenito di un re. Ora andrò a scoprire che cos’ha in serbo per me in Inghilterra.»

Poi, come Guthrum, lasciò la sala senza attendere una risposta.