Una fine (Unplagged)

“Dammi una dramma di veleno efficace,

violento, che si spanda per le vene rapido

come il desiderio del disperato che l’ingoia,

e cacci la vita dal corpo con la celerità con

cui scoppia la polvere accesa.

(William Shakespeare, Giulietta e Romeo)

 

“Ciao. Allora, eccomi qua. È tutto pronto. La jeep ci aspetta dietro il cimitero dopo l’ultimo pattugliamento delle otto. Sono russi, hanno voluto tutti i soldi subito. Ma chissenefrega, entro domattina saremo da mio zio. Vedrai, non gli ci vorrà niente a trovarmi un cazzo di posto ai mercati.”

“Non dire parolacce.”

“Non dire parolacce? Ma non sei contenta?”

“Sì, sono contenta, però...”

“Però cosa? Perché sei ancora a letto? Dov’è la sedia?

“È a riparare. Sono partiti due raggi.”

“Chissà dove la trovano adesso, una ruota.”

“Senti Zarco...”

“Non ce la faranno mai per stasera.”

“Zarco. Ti devo parlare.”

“Va bene, non importa, la rimedieremo a Belgrado una merdosa sedia a rotelle.”

“Zarco, ascoltami.”

“Ma che hai? Sono venuti a trovarti i tuoi? La solita predica, sta’ lontana da quello eccetera?”

“…”

“Uuuh, arriva l’obiettore cetnico, che pauraa... È così?”

“…”

“Uuuh, eccolo il maiale cetnico, si salvi chi può...”

“Smettila! Sì, sono venuti i miei. Mio padre mi ha lasciato la sua pistola. Ha detto che se ti avvicini ancora ti devo sparare. Ma non è per questo che... È che io... io resto qui, Zarco.”

“Cos’hai detto? Cos’è, un gioco?”

“Ho l’aria di una che sta giocando?”

“Senti Mariana, la sedia non è un problema. Te l’ho detto, te ne daranno un’altra a Belgrado. La pistola poi può addirittura tornarci utile. Se invece è per i russi, be’, non so che farci, i francesi volevano il doppio e tu la mia paga sai bene qual è. Adesso fammi un po’ di posto.”

“…”

“…”

“Smettila di baciarmi. Lasciami le mani. Ti ho detto che non sto giocando. Io non vengo con te.”

“Porca puttana, prova almeno a spiegarti.”

“Sì, provo a spiegarmi, ma tu lasciami le mani e mettiti seduto da bravo in fondo al letto.”

“Sentiamo.”

“Zarco, io per te non provo niente. Cioè sì, un po’ di affetto e anche, certo, voglia di far sesso. Ma questo che significa? Quando in questa divisione di rottami mi sono vista arrivare un biondo in giubbotto di pelle disposto a coprirmi come una qualsiasi ragazza con le gambe a posto, che dovevo fare? Be’, mi ci sono buttata, certo. Non dico che non mi sia piaciuto. Ed è stato bello anche da parte tua avermi mostrato che... sì insomma, che non sono ancora morta. Sei stato gentile e io non ho resistito. Niente di più. Allah ci perdonerà.”

“Ma perché parli così? Cos’hai in mente? Io vengo qui e ti dico che finalmente possiamo andarcene, che stasera ci aspettano degli stronzissimi russi per tirarci fuori da questa merda, e tu?” ‘Sei stato gentile e io non ho resistito. Niente di più. Allah ci perdonerà.’ Ma quando mai ti è fregato qualcosa di Allah?”

“Tu non puoi capire. Allah è grande.”

“Ah già, certo, non posso capire, non sono mica musulmano io, certo, certo, ma Allah è grande e perdonerà anche me, giusto? Oh cazzo, Mariana.”

“Smettila di dire parolacce.”

“Anche questa delle parolacce, adesso. Le abbiamo sempre dette le parolacce. La vita è piena di stronzi e cazzi, come si fa a non nominarli? Non hai mai avuto niente contro le parolacce, come non ti è mai fregato di Allah. Mariana, ascoltami. Ti hanno iniettato Dio nell’orecchio, è la loro ultima speranza. Ti riempiono di religione, anche se tu di religione non sai che fartene. È cera che cola all’interno e non ti fa sentire nulla. Resti chiusa lì dentro, non ascolti i più, non senti più. Ti incattivisci, sola col tuo Dio, insieme agli altri soli col loro Dio. Lo chiamano integralismo, ti dice qualcosa? Ormai è arrivato anche da noi, un’altra buona ragione per filarcela. Tra poco cominceranno a tagliare mani. Con lo chador, in sedia a rotelle, non saresti diciamo... proprio un incanto. Invece così sei bellissima.”

“Perché ti ostini a fare lo stupido? Forse non hai capito: ti ho ingannato, Zarco, io non ti amo. La religione non c’entra. Sì, è vero, prima non leggevo il Corano, ma non è stato il Corano a dirmi cosa provo per te. Semmai mi ha aiutato a trovare il coraggio per parlarti. Anch’io sto male, non vedi? Ma mi piace poter dire qualcosa a un certo punto, che ho scelto io come punto in cui dire qualcosa. È bello poter intervenire nel corso delle cose, e dire sì, dire no, dire basta. L’amore è un’opinione, ci si può anche sbagliare qualche volta. E allora è giusto non fare ciò che si ha voglia di fare.”

“Allora vedi che vorresti venire?”

“Non ho detto questo. Ho voglia di stare ancora a parlarti, ma tu devi andare.”

“Io senza di te non vado proprio da nessuna parte.

“Oh sì, invece.”

“Mariana, tesoro, cosa ti hanno fatto? E come sono riusciti a fartelo da un giorno all’altro? Lassù, oltre quelle montagne, c’è la vita, la nostra vita. Nostra, capisci? Ci appartiene. Una notte in jeep coi russi e ce la riprendiamo. Ti sussurrerò le canzoni degli U2 nell’orecchio, ti massaggerò le gambe. Vedrai, non sentirai freddo.”

“Mi hanno cresciuta con la certezza che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Evidentemente i miei sapevano dall’inizio, se lo sentivano, e io ho fatto mia questa certezza: ignoravo quando, ma sapevo che sarebbe arrivato.”

“E qual è questo momento?”

“Il risveglio. Avevamo perso la testa, c’eravamo lasciati andare. Io per prima. Ora però è tornata la luce e vedo tutto molto bene.”

“Cazzo, ‘È tornata la luce, vedo tutto molto bene’, dev’essere l’effetto dei sedativi, continui a parlare come un profeta. Mi sembri di un pianeta lontano, sacro, molto sacro, con tutte le sue cose a posto, gli alberi sacri e gli animali sacri e i cannoni sacri e niente più schegge di granata nella schiena. Poi ti guardo e riconosco i tuoi occhi.”

“…”

“Scusami. Non volevo farti piangere.”

“…”

“Su, asciugati. Se no piango anch’io. Sarò pure un obiettore, ma mettermi a fare la signorina mi sembra troppo.”

“Dammi la padella, mi scoppia la vescica.”

“Ah, ora sì che ragioniamo. Arriva subito la padella.. Ecco... Va bene così? Più sotto?”

“No, zitto, va bene così.”

“Uuh, che rumorino! Senti come gorgoglia.”

“Dai, scemo. La carta.”

“Ecco, arriva subito la carta. Togliamo prima la padella... sì, così... Vuoi che te l’asciughi io?”

“Stronzo.”

“Oh, finalmente una parolaccia. Cominciavo a preoccuparmi. Vedi che stai tornando lucida?”

“Zarco, io sono lucida. Ma non può funzionare. Mi dispiace, da qui non mi muovo.”

“Ah, ma allora sei proprio cocciuta. Non continuerai mica con la menata del risveglio? Mi sono rotto di queste puttanate. Qua siamo tutti sin troppo svegli. Guardami negli occhi e parla con me senza puttanate.”

“D’accordo. Siediti di nuovo qui. Ricominciamo d’accapo. Stavolta però parlo sul serio. Promettimi che mi crederai. Puoi non ascoltarmi e andartene subito, ma non puoi dissuadermi. Purtroppo non c’è speranza che cambi idea.”

“…”

“Fino a questo momento è andato tutto bene. Ogni giorno ho aspettato che il tuo ciuffo comparisse da quella porta. E ogni giorno il tuo ciuffo è arrivato, con te dietro e il tuo puzzo di sigarette russe e il tuo giubbotto di pelle e tutto il resto. Fino a questo momento è andato tutto bene. Certo, sarebbe stato bello che ti fossi fatto la barba più spesso, ma insomma...”

“Me la farò tutti i giorni... Due volte al giorno.”

“Dai, scemo, non mi interrompere. Faccio fatica... Insomma, questa per me si chiama perfezione, si chiama felicità, e io so che la felicità non dura a lungo, so che la perfezione è fatta per guastarsi. È il primo giorno in cui mi sento sollevata. Sono sempre stata in ansia, solo oggi posso dire di essere veramente tranquilla perché so che il guasto è arrivato e non devo più preoccuparmi.”

“…”

“Non guardarmi con quegli occhi. È un sollievo poter smettere di pensare fino a qui tutto liscio. Oddio, vedrà le mie gambe. E l’indomani tutto liscio. Oddio, chissà se sentirò qualcosa quando lo faremo. E l’indomani tutto liscio.”

“Anche domani andrà tutto liscio. Vedrai Mariana, mio zio mi procurerà un posto ai mercati. A Belgrado troveremo i medici giusti. Ti rimetteranno in piedi. Tornerai a giocare a pallacanestro.”

“Povero Zarco. Vedi che mi vorresti miracolata? Sai bene che a Belgrado non possono fare niente per le mie gambe, esattamente come qui. Ma tu sogni, prometti, e così soffri.”

“Ma chi soffre? A me basta averti vicina. Sei tu che parli di perfezioni, di guasti. Io ti voglio come sei.”

“Sì, tu mi vuoi come sono. Adesso. Qui. Bosniaca. Invalida. In ospedale bosniaco. Tu crocerossino, io vittima: la perfezione. Ma domani? Fuori di qui. Lontano. Belgrado Tokyo Stoccolma, non importa dove. Tu disoccupato, io profuga. Musulmana. Storpia...”

“Tu non sei storpia. Le tue gambe sono belle. C’è ancora quella cicatrice, ma se ne andrà presto. Che poi sull’interno coscia non si vede neanche. Sono gambe di atleta. A riposo, ma gambe di atleta. E sopra ci sei tu. Che se permetti non sei da buttar via. Hai anche un naso, una bocca, due occhi, un modo tutto tuo di stringerli quando sorridi. Hai un paio di tettine niente male. È poi, sì, è vero, anche certe fisse... Ti ricordi quando ti hanno portata qui com’eri incazzata perché non ti davano un assorbente? Ti ricordi? Perdevi sangue da tutte le parti, dalla gamba, dalla schiena, da tutte le parti, e continuavi a gridare che avevi le mestruazioni e che volevi un assorbente! Da non credere.”

“Zarco, come faccio a spiegarmi se continui a dire stronzate?”

“Questa sei tu, non sono stronzate. Ti sto dicendo che ce la faremo.”

“Sta zitto e ascoltami. Prova a pensarti un po’ più in là dell’immediato. Sii adulto. Pensa a noi due tra un po’ di tempo, sarebbe un disastro. Tu puoi fare ancora mille cose da solo. Sai arrangiarti. Ti troverai una brava serba, speriamo che abbia almeno le caviglie grosse. Ti darà una bella ripulita. Oh sì, ti toglierà di dosso quel giubbotto puzzolente, ti taglierà i capelli, farete figli serbi, sarete sani come pesci serbi.”

“Perché sei così cattiva? Cosa c’entrano i pesci serbi adesso?”

“Scusami. Lascia perdere i pesci serbi. È che sento... sento di non poterti dare nulla, mi sento vuota, finita. Ti ricordi quelle sculture create dal vento?”

“Il documentario sul deserto?”

“Sì, il documentario. Ecco, mi sento così. Un involucro di sabbia pronto a sfarinarsi sotto il primo polpastrello. Tu non puoi fare più di ciò che hai fatto. Meglio di così non potresti essere, te l’assicuro. Ma non funzionerebbe. Sarebbe un disastro. Non si può stare con un involucro di sabbia. E comunque non tu.”

“Credi che non mi sia accorto che sei delicata?”

“Non è questo.”

“E che cos’è allora?”

“Te l’ho detto. Non è la religione, non è mio padre, non è la scheggia di granata. Né le mie gambe morte. C’è qualcosa di sbagliato in questa nostra fuga. Non nella tua fuga, non nella mia fuga, ma nella nostra sì.”

“Avresti preferito partire uno dopo l’altro? Sarebbe costato il doppio. E poi, perché?”

“Possibile che non capisci? C’è un’idea qui a cui tu assomigli molto, me la sono coccolata per tutti questi mesi, un’idea che possiedo e che tu pensi di distruggere. Ma non ti basterà una brutta figura, Zarco. Le idee non si distruggono, tutt’al più si cambiano, e di certo non quella che mi sono fatta io di te.”

“Sto facendo brutta figura?”

“Continui a stare lì appoggiato, a prendermi la mano, e io sono tutta sudata, mi puzzano le ascelle e voglio cercare di spiegarmi.”

“Se vuoi ho delle salviettine profumate recuperate all’aeroporto.”

“Recuperate, eh?”

“Be’ sì, recuperate. Aspetta che ti aiuto.”

“No, lascia, faccio da sola.”

“Non posso più neanche accarezzarti?”

“…”

“Ecco, così va meglio. Mi piace accarezzarti, sei così liscia.”

“…”

“Posso mettermi vicino a te? Ho bisogno di ficcare la faccia nei tuoi capelli. Fammi un po’ di posto, ti prego.”

“…”

“Oh, Mariana, sei così bella. Perché vuoi lasciarmi?...”

“…”

“Quando mi hai detto della pistola di tuo padre, ho capito subito che le cose non andavano per il verso giusto...”

“Non parlare, adesso... alzami le gambe...”

“…”

“Bravo, così. Non pensare a niente. Baciami... sì, così...”

“…”

“Toccami, Zarco...”

“…”

“...Che c’è?”

“...Non ci riesco. Ho paura.”

“Vuoi che ti aiuti?”

“...Ho paura.”

“Aspetta, mettiti in ginocchio, qui, sopra di me, che ti aiuto.”

“No, non ci riesco. Mariana, ho paura.”

“Va bene, non importa.”

“Ho paura di perderti. Tu mi dici di non pensare a niente, ma a me continua a venire in mente la jeep coi russi.”

“Ti ho detto che non importa. Non piangere adesso.”

“Alle otto, dopo l’ultimo pattugliamento.”

“Smettila di piangere. Possiamo anche non farlo. To’, prenditi un po’ di cuscino, stenditi vicino a me.”

“Sarebbe stato bellissimo. Alle otto dietro il cimitero.”

“Non puoi certo eccitarti se continui a frignare. Ci andrai, dietro il cimitero alle otto. Stai tranquillo, ci andrai.”

“No. Senza di te no.”

“Zarco, tu mi devi cancellare dalla tua mente. Devi essere forte.”

“…”

“Ho bisogno che tu sia forte, Zarco. Perché devo chiederti di fare una cosa. Una cosa importante.”

“Quello che vuoi.”

“Bravo. Mettiti qui buono, accanto a me. Tu mi devi cancellare dalla tua mente, lo dico per te.

Devi fare spazio per chi verrà dopo di me. Perché qualcuna dopo di me verrà, stanne certo. Adesso ti sembra impossibile. Dopo ti sembrerà assurdo il contrario. C’è un solo problema. Per questo ti chiedo di fare una cosa. E ho bisogno che tu sia forte.”

“…”

“Il problema è che non posso pensare di saperti lontano. Con un’altra. Non posso pensare di continuare a vivere, mentre c’è un’altra che ti spettina, ti prende in giro, ti passa la lingua su quei dentacci neri.”

“Non ci sarà nessun’altra.”

“Sì, invece. E io non posso pensare di continuare a vivere sapendolo... È questa la cosa che ti devo chiedere. La cosa importante.”

“Non capisco.”

“Uccidimi Zarco!”

“…”

“No. Non scappare così.”

“Lasciami. Devo guardarti da lontano per capire quanto sei matta.”

“Non sono matta, Zarco. Tu mi devi cancellare dalla tua mente. Ma prima devi cancellarmi dalla vita. E questo lo dico per me. Uccidimi Zarco, io da sola non sono capace, ma tu, se mi vuoi bene, mi devi uccidere. Non devi portarmi con te. Non devi lasciarmi qui. Mi devi uccidere. Uccidimi Zarco!”

“Metti via quella pistola.”

“No che non la metto via. Questa è la mia salvezza, è la prova di quanto ci tieni, a me. Se mi vuoi bene devi essere forte Zarco, e cancellarmi. Con questa.”

“Tu sei completamente andata.”

“No che non lo sono. E tu lo sai bene. Si vede da come mi guardi che hai capito che è l’unica possibilità che ci rimane.”

“…”

“La pistola è carica. Devi solo premere il grilletto e farai per me la cosa più importante della tua vita.”

“…”

“Tu sei matta.”

“Zarco. Tu sai che non sono matta. Sai che fuori, per noi due, sarebbe l’inferno. Sai che restare qui da sola, per me, sarebbe la condanna peggiore. E sai anche un’altra cosa.”

“…”

“Se fossi stata capace di farlo da sola non te l’avrei chiesto. Avrei aspettato che te ne fossi andato, ‘appena arrivo ti telefono!’ ‘sì, certo, telefonami...’ e mi sarei messa questa in bocca. Lo sai vero, che l’avrei fatto? Dimmi che lo sai.”

“...Sì, lo so. Ma sta’ ferma con quella pistola.”

“Ti prego, Zarco. Sii forte. Fallo!”

“Mi stai chiedendo...”

“Lo so cosa ti sto chiedendo. Adesso fallo.”

“…”

“…”

“Non pensavo puzzasse così tanto...”

“... È il grasso che ci mettono.”

“Non ne ho mai avuta una in mano prima d’ora. Sembra un pezzo di motore... Mariana, se tu vuoi andartene così, non sperare che io non ti segua.”

“Cioè?!”

“Cioè qui, di morti, ce ne saranno due.”

“Non dire stronzate. Non pensarlo neanche. Non puoi farlo!”

“Oh, sì che posso. Di certo non sarai tu a impedirmelo. Sono io che sparo, l’obiettore cetnico. Faccio un buco a te e poi ne faccio uno a me. Due buchi, Mariana, e festa finita.”

“Cerca di ragionare. Senza di me saresti libero. Mi faresti il più bel regalo del mondo, credimi, e poi salteresti sulla jeep dei russi. Ragiona, questo è quello che devi fare.”

“Sono stufo di ragionare. Ho una pistola in mano e te, qua davanti, che mi dici di farti un regalo, uno strano regalo. Lo ammetterai, no, che è uno strano regalo? E a me non interessa più nulla. Senza di te non faccio un passo fuori da questa stanza.”

“…”

“Già me li vedo quegli stronzi di russi stanotte. Brinderanno alla nostra salute. Che sbronza colossale. Tutti quei soldi... Machissenefrega. Tanto io manco ce l’avevo lo zio a Belgrado.”

“Cosa? Che figlio di puttana...”

“Già già.”

“... Zarco, amore mio...”

“Sì, Mariana.”

“Sei sicuro di volerlo fare?”

“Sono sicuro di non volere nient’altro.”

“Aspetta. Pensaci. Io l’ho fatto a lungo.”

“Ah, lo so che l’hai fatto a lungo. Non sarà mica un caso se tuo padre ha deciso di portarti la pistola proprio oggi. Ma qui c’è poco da pensare, non ho molta scelta. Non vuoi venire tu con me? Be’, vengo io con te.”

“Avrai rimpianti? Eh, Zarco? Vero che ne avrai?”

“Non lo so. Non so se i morti hanno rimpianti. Sarò con te. No, non avrò rimpianti... E adesso toglimi la sicura e basta con le domande.”

“…”

“... Ho solo paura di non riuscire a farlo da solo. Ho paura di non esserne capace. Anch’io vorrei che lo facessi tu.”

“…”

“Vieni a letto.”

“…”

“No. Resta vestito, voglio sentire l’odore del tuo giubbotto. Togliti solo gli anfibi.”

“...Cosa vuoi fare?”

“Mettiti dietro di me.”

“C’è già il colpo in canna?”

“Sì, non ti preoccupare, è tutto pronto. Mettimi sul fianco e avvicinati. Stammi attaccato. Sì, così, col petto sulla schiena, bravo... Stretto stretto, anche lì sotto.”

“…”

“Toccami.”

“…”

“Tienimi stretta... Spingi.”

“...Non ci riesco... Ho troppa paura.”

“...Non fa niente. Basta che mi tieni stretta...”

“Che bella calda che sei. Stiamo bene al calduccio, noi due, vero?”

“Sì, stiamo bene... Scusami per le cose che ti ho detto prima,

“Quali cose?”

“Quelle di coprirmi come una ragazza qualsiasi e tutto il resto. Ti ho trattato come un cane. Scusami.”

“Avevo già dimenticato tutto. C’è solo questo pezzo di ferro unto... vorrei sbarazzarmene”

“Non disprezzarla, è la nostra salvezza. Lo sai, vero, che è la nostra salvezza?”

“…”

“Zarco?”

“Sì, lo so.”

“Bravo. Adesso impugnala bene. Premila qui, sotto il seno. Lo faremo insieme. Arriverà fino a te.”

“Sei sicura?”

“Sono o non sono un involucro di sabbia?”

“Non credo di riuscire a tenerla ferma, ho troppa paura.”

“Non preoccuparti, io la reggo per la canna così non scappa.”

“Ti brucerai la mano.”

“Sai che grave.”

“Non voglio che ti bruci la mano.”

“Va bene, allora aspetta, la avvolgo con la coperta.”

“…”

“Ecco fatto. Così. Perfetto.”

“Perfetto?”

“Perfetto, sì. Spara amore. Adesso.”