Capitolo 16

«Ma è un sacco di cibo, nonna». Avery osservò le buste della spesa, in fila come soldati sul bancone della cucina.

Betty ridacchiò. «Sì, forse hai ragione. Dai, mettiamo tutto in frigo».

«Possiamo invitare Jack al pranzo di Natale?», fece Avery passando il tacchino a Betty. «Be’, sempre che non abbia altri piani, ma non credo, considerato che da queste parti non ha più parenti».

«Che vuoi dire?». Betty sistemò le cose nello scompartimento inferiore del frigo per fare spazio al tacchino.

«I nonni di Jack erano i proprietari della casa in cui vive adesso».

«I nonni di Jack?», ripeté Betty torva. «In quella casa ci hanno sempre abitato gli Spencer».

«Già. Dovevano essere i genitori della mamma di Jack. Mi ha raccontato che sua madre è cresciuta qui, mi ha persino mostrato la sua camera, che è ancora dipinta di rosa».

«Donna Spencer è la mamma di Jack?». Betty lasciò cadere la confezione di sedano nel cassetto delle verdure e si voltò verso Avery. «Sei sicura?»

«Conosci la mamma di Jack?»

«La conoscevo. Era una ragazza dolce; da adolescente faceva da babysitter ai miei figli l’estate, quando io lavoravo alle poste. Poi si sposò e si trasferì altrove. L’ultima volta che l’ho vista, era al secondo matrimonio». Betty frugò nella memoria. «Credo che avesse avuto un bambino dal secondo marito, ma sono venuti qui poche volte. E se non sbaglio, quel bambino si chiamava Johnny».

«Jack».

«Jack è Johnny?»

«Già. Credo che abbia cambiato nome in Afghanistan».

«È stato in Afghanistan?».

Avery fece di sì con la testa e passò a Betty un sacco di patate. «Mi ha detto che laggiù è stata piuttosto dura, ma a quanto sembra anche qui per lui è altrettanto dura. Ha degli incubi orribili, ed è questa la ragione per cui a volte preferisce fare i lavori di ristrutturazione di notte».

«Oh». Betty si ricordava ancora che Chuck faceva sempre brutti sogni dopo essere tornato dalla Corea, ma non aveva mai voluto raccontarle dell’esperienza vissuta lì. E pensare che anche Jack stava soffrendo! Ed era per quello che faceva rumore di notte, e tutti i vicini pensavano il peggio di lui. Scrollò il capo. «Povero ragazzo».

«Insomma, è stata sua madre a dargli la casa», continuò Avery.

«Donna gli ha dato la casa?»

«Sì, l’hanno ereditata lei e il fratello, ma suo fratello non l’ha voluta».

Betty si limitò a scuotere la testa. «Ancora non ci credo che Jack sia il nipote di Gladys e Al. Peccato che non me l’abbia detto prima».

Avery fece spallucce. «A quanto pare, non ne ha mai avuto l’occasione».

«Sono stata io a non dargli mai un’occasione».

Avevano finito di mettere a posto la spesa. «Credo che sia una bella idea invitare Jack per il pranzo di Natale», disse infine Betty. «E che ne dici se invitassimo anche i Gilmore, sempre che non siano impegnati? È ora che i vicini comincino a fare conoscenza».

«E possiamo cenare in sala da pranzo», propose Avery. «Useremo i piatti del servizio buono. Ci penso io a organizzare tutto…». Avery si fermò. «Ma lo senti, nonna?».

Betty smise di piegare il sacchetto di carta e si mise in ascolto. «Non ho più l’udito fine di una volta».

«Sembra proprio che ci sia qualcuno alla porta».

Betty infilò il sacchetto in un cassetto, poi vide Avery che sfrecciava fuori dalla cucina. «Nonna!», urlò. «Vieni, subito!».

Temendo che ci fosse un uomo armato alla porta, Betty si affrettò: vide Avery accovacciata per terra, con un cagnolino marrone che conosceva bene e che le stava leccando il viso.

«È Ralph!», esclamò Avery. «È tornato!».

Betty non riusciva a credere ai suoi occhi. Sembrava proprio Ralph. «Ma com’è possibile?»

«Ci ha trovato, nonna!». Avery prese il cane tra le braccia. «È tornato a casa!».

Betty rifletté. Voleva essere d’accordo con sua nipote e dire: “Sì, è tornato a casa, e tutto andrà bene”. Ma allo stesso tempo, era preoccupata. «Ma quelli del rifugio per animali mi avevano detto che era stato adottato, Avery».

«Forse non gli piacciono i suoi nuovi padroni».

Betty annuì. «Forse».

«Possiamo tenerlo?»

«Lo sai che voglio tenerlo, Avery. Ma se i suoi nuovi padroni lo stessero cercando, proprio ora? Sono sicura che hanno sborsato un bel gruzzolo per lui. Probabilmente doveva essere il regalo di Natale di qualcuno. E di sicuro registrano tutto, al rifugio…».

«Allora, cosa stai dicendo?»

«Sto dicendo che faremo meglio a chiamare il rifugio. Spiegherò ogni cosa, e chiederò se in qualche modo è possibile ricomprare Ralph dai suoi nuovi padroni. Quelli del rifugio si prendono cura degli animali e di sicuro capiranno che è stato Ralph a cercarci e a tornare da noi, non il contrario. Ralph è più che benvenuto a casa nostra, Avery, ma prima dobbiamo risolvere questa faccenda nel modo giusto».

Avery pareva delusa, ma disse di sì. Betty andò a telefonare al rifugio. Spiegò ogni cosa con cura, sin dall’inizio, da quando il cane si era presentato alla loro porta di sua spontanea volontà. «Sono sicura che i suoi nuovi padroni saranno in pensiero», terminò Betty. «Se conoscessi il loro numero di telefono potrei avvisarli». Betty decise di non rivelare l’intenzione di richiedere Ralph alla sua nuova famiglia, offrendo in cambio dei soldi.

«Capisco benissimo il suo problema», disse la donna dall’altro capo del telefono. «Oggi qui siamo un po’ a corto di personale. Ma se ciò servirà a riunire il cane alla sua nuova famiglia, non credo ci siano problemi se le do il nome e il numero di telefono del proprietario del cane».

«La ringrazio immensamente!».

La donna le diede i dati, Betty la ringraziò e riattaccò.

«Allora?». Avery attendeva impaziente.

Betty era lì impalata: prima fissò il cane, poi Avery.

«Che c’è, nonna?»

«Il padrone…». Betty scosse la testa. «È Jack».

«Il nostro Jack?».

Betty annuì.

Avery sospirò. «Oh».

«Non sapevo che Jack volesse quel cane».

«Non lo voleva».

«Be’, a essere onesti, nemmeno io». Betty sospirò. «Non all’inizio».

Avery era chiaramente delusa, ma si limitò ad annuire. «Bene. Riporterò Ralph a Jack. Prima devo scappare in bagno».

Betty si chinò su Ralph e gli accarezzò la testa. «Sei stato carino a venirci a salutare», disse. «Almeno siamo vicini. E sei sempre il benvenuto qui…».

Proprio in quel momento, qualcuno bussò forte alla porta. Betty aprì e vide che c’era Jack sulla soglia. «Entra, Jack».

Esitante, lui entrò. «Scusa se ti disturbo, Betty, ma sto, ehm, cercando…». Inarcò leggermente le sopracciglia quando notò il cane. «A quanto pare, Ralph ha deciso di fare un salto qui».

Betty annuì. «E io ho appena scoperto che adesso è il tuo cane».

Jack aveva un’espressione un po’ imbarazzata. «Non sopportavo il pensiero di saperlo al rifugio per animali».

«È un bravo cane».

Jack sorrise. «Sì, è bravo. Ma non sa ancora bene dove vive adesso».

A quel punto entrò Avery, con il parka e la borsa su un braccio. «Jack!».

«Avery!». Jack sembrava più felice di vederla di quanto non lo fosse lei. «Che ci fai qui?».

Balbettando, Avery gli spiegò che non era andata a casa, gli raccontò del suo nuovo lavoro e della decisione di restare in città. «A proposito, devo restituirti i soldi che mi hai prestato».

Lui la liquidò con un cenno di mano. «Non c’è problema, tu…».

«Assolutamente no», si affrettò a dire lei, infilando una mano in borsa. «Sto cercando di comportarmi da persona adulta e responsabile. Ricordi?». Gli contò i soldi sulla mano. «Scusa se ti do tutti questi spicci, ma sono le mance. E gli ultimi venti dollari, fidati, li ho usati per l’abbonamento dell’autobus».

«Bene, meglio che mi tolga dai piedi». Jack si chinò a prendere Ralph. «Scusate il disturbo».

«Nessun disturbo», Betty rispose prontamente. «Anzi, volevamo proprio invitarti al pranzo di Natale, domani».

«La nonna ha comprato il tacchino e tutto il resto». Avery sorrise. «E io farò lo sformato di zucca».

«Hai qualche impegno?», gli chiese Betty.

«No…».

«Allora ti aspettiamo alle due».

Jack annuì. «Va bene».

«E porta anche Ralph», disse Avery.

Jack ridacchiò. «Immagino che arriverà prima di me».