Capitolo 3

Un po’ prima delle sette di lunedì mattina, Betty si svegliò al rumore di qualcuno che stava provando a intrufolarsi in casa sua. Almeno, così le sembrò. Si alzò e si mise la vecchia vestaglia di ciniglia, poi allungò la mano verso il cordless e contemporaneamente s’infilò le ciabatte. Alcune persone, come la sua amica Marsha, sarebbero morte di spavento per una cosa del genere, ma Betty viveva da sola da così tanti anni che ormai aveva smesso di avere gli attacchi di panico. Inoltre, non facevano bene alla pressione.

Ma la porta a zanzariera sbatté ancora, e lei sapeva che c’era senza dubbio qualcuno sulla veranda. Così ciabattò fuori dalla camera da letto e sbirciò dallo spioncino dell’ingresso. Ma per quanto si sforzasse, non vedeva nessuno. Poi sentì una sorta di mugolio e capì che si trattava di un animale: forse un procione o un opossum, che spesso vagavano per il quartiere. Era consapevole che poteva essere pericoloso, perciò aprì cautamente la porta e subito agganciò bene la zanzariera prima di abbassare lo sguardo e rendersi conto che non era né un procione né un opossum: era di nuovo quel cane trasandato. Il meticcio di Jack Jones. Il cane si acquattò, mugolando, e nonostante Betty fosse amareggiata nei confronti del suo vicino, provò un pizzico di pietà per quel povero cagnetto, così sporco. Anche se a Betty i cani nemmeno piacevano.

«Va’ a casa, stupidino», disse. «Va’ a infastidire il tuo padrone».

Il cane si limitò a guaire.

Betty s’inginocchiò: solo la zanzariera la separava dal cane. «Va’ a casa!», ripeté. «Sciò!».

Ma il cane non si mosse di un millimetro. Adesso Betty non sapeva cosa fare, allora chiuse la porta e restò lì. Non aveva il numero di Jack, altrimenti l’avrebbe chiamato per lamentarsi. Ma non ce l’aveva. Sospettò che il cane fosse affamato e infreddolito, ma non aveva alcuna intenzione di far entrare quel bastardino in casa. Sembrava che si fosse rotolato nel fango, e lei aveva pulito i pavimenti sabato. Ma forse, se gli dava da mangiare, non faceva nulla di male. Chissà quando Jack l’aveva sfamato l’ultima volta.

Andò a dare un’occhiata nel frigo, cercando di capire cosa poteva gradire un cane affamato. Infine decise di dargli della carne. Prese qualche fetta di fesa di tacchino, poi sganciò la zanzariera e l’aprì quel poco che bastava per far passare la mano e lanciare l’affettato nel portico. Il cane si lanciò sulla fesa nel giro di pochi secondi.

Betty andò in camera da letto e si vestì con calma, sperando che nel frattempo il meticcio di Jack se ne fosse andato. Forse era andato a mendicare cibo da qualche altro vicino. Ma quando andò a controllare vide che era ancora nel portico; così si diresse in lavanderia, trovò un pezzo di filo per stendere i panni e decise di usarlo come guinzaglio.

«Spero che tu sia amichevole», disse piegandosi per legarglielo al collare: solo che quel cane non aveva un collare, bensì un pezzo di corda legato ben stretto attorno al collo.

Che gesto crudele era quello? Spezzò la corda lurida, e ideò una sorta di collare più largo con il filo stendibiancheria, mettendoglielo al collo. Con suo gran sollievo, il cagnetto non glielo impedì: non ringhiò né protestò, ma si limitò a guardarla con quei suoi tristi occhi castani.

Lei scese dalla veranda e gli disse: «Vieni!». Il cane obbedì e camminò mansueto al suo fianco. «Be’, almeno Jack ti ha insegnato a ubbidire», commentò dirigendosi verso il marciapiede. «Adesso ti porto a casa». Poi si voltò e marciò verso la casa del vicino. Ma adesso non era più così sicura: e se il cane non era suo?

«Ciao, Betty», la salutò a gran voce Katie Gilmore, allontanandosi dalla fermata dello scuolabus su cui erano appena salite le sue figlie gemelle. «Come stai oggi?».

Betty sorrise. «Bene, grazie».

Katie si accigliò quando vide il cane, poi abbassò la voce. «Quel cane, ehm, è di Jack Jones?»

«Credo di sì», rispose Betty. «Ieri l’ho visto nel suo giardino».

«Sì, anch’io mi sono accorta che stava lì». Katie pareva a disagio. «Non sapevo che Jack avesse un cane. Spero sia buono».

«Sono sicura che ci sono tante cose di lui che non sappiamo». Betty abbozzò un sorriso ironico e abbassò lo sguardo sul cane. «Ma il cane sembra abbastanza buono».

Katie aggrottò la fronte, guardando il cagnetto. «Poverino».

Betty sospettò che avesse detto “poverino” perché il cane aveva Jack Jones come padrone. Tutti sapevano che il marito di Katie, Martin, aveva sperimentato le “buone” maniere di Jack l’estate prima. Martin Gilmore, che era un tipo mite, era andato a casa di Jack e gentilmente gli aveva chiesto di abbassare il volume della musica. Ma a quanto diceva Penny Horton, che in quel momento si trovava a casa, in tutta risposta aveva ricevuto solo insulti, e il frastuono era addirittura aumentato.

«Stai portando il cane da Jack?». Katie si gettò una rapida occhiata alle spalle, verso la casa fatiscente.

«Sì. E ho intenzione di cantargliene quattro».

Katie inarcò le sopracciglia. «Oh…». Poi s’infilò una mano in tasca e tirò fuori un cellulare. «Vuoi che rimanga in zona? Non si sa mai».

Betty voleva rifiutare l’offerta di Katie perché le sembrava superflua, ma poi ci ripensò. «Non è mica una cattiva idea».

«Può essere un po’ imprevedibile», disse Katie senza scomporsi. «Ecco perché mi assicuro sempre che le mie ragazze salgano e scendano dallo scuolabus».

Betty annuì. «Capisco».

«Ti aspetto qui», disse Katie. «Ti tengo d’occhio finché non gli restituisci il cane». Scrollò la testa. «Mi sembra un cane trascurato… e ha bisogno di un bel bagno».

Betty pensò che il cane non avesse bisogno soltanto di un bagno, ed era proprio ciò che intendeva dire a Jack Jones. Naturalmente non avrebbe perso il controllo, ma gli voleva anche dire che con il cane in quelle condizioni non avrebbe fatto bella figura con l’Ente protezione animali o altre associazioni simili.

Quando arrivò a casa di Jack e bussò alla porta, non ricevette risposta. Eppure il suo furgone era ancora parcheggiato nel giardino all’ingresso, perciò sospettò che fosse a casa e bussò di nuovo, più forte. Ancora nessuna risposta. Infine, non sapendo cosa fare, si limitò a legare il guinzaglio improvvisato alla ringhiera traballante del portico e se ne andò.

«Non ha aperto la porta?», le chiese Katie quando Betty ritornò da lei.

«No». Betty si girò e diede un’occhiataccia alla casa di Jack. «Ho intenzione di chiamare la Protezione animali».

«È crudele lasciare il cane legato lì nel portico», osservò Katie.

Betty fece spallucce. «Non so cos’altro fare».

«Be’, da casa mia riesco a vedere il portico di Jack. Terrò d’occhio il cane, e se Jack non porta dentro il cane o non si occupa di lui, ti telefono».

Betty provò l’impulso di protestare. In fin dei conti, perché quel cane doveva essere un problema suo o una sua responsabilità? Ma sapeva che così avrebbe fatto la figura della donna malvagia e senza cuore, perciò si limitò a ringraziare Katie.

«Martin e io non sappiamo come comportarci con lui», le disse Katie mentre la riaccompagnava a casa. «Devo ammettere che abbiamo cominciato col piede sbagliato. Però dopo quell’episodio abbiamo cercato di essere amichevoli, ma lui ci ignora categoricamente».

«Lo so», replicò Betty. «Fa così con tutti».

«Adesso Martin parla di trasferirsi. È preoccupato per le ragazze. Ha fatto persino uno di quei controlli di polizia su Jack. Sai, quelli che fai online per vedere se la persona in questione ha dei precedenti per molestie sessuali».

Betty sgranò gli occhi. «Ha scoperto qualcosa?»

«No». Katie si incupì. «Ma ora Martin teme che Jack Jones non sia il suo vero nome».

Betty annuì. «Anch’io ci ho pensato».

«Allora, che si fa in questi casi?». Ora Katie parlava con un tono disperato. «Ti rassegni semplicemente al fatto che un matto rovini il tuo quartiere e ti costringa ad andartene da casa tua? Ti arrendi e basta?».

Betty sospirò quando si fermò davanti a casa. «Non so che fare, Katie. Vorrei poterti dire qualcosa. E pur avendo vissuto in questo quartiere per quasi quarant’anni, non so davvero cosa risponderti. A dire la verità, anch’io sto pensando di trasferirmi».

Katie scrollò la testa. «Questo non è giusto».

«Be’, sto invecchiando». Betty si sforzò di sorridere. «La casa e il giardino mi costano tanta fatica, e gli inverni sono lunghi. Davvero, forse non è una cattiva idea trasferirsi altrove».

«Forse. Ma devo dire che Jack Jones mi ha rovinato le vacanze. Mercoledì è l’ultimo giorno di scuola delle ragazze, e ho detto a Martin che sto pensando di portarle da mia madre per le vacanze natalizie. Martin non è stato entusiasta all’idea, perché lui deve lavorare e non ha voglia di tornare in una casa vuota la sera, se noi ce ne andiamo. Ma gli ho spiegato che non impazzisco al pensiero di ritrovarmi a casa con le ragazze, con uno come Jack alla porta accanto».

«Terribile».

«Certo, è terribile che non possiamo più sentirci al sicuro e a nostro agio a casa nostra».

Betty si limitò a scuotere la testa. Ma cosa stava diventando il loro quartiere?

«Comunque sia, ti farò sapere cosa succede a quel povero cane», disse Katie.

Dopodiché, le due donne si separarono e ognuna andò per la sua strada.

Una volta a casa, Betty decise di telefonare a sua figlia. Susan era sempre stata giudiziosa, e aveva una forte fede cristiana. In più faceva la counselor per famiglie, aveva uno studio in casa. Di sicuro le avrebbe detto parole sagge. Un consiglio assennato alla sua povera vecchia madre. Betty aveva in mente di spiegarle la situazione in modo calmo e controllato, ma una volta superati i saluti di rito, sbottò dicendo che voleva vendere la casa il prima possibile.

«E quando hai pensato di metterla in vendita?». Susan pareva un po’ allarmata.

«Mi piacerebbe mettere un cartello subito, adesso. Ma probabilmente ha più senso aspettare fino all’anno nuovo».

«Quindi… a gennaio?»

«Sì. Non credo che nessuno voglia comprare una casa proprio prima di Natale».

«Ma a gennaio devi venire qui».

«Sì, lo so, metterò la casa in vendita e partirò».

«Ma adesso è un brutto momento per il mercato immobiliare, mamma».

«Non m’importa».

«E scommetto che non hai fatto nessuna riparazione, vero?»

«La venderò così com’è».

«Sì… potresti farlo».

Ma Betty sentì che il tono dubbioso nella voce di Susan diventava sempre più forte. «Pensi che sia una cattiva idea, vero?»

«Non credo che sia una cattiva idea vendere la tua casa, solo che non mi pare il momento giusto, tutto qui. Gennaio non è un buon mese per vendere una casa, il mercato non è propizio. So che devi fare dei lavori di manutenzione che hai rimandato e…».

«Pensi che dovrei aspettare?»

«Sì, credo sia più ragionevole aspettare fino all’estate».

«Oh».

«Perché hai tutta questa fretta, mamma?».

Betty si sentì sciocca. Ammettere che era tutta colpa del vicino scortese le sembrò d’un tratto infantile. Eppure, era la verità. Così le raccontò ogni cosa, a cominciare da quando aveva graffiato la portiera della macchina, alla tazza di tè che aveva fatto cadere, al cane sporco.

Susan scoppiò a ridere.

«Non è divertente».

«Scusami, mamma. Sono sicura che non è divertente, ma sentirti raccontare tutto questo, be’…». Ridacchiò di nuovo. «Fa ridere, insomma».

«Uff».

«E il cane, di che razza è?»

«Di che razza è?», Betty si accigliò. «Santo cielo, come faccio a saperlo? Un meticcio, un bastardino, un cagnaccio sporco che non farei mai entrare in casa mia. Posso solo immaginare come dev’essere la casa di Jack Jones, dentro. Fuori è una discarica. Sai che in questo momento, nel suo giardino, c’è un gabinetto rosa?». Betty continuò, raccontando a sua figlia che Katie Gilmore stava pensando di andarsene per le vacanze di Natale, e che Martin aveva controllato che Jack non avesse precedenti penali.

«Oh, mamma», esclamò Susan. «Pensi che sia un tipo pericoloso?»

«Non lo so, ma so che è molto scortese e insensibile e strano. Posso solo immaginare come la stia riducendo, la casa degli Spencer. Per quanto ne so io, potrebbe persino essere uno squatter o un matto scappato dal manicomio, che se ne sta nascosto finché non arrivano gli uomini col camice bianco a portarlo via con la forza».

«Sul serio?»

«Oh, non lo so».

«Mamma, gli hai dato una possibilità? Magari si sente semplicemente solo».

«Certo che si sente solo. Allontana sempre tutti».

«Ma da quanto mi hai raccontato, siete stati tutti aggressivi con lui».

«È lui che ci rende aggressivi!».

«Hai provato a essere gentile?».

Betty non rispose.

«Mi ricordo di quando portavamo i biscotti ai nostri vicini…».

Betty ora rideva, ma era una risata amara. «Non credo che Jack Jones apprezzi i biscotti, Susan. Tu non capisci la situazione».

«Forse no. Ma mi ricordo che una volta mia madre mi disse che con la gentilezza si costruiscono i ponti».

«Voglio costruire un muro bello alto tra la casa di Jack e la mia». Betty menzionò il recinto che cadeva a pezzi e il confine conteso della proprietà.

«Vedi, ecco un’altra ragione per cui non devi vendere la casa adesso, mamma. Devi prima risolvere tutte queste questioni».

«Forse sì».

Poi Susan cambiò argomento, parlando dei nipoti. Seth stava ancora facendo il viaggio missionario in Africa, dove costruivano pozzi e fosse biologiche.

«Ama ciò che sta facendo lì», raccontò Susan, «e adora la gente. Infatti ha deciso di prolungare il suo soggiorno fino a marzo».

«E Marcus?», domandò Betty. «Come va la scuola?»

«Bene. Credo che questa settimana abbia gli esami finali. Ah, ora ha una fidanzata».

«Una fidanzata? L’hai conosciuta?»

«No, ma a quanto pare andrà da lei per Natale».

«Quindi tu e Tim sarete da soli a Natale?». Betty aveva prenotato il volo per la Florida mesi prima, ma in quel momento pensò di spostare le date per poter passare anche le vacanze di Natale con la figlia. Ma perché non ci aveva pensato prima? Ah, già, si ricordò che voleva dare una mano a organizzare la festa per l’anniversario dei Deerwood qualche giorno prima di Natale.

«Non proprio da soli…». Susan le spiegò che Tim aveva escogitato un piano per dividere le spese di un piccolo yacht con altre coppie e fare il giro delle Florida Keys durante le vacanze.

«Sembra divertente». Betty si accigliò quando guardò fuori dalla finestra: il cane di Jack era ritornato nel suo cortile!

«All’inizio non ne ero convinta, ma ora sono entusiasta».

«Be’, anch’io sono entusiasta», commentò Betty, con voce piena di rabbia. «Quel bastardino si è di nuovo intrufolato nel mio giardino!». Il meticcio stava facendo i suoi bisogni proprio accanto al suo amato corniolo! Ma cosa credeva di fare, quel cagnaccio? «Che bestia orribile! Pensò che gli darò un bel colpo di scopa».

«Oh, mamma!», esclamò Susan, con tono deluso. «Che crudeltà. Non sei mai stata così crudele prima».

«Vuoi forse dire che non è crudele da parte di Jack costringermi a pulire la cacca del suo cane? Non è forse crudele rimuovere cumuli disgustosi di cacca di cane dal mio giardino?»

«Ma non è colpa del cane, mamma. L’hai detto tu che la recinzione cade a pezzi! Cosa ti aspetti?»

«Mi aspetto che il padrone del cane si prenda le sue responsabilità. Forse dovrei lanciargli contro qualcosa, a quell’orribile bestiaccia».

«Ma cosa è successo alla dolce donna cristiana che conoscevo io?», fece Susan.

«Jack Jones la sta facendo impazzire».

«Oh, mamma, puoi fare di meglio. Ti ricordi cosa mi consigliavi quando ero una ragazzina e mi arrabbiavo e ti dicevo che volevo ammazzare qualcuno?»

«Cosa?». Betty avvertì le prime avvisaglie del mal di testa.

«Mi dicevi: “Perché non li ammazzi con la gentilezza, Susan?”».

Betty si sfregò la fronte, ricordando le sue stesse parole.

«Allora perché non lo fai, mamma? Perché non ammazzi Jack Jones con la gentilezza?»

«E anche il suo cane?»

«Sì, anche il suo cagnolino».

Betty promise a sua figlia che ci avrebbe pensato, e stava per concludere la telefonata quando Susan si affrettò ad aggiungere: «Ehi, mi stavo quasi dimenticando di dirtelo».

«Cosa?»

«Hai sentito Gary di recente?».

All’improvviso Betty si preoccupò. Intuì dalla voce di Susan che c’era qualcosa di strano. Non era mica successo qualcosa di brutto a suo figlio… «No, non lo sento dal giorno del Ringraziamento. Va tutto bene?»

«Be’, non dovevo dirti niente…».

«Di cosa?».

Betty ora era davvero preoccupata.

«Si tratta di Avery».

«Oh». Avery era la figliastra di Gary. Aveva circa venticinque anni, ma continuava a comportarsi come un’adolescente. «Che è successo a Avery?»

«È scomparsa».

«Scomparsa?»

«Gary mi ha chiamato un po’ di tempo fa e mi ha detto che non la sentono da ottobre».

«Da ottobre?». Betty ci rifletté su. «Gary non mi ha detto niente quando mi ha telefonato il giorno del Ringraziamento».

«Probabilmente non voleva farti preoccupare».

«Capisco».

«Ma adesso sono un po’ allarmati. Insomma, Avery è una che sparisce e si comporta da irresponsabile, ma manca da troppo tempo. E di solito si fa sentire, ogni tanto».

«E stavolta non si è fatta sentire?»

«No». Susan sospirò. «A quanto pare, ha litigato di brutto con Stephanie».

Stephanie era la madre di Avery, la seconda moglie di Gary. Era una donna intelligente e molto bella, ma era un po’ irascibile, e a volte quella sua impulsività preoccupava Betty. «E quando hanno litigato?», chiese Betty.

«A metà ottobre».

«Certo, ed è quando Avery è scomparsa?»

«Sì, esatto».

«Oh, cara, è passato un bel po’ di tempo. Spero che stia bene».

«Sono sicura che sta bene. Probabilmente, Avery vuole solo dare una lezione a sua madre. Comunque sia, sto pregando per lei, e ho pensato che forse anche tu volevi farlo».

«Sì, certo, pregherò per lei».

«E immagino che pregherai anche per il tuo vicino?». La voce di Susan era lievemente sarcastica adesso.

«Sto cercando di pregare per lui», disse Betty. «Ma non è facile».

«Bene, inizierò anch’io a pregare per lui, mamma. Tienimi informata».

«E tu fammi sapere di Avery».

«Certo, però non dire a Gary che te l’ho raccontato; e nel frattempo, pensa a ciò che ti ho detto».

«Cioè cosa?». Betty si sentiva confusa. Avevano parlato di così tante cose: vendere o non vendere la casa, la scomparsa di Avery…

«Segui il tuo stesso consiglio: ammazzalo con la gentilezza».

Betty guardò fuori dalla finestra e vide che quello stupido cane stava scavando nella sua aiuola preferita, quella dei tulipani. «Lo ammazzo, va bene!», sbottò.

«Mamma!».

«Sì, sì, come hai detto tu, con la gentilezza. Ora devo andare, cara».

Ma dopo avere riattaccato ed essere uscita, Betty non aveva nemmeno un briciolo di gentilezza nel cuore. E quando vide che qualcuno – e poteva essere stato solo Jack – aveva inchiodato un asse sul varco nel recinto, dal suo lato della recinzione, si sentì offesa. Aveva permesso al suo cane di oltrepassare il recinto, e poi gli aveva sbarrato la strada perché non tornasse indietro? Ma che problema aveva quel tizio?

Uscì e marciò verso la legnaia, da dove sbucò poi con una vecchia accetta. Il cane la seguì e la osservò mentre Betty, con l’attrezzo, faceva un buco ancora più grande nel recinto. Per fortuna il legno della recinzione era talmente marcio che non fece troppa fatica, ma trovò difficile far passare quello stupido cane attraverso il buco per farlo tornare nel giardino di Jack. Rientrò in casa a prendere una fetta di fesa con cui attirare il cane nel giardino di Jack.

Dopo che la bestiola se ne fu andata, Betty conficcò diversi pezzi di legno nel nuovo varco. Infine si lasciò sfuggire un sospiro: era davvero stanca. Osservò la recinzione che cadeva a pezzi e aveva un aspetto molto malandato.

Il cane era seduto nel giardino di Jack e la guardava con quei suoi tristi occhi marroni.

«Mi dispiace», gli disse. «I cani non possono scegliersi i padroni, così come io non posso scegliermi i vicini. Sta a noi due fare del nostro meglio in questa situazione».

Ma mentre si allontanava, si sentì in colpa per vari motivi. E l’espressione sul muso di quel povero cagnetto le rimase impressa. Quando era diventata così cattiva?