Capitolo 8

Il giorno dopo, Betty si alzò alla solita ora, poco dopo le sette. Ma quando andò nella lavanderia a controllare il cane, fu sorpresa di non trovarlo là. La porta era ben chiusa, proprio come la sera prima, e il suo plaid e le ciotole con cibo e acqua erano ancora lì, ma lui non c’era. Betty controllò in casa e guardò persino nel cortile sul retro, ma il cane non era da nessuna parte.

Infine, preoccupata che Jack si fosse intrufolato in casa nel cuore della notte, decise di controllare se sua nipote stava bene. E là, nella camera degli ospiti, trovò sia Avery sia il cane, che se ne stava raggomitolato contro la schiena della ragazza: la bestiola alzò lo sguardo verso Betty, mentre la nipote continuava a dormire. Betty scrollò il capo e chiuse piano la porta. Si augurò che almeno non avesse le pulci.

Fortunatamente il cane aveva bisogno di uscire per fare i suoi bisogni, perciò Avery si alzò prima delle otto. Betty sorseggiava il caffè mentre la ragazza aspettava che il cane finisse, accanto alla porta scorrevole. Con grande sollievo di Betty, aveva scelto un’altra zona del giardino, non più l’albero di corniolo, per fare i suoi bisogni.

«Fuori si gela», disse Avery facendo rientrare il cane in casa. «Pensi che nevicherà?»

«Possibile, sì», rispose Betty posando la sua tazza.

«Ho sempre desiderato vedere un bianco Natale», disse la ragazza sognante. «Forse questo sarà l’anno giusto».

«Forse». Betty sorrise a Avery. «Ora, se non ti dispiace, mi piacerebbe sapere qualcosa di più delle decorazioni che hai preso per la festa d’anniversario dei Deerwood».

Avery fece una smorfia. «Ma io volevo farti una sorpresa!».

«Una sorpresa?»

«Sì. Devo ancora preparare tutto, ma non voglio che tu veda niente finché non ho finito».

«È molto carino da parte tua, tesoro, ma mi piacerebbe almeno avere un’idea di cosa stai fa…».

«Ho seguito la tua lista», rispose Avery. «E ti posso assicurare che ho abbastanza piatti e bicchieri e forchette per un centinaio di persone. E ho anche tutto l’occorrente per le decorazioni, quindi non puoi semplicemente lasciarmi lavorare per la festa, così ti farò una sorpresa? Ti prometto che sarà fantastica. Non resterai delusa».

Betty pensò ai fiori sgargianti magenta e lime che aveva intravisto nel bagagliaio, e non era tanto sicura. E se la festa dei Deerwood si fosse trasformata in un luau – una festa hawaiana – o una fiesta messicana, o peggio in una festa a tema sui pirati? Come avrebbe fatto poi Betty a spiegarlo ai suoi amici, e a tutti gli invitati?

«Per favore», la supplicò Avery.

Betty si ricordò di quante volte la madre di Avery aveva messo in dubbio le capacità della ragazza, aveva sminuito le sue qualità, trattandola come una bambina. «Va bene», annuì Betty. «Mi fido, Avery».

Avery le gettò le braccia al collo. «Grazie, nonna! Non ti deluderò».

Dopo la colazione, Avery restò barricata in camera. Ogni tanto riemergeva in cerca di oggetti come colla, forbici, graffette e nastro adesivo. A volte portava delle buste di plastica in garage, avvisando Betty di non sbirciare mentre lei lavorava là dentro. Avery ricordava a Betty uno scienziato pazzo, che stava creando in segreto… che cosa? Frankenstein? Una bomba? Si augurò che le nozze d’oro dei Deerwood sopravvivessero a qualsiasi cosa stesse creando sua nipote.

Per distrarsi, Betty decise di infornare i dolci di Natale. Proprio mentre stava cercando di infilare una teglia di fudge al cioccolato in frigo, sentì un colpetto dietro la gamba. Fece un salto e quasi le cadde la teglia, prima che si rendesse conto che era il cane.

«Oh!», esclamò. «Mi hai spaventato».

Il cane la guardò speranzoso, scodinzolando, poi corse verso la porta scorrevole a vetri.

«Hai bisogno di uscire?», chiese facendo scivolare la teglia con il fudge sul ripiano più basso del frigo. «Sto arrivando, sto arrivando». Aprì la porta e fece uscire il cane, ma mentre aspettava suonò il timer del forno. Si affrettò a rientrare in cucina, preoccupata che i biscotti alle noci, dalla forma quadrata, fossero troppo cotti e quindi da buttare via. Ma quando tirò fuori il tegame vide che erano assolutamente perfetti. E il profumo era delizioso.

Prese la carta da forno, ne strappò un foglio e lo stese sul tagliere. Poi lo cosparse di zucchero a velo e ritornò alla teglia, che si era leggermente raffreddata; la capovolse e i quadratini alla noce caddero sulla carta da forno. Li cosparse di altro zucchero a velo, finché erano ancora caldi.

Infine furono pronti, e non resistette all’impulso di assaggiarne uno per assicurarsi che fossero buoni. E naturalmente, aveva bisogno di una tazza di caffè. Si versò l’ultima tazza dalla caraffa del mattino, poi si sedette per godersi quella merenda deliziosa.

Aveva appena terminato quando guardò fuori, verso il cortile, e si accorse che il cane non c’era. Allora si alzò e guardò ancora più da vicino, sbirciando a destra e a sinistra. Uscì per chiamarlo, ma lui non si fece vedere. E fu allora che notò un buco nella recinzione sul retro. Quello stupido cane era andato di nuovo nel giardino di Jack? Diede un’occhiata in quella direzione: il cortile del vicino era un disastro, come al solito, ma non c’era traccia del cane. Eppure, era sicura che fosse andato proprio là.

Betty ritornò in casa e si chiese cosa doveva fare. Se avesse portato il cane al rifugio sarebbe stato meglio per tutti. Doveva farlo al più presto. Le era anche venuto in mente che il cane poteva avere un padrone che lo stava cercando: non era un’ipotesi da escludere. Ma intanto non voleva dare a Jack il tempo sufficiente per attuare la minaccia della sera prima, cioè chiamare la Protezione animali e denunciarla per maltrattamenti. Non che lui fosse in grado di dimostrare un’accusa così oltraggiosa, ma Betty voleva comunque evitare guai.

Prese la giacca da passeggio e il guinzaglio e, passando dalla cucina, osservò i suoi quadratini alle noci. All’improvviso, si ricordò le parole di sua figlia Susan: «Ammazzalo con la gentilezza». Bene, è proprio quello che avrebbe fatto. O almeno, ci avrebbe provato.

Betty rovistò nella credenza dove teneva le decorazioni, tirò fuori un piatto di plastica con un disegno natalizio e ci mise sopra con cura i quadratini di noci e il fudge al cioccolato. Sarebbe stato più carino aggiungere altri dolci, ma non ne aveva: lo coprì con la pellicola e si augurò che funzionasse. Poi si infilò i guanti e, armata di guinzaglio e biscotti, partì per la sua missione.

Prima di uscire, bussò alla porta di Avery.

«Non entrare!», strillò Avery.

«No, tranquilla, sto andando qui vicino».

«Va bene!».

Betty rifletté se doveva dare a sua nipote una spiegazione più esaustiva sul cane scomparso, ma non voleva coinvolgerla in quella che poteva trasformarsi in un’altra brutta discussione. Chi lo sapeva come poteva reagire Jack? Magari pensava che Betty gli avesse spedito di proposito il cane in casa per tormentarlo… Esattamente ciò di cui non aveva bisogno in quel momento. Sperò che la sua “dolce” offerta di pace sistemasse le cose.

Mentre camminava verso la casa di Jack, Betty si chiese come sfruttare a suo vantaggio l’abitudine del cane di andarsene in giro. Sapeva bene che Avery voleva tenerselo, ma forse poteva convincerla che il cane era scappato perché stava cercando il suo vero padrone. E che la cosa più responsabile da fare era riunirlo alla sua famiglia. Di sicuro Avery avrebbe capito.

Quel mattino il giardino di Jack era invaso da quella che sembrava la vecchia tappezzeria degli Spencer. Betty si accigliò quando vide un pezzo della moquette verde oliva: Gladys aveva sempre tenuto la casa immacolata, e Betty sospettò che il rivestimento fosse ancora buono, in grado di durare altri anni. Non che Jack badasse a quel genere di cose.

Betty voleva vedere in quale stato fosse la casa all’interno, e non era la prima volta che provava quella curiosità. Oltrepassò la striscia di moquette e suonò alla porta. Dall’interno proveniva il rumore assordante di un attrezzo elettrico. Suonò ancora e poi bussò, ma il rumore di quell’utensile non si smorzò, e Betty capì che non l’avrebbe mai sentita. Poteva sempre provare ad aprire la porta, ma era un rischio troppo grosso: Jack poteva accusarla di effrazione e violazione di domicilio.

Pensò anche di lasciare il piatto con i biscotti là fuori, ma lui avrebbe concluso che era un tentativo dei vicini di avvelenarlo e l’avrebbe buttato nella pattumiera. E lei non aveva intenzione di sprecare quei biscotti perfetti.

Perché doveva essere tutto così deprimente?

Girò sui tacchi e ritornò spedita verso casa sua. Ma perché si era data tanta pena? Per quanto riguardava il cane, be’, si sarebbe arrangiato da solo.

«Dov’è Ralph?», chiese Avery a Betty quando arrivò in casa.

«Ralph?». Betty mise da parte il piatto coi biscotti e si sfilò i guanti.

«Il cane».

«L’hai chiamato Ralph?». Betty strizzò gli occhi. «Perché?»

«Perché mio nonno si chiamava così».

«Ah, be’…». Betty appese il cappotto all’attaccapanni.

«Ho cercato nella lavanderia e anche nel cortile sul retro, ma non l’ho trovato da nessuna parte. Sai per caso dov’è?». Avery aveva un’espressione preoccupata.

«Lo stavo cercando anch’io. Ho pensato che forse era andato a casa di Jack».

«E ci è andato?»

«Non lo so per certo. Jack non mi ha aperto».

«Ma pensi che Ralph sia là?».

Betty fece spallucce. «O forse è scappato per cercare il suo vero padrone».

«Il suo vero padrone?», fece Avery, stizzita. «Pensi davvero che Ralph abbia un padrone, nonna? Secondo me, o è stato abbandonato o è scappato di casa».

«O forse si è solo perso. Mi è venuto in mente che magari ha una famiglia che lo ama. Qualcuno che lo sta cercando».

«Non aveva il collare. E mi hai detto che aveva una corda legata attorno al collo, come se qualcuno volesse strangolarlo».

«Non lo sappiamo per certo, Avery».

«Bene, io ho intenzione di andare a cercarlo». Si diresse alla porta.

«Mettiti il cappotto», le disse Betty. «Fuori si gela».

Allora Avery agguantò il cappotto, prese il guinzaglio e uscì.

Betty si appostò dietro la porta chiusa della camera della nipote e si chiese se dare una sbirciatina, ma sapeva che così l’avrebbe offesa, perciò ritornò in cucina a infornare dolci.

Betty stava facendo l’impasto dei biscotti allo zucchero quando ricomparve Avery con il cane. «Ho trovato Ralph!», esclamò.

Betty diede un’occhiata alla bestiola, che scodinzolava felice annusando il pavimento e leccando le briciole che le erano cadute mentre preparava i dolci. «Dove l’hai trovato?»

«Avevi ragione, nonna». Avery lanciò il parka su una sedia della cucina. «Era a casa di Jack».

«Jack ti ha aperto la porta?»

«No».

Betty aggrottò la fronte.

«Ho suonato e bussato, e alla fine ho aperto da sola e sono entrata».

«Sei entrata in casa di Jack?». Betty si portò una mano alla bocca.

«Sì, ci sono entrata. Vedessi che razza di disastro!».

«Ma che sta succedendo là dentro?»

«Grossi lavori di demolizione».

«Sta facendo a pezzi la casa?»

«Così pare».

«Hai notato qualcosa, ehm, di strano?». Betty le voleva chiedere in particolare se avesse visto droga o armi, ma non voleva sembrarle paranoica.

«Non mi sono addentrata abbastanza da vedere granché».

«Jack ti ha fermata?»

«Sì, ma non prima che vedessi Ralph».

Betty scosse il capo.

«Allora ho preso in braccio il cane e gliene ho cantate quattro.

«Oh, tesoro».

«Gli ho detto che era maleducato, egoista e cattivo, e che tu eri una brava persona e lui non aveva alcun diritto di renderti la vita impossibile».

Betty si aggrappò a una sedia della cucina per non cadere. «Gli hai detto tutte queste cose?»

«Certo che sì».

«Oddio».

Avery prese un pezzo di impasto per i biscotti e se lo cacciò in bocca. «Buono!».

«E lui cosa ti ha detto?», chiese Betty. «Insomma, come ha reagito, dopo quello che gli hai detto?».

Avery rise. «Niente. Credo che sia rimasto senza parole».

«Gli hai chiesto perché ha fatto entrare il cane in casa sua?»

«L’ho accusato di rapimento canino».

«Rapimento canino?»

«Già. Gli ho fatto notare che, siccome ha affermato chiaramente che Ralph non è il suo cane, non ha alcun diritto di portarselo in casa».

«Sono curiosa di sapere perché l’ha fatto, soprattutto dopo le cose che ha detto ieri sera. Sembrava proprio che il cane non gli piacesse».

Avery fece di sì con la testa. «Già, mi insospettisce. Non mi fido di Jack».

In quel momento, Betty si ricordò della sua strategia. «Ma sono anche curiosa di sapere perché il cane se n’è andato così, di punto in bianco, Avery. Forse si era messo a cercare la sua famiglia».

«La sua famiglia adesso siamo noi, nonna».

Betty si accigliò. «E se qualcuno, da qualche parte, sente la sua mancanza? Magari una famiglia con dei bambini, che vogliono solo che il loro cucciolo torni a casa per Natale?».

Avery si morse un labbro.

«Non vogliamo essere causa del dolore altrui, no?».

La ragazza annuì. «Hai ragione. Farò dei volantini con su scritto “Cane ritrovato”, e li metterò in giro per il quartiere e…».

«Invece io ho pensato di portarlo al rifugio per animali».

Avery scosse la testa, decisa. «Questo sì che sarebbe crudele!».

Betty non sapeva cosa dire.

«Lascia che ci pensi io, nonna. Per favore».

Betty guardò il cane e sospirò. «Sai cosa ti dico, Avery? Che hai tempo fino al weekend per trovare i suoi proprietari».

Avery accettò. «Va bene, farò del mio meglio».

«Nel frattempo, il cane…».

«Ralph».

«Bene. Nel frattempo, Ralph sarà responsabilità tua».

«Nessun problema».

«E ti suggerisco di riparare quel buco nella recinzione, a meno che tu non voglia ritornare da Jack a cercarlo».

«Ci penserò io». Avery prese un altro boccone di impasto, lo mangiò e poi si rivolse al cane. «Forza, Ralph».

Betty osservò la bestiola, che scodinzolava; poi seguì Avery fuori dalla cucina, come se l’avesse fatto per tutta la sua vita. Eppure, ciò non era affatto rassicurante. Avery si era già affezionata a quel cane: cosa sarebbe successo se fosse stata costretta a separarsi da lui?