Capitolo 6
«Che è successo al cane?», domandò Avery quando salirono in macchina.
«È tornato a casa».
«Da Jack?», fece la ragazza con voce disgustata.
«Sì». Betty uscì lentamente dal garage.
«Gli hai parlato prima?»
«Al cane?».
Avery rise. «No, nonna. A Jack, intendevo. Hai parlato al mostro? Gli hai detto che si deve occupare del suo cane, non come fa ora?»
«Non proprio», Betty sospirò. «Ti dispiacerebbe scendere e chiudere la porta del garage, tesoro?»
«Dov’è il telecomando?»
«Cosa?»
«Per la porta».
«Questa è una vecchia porta».
Betty si accigliò mentre aspettava che Avery chiudesse il garage. Le sembrava di essere troppo coinvolta. Non solo dalla nipote, ma anche da Jack e da tutto il resto.
«Grazie», disse Betty quando Avery rimontò in auto.
«Allora, Jack è stato felice di rivedere il suo cane?», insistette Avery.
«Io… non lo so».
«Che significa che non lo sai?»
«Che in realtà non l’ho visto».
«Ma gli hai restituito il cane?»
«Sì, ma non mi ha aperto la porta». Betty rifletté se doveva spiegarle che gli aveva già riportato il cane due volte, ma immaginò che così avrebbe soltanto intorbidito acque già torbide.
«Nonna, ma come hai fatto a ridare il cane a quell’incapace del suo padrone senza vederlo?».
Betty fece una smorfia. Perché era così complicato? «Avery…». Betty all’improvviso si ricordò di una buona tecnica per distrarla. «Ti sei ricordata di telefonare ai tuoi?»
«No…».
«Be’, mi hai promesso che l’avresti fatto».
«Posso usare il tuo telefono?»
«Certo che puoi usare il mio telefono. Te l’ho già detto».
«Va bene». Avery le tese una mano.
«Cosa?»
«Il tuo telefono».
«Ma non ce l’ho qui. Siamo in macchina». Betty si chiese se la ragazza fosse ammattita.
«Mi vuoi dire che non hai un cellulare?»
«Oh». Betty scrollò la testa quando si fermò a un semaforo rosso. «No, certo che no. Perché dovrei avere bisogno di quell’aggeggio insulso?».
Avery era sbalordita. «Ma sei seria?»
«Sì che sono seria. Non capisco perché fate tutte queste storie. Ce la siamo cavata senza quei telefonini per un sacco di tempo. Anzi, penso che la gente che usa il cellulare in pubblico, al ristorante o al cinema o persino in chiesa, sia davvero maleducata».
«Sei proprio all’antica, nonna».
Betty guardò Avery. «Quindi immagino che tu ce l’abbia, un cellulare?»
«È verde».
Betty avanzò.
«Ne avevo uno, ma l’ho perso».
«Ah, sì, il gran colpo dell’autostoppista».
Avery rise.
«Bene, devi promettermi che chiamerai i tuoi genitori non appena arriveremo a casa, Avery».
Si accordarono così.
Avery seguì Betty come un’ombra mentre perlustravano il negozio di decorazioni per le feste in cerca di articoli per le nozze d’oro. All’inizio di novembre, Betty si era offerta di aiutare per Marsha e Jim. E voleva occuparsene da tempo, ma era stata vittima di un brutto raffreddore che le era durato più del solito. Si augurò di non avere aspettato troppo. Per fortuna era stata previdente e aveva ordinato i tovaglioli, e sperò di trovare anche i bicchieri e i piatti di carta.
«E i palloncini?», domandò Avery.
«I palloncini?». Betty guardò le confezioni di sgargianti palloncini Mylar esposte lungo la parete e si accigliò. C’erano arcobaleni, gattini, dinosauri e personaggi dei cartoni animati, ma niente che fosse appropriato per le nozze d’oro. «Non credo, mia cara».
«Perché no?». Avery allungò la mano in una cesta di palloncini normali, di quelli vecchio tipo. «Puoi usare quelli semplici, color oro metallizzato, assieme a quelli bianco perla, per fare dei bouquet di palloncini. Sarebbe carino».
Betty ci pensò, sforzandosi di non fare una faccia scioccata quando Avery si portò il palloncino alle labbra e iniziò a gonfiarlo.
«E costano poco», disse quando le mostrò con orgoglio il palloncino teso verso l’alto. Era davvero carino, sembrava proprio d’oro.
Betty fece di sì con la testa. «Be’, hai ragione, sono proprio graziosi i palloncini».
«E dove la farete, questa festicciola?». Avery lasciò il palloncino, che se ne andò in giro per il negozio volando e scoppiettando.
Betty si guardò nervosa alle spalle. «In chiesa».
«Nel seminterrato?»
«Ovvio. È là che facciamo le feste».
«Allora ci vogliono un mucchio di palloncini e di decorazioni per ravvivare un po’ quel posto».
«Ho solo cinquanta dollari di budget», spiegò Betty.
«Cinquanta dollari?», fece Avery, aggrottando la fronte. «E in quanti siete?»
«Abbiamo calcolato un’ottantina di persone, massimo un centinaio. Per fortuna, ho già pagato i tovaglioli di carta».
S’incamminarono verso lo scaffale dei piatti di carta.
«E dimmi, quante cose devi comprare con questi cinquanta dollari?».
Betty tirò fuori la lista. «Piatti di carta, bicchierini per il caffè, bicchieri di plastica per il punch e forchette. Oh, sì, e anche un po’ di decorazioni».
Avery prese una confezione di piatti di carta dorati e scosse il capo. «Non sono un genio della matematica, nonna, ma solo questi piatti daranno una bella mazzata al tuo budget».
Betty sentì le avvisaglie del mal di testa. Avery probabilmente aveva ragione. Oh, ma perché non ci aveva pensato prima? «Be’, allora vorrà dire che dovrò incrementarlo».
«O…».
«O cosa?»
«Lascia che ti aiuti io, nonna».
Betty sbatté le palpebre. «È molto carino da parte tua, Avery. Ma cosa hai intenzione di fare per aiutarmi?».
Avery fece una faccia furba. «Alle superiori facevo le scenografie degli spettacoli teatrali. Con pochi soldi riuscivo sempre a fare grandi cose, e tutti restavano stupiti. Un anno allestimmo un musical a tema sui pirati, e dovevi vedere com’era realistico!».
Betty non capiva cosa c’entrassero gli spettacoli teatrali o i pirati con le nozze d’oro, ma la testa cominciava a pulsarle di dolore. «Ho bisogno di un’aspirina», mormorò mentre apriva la borsetta per sbirciare all’interno.
«Stai male?»
«È solo il mal di testa».
«Lo so», disse all’improvviso Avery. «C’è una caffetteria qui accanto. Perché non vai a sederti là, prendi l’aspirina, bevi una tazza di caffè, ti rilassi e ci penso io a comprarti queste cose».
Betty sapeva che era una pessima idea, ma non voleva offendere Avery. «Oh, non ce n’è bisogno. Basta che…».
«No, nonna». Avery strappò la lista di mano a Betty. «Ci penso io. Devi solo fidarti, va bene?».
Betty si portò le mani alle tempie e se le sfregò.
«Prometto che non resterai delusa».
«Tesoro, non credo sia una buona idea».
«L’idea dei palloncini ti è piaciuta, no?»
«Be’, sì, ma…».
«Niente ma».
Betty era troppo confusa per pensare con lucidità. Da una parte, sarebbe stato un gran sollievo affidare quel compito a Avery, andare e sedersi nella caffetteria, bere una tazza di tè e prendersela comoda. Ma dall’altra… e se quell’iniziativa si fosse rivelata una catastrofe?
«Davvero, nonna, so di potercela fare». Gli occhi di Avery erano così luminosi e pieni di speranza che decise di concederle una possibilità. In fondo, che male c’era? Aprì la borsetta e tirò fuori il suo vecchio e logoro portafogli, da cui estrasse due banconote da venti. Sapeva che non era granché per comprare dei vestiti, ma era ciò che le restava dei soldi per la spesa di dicembre. Eppure, continuava a pensare che forse avrebbe dovuto aumentare il budget di quel mese. In fin dei conti, non aveva programmato di avere un ospite a casa. Ci avrebbe pensato dopo ad aggiustare le cose. Era sempre una sfida vivere con un gruzzolo fisso, molto limitato. Ma era arrivata fin là nella vita, e il buon Signore provvedeva sempre.
«Ecco, cara. Spero che ti bastino».
«Nonna, ora va’ a bere un caffè e rilassati. Lascia che pensi a tutto io».
Betty chiuse la borsa e annuì. Ma quel movimento le fece peggiorare il mal di testa. Voleva soltanto sedersi, prendere un’aspirina e sorseggiare una bella tazza di tè caldo.
E dopo qualche minuto, era proprio quello che stava facendo. Di lì a mezz’ora, iniziò a sentirsi molto meglio.
«Gradisce dell’altra acqua calda per il tè?», le chiese la cameriera di mezz’età.
Betty diede un’occhiata all’orologio. «Sì, ottima idea».
«Stiamo facendo qualche regalino di Natale?». La cameriera riempì di nuovo la teiera di metallo e richiuse il coperchio con uno scatto.
«Non proprio». Betty le sorrise, poi le raccontò della festa per i cinquant’anni di matrimonio dei suoi amici, e di come sua nipote si fosse offerta di aiutarla con gli acquisti.
«Sua nipote dev’essere meravigliosa», osservò la donna. «Che sollievo, considerato che tanti giovani oggi sono messi così male. Ha sentito le notizie?»
«Cosa è successo?»
«C’è stata una grossa retata sulla Diciassettesima Strada. Droga. Cocaina, metanfetamina, marijuana… c’è stata pure una sparatoria».
«Nella nostra città?». Betty agguantò la tazza di tè.
«Eh, sì». La cameriera abbassò la voce. «Ho anche riconosciuto uno dei ragazzi. È stato qui diverse volte. Non avrei mai immaginato che fosse coinvolto in una storia del genere». Scrollò il capo. «Non si può mai sapere».
«No, è vero».
Ovviamente, tutto ciò la spinse a ripensare a Jack Jones. Sospetti del genere le erano venuti in mente più di una volta, quando aveva pensato a lui. Per quanto ne sapeva, forse aveva sventrato la casa per coltivarci la marijuana. Aveva già sentito storie simili. E se avesse avuto delle armi? Oh, era troppo brutto anche il solo pensiero. Ma quel povero cane, allora? Forse era stata crudele a lasciarlo là con Jack. Si augurò che non fosse cattivo con il povero animale.
Poi pensò a sua nipote, a quanto sarebbe stata sconvolta se fosse successo qualcosa al cagnolino. Ma cosa andava a pensare Betty?
Guardò di nuovo l’orologio. Fu sorpresa di constatare che era passata un’ora e Avery non si era ancora fatta vedere. Finì l’ultimo sorso di tè e si chiese cosa doveva fare. Il centro commerciale non era molto grande, quindi poteva sempre andare a cercarla. E se Betty andava nella direzione sbagliata, e Avery intanto si presentava alla caffetteria?
«Tutto bene?», le chiese la cameriera, preoccupata.
«Sì, stavo solo pensando che mia nipote a questo punto dovrebbe avere finito».
«Ha provato a chiamarla?».
Betty si accigliò. «No… ma sono sicura che arriverà da un minuto all’altro».
«Sì, lo credo anch’io».
Ma non appena la cameriera ritornò in cucina, Betty cominciò a preoccuparsi. In fondo, che cosa sapeva di Avery? Erano anni che non passava del tempo con lei. Sapeva che era scappata di casa e non aveva nemmeno chiamato i suoi per avvertirli che stava bene. Poi aveva fatto l’autostop con un’amica, si era fatta rubare tutte le sue cose e alla fine si era presentata alla porta di Betty. Non era esattamente il ritratto di una giovane responsabile. E non era esattamente l’immagine che Betty aveva dato di lei alla cameriera.
Per quanto ne sapeva, Avery poteva essere coinvolta in qualcosa di orribile. Qualcosa di terrificante, come la droga. E Betty non le aveva forse dato un bel gruzzolo? E se Avery se la fosse filata già da un pezzo? Se si fosse semplicemente intascata i soldi e se la fosse svignata?
Betty sospirò. Non erano tanto i soldi, ma il pensiero che Avery l’avesse ingannata, illudendola di volerla aiutare, quando in realtà stava solo approfittando di lei… Be’, non soltanto la scoraggiava: la faceva proprio sentire male. Betty chiuse gli occhi e fece un bel respiro, tentando di rilassarsi, di lasciar andare quei pensieri e affidarsi a Dio. Era una vecchia abitudine che aveva preso tanto tempo fa: un modo di gestire gli stress della vita.
Mentre se ne stava seduta là con gli occhi chiusi, sentì la voce familiare di Bing Crosby che canticchiava: I’ll be home for Christmas, you can count on me… Buffo come le vecchie canzoni dei suoi tempi andassero di nuovo di moda.
Si rilassò e ascoltò le parole, ricordandosi il Natale che lei e Chuck avevano passato separati, perché lui prestava servizio in Corea. Quante volte l’aveva sentita, quella canzone, e aveva pianto? Ma poi lui era tornato a casa, si erano sposati e non si sarebbe mai più aspettata di passare le vacanze separata da lui. Allora non poteva sapere che avrebbero passato appena una dozzina di Natali insieme. E poi Chuck se ne sarebbe andato. Per sempre.
Il pezzo terminò, e Betty aprì gli occhi e scoprì che aveva le guance bagnate di lacrime. Imbarazzata da quello sfogo emotivo, cercò subito il tovagliolo di carta e si asciugò il viso. Era così sciocco, dopo tutti quegli anni, che lui le mancasse ancora così profondamente.
Sospirò e guardò fuori. Stava cominciando a imbrunire, e lei aveva detto a Avery che voleva tornare a casa finché c’era ancora luce, perché non vedeva bene al buio. Tirò fuori i soldi per pagare il tè e lentamente si alzò.
«Ancora nessuna traccia di sua nipote?», indagò la cameriera, accigliandosi.
Betty si limitò a scuotere il capo e s’incamminò piano verso la porta. Le sembrava che qualcuno le avesse legato dei massi pesanti alle caviglie. Sapeva che solo una vecchia sciocca come lei poteva fidarsi di Avery. Per fortuna non le aveva dato le chiavi della macchina: almeno di quello poteva essere grata.